Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 1 marzo 2019, n. 8835.

La massima estrapolata:

Non e’ invocabile la scriminante della legittima difesa, reale o putativa, da parte di colui che abbia innescato una sfida, mancando, in tal caso, il requisito della convinzione – sia pure erronea – di dover agire per scopo difensivo

Sentenza 1 marzo 2019, n. 8835

Data udienza 1 febbraio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORELLI Francesca – Presidente

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere

Dott. ROMANO Giulio – Consigliere

Dott. CAPUTO Angelo – Consigliere

Dott. BORRELLI Paola – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nata a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 11/10/2017 del TRIBUNALE di VARESE;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. PAOLA BORRELLI;
udite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale Dr. FILIPPI PAOLA, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. La sentenza impugnata e’ stata pronunziata l’11 ottobre 2017 dal Giudice monocratico del Tribunale di Varese, che ha riformato, dichiarando la prescrizione del reato, la condanna inflitta a (OMISSIS) dal Giudice di pace della stessa citta’ per lesioni personali ai danni della nuora (OMISSIS), fatti commessi il (OMISSIS).
2. La pronunzia e’ stata impugnata dal difensore dell’imputata che ha articolato due motivi di ricorso.
2.1. Il primo motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione quanto al mancato riconoscimento della legittima difesa, anche putativa, giacche’ l’aggressione dell’imputata seguiva ad una lite verbale in cui la persona offesa aveva in mano un pezzo di vetro.
2.2. Il secondo motivo lamenta violazione di legge (citando l’articolo 234 c.p.p. e articolo 495c.p.p., comma 2) e vizio di motivazione perche’ il Giudice di pace non aveva acquisito la querela sporta dall’imputata contro la persona offesa per i medesimi fatti oggetto del processo, ne’ il certificato medico relativo alle lesioni riportate dalla ricorrente. Secondo la ricorrente, tali documenti avevano gia’ fatto ingresso nel fascicolo processuale siccome acquisiti all’udienza del 26 aprile 2010.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ inammissibile.
2. Avuto riguardo al primo motivo di ricorso – che lamenta violazione di legge e vizio di motivazione quanto al mancato riconoscimento della legittima difesa, anche putativa – vanno fatte diverse osservazioni.
Quanto alla censura ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), deve trovare applicazione il principio secondo cui, nel giudizio di cassazione, relativo a sentenza che abbia dichiarato la prescrizione del reato, non sono rilevabili vizi di motivazione della decisione impugnata, anche se questa abbia pronunciato condanna agli effetti civili, qualora il ricorso non contenga alcun riferimento ai capi concernenti gli interessi civili (Sez. 6, n. 23594 del 19/03/2013, Luongo, Rv. 256625 – 01).
A prescindere da questo aspetto, il motivo e’ privo di confronto con la sentenza impugnata, giacche’ omette di avversare specificamente la decisione nella parte in cui ha escluso che la difesa avesse dimostrato la sussistenza degli elementi della scriminante ed allorche’, fondando sul coacervo probatorio costituito dalle dichiarazioni della persona offesa e del marito (nonche’ figlio dell’imputata), ha concluso che l’iniziativa fosse stata assunta dalla (OMISSIS), valorizzando anche che quest’ultima aveva creato la situazione di pericolo, provocando i genitori della persona offesa (e, di conseguenza, quest’ultima).
Cosi’ opinando, il Giudice di appello ha fatto corretta applicazione della giurisprudenza di questa Corte secondo cui non e’ invocabile la scriminante della legittima difesa, reale o putativa, da parte di colui che abbia innescato una sfida, mancando, in tal caso, il requisito della convinzione – sia pure erronea – di dover agire per scopo difensivo (Sez. 1, n. 37289 del 21/06/2018, Fantini, Rv. 273861 – 01; Sez. 1, n. 12740 del 20/12/2011, dep. 2012, El Farnouchi, Rv. 252352 – 01).
Quanto alla legittima difesa putativa, va inoltre rilevato che essa fonderebbe su una ricostruzione in fatto che non ha ricevuto alcuna conferma in dibattimento (secondo la quale la persona offesa aveva del vetro tra le mani e, comunque, prima di essere aggredita dalla suocera, aveva assunto un’iniziativa bellicosa nei confronti di quest’ultima). Non solo: il ricorso si colloca a valle di un motivo di appello del tutto generico: quest’ultimo, infatti, non offriva alcuna argomentazione specifica sul punto, non menzionando la scriminante putativa, che risultava indicata solo nell’ambito di una massima trascritta, donde ne deve essere rilevata l’inammissibilita’ ora per allora, cio’ giustificando l’omissione motivazionale del Giudice monocratico sul punto.
3. Il secondo motivo di ricorso, oltre che essere anch’esso inammissibile quanto alla censura motivazionale perche’ formulato contro una sentenza dichiarativa di prescrizione, e’ manifestamente infondato circa la violazione di legge lamentata, dal momento che il Giudice monocratico ha osservato che non vi erano i presupposti di cui all’articolo 603 c.p.p., comma 1, – l’impossibilita’ di decidere allo stato degli atti – avendo gia’ a disposizione il materiale probatorio sufficiente per ricostruire i fatti. A cio’ si aggiunga che, ove la parte avesse voluto dolersi del vizio di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera d), (invero non menzionato nella rubrica del motivo, ma ventilato nel corpo della doglianza), avrebbe dovuto sottolineare la decisivita’ dell’assunzione della prova negata, mente cio’ non si rileva dall’impugnazione; a sostegno dell’assenza di decisivita’, peraltro, deve osservarsi che dalla sentenza di primo grado si evince che il procedimento a carico della Turani e’ stato archiviato, ne’ tale decisivita’ potrebbe essere legata alla produzione della querela della ricorrente (dal momento che il contributo ricostruttivo dell’imputata ha fatto ingresso in dibattimento grazie al suo esame) e di un certificato medico, che non indicherebbe chi prese l’iniziativa aggressiva.
4. All’inammissibilita’ del ricorso consegue la condanna della parte ricorrente, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p. (come modificato ex L. 23 giugno 2017, n. 103), al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, cosi’ equitativamente determinata in relazione ai motivi di ricorso che inducono a ritenere la parte in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’ (Corte Cost. 13/6/2000 n. 186).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 3000,00 a favore della Cassa delle ammende.

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