Revocatoria ordinaria nei confronti di fondo patrimoniale

Corte di Cassazione, sezione terza civile, Ordinanza 28 febbraio 2019, n. 5810.

La massima estrapolata:

In caso di revocatoria ordinaria nei confronti di fondo patrimoniale costituito successivamente all’assunzione del debito, e’ sufficiente, ai fini della cd. “scientia damni”, la semplice consapevolezza del debitore di arrecare pregiudizio agli interessi del creditore, ovvero la previsione di un mero danno potenziale, rimanendo, invece, irrilevanti tanto l’intenzione del debitore di ledere la garanzia patrimoniale generica del creditore, quanto la relativa conoscenza o partecipazione da parte del terzo.
Ai fini, poi, della prova di tale consapevolezza, la verifica puo’ compiersi “tramite presunzioni, il cui apprezzamento e’ devoluto al giudice di merito ed e’ incensurabile in sede di legittimita’ ove congruamente motivato”

Ordinanza 28 febbraio 2019, n. 5810

Data udienza 28 maggio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere

Dott. CIGNA Mario – Consigliere

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 4390-2016 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliti in (OMISSIS), presso lo studio d l’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS) SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, e per esso il procuratore speciale, Dott. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 5922/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 27/10/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/05/2013 dal Consigliere Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI.

FATTI DI CAUSA

1. (OMISSIS) e (OMISSIS) ricorrono, sulla base di tre motivi, per la cassazione della sentenza n. 5922/15 dell’11 dicembre 2015, della Corte di Appello di Roma, che – respingendo l’appello dagli stessi proposto contro la sentenza n. 1314/14 del 20 gennaio 2014 del Tribunale di Roma – ha confermato l’inefficacia, ex articolo 2901 c.c., nei confronti di (OMISSIS) S.p.a. (d’ora in poi, ” (OMISSIS)”) dell’atto di costituzione di fondo patrimoniale del 22 febbraio 2008.
2. Riferiscono, in punto di fatto, gli odierni ricorrenti di essere stati convenuti in giudizio, nel novembre 2010, da (OMISSIS), che esperiva nei loro confronti azione revocatoria ordinaria, in relazione al suddetto atto ex articolo 167 c.c., costituito con beni di proprieta’ esclusiva del solo (OMISSIS).
In particolare, (OMISSIS) assumeva di essere creditrice – in forza di due decreti ingiuntivi emessi dal Tribunale di Velletri, per gli importi di Euro 3.996.280,53 e di Euro 1.455.410,93 – delle societa’ (OMISSIS) S.r.l. e (OMISSIS) S.r.l., in ragione di contratti di finanziamento e di conto corrente con le stesse intercorrenti, nonche’ essere i suoi crediti assistiti da garanzie fideiussorie rilasciate dai coniugi (OMISSIS)- (OMISSIS).
Costituitisi in giudizio, per chiedere il rigetto della domanda, i convenuti deducevano che al momento della costituzione del fondo patrimoniale le esposizioni fideiussorie erano solo due (per Euro 928.000.000) e che fino al 1 giungo 2010 la societa’ (OMISSIS) aveva provveduto regolarmente a restituire le somme ricevute a titolo di finanziamento, essendo stata la sua insolvenza determinata dalla risoluzione unilaterale di un rapporto contrattuale intercorso con (OMISSIS) S.p.a., in relazione alla quale pendeva un contenzioso giudiziario.
Accolta dall’adito Tribunale l’azione revocatoria, gli odierni ricorrenti proponevano gravame, lamentando che l’inefficacia dell’atto di costituzione del fondo patrimoniale era stata dichiarata in assenza di prova circa “eventus damni” e “scientia damni”, atteso che la loro ricorrenza avrebbe dovuto essere verificata al momento della costituzione del fondo, valorizzando l’esistenza, a quel tempo, di un rilevantissimo patrimonio residuo. Non adeguato rilievo, poi, sarebbe stato dato dal primo giudice alle circostanze costituite dalla concessione di ulteriore fido bancario, subito dopo la costituzione dell’atto ex articolo 167 c.c., e dal regolare adempimento delle proprie obbligazioni, nei due anni successivi, da parte delle societa’ debitrici, oltre che dall’imprevedibile fatto del terzo (ovvero, (OMISSIS) S.p.a.) quale causa del fallimento della societa’ (OMISSIS).
L’appello, tuttavia, veniva respinto dalla Corte capitolina, sul rilievo – sottolineano i ricorrenti – che la costituzione del fondo avrebbe comunque reso piu’ difficile il soddisfacimento delle pretese creditorie, ignorando nuovamente la consistenza del patrimonio residuo, fondando la prova della “scientia damni” esclusivamente sulla presunzione semplice del rapporto di coniugio, non correttamente applicata nel caso di specie, non solo perche’ i coniugi non potevano essere a conoscenza di uno stato di insolvenza della societa’ intervenuto solo sei anni dopo, ma ancor prima perche’ tale presunzione e’ di regola applicabile rispetto all’acquirente di un atto di vendita, ma non tra coobbligati.
3. Avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma hanno proposto ricorso per cassazione i coniugi (OMISSIS)- (OMISSIS) sulla base di tre motivi.
3.1. Con il primo motivo si deduce – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), – violazione e/o falsa interpretazione dell’articolo 2901 c.c. sotto il profilo della inesistenza del cd. “eventus damni” per mancata considerazione del patrimonio residuo dei ricorrenti.
Si evidenzia come l’istruttoria avesse dimostrato – essendo stati acquisiti “atti di pubblica conoscenza” – che, alla data del 22 febbraio 2008 (ovvero, quella di costituzione del fondo patrimoniale), il patrimonio residuo dei fideiussori fosse ampiamente idoneo a garantire i crediti futuri di (OMISSIS), come confermato dal fatto che la stessa, nell’ottobre 2008, avesse concesso alla societa’ (OMISSIS) (controllata da (OMISSIS)) altro mutuo di Euro 900.000,00, irrilevanti essendo, invece, le vicende successive a quella data.
Errata sarebbe, poi, l’affermazione del Tribunale relativa al fatto che con la costituzione del fondo patrimoniale avesse l’ (OMISSIS) disposto di tutto il suo patrimonio, visto che alla data del 22 febbraio 2008 il medesimo e la moglie erano proprietari dell’intero capitale sociale di (OMISSIS), il cui patrimonio netto, a quel momento, risultava pari Euro 1.173.292, con partecipazioni in imprese controllate stimate – in bilancio – in Euro 4.119.900. Inoltre, come detto, tra le societa’ “controllate” vi era (OMISSIS), partecipata dalla prima nella misura del 90% (il residuo 10% essendo ripartito, in eguali quote, proprio tra gli odierni ricorrenti), il cui oggetto sociale era costituito da commercio e locazione di un patrimonio immobiliare costituito da ben cinquanta immobili.
Orbene, in presenza di tali circostanze – e del fatto che l’insolvenza di (OMISSIS) ebbe a manifestarsi solo sei anni dopo la costituzione del fondo – la Corte capitolina avrebbe affermato la ricorrenza del cd. “eventus damni” in base ad una sorta di presunzione “iuris et de iure”, ovvero con un tipo di ragionamento il ricorso al quale sarebbe stato escluso da questa Corte (e’ citata Cass. Sez. 3, sent. 29 giugno 2012, n. 10848).
3.2. Con il secondo motivo e’ ipotizzata – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), – violazione e/o falsa interpretazione dell’articolo 2901 c.c. “sotto il profilo della inesistenza della “scientia damni””.
La stessa, infatti, e’ stata ritenuta provata sulla base del vincolo di coniugio dei convenuti e del fatto che ambedue fossero proprietari di azioni della (OMISSIS).
Orbene, i ricorrenti – pur consapevoli che, in, casi come quello in esame, ad integrare il cd. “animus nocendi” e’ sufficiente un mero dolo generico, da provarsi anche attraverso il ricorso a presunzioni evidenzia come le stesse debbano essere, innanzitutto, piu’ di una, ed inoltre “gravi e precise”, cio’ che dovrebbe escludersi con riferimento alla presente fattispecie.
In particolare, la censura si appunta sul quel passaggio della citazione (recepito dal Tribunale, ma non anche dalla Corte di Appello) secondo cui la “partecipatio fraudis” sarebbe anche evincibile dalla circostanza che l’atto costitutivo del fondo patrimoniale risultava privo delle necessarie prescrizioni a tutela della destinazione degli immobili (necessita’ del consenso di entrambi i coniugi e dell’autorizzazione del giudice tutelare per gli eventuali atti di disposizione), circostanza ritenuta sintomatica della volonta’ dei debitori alienanti di disporre liberamente dei beni, senza i limiti e vincoli del controllo giudiziale.
Si contesta tale interpretazione “data da parte attrice”, non essendo la stessa l’unica possibile; premesso, invero, che la clausola in questione e’ consentita dalla legge, la stessa puo’ essere interpretata come utile alla famiglia, lasciando i genitori liberi di disporre dei beni in caso di gravissime necessita’ familiari come malattia o cambio di casa per aumento della prole.
3.3. Infine, con il terzo motivo e’ ipotizzata – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), – violazione e falsa applicazione dell’articolo 2901 c.c. “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio”.
Si fa riferimento alla “totale carenza di esame nella impugnata sentenza di appello alla (dimostrata) esistenza di ampio patrimonio residuo dei ricorrenti” alla data del 22 febbraio 2008.
4. Ha resistito all’impugnazione (OMISSIS) S.p.a., per chiedere che l’avversario ricorso sia dichiarato inammissibile e/o improcedibile, ovvero infondato.
Sotto il primo profilo, deduce la violazione dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6), (e del successivo articolo 369, comma 2, n. 4), non avendo i ricorrenti precisato in quali sedi processuali abbiano sollevato le questioni oggetto di ricorso, ne’ indicato e prodotto nella presente sede i documenti sui quali esse si fondano.
In relazione, poi, al primo motivo si osserva come la Corte capitolina non abbia affatto ignorato la circostanza relativa alla consistenza del patrimonio residuo, essendosi conformata all’indirizzo giurisprudenziale consolidato secondo cui, ai fini dell’accoglimento dell’azione revocatoria, puo’ bastare una variazione qualitativa del patrimonio del debitore. Quanto, poi, alla doglianza relativa al fatto che sarebbero stati ignorati “atti di pubblica conoscenza”, comprovanti tale circostanza, essa si sostanzierebbe, in realta’, nella denuncia di un errore revocatorio, al netto del rilievo che la produzione di quei documenti risulterebbe avvenuta in appello, in violazione dell’articolo 345 c.p.c.; senza tacere, infine, del fatto denotante l’infondatezza del motivo – che la societa’ (OMISSIS) risultava avere al 31 dicembre 2008 un’esposizione debitoria nei confronti di banche e fornitori per Euro 5.784.139 e Euro 5.739.405 (oltre altri debiti per Euro 1.360.067), cosi’ come l’esposizione debitoria di (OMISSIS) ammontava a Euro 5.512.564,00.
Inammissibile sarebbe il terzo motivo, essendo stata la circostanza asseritamente oggetto di omesso esame (la consistenza del patrimonio residuo) espressamente presa in considerazione dalla Corte.
In ordine al secondo motivo, se ne deduce l’infondatezza, tornandosi a sottolineare la rilevanza della clausola dell’atto costitutivo del fondo patrimoniale che escludeva, per il compimento di atti dispositivi dei beni del fondo, il consenso di entrambi i coniugi e la necessita’ dell’autorizzazione del giudice tutelare.
5. Ha presentato memoria la ricorrente insistendo nelle proprie argomentazioni.

RAGIONI DELLA DECISIONE

6. Il ricorso e’ inammissibile, in ciascuno dei motivi in cui si articola.
6.1. Quanto, innanzitutto, al primo motivo, l’inammissibilita’ dello stesso deve essere affermata sotto un duplice profilo.
6.1.1. Per un verso, deve rilevarsi come la censura “veicolata” attraverso di esso si risolva, nella sostanza, in un tentativo di sollecitare a questa Corte – sotto l’apparenza di denunciare la violazione dell’articolo 2901 c.c. – un non consentito, rinnovato, apprezzamento delle risultanze istruttorie. E cio’, soprattutto, nella parte in cui il motivo richiama – non essendo dato, oltretutto, comprendere se per contestare alla Corte territoriale il loro mancato o errato apprezzamento – “atti di pubblica conoscenza” che, alla data del 22 febbraio 2008 (ovvero, quella di costituzione del fondo patrimoniale), dimostrerebbero come il patrimonio residuo dei fideiussori fosse ampiamente idoneo a garantire i crediti futuri di (OMISSIS).
Si tratta, pertanto, di doglianza che – nella misura in cui tende a mettere in discussione l’apprezzamento delle risultanze istruttorie appare “prima facie” estranea al paradigma dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), dovendosi qui ribadire che “la deduzione del vizio di violazione di legge consistente nella erronea riconduzione del fatto materiale nella fattispecie legale deputata a dettarne la disciplina (cd. vizio di sussunzione) postula che l’accertamento in fatto operato dal giudice di merito sia considerato fermo ed indiscusso, sicche’ e’ estranea alla denuncia del vizio di sussunzione ogni critica che investa la ricostruzione del fatto materiale, esclusivamente riservata al potere del giudice di merito” (da ultimo, Cass. Sez. 3, ord. 13 marzo 2018, n. 6035, Rv. 648414-01; nello stesso senso, tra le tante, Cass. Sez. 1, ord. 13 ottobre 2017, n. 24155, Rv. 645538-03).
6.1.2. Ne’, d’altra, parte giova ai ricorrenti – ai fini dell’accoglimento del motivo di impugnazione che qui si esamina – il riferimento alla sentenza di questa Corte da essi richiamata a supporto della censura articolata (si tratta di Cass. Sez. 3, sent. 29 giugno 2012, n. 10848).
Siffatta decisione, per vero, ebbe a cassare la pronuncia di merito, allora sottoposta al vaglio del giudice di legittimita’, effettivamente sul presupposto che essa – nello stabilire la ricorrenza, o meno, del presupposto dell’azione revocatoria costituito dal cd. “eventus damni” – avesse mancato di dare rilievo all’eventuale capienza del patrimonio residuo del soggetto obbligato, ravvisando, pero’, in tale mancanza una carenza dell’impianto motivazionale della sentenza impugnata.
Non e’ questo, tuttavia, il vizio ipotizzato con la proposizione del presente motivo, non essendo lo stesso formulato ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4), “sub specie” di violazione dell’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4).
Sul punto, infatti, non pare inutile rammentare che ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), – nel testo “novellato” dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, comma 1, lettera b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (applicabile “ratione temporis” al presente giudizio) – il sindacato di questa Corte e’ destinato ad investire la parte motiva della sentenza solo entro il “minimo costituzionale” (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 7 aprile 2014, n. 8053, Rv. 629830-01, nonche’, “ex multis”, Cass. Sez. 3, ord. 20 novembre 2015, n. 23828, Rv. 637781-01; Cass. Sez. 3, sent. 5 luglio 2017, n. 16502, Rv. 637781-01).
Lo scrutinio di questa Corte e’, dunque, ipotizzabile solo in caso di motivazione “meramente apparente”, configurabile, oltre che nell’ipotesi di “carenza grafica” della stessa, quando essa, “benche’ graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perche’ recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento” (Cass. Sez. Un., sent. 3 novembre 2016, n. 22232, Rv. 641526-01), in quanto affetta da “irriducibile contraddittorieta’” (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 12 ottobre 2017, n. 23940, Rv. 645828-01), ovvero connotata da “affermazioni inconciliabili” (da ultimo, Cass. Sez. 6-Lav., ord. 25 giugno 2018, n. 16111, Rv. 649628-01), o perche’ “perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (Cass. Sez. 6-3, ord. 25 settembre 2018, n. 22598, Rv. 650880-01), mentre “resta irrilevante il semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass. Sez. 2, ord. 13 agosto 2018, n. 20721, Rv. 650018-01).
Orbene, neppure riguardato sotto questo profilo – ovvero dell’esistenza di un vizio di “irriducibile contraddittorieta’” o di “perplessita’ o obiettiva incomprensibilita’” – il motivo in esame potrebbe trovare accoglimento, giacche’ nessuna di tali evenienze e’ stata prospettata (ne’ ricorre) nel caso in esame.
6.2. Il secondo motivo di ricorso e’, del pari, inammissibile.
6.2.1. Premesso, invero, che le sole censure utilmente scrutinabili da questa Corte sono quelle che si indirizzano avverso la sentenza di appello, e non pure contro la decisione del primo giudice, le quali sono per cio’ solo inammissibili (Cass. Sez. 2, sent. 30 marzo 1999, n. 2607, Rv. 524362-01), deve notarsi come la Corte territoriale abbia fatto buon governo dei principi in tema di accertamento della “scientia damni”.
Questa Corte, infatti, ha piu’ volte affermato che, ai fini dell’azione revocatoria, “con riguardo alla posizione del fideiussore (…) l’acquisto della qualita’ del debitore nei confronti del creditore risale al momento della nascita stessa del credito (e non anche a quello della scadenza dell’obbligazione del debitore principale), sicche’ e’ a tale momento che occorre far riferimento al fine di stabilire se l’atto pregiudizievole (nella specie, costituzione di un fondo patrimoniale) sia anteriore o successivo al sorgere del credito, onde predicare, conseguentemente, la necessita’ o meno della prova della cd. “dolosa preordinazione”” (Cass. Sez. 3, sent. 22 gennaio 1999, n. 591, Rv. 522540-01; Cass. Sez. 3, sent. 15 febbraio 2011, n. 3676, Rv. 616596- 01; Cass. Sez. 6-3, ord. 9 ottobre 2015, n. 20376, Rv. 637463-01).
Nel caso in esame, dunque, risultando la fideiussione rilasciata anteriormente alla costituzione del fondo patrimoniale (ma il punto, per vero, non e’ in contestazione), la Corte capitolina, ai fini della prova del presupposto soggettivo dell’azione revocatoria, si e’ attenuta al principio secondo cui, in caso di “revocatoria ordinaria nei confronti di fondo patrimoniale costituito successivamente all’assunzione del debito, e’ sufficiente, ai fini della cd. “scientia damni”, la semplice consapevolezza del debitore di arrecare pregiudizio agli interessi del creditore, ovvero la previsione di un mero danno potenziale, rimanendo, invece, irrilevanti tanto l’intenzione del debitore di ledere la garanzia patrimoniale generica del creditore, quanto la relativa conoscenza o partecipazione da parte del terzo” (Cass. Sez. 3, ord. 30 giugno 2015, n. 13343, Rv. 635807-01).
Ai fini, poi, della prova di tale consapevolezza, la Corte territoriale ha fatto ricorso – legittimamente – ad un ragionamento presuntivo, utilizzando, cosi’, un “modus operandi” nuovamente in linea con la giurisprudenza di questa Corte, secondo una simile verifica puo’ compiersi “tramite presunzioni, il cui apprezzamento e’ devoluto al giudice di merito ed e’ incensurabile in sede di legittimita’ ove congruamente motivato” (cfr., da ultimo, Cass. Sez. 3, sent. 30 dicembre 2014, n. 27546, Rv. 633992-01).
D’altra parte, poiche’ – come gia’ sopra evidenziato – lo scrutinio di questa Corte sulla parte motiva della sentenza impugnata e’, ormai, circoscritto nei limiti del “minimo costituzionale”, essendole consentito solo sanzionare situazioni di “irriducibile contraddittorieta’” o di “obiettiva incomprensibilita’”, deve ritenersi del tutto adeguata la valutazione con cui la Corte capitolina ha ritenuto di far discendere la prova della “scientia damni” non solo dalla circostanza che i coniugi (OMISSIS)- (OMISSIS) fossero entrambi fideiussori del credito di (OMISSIS) verso le societa’ (OMISSIS) e (OMISSIS), ma anche proprietari di tutte le quote sociali delle stesse, sicche’ non potevano ignorare le vicende che hanno portato alla loro insolvenza e alla necessita’, per il creditore, di far valere la garanzia personale.
6.3. Infine, il terzo motivo e’ anch’esso inammissibile.
6.3.1. Trova, infatti, applicazione l’articolo 348-ter c.p.c., u.c., che non consente di formulare motivi di ricorso ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), rilevando, nella specie, una “doppia conforme di merito”, soggetta, “ratione temporis”, alla norma suddetta, essendo stato il giudizio di appello radicato con citazione richiesta dopo l’11 settembre 2012, risalendo la sentenza del Tribunale, oggetto di gravame, al 20 gennaio 2014 (cfr. Cass. Sez. 5, sent. 18 dicembre 2014, n. 26860, Rv. 633817-01 in senso conforme, Cass. Sez. 6-Lav., ord. 9 dicembre 2015, n. 24909, Rv. 638185-01, nonche’ Cass. Sez. 6-5, ord. 11 maggio 2018, n. 11439, Rv. 648075-01).
7. Le spese seguono la soccombenza, essendo pertanto poste a carico dei ricorrenti e liquidate come da dispositivo.
8. A carico dei ricorrenti sussiste l’obbligo di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna (OMISSIS) e (OMISSIS) a rifondere a spese del presente giudizio alla societa’ (OMISSIS) S.p.a., che liquida in Euro 9.000,00, piu’ Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, la Corte da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

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