Corte di Cassazione, sezione tributaria, Sentenza 15 gennaio 2019, n. 714.

La massima estrapolata:

Nell’ambito dell’accertamento sulle imposte dirette, l’articolo 32 del Dpr 600/1973 individua una presunzione legale in forza della quale, i prelevamenti e i versamenti operati su conti correnti bancari devono essere imputati a ricavi, avverso ai quali il contribuente, in mancanza di espresso divieto normativo e per il principio di libertà dei mezzi di prova, può fornire la dimostrazione contraria, anche attraverso presunzioni semplici da sottoporre alla verifica del giudice, il quale è tenuto a individuare analiticamente i fatti noti dai quali dedurre quelli ignoti, correlando ogni indizio, purché grave, preciso e concordante, ai movimenti bancari contestati.

Sentenza 15 gennaio 2019, n. 714

Data udienza 12 dicembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere

Dott. SAIEVA Giuseppe – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 14329/2012 R.G. proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), residente a (OMISSIS);
– intimato –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria regionale del Veneto n. 38/14/2011 depositata in data 27 aprile 2011;
udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 12 dicembre 2018 dal Consigliere dott. Giuseppe Saieva;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, dott. Stanislao De Matteis, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso;
udito il difensore della parte ricorrente, avv. (OMISSIS).

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso proposto dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Padova (OMISSIS) impugnava l’avviso di accertamento notificatogli dall’Agenzia delle Entrate con il quale gli erano stati contestati relativamente all’anno di imposta 2001, maggiori compensi non dichiarati ai fini IRPEF, IRAP ed IVA, per un valore complessivo di 310.128,00 Euro, in quanto da indagini bancarie svolte dalla Guardia di Finanza erano emersi in sette rapporti bancari a lui intestati “addebitamenti per 158.868,00 Euro” e “accreditamenti per 151.216,00 Euro”.
2. La C.T.P. adita, in assenza di validi elementi giustificativi forniti dal ricorrente, rigettava il ricorso.
3. Il contribuente proponeva appello alla C.T.R. di Venezia, sostenendo che nel 1998 esercitava la propria attivita’ per la societa’ (OMISSIS) S.r.l., societa’ che a suo dire sarebbe stata il vero soggetto passivo dell’imposizione fiscale e per cui conto sarebbero state effettuate le movimentazioni bancarie in contestazione. Opponeva un giudicato formatosi sulla stessa questione in relazione ad avvisi di accertamento emessi per gli anni 1998 e 1999 e chiedeva comunque la riforma della sentenza, ritenendo che i giudici avessero erroneamente valutato i fatti.
4. La C.T.R. respingeva l’eccezione secondo cui il soggetto passivo dell’imposizione fiscale avrebbe dovuto essere la societa’ (OMISSIS) s.r.l., evidenziando che gli assegni postdatati erano stati “versati proprio su conti correnti intestati alla persona fisica dell’appellante”. Respingeva inoltre l’eccezione del contribuente, secondo cui la somma di 158.868,00 Euro corrispondesse a costi gia’ calcolati in un accertamento precedente, ritenendo corretto il ricorso alla presunzione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 32 ed al Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 51, comma 2, n. 2, effettuato dall’Agenzia delle Entrate a seguito della mancata disponibilita’ del contribuente a fornire conto di tale somma.
5. Accoglieva peraltro, sia pure parzialmente, l’appello, ritenendo che, con riferimento agli assegni per complessivi 151.260,00 Euro appariva “probabile che ad essi si fossero aggiunti altri proventi derivanti dalla nuova attivita’ svolta dal contribuente”. E riteneva, infine, corretto “nell’impossibilita’ di indicare i rispettivi importi, favorire il contribuente, detraendo l’intera somma dell’accertamento impugnato e riducendo l’accertamento dei ricavi a 158.868,00 Euro.
6. Avverso detta sentenza l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, per il seguente unico motivo:
Violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 32 e del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 51 comma 2 e dell’articolo 2697 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
7. Il contribuente, pur se ritualmente intimato, non ha svolto alcuna attivita’ difensiva.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La Commissione regionale ha ritenuto di accogliere l’appello dell’ufficio finanziario solo parzialmente.
2. Ha infatti disatteso l’assunto del contribuente secondo cui soggetto passivo dell’imposizione fiscale avrebbe dovuto essere la societa’ ” (OMISSIS) s.r.l.” anziche’ la persona fisica dell’appellante medesimo, ritenendolo smentito dalla circostanza che gli importi degli assegni postdatati risultavano versati su conti correnti intestati appunto alla persona fisica dell’appellante.
3. Ha poi ritenuto corretto il ricorso alla presunzione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 32, comma 1, n. 2 ed al Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 51, comma 2, n. 2, effettuato dall’Agenzia delle Entrate con riferimento alla somma di 158.868,00 Euro, registrata dai movimenti bancari come “frutto di prelevamenti”, a seguito della mancata disponibilita’ del contribuente di fornire conto di tale somma.
4. Quanto viceversa alla somma di 151.260,00 Euro, i giudici di appello disapplicando Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 32, hanno ritenuto “probabile” che gli accreditamenti corrispondessero agli importi degli assegni bancari incassati alla scadenza e ad ulteriori proventi per il contribuente. E, ritenendo di trovarsi nell’impossibilita’ di quantificare i relativi importi, hanno ammesso il contribuente alla deduzione dell’intera somma come costo.
5. Ma tale conclusione appare manifestamente errata per violazione delle disposizioni normative in rubrica.
6. Dette norme stabiliscono infatti una presunzione legale di maggiori ricavi in corrispondenza dei movimenti bancari (accrediti o prelievi) accertati; tale presunzione, se non superata dal contribuente (attraverso l’allegazione e la prova delle ragioni per cui di detti movimenti si e’ tenuto conto in sede di dichiarazione), fonda l’accertamento di maggiori ricavi (o di maggiori operazioni imponibili ai fini Iva) a carico del contribuente in una misura esattamente corrispondente all’entita’ di detti movimenti.
7. La considerazione di tutte le somme oggetto dei movimenti bancari come maggiori ricavi discende, infatti, direttamente dalla legge, allorquando il contribuente non fornisca la prova contraria imposta dal legislatore.
8. Nel caso di specie la C.T.R., pur riconoscendo che il contribuente non abbia fornito detta prova contraria, ha comunque disatteso il criterio stabilito dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 32, laddove dall’impossibilita’ di stabilire quanta parte di detto importo corrispondesse a proventi per il contribuente ha fatto discendere sic et simpliciter una deduzione integrale dell’importo stesso dalla base imponibile.
9. In tal modo la sentenza si pone in contrasto con il principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte secondo cui, ai fini della loro deducibilita’, il contribuente ha l’onere di fornire la prova certa dei costi riportati nella propria dichiarazione, tanto piu’ quando – come nel caso di specie – si tratta di costi non contabilizzati.
10. Secondo l’orientamento consolidato di questa Corte (cfr. Cass., sez. V, n. 18016/2005) infatti, “in tema di accertamento delle imposte sui redditi e con riguardo alla determinazione del reddito di impresa, il Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, articolo 32, chiaramente impone di considerare ricavi sia i prelevamenti, sia i versamenti, salvo che il contribuente non provi che i versamenti sono registrati in contabilita’ e che i prelevamenti sono serviti per pagare determinati beneficiari, anziche’ costituire acquisizione di utili. Pertanto, posto che sussiste inversione dell’onere della prova, alla presunzione di legge (relativa) va contrapposta una prova, non un’altra presunzione semplice ovvero una mera affermazione di carattere generale, anche perche’ non sempre a ricavi occulti corrispondono costi occulti, mentre a ricavi occulti possono accompagnarsi costi dichiarati in misura maggiore del reale”.
11. Nel caso di specie la C.T.R., in difetto di qualsiasi verifica, ha fondato la deduzione dell’intera somma dell’accertamento impugnato sulla mera necessita’ di favorire il contribuente, senza tuttavia considerare che il favore per il contribuente come causa di riconoscimento di deduzione di costi non contabilizzati non trova alcun fondamento normativo.
12. Come affermato da questa Corte, infatti, “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, il Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, articolo 32, prevede una presunzione legale in base alla quale sia i prelevamenti che i versamenti operati su conti correnti bancari vanno imputati a ricavi e a fronte della quale il contribuente, in mancanza di espresso divieto normativo e per il principio di liberta’ dei mezzi di prova, puo’ fornire la prova contrarla anche attraverso presunzioni semplici da sottoporre comunque ad attenta verifica da parte del giudice, il quale e’ tenuto a individuare analiticamente i fatti noti dai quali dedurre quelli ignoti correlando ogni indizio (purche’ grave, preciso e concordante) ai movimenti bancari contestati, il cui significato deve essere apprezzato nei tempi, nell’ammontare e nel contesto complessivo, senza ricorrere ad affermazioni apodittiche, generiche, sommarie o cumulative” (cfr. Cass., sez. V, n. 25502/2011).
13. Conseguentemente, in accoglimento del ricorso, cassa la sentenza impugnata nei limiti di cui in motivazione e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Veneto la quale si dovra’ uniformare al principio sopra affermato e provvedere sulle spese di giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata nei limiti di cui in motivazione e rinvia la causa alla Commissione tributaria regionale del Veneto, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimita’.

Avv. Renato D’Isa

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *