Suprema Corte di Cassazione
Sezione I
Sentenza n. 17637 del 15 ottobre 2012
Svolgimento del processo
1 – S..M. , già socio della Società Cooperativa Edilizia (omissis) arl, propose opposizione alla delibera adottata dal consiglio di amministrazione nell’assemblea dell’11 ottobre 1997, con cui era stata disposta la sua esclusione dalla compagine sociale per aver fomentato dissidi tra i soci, recando danno alla società.
A fondamento della domanda, sostenne che il consiglio di amministrazione non avrebbe potuto discutere argomenti di sua competenza in una riunione dell’assemblea, aggiungendo che gli addebiti mossi concernevano comportamenti da lei tenuti non già in qualità di socio, ma nell’esercizio delle funzioni di presidente del collegio sindacale, e che le motivazioni addotte erano pretestuose.
1.1. – Con sentenza del 27 maggio 2005, il Tribunale di Trani rigettò la domanda.
2. – Il gravame proposto dalla M. è stato accolto dalla Corte d’Appello di Bari, che con sentenza del 29 dicembre 2009 ha riformato la sentenza impugnata, annullando la delibera di esclusione.
Premesso che nella riunione dell’11 ottobre 1997 il presidente del consiglio di amministrazione si era limitato ad addebitare alla M. di aver tardato nel consegnare al nuovo consulente contabile della società il libro dei verbali delle riunioni del collegio sindacale, in tal modo impedendogli la ricostruzione della situazione contabile ai fini dell’accesso ad un mutuo che la società intendeva chiedere ad una banca, la Corte, per quanto ancora rileva in questa sede, ha escluso la genericità dei motivi di opposizione proposti dall’attrice, riconoscendo la pretestuosità e contraddittorietà della motivazione addotta a fondamento dell’esclusione, in quanto il predetto libro, oltre ad essere stato consegnato pochi giorni dopo al difensore della cooperativa, non era un libro di contabilità, ma un registro degli atti di vigilanza compiuti dal collegio sindacale, e non era pertanto indispensabile ai fini della ricostruzione della situazione contabile, desumibile dai documenti di gestione in possesso del consiglio di amministrazione.
Ha aggiunto la Corte che la sanzione dell’esclusione, oltre a risultare sproporzionata rispetto all’addebito, riguardante un comportamento tenuto in qualità di presidente del collegio sindacale e sanzionabile in base ad altre disposizioni statutarie, non era stata preceduta da una formale contestazione, e comunque non avrebbe potuto trovare giustificazione, come ritenuto dal Tribunale, nel difetto dei requisiti per l’assegnazione dell’alloggio, trattandosi di circostanza non menzionata nella delibera impugnata.
3. – Avverso la predetta sentenza propongono ricorso per cassazione E.Z., M.D.N., S.G., F.C., A.D.P. e V.M., già soci della Cooperativa, per tre motivi, illustrati anche con memoria. La M. resiste con controricorso.
Motivi della decisione
1. – Preliminarmente, si rileva l’inammissibilità del ricorso proposto da M.D.N., S.G., C.F., A.D.P. e M.V., i quali hanno impugnato la sentenza emessa nei confronti della Cooperativa in qualità di soci della stessa, a seguito dell’intervenuto scioglimento della società, senza però precisare se quest’ultima sia stata cancellata dal registro delle imprese.
Ai sensi dell’art. 2495, secondo comma, cod. civ., applicabile anche alle cooperative in virtù del generale rinvio alla disciplina delle società per azioni contenuto nell’art. 2519, lo scioglimento della società non ne determina infatti l’estinzione, la quale consegue invece alla cancellazione dal predetto registro,
ammessa a seguito dell’approvazione del bilancio finale di liquidazione. Soltanto per effetto di tale evento, quindi, viene meno la soggettività dell’ente, e con essa la sua capacità processuale, nonché la legittimazione attiva e passiva dei suoi organi, la quale, relativamente ai processi in corso, si trasferisce ai singoli soci: questi ultimi, infatti, per effetto della vicenda estintiva, divengono non solo responsabili nei confronti dei creditori sociali per i crediti rimasti insoddisfatti, nei limiti delle somme da loro riscosse nel bilancio finale di liquidazione, ma anche partecipi della comunione sui beni residuati dalla liquidazione o sopravvenuti alla cancellazione, con la conseguente configurabilità di una successione a titolo universale che da luogo, sul piano processuale, all’applicabilità dell’art. 110 cod. proc. civ. (cfr. C Cass., Sez. V, 3 novembre 2011, n. 22863). Prima della cancellazione, invece, la legittimazione processuale spetta unicamente ai liquidatori ai quali l’assemblea della società abbia attribuito la rappresentanza della stessa, ai sensi dell’art. 2487 cod. civ., verificandosi, per effetto dell’iscrizione della nomina nel registro delle imprese, la cessazione dalla carica degli amministratori ed il subingresso dei liquidatori nei relativi poteri (cfr. Cass., Sez. III, 15 febbraio 2006, n. 3279; Cass., Sez. I, 26 marzo 2003, n. 4455).
1.1. – È pur vero che, in riferimento all’impugnazione di una delibera adottata dall’assemblea di una società di capitali, questa Corte ha riconosciuto al socio che abbia concorso con voto determinante alla sua approvazione la legittimazione a spiegare intervento nel giudizio, osservando che egli è titolare di un interesse non già di mero fatto, bensì giuridicamente qualificato dalla condizione stessa di socio, in quanto, per un verso, è titolare di diritti partecipativi che lo abilitano (nei limiti proporzionali della sua quota) ad influenzare secondo i propri intenti il processo decisionale dell’assemblea, e, per altro verso, è sì vincolato alle deliberazioni da quest’ultima adottate, ma sul presupposto che dette delibere (se prese nel rispetto della legge e dello statuto) vincolino allo stesso modo anche gli altri soci (cfr. Cass., Sez. 1, 1 aprile 2003, n. 4929). Tale intervento, tuttavia, in quanto volto ad appoggiare le ragioni della società, per evitare che siano posti nel nulla gli effetti di un atto alla cui formazione il socio ha contribuito, e che deve quindi presumersi conforme alle sue scelte, è qualificabile come intervento adesivo dipendente, che non legittima il socio ad impugnare autonomamente la sentenza sfavorevole emessa nei confronti della società, ma solo ad aderire all’impugnazione proposta dalla stessa o a proporre un’impugnazione congiunta, la cui dipendenza da quella principale ne comporta peraltro l’inammissibilità, ove l’esame di quest’ultima risulti per qualsiasi motivo precluso (cfr. Cass., Sez. II, 10 marzo 2011, n. 5744; 16 febbraio 2009, n. 3734; Cass., Sez. III, 16 novembre 2006, n. 24370).
2. – Ciò posto, anche a voler qualificare l’impugnazione proposta dai soci come ricorso adesivo, nella specie proposto congiuntamente a quello del liquidatore della Cooperativa, deve dichiararsene l’inammissibilità, in conseguenza dell’inammissibilità del ricorso principale, derivante dall’inosservanza del requisito di cui al combinato disposto degli artt. 366, primo comma, n. 6 e 369, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ.
2.1. – Con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia infatti l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia, nonché la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., degli artt. 3 e 4 della legge 2 luglio 1949, n. 408 e dell’art. 2 del d.P.R. 30 dicembre 1972, n. 1035.Premesso che il consiglio di amministrazione era pervenuto alla determinazione di esclusione sulla base di una pluralità di valutazioni, consistenti nell’ostruzionismo opposto dalla M. alle richieste di collaborazione e consegna di documenti, nella mancata partecipazione ad un’assemblea da lei precedentemente sollecitata, nell’insussistenza delle irregolarità contabili da lei denunciate e nella carenza dei requisiti soggettivi per l’assegnazione dell’alloggio, sostiene che la sentenza impugnata ha delibato profili della delibera che non erano stati oggetto d’impugnazione da parte dell’attrice, mentre ha omesso di esaminare tutte le ragioni di esclusione evidenziate nella motivazione, essendosi soffermata soltanto su alcune di esse. La Corte d’Appello ha infatti ritenuto che tra le cause di esclusione non fosse menzionata la carenza dei requisiti per l’assegnazione dell’alloggio, o-mettendo di rilevare che l’attrice non aveva mai contestato tale circostanza, né a-veva fornito la prova contraria. Essa ha inoltre affermato che l’esclusione della M. era motivata da comportamenti tenuti in qualità di presidente del collegio sindacale, senza considerare che l’assemblea aveva fatto proprie le ragioni dedotte dal consiglio di amministrazione, e senza tener conto delle risultanze dei verbali della riunione dell’11 ottobre 1997 e di quelle precedenti e successive, dai quali emergeva che i rapporti tra l’attrice ed i soci della cooperativa erano da tempo compromessi a causa di gravi inadempienze della M. , che aveva omesso di vigilare sulla condotta del consulente contabile della società, aveva omesso di versare tempestivamente le quote di sua spettanza, non aveva partecipato ad una riunione dell’assemblea da lei stessa richiesta, aveva sollevato rilievi infondati in ordine alla contabilità sociale, aveva rifiutato di consegnare il libro delle riunioni del collegio sindacale e con la sua condotta aveva determinato l’interruzione di una precedente riunione.
2.2. – Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 3 e 4 della legge n. 408 del 1949 e dell’art. 2 del d.P.R. n. 1035 del 1972, ribadendo che, nel valutare le ragioni dell’esclusione, la Corte d’Appello ha limitato il proprio esame al ritardo nella consegna del libro dei verbali delle riunioni del collegio sindacale, senza considerare le ulteriori contestazioni specificamente mosse alla M. anche nella qualità di socio, ed in particolare la carenza dei requisiti per l’assegnazione dell’alloggio. La sentenza impugnata è altresì affetta da carenza assoluta di motivazione, avendo la Corte ritenuto irrituale l’irrogazione della sanzione, in quanto non preceduta dalla contestazione degli addebiti, senza individuare la norma violata, in contrasto con il principio di tassatività delle invalidità.
2.3. – Con il terzo motivo, la ricorrente deduce l’omessa ed insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, nonché la violazione della legge n. 408 del 1949 e dell’art. 2533 cod. civ., censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che la delibera di esclusione fosse motivata esclusivamente con l’inadempimento dei doveri incombenti sulla M. quale presidente del collegio sindacale, senza considerare che il consiglio di amministrazione aveva fatto propria la relazione del presidente, nella quale si faceva riferimento anche al mancato pagamento delle quote sociali ed al difetto dei requisiti per l’assegnazione dell’alloggio.
2.4. – Nello svolgimento delle predette censure, la ricorrente fa ripetutamente riferimento, oltre che al verbale della riunione dell’assemblea in cui è stata adottata la delibera impugnata, a numerosi altri documenti, dei quali fa valere l’omesso esame da parte della Corte territoriale, limitandosi però a trascrivere solo parzialmente nel ricorso il predetto verbale ed astenendosi dal riportare i passi salienti degli altri documenti, nonché omettendo di specificare dove e quando essi sarebbero stati prodotti, e se siano stati nuovamente depositati in sede di legittimità e come.
Tale modalità di articolazione del ricorso contrasta palesemente con la prescrizione contenuta nell’art. 366, primo comma, n. 6 (come sostituito dall’art. 5, comma primo, del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40), il quale, nel richiedere la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali si fonda l’impugnazione, individua un requisito dell’atto che si esprime in una previsione di ordine contenutistico, volta a fornire al Giudice di legittimità un quadro quanto più chiaro possibile degli elementi forniti nel giudizio di merito e delle critiche mosse alla sentenza impugnata. Tale previsione, come hanno affermato le Sezioni Unite di questa Corte (cfr. ord. 25 marzo 2010, n. 7161), è funzionale anche all’applicazione dell’art. 369, secondo comma, n. 4, il quale, nel prescrivere il deposito dei predetti documenti unitamente al ricorso, individua a sua volta un requisito di procedibilità dell’impugnazione; essa postula che il ricorrente specifichi in quale sede processuale il documento, pur indicato nel ricorso, sia stato prodotto, dal momento che indicare un documento significa necessariamente, oltre che individuare gli elementi che valgono ad identificarlo, dire anche dove, tra gli atti del processo, esso è rintracciabile. Pertanto, qualora il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito dallo stesso ricorrente e si trovi nel fascicolo di quelle fasi, la produzione può avvenire mediante il deposito di tale fascicolo, ferma restando la necessità d’indicare nel ricorso la sede in cui esso è rinvenibile e d’indicare che il fascicolo è prodotto; ove invece il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito dalla controparte, è necessario che il ricorrente indichi che esso è prodotto nel fascicolo del giudizio di merito della controparte e che produca in copia il documento stesso (v. anche Cass., Sez. VI, 23 agosto 2011, n. 17602; Cass., Sez. III, 23 settembre 2009, n. 20535).
La mancanza di tali indicazioni, impedendo d’individuare prontamente i documenti ai quali fa riferimento la ricorrente, nonché di ricostruirne il contenuto, soltanto accennato per alcuni di essi nel ricorso, preclude l’esame nel merito dell’impugnazione, che va pertanto dichiarata inammissibile.
3. – Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza, e si liquidano come dal dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso, e condanna Z.E. , D.N.M. , S.G. , C.F. , D.P.A. e V.M. al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in complessivi Euro 2.700,00, ivi compresi Euro 2.500,00 per onorario ed Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.
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