Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 25 settembre 2018, n. 41229.
La massima estrapolata:
Il reato di indebita compensazione di cui all’articolo 10-quater del Dlgs 74 del 2000 è punibile anche quando il credito Iva, ancorché certo nel suo ammontare, non emerga dalla dichiarazione poiché omessa. Questo in quanto per credito Iva non spettante deve intendersi quello che, pur eventualmente certo nella sua esistenza e nel suo esatto ammontare, non sia per qualsiasi motivo esigibile e l’omessa presentazione della dichiarazione, impedendo la necessaria verifica della sua spettanza, costituisce conseguentemente causa ostativa alla sua legittima utilizzazione successiva in compensazione.
Sentenza 25 settembre 2018, n. 41229
Data udienza 17 gennaio 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAVALLO Aldo – Presidente
Dott. DI NICOLA Vito – Consigliere
Dott. SOCCI Angelo Matteo – Consigliere
Dott. GENTILI Andrea – rel. Consigliere
Dott. SCARCELLA Alessio – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 682/2017 della Corte di appello di Brescia del 1 marzo 2017;
letti gli atti di causa, la sentenza impugnata e il ricorso introduttivo;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Andrea GENTILI;
sentito il PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.ssa DI NARDO Marilia, il quale ha concluso chiedendo la dichiarazione di inammissibilita’ del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Brescia, con sentenza del 1 marzo 2017, ha confermato la precedente sentenza con la quale, in data 17 marzo 2016, il Tribunale di Cremona aveva dichiarato la penale responsabilita’ di (OMISSIS) in relazione alla imputazione di avere violato del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, l’articolo 10-quater, per avere, in qualita’ di legale rappresentante della (OMISSIS) Srl, omesso di versare le imposte dovute, utilizzando in per compensazione un credito Iva, pari ad Euro 81.957,63, inesistente in quanto scaturente dalla dichiarazione Iva per l’anno 2009 non presentata, e lo aveva, pertanto, condannato, concessa la sospensione condizionale, alla pena di mesi 6 di reclusione, oltre accessori.
Ha interposto ricorso per cassazione il (OMISSIS) avverso la predetta sentenza, articolando tre motivi di impugnazione.
Il primo di essi concerne la violazione del principio di corrispondenza fra la contestazione ed il fatto accertato in sentenza; osserva il ricorrente che la contestazione fa riferimento a crediti iva non esistenti, laddove il contenuto della sentenza si riferisce a crediti non spettanti.
Il secondo motivo di impugnazione riguarda la violazione di legge in relazione alla ritenuta integrazione del reato contestato; in sostanza il ricorrente deduce la insussistenza del reato nel caso in cui la insussistenza del credito iva sia stata desunta dal giudicante non a seguito di un giudizio in relazione alla sua ontologica esistenza o meno ma solamente in funzione del dato formale che lo stesso risulti o meno dalla presentazione della relativa dichiarazione.
Come terzo motivo il ricorrente ha riproposto la medesima doglianza, ma con riferimento alla ritenuta carenza di motivazione in relazione alla affermazione della sua penale responsabilita’.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto e’ infondato.
Con riferimento al primo motivo di ricorso, con il quale si invoca la nullita’ della sentenza impugnata in quanto ci sarebbe stato uno scarto di contenuto fra il fatto come accertato in sede di merito e quello contestato in sede di capo di imputazione, va rilevata la insussistenza del vizio dedotto.
Come e’ indubitabile attraverso la lettura della imputazione mossa al (OMISSIS), a questo e’ stata ascritta la violazione del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10-quater per avere utilizzato in compensazione un credito iva “scaturente dalla omessa presentazione della dichiarazione modello unico Sc2009”; e’ di tutta evidenza che, a prescindere dalla disputa nominalistica fra credito inesistente e credito non spettante, l’illecito contestato all’imputato e’ consistito nell’avere portato in compensazione un credito Iva precedentemente non oggetto di dichiarazione.
Nessuna discrasia e’, pertanto, riscontrabile fra quanto al (OMISSIS) contestato e quanto accertato dalla Corte territoriale di Brescia.
Con riferimento ai successivi due motivi di impugnazione, i quali possono essere esaminati congiuntamente stante la loro sostanziale coerenza argomentativa, va ribadito che, ai fini di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10-quater, deve intendersi per credito non spettante quel credito iva che, pur eventualmente certo nella sua esistenza e nel suo esatto ammontare, sia, per qualsiasi ragione normativa, ancora non utilizzabile o non piu’ utilizzabile in operazioni finanziarie di compensazione nei rapporti fra il contribuente e l’Erario (Corte di cassazione, Sezione 3 penale, 26 gennaio 2015, n. 3367).
A tale proposito, e con riferimento alla presente fattispecie, si osserva che e’ pacifico che il (OMISSIS) non avesse presentato per l’anno di imposta 2009 la dichiarazione dalla quale emergeva la esistenza di un credito Iva in suo favore; fatta questa premessa, va rilevato che la spettanza del credito presuppone che lo stesso sia stato indicato nella precedente dichiarazione fiscale, posto che solo in tal modo e’ consentito di verificarne la effettiva spettanza.
E’, pertanto, evidente che la omessa presentazione della dichiarazione fiscale (a nulla rilevando, stante la non equipollenza con questa, l’eventuale invio di altre precedenti comunicazioni di carattere fiscale da parte del contribuente), impedendo la necessaria opera di verifica della spettanza del credito in questione, e, pertanto, impedendo la qualificazione di esso come tale (cioe’ spettante), si pone come condizione ostativa alla sua successiva legittima utilizzazione in occasione della compensazione con altri debiti nei confronti dell’Erario.
La sentenza impugnata, avendo fatto corretta e chiara applicazione dei suddetti principi si caratterizza, di conseguenza, per non essere ne’ violativa del disposto normativo ne’ manifestamente illogica nella sua motivazione.
Al rigetto del ricorso fa seguito la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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