In materia di concorsi pubblici per l’accesso al pubblico impiego, le opportunità di regolarizzazione, chiarimento o integrazione documentale non possono tradursi in occasione di aggiustamento postumo

Consiglio di Stato, sezione quarta, Sentenza 4 ottobre 2018, n. 5697.

La massima estrapolata:

In materia di concorsi pubblici per l’accesso al pubblico impiego, le opportunità di regolarizzazione, chiarimento o integrazione documentale non possono tradursi in occasione di aggiustamento postumo, cioè in un espediente per eludere le conseguenze associate dalla legge o dal bando o per ovviare alle irregolarità non sanabili conseguenti alla negligente inosservanza di prescrizioni tassative imposte a tutti i concorrenti, pena la violazione del principio della par condicio.

Sentenza 3 ottobre 2018, n. 5686

Data udienza 7 giugno 2018

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale

Sezione Quarta

ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2332 del 2010, proposto da
An. Le., rappresentato e difeso dagli avvocati Or. Ca., An. Mi., con domicilio eletto presso lo studio An. Mi. in Roma, via (…);
contro
Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata ex lege in Roma, via (…);
Agenzia delle Entrate non costituito in giudizio;
nei confronti
Al. De. Se. ed altri non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Seconda n. 00046/2009, resa tra le parti, concernente concorso per titoli di servizio a 163 posti di dirigente
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ministero dell’Economia e delle Finanze;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 luglio 2018 il Cons. Antonino Anastasi e uditi per le parti gli avvocati Mi. e Fe., per l’avvocatura dello Stato;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

L’odierna appellante ha partecipato al concorso interno per il conferimento di 163 posti di dirigente presso il Ministero dell’economia e finanze e si è classificata in posizione non utile (353).
L’interessata ha impugnato gli atti della selezione, lamentando in sintesi da un lato l’omessa attribuzione di punteggio nei suoi confronti in relazione a titoli vari regolarmente indicati nella domanda di partecipazione; dall’altro la incongruità dei criteri operativi valorizzati dalla Commissione in contrasto con quanto previsto dal bando.
La sentenza con la quale l’adito Tribunale ha nella sostanza respinto il gravame è stata impugnata con l’atto di appello oggi in esame dalla soccombente la quale ne ha chiesto l’integrale riforma, tornando a versare – in opportuna rimodulazione rispetto al decisum – alcune delle doglianze già infruttuosamente versate in prime cure.
Si è costituita in resistenza l’Amministrazione.
Le Parti hanno depositato memorie insistendo nelle già rappresentate conclusioni.
All’udienza del 19 luglio 2018 il ricorso è stato spedito in decisione.
L’appello non è fondato e va pertanto respinto, in quanto la giurisprudenza della Sezione, formatasi proprio in riferimento al concorso de quo, ha già stabilmente raggiunto conclusioni che ostano all’accoglimento delle tesi difensive dell’appellante.
Con il primo e centrale motivo l’appellante lamenta la omessa attribuzione del punteggio previsto (in base ai criteri stilati dalla commissione) in relazione alle numerose verifiche fiscali o contabili cui la funzionaria ha partecipato.
Precisa l’appellante di aver indicato in seno alla domanda ” di aver svolto funzioni ispettive dal 17.11.1994″ in base a specifico decreto direttoriale.
Il mezzo non può essere accolto, in quanto l’indicazione contenuta nella domanda di partecipazione la concorrente è formulata in modo generico e non satisfattivo rispetto alle previsioni del bando.
Al riguardo la Sezione ha ancora di recente ribadito con riferimento al concorso de quo che ” Gli incarichi di verifica e di ispezione non sono stati valutati in quanto non sufficientemente documentati nella domanda di partecipazione. In proposito, è sufficiente evidenziare che è preciso onere di ciascun candidato – anche in omaggio alla natura selettiva della procedura ed alla conseguente esigenza di rispettare rigorosamente la par condicio fra i concorrenti – attendere alla completa, tempestiva e puntuale produzione dei propri titoli: non solo, infatti, nelle procedure di massa, quali quelle concorsuali, l’Amministrazione non è tenuta al soccorso istruttorio (Cons. Stato, Ad. Plen., 25 febbraio 2014, n. 9, § 7.4 e seguenti) e, quindi, non deve ricercare autonomamente la documentazione menzionata dai candidati, ma, oltretutto, l’art. 2 del bando precisava che “i titoli valutabili… dovranno essere indicati dal candidato mediante precisi ed univoci estremi di riferimento e dovranno essere allegati, in originale o copia autenticata, qualora non siano in possesso dell’amministrazione”. (cfr. IV n. 2118 del 2018).
Né può ritenersi che la commissione dovesse richiedere ai candidati di integrare la domanda carente o lacunosa.
Infatti, come la giurisprudenza di questo Consiglio ha più volte sottolineato, in materia di concorsi pubblici per l’accesso al pubblico impiego, le opportunità di regolarizzazione, chiarimento o integrazione documentale non possono tradursi in occasione di aggiustamento postumo, cioè in un espediente per eludere le conseguenze associate dalla legge o dal bando o per ovviare alle irregolarità non sanabili conseguenti alla negligente inosservanza di prescrizioni tassative imposte a tutti i concorrenti, pena la violazione del principio della par condicio (cfr. III Sez. n. 2610 del 2010).
Sostiene la appellante che nel caso all’esame tale soccorso istruttorio invece si imponeva, in quanto la commissione avrebbe fissato criteri di valutazione dei titoli difformi o eterogenei rispetto a quelli desumibili dal bando.
Il mezzo non può essere favorevolmente scrutinato.
Si premette che nei concorsi pubblici la commissione esaminatrice è, di norma, titolare di un’ampia discrezionalità in ordine alla catalogazione dei singoli tipi di titoli valutabili nell’ambito delle categorie generali predeterminate dal bando; all’attribuzione della rilevanza e dell’importanza dei titoli stessi; all’individuazione dei criteri per l’attribuzione ai candidati dei punteggi spettanti per i titoli da essi vantati nell’ambito del punteggio massimo stabilito dal bando, all’evidente fine di rendere concreti, attuali e utilizzabili gli stessi criteri del bando.
Secondo i principi, l’esercizio di tale discrezionalità sfugge al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, impinguendo nel merito dell’azione amministrativa, salvo che il suo uso non sia caratterizzato da macroscopici vizi di eccesso di potere per irragionevolezza, manifesta iniquità, e palese arbitrarietà . (cfr. ex multis IV Sez. n. 2754 del 2016, relativa al concorso in questione).
Tali profili di illogicità non ricorrono nella fattispecie poiché la scelta della commissione di attribuire un punteggio a ciascuna verifica esterna cui il dipendente avesse partecipato su incarico dell’Amministrazione non presenta alcun profilo di arbitrarietà percepibile in questa sede, nella misura in cui – del tutto ragionevolmente – la partecipazione attiva alla singola verifica è appunto assimilabile all’espletamento di un incarico piuttosto che ad un atto espressivo dell’esercizio continuativo di una funzione (quale ad es. quella dirigenziale).
In termini piani, la scelta della commissione è del tutto ragionevole, in quanto privilegia l’effettiva partecipazione ad una delicata attività esterna (incarico) piuttosto che la generale previa abilitazione a svolgere tale attività (funzione).
Da ultimo, infondato è il motivo mediante il quale l’appellante lamenta che la commissione abbia predisposto i criteri valutativi quando aveva già preso visione dell’elenco dei partecipanti e dei titoli da essi allegati.
Come si è detto sopra, il concorso in controversia ha originato una notevole mole di contenzioso nell’ambito del quale la Sezione ha già preso definitiva posizione su censure identiche a quella ora in rassegna, con indirizzi cui il Collegio intende dare continuità ..
Ai fini del rigetto del mezzo è dunque sufficiente riportare quanto statuito sul concorso in controversia da una recente sentenza della Sezione ove si afferma quanto segue.
“In ordine logico, conviene poi esaminare il terzo motivo d’appello, col quale si reitera la doglianza di illegittimità nella fissazione dei punteggi relativi ai titoli, atteso che la Commissione avrebbe proceduto a tale incombente in un momento in cui erano già noti i nominativi dei concorrenti e i titoli da questi dichiarati.
Sul punto, il primo giudice ha escluso la sussistenza del vizio denunciato sul rilievo che i predetti punteggi furono fissati nella seduta del 23 giugno 1998 (verbale nr. 2), e quindi anteriormente alla presentazione delle domande di partecipazione al concorso; replica l’istante che, al contrario, come si evince dalla lettura dei verbali acquisiti, tale fase si protrasse anche nelle sedute successive, concludendosi solo in data 8 febbraio 1999 (verbale nr. 7), allorché l’identità dei candidati e i rispettivi titoli erano già noti.
Quest’ultimo rilievo è in fatto esatto, e tuttavia può escludersi che il modus operandi della Commissione abbia determinato un vizio di legittimità inficiante gli stessi punteggi e sottopunteggi, nel senso che questi possano essere stati in qualsiasi modo condizionati dalle conoscenze medio tempore acquisite sull’identità dei soggetti che avevano presentato domanda di partecipazione alla procedura.
Infatti, come è dato evincere dalla lettura del verbale nr. 3 del 23 ottobre 1998, l’attività successiva alla fissazione in via generale dei punteggi per i titoli (avvenuta, come detto, nella precedente seduta del 23 giugno 1998) si sostanziò unicamente nell’elaborazione di un “programma informatico” idoneo a consentire una più rapida e agevole assegnazione dei punteggi e sottopunteggi in relazione a tutti i titoli previsti dal bando e dalla legge; ciò sfociò nell’approvazione di una apposita tabella, nella quale ciascun punteggio come stabilito nella prima seduta era “scomposto” in relazione alle varie tipologie di titoli astrattamente ipotizzabili per ciascuna macrocategoria prevista dal bando (cfr. verbale nr. 7 dell’8 febbraio 1999).
Il carattere composito e onnicomprensivo di tale tabella, e al tempo stesso la modalità equilibrata di determinazione dei sottopunteggi, consentono ictu oculi di escludere che possa esservi stata qualsivoglia attività volta a favorire candidati in possesso di determinati titoli a scapito di altri..” (cfr. IV Sez. n. 3658 del 2016).
Sulla scorta delle considerazioni che precedono l’appello va perciò respinto con integrale conferma della sentenza gravata.
Le spese del grado seguono la soccombenza e sono liquidate forfettariamente in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
CondAn. Le. Anna al pagamento in favore dell’Amministrazione di euro 2000,00 (duemila) oltre spese generali IVA e CPA per le spese del grado.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 luglio 2018 con l’intervento dei magistrati:
Antonino Anastasi – Presidente, Estensore
Fabio Taormina – Consigliere
Oberdan Forlenza – Consigliere
Carlo Schilardi – Consigliere
Nicola D’Angelo – Consigliere

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