In caso di morte del soggetto che ha proceduto alla denuncia del possesso di un’arma alla competente autorita’

Corte di Cassazione, sezione prima penale, Sentenza 24 settembre 2018, n. 41118.

La massima estrapolata:

In caso di morte del soggetto che ha proceduto alla denuncia del possesso di un’arma alla competente autorita’, incombe alla persona, cui, a qualsiasi titolo, perviene in disponibilita’ la stessa arma, l’obbligo di ripetere eguale denuncia, in quanto il Regio Decreto n. 773 del 1931, articolo 38 mira ad assicurare la possibilita’ di controllo di tutte le armi esistenti nel territorio nazionale da parte dell’autorita’ di pubblica sicurezza, attraverso la conoscenza di tutti coloro che le posseggono, anche a prescindere dai luoghi ove le stesse sono tenute.
In questa prospettiva, ai fini della sussistenza del delitto di detenzione abusiva di arma comune da sparo, sono irrilevanti il titolo dell’acquisto e le modalita’ attraverso cui si perviene al possesso dell’arma, poiche’ e’ in ogni caso necessario che il detentore, una volta acquisita la disponibilita’ di questa, ne faccia denuncia alla competente autorita’

Sentenza 24 settembre 2018, n. 41118

Data udienza 7 marzo 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOVIK Adet – Presidente

Dott. SIANI Vincen – Rel. Consigliere

Dott. CASA Filippo – Consigliere

Dott. DI GIURO Gaetano – Consigliere

Dott. CENTONZE Alessandro – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 27/04/2017 della CORTE APPELLO di CAGLIARI;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Siani Vincenzo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. Viola Alfredo Pompeo che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa dalla Corte di appello di Cagliari il 27 aprile – 25 maggio 2017 e’ stata confermata la condanna di (OMISSIS) alla pena di mesi sei, giorni quindici di reclusione ed Euro 1.700,00 di multa a lui inflitta dal Tribunale di Cagliari con sentenza del 25 novembre – 17 dicembre 2015.
1.1. (OMISSIS) era stato imputato:
– del reato di cui alla L. n. 497 del 1974, articoli 10 e 14 (modificativi rispettivamente della L. n. 895 del 1967, articoli 2 e 7), per avere detenuto illegalmente i due fucili da caccia marca Breda e Gamba Gardone descritti nell’imputazione (capo A);
– del reato riferito alla leL.gge n. 110 del 1975, art 20-bis per avere omesso di assicurare la custodia delle armi suddette con ogni diligenza nell’interesse della sicurezza pubblica (capo B);
– fatti accertati in (OMISSIS).
La condanna ha comportato l’irrogazione della suindicata pena, previo riconoscimento della circostanza attenuante della lieve entita’ del fatto di cui alla L. n. 895 del 1967, articolo 5 e dopo aver ritenuto i reati avvinti dal vincolo della continuazione.
1.2. La vicenda riguarda il fatto verificatosi il (OMISSIS) quando i Carabinieri di (OMISSIS) avevano accertato presso l’abitazione di (OMISSIS) nel corso di una perquisizione estesa alla residenza di (OMISSIS), figlio del primo, la sussistenza dei due fucili da caccia sopra indicati, situati all’interno di un armadio utilizzato per la camera da letto in uso a (OMISSIS), figlio dell’imputato. I successivi accertamenti hanno consentito di stabilire che la denuncia di detenzione delle due armi era stata fatta presso il suddetto Comando dei Carabinieri di (OMISSIS) in data (OMISSIS) e (OMISSIS) da (OMISSIS), padre di (OMISSIS), poi deceduto il (OMISSIS). Dopo di che’ non era stata presentata alcuna altra denuncia.
Questo punto e’ stato ritenuto determinante da entrambe le sentenze di merito onde pervenire all’accertamento della penale responsabilita’ di (OMISSIS), erede dell’ultimo proprietario delle armi che le aveva regolarmente denunciate.
Con riferimento, poi, al reato di omessa diligente custodia delle armi i giudici di appello hanno, in via pregiudiziale, constatato che nessuna censura specifica era stata proposta dall’appellante sicche’ anche per tale parte non poteva che confermarsi la sentenza di primo grado.
2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore dell’imputato chiedendone l’annullamento e affidando l’impugnazione a due motivi.
2.1. Con il primo motivo si lamenta violazione di legge con particolare riferimento alle erronea applicazione della L. n. 497 del 1974, articoli 10 e 14.
Anche i giudici di secondo grado avevano errato nel basarsi sul presunto status di erede dell’imputato, mentre avrebbero dovuto privilegiare il rapporto fattuale con le armi: avrebbe dovuto, infatti, considerarsi dirimente la circostanza che i fucili erano stati trovati nell’armadio della camera da letto del figlio (OMISSIS), allocata all’interno della casa del nonno deceduto con il quale conviveva. Di conseguenza, il rapporto di fatto avrebbe dovuto essere attribuito unicamente a (OMISSIS), tanto piu’ che la perquisizione domiciliare era stata eseguita nei suoi confronti, senza che la presenza di (OMISSIS) all’atto della perquisizione potesse mutare la destinazione dell’atto di polizia giudiziaria.
In tal senso i giudici di merito avevano erroneamente interpretato la giurisprudenza di legittimita’ che si riferiva, in caso di morte del soggetto denunciante il possesso dell’arma, all’obbligo di reiterazione della denuncia da parte della persona che a qualsiasi titolo fosse pervenuto nella disponibilita’ dell’arma stessa: nel caso di specie, (OMISSIS) (non (OMISSIS)), che deteneva le armi in un armadio di cui aveva l’uso esclusivo.
2.2. Con il secondo motivo e’ lamentata manifesta illogicita’ e mancanza della motivazione in ordine al reato di omessa custodia delle armi.
La censura era diretta conseguenza di quella relativa al primo reato: la Corte territoriale aveva ritenuto non proposta alcuna doglianza inerente al reato contravvenzionale, ma la criticat insita nella contestazione dell’obbligo di denunciare i fucili per mancanza della loro disponibilita’ materiale; sicche’ dall’inesistenza per lui di tale obbligo avrebbe dovuto scaturire la non riferibilita’ a (OMISSIS) della relativa violazione.
3. Il Procuratore generale ha prospettato il rigetto del ricorso, con l’emissione delle statuizioni consequenziali, in dipendenza della sostanziale infondatezza dei motivi addotti con l’impugnazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ inammissibile stanti la manifesta infondatezza del primo motivo e la logicamente conseguente, in via speculare, manifesta infondatezza del secondo motivo.
2. Quanto alla prima doglianza, giova specificare che i giudici di merito hanno ritenuto sostanzialmente unica l’abitazione in cui risiedevano sia l’imputato (OMISSIS), diretto erede del proprietario dei fucili gia’ denunciati, sia anche (OMISSIS) (e dove del resto aveva vissuto (OMISSIS) fino alla sua morte), all’interno dell’armadio collocato nella camera da letto del quale erano state reperite le armi: armadio non chiuso a chiave, ne’ sottoposto ad alcuna cautela per evitarne l’apertura.
Al riguardo si e’ fatto anche notare nella prima decisione di merito che la perquisizione, alle ore 7:15 della suddetta data, aveva trovato presenti nell’immobile tanto (OMISSIS) quanto (OMISSIS).
La Corte territoriale, su questo punto, ha condiviso l’orientamento espresso dalla sentenza di primo grado ritenendo responsabile della detenzione illegale delle armi – seguita, per notevole tempo, alla morte di (OMISSIS) l’imputato (OMISSIS), dovendo ritenersi che a lui appartenessero le armi che ne aveva ereditato la disponibilita’ dal padre: egli era, quindi, tenuto a effettuare la nuova denuncia e non l’aveva fatta, a nulla valendo l’eventuale ignoranza della legge penale.
Il ragionamento svolto nella sentenza impugnata appare fondato su un corretto principio di diritto e adeguatamente motivato, quanto all’incensurabile accertamento di fatto sotteso alle conclusioni raggiunte.
Si e’ gia’ chiarito e va qui ribadito che, in caso di morte del soggetto che ha proceduto alla denuncia del possesso di un’arma alla competente autorita’, incombe alla persona, cui, a qualsiasi titolo, perviene in disponibilita’ la stessa arma, l’obbligo di ripetere eguale denuncia, in quanto il Regio Decreto n. 773 del 1931, articolo 38 mira ad assicurare la possibilita’ di controllo di tutte le armi esistenti nel territorio nazionale da parte dell’autorita’ di pubblica sicurezza, attraverso la conoscenza di tutti coloro che le posseggono, anche a prescindere dai luoghi ove le stesse sono tenute (Sez. 1, n. 22563 del 19/01/2015, Perfetto, Rv. 263776; Sez. 1, n. 7906 del 12/06/2012, dep. 2013, Omacini, Rv. 255193).
In questa prospettiva, ai fini della sussistenza del delitto di detenzione abusiva di arma comune da sparo, sono irrilevanti il titolo dell’acquisto e le modalita’ attraverso cui si perviene al possesso dell’arma, poiche’ e’ in ogni caso necessario che il detentore, una volta acquisita la disponibilita’ di questa, ne faccia denuncia alla competente autorita’ (Sez. 1, n. 20896 del 28/04/2015, Ardolino, Rv. 263607, in fattispecie in cui e’ stata ritenuta corretta la condanna per detenzione abusiva di un fucile posto nella rastrelliera dell’immobile ereditato dagli imputati alla morte del genitore, il quale, a sua volta, aveva ricevuto l’arma da altro parente, ancora in vita al momento del controllo, che ne aveva fatto l’originaria denuncia).
Certo, rilevando in modo determinante la concreta apprensione dell’arma, ai fini della configurabilita’ del reato previsto dalla L. n. 895 del 1967, articoli 2 e 7, ossia della detenzione illegale di arma comune da sparo, non e’ sufficiente la qualita’ di erede, o tanto meno quella di coerede, del compendio patrimoniale di cui fa parte l’arma oggetto della contestazione, proprio perche’ la norma postula l’effettiva detenzione di essa. Pertanto, nell’ipotesi in cui sia stata accertata la presenza di un’arma oggetto di successione ereditaria in un’abitazione nella quale risiedono piu’ coeredi, per l’accertamento relativo alla individuazione della persona che in concreto la detiene e’ rilevante anzitutto la verifica della consapevolezza in capo al soggetto dell’esistenza dell’arma stessa e del luogo in cui essa si trova.
Eppero’, nel caso in esame, i giudici di merito, hanno, con congrua e coerente motivazione, dato atto che l’unita’ dell’abitazione in cui sono stati trovati i fucili, era oggetto della detenzione di (OMISSIS), padre di (OMISSIS), il quale aveva, dunque, nella sua disponibilita’ i beni presenti in essa, ivi compresi i fucili: del tutto consentaneo a tale inquadramento e’ stato il rilievo della presenza dell’imputato anche all’atto della perquisizione domiciliare.
In definitiva, la sentenza impugnata ha fatto leva su indici fattuali sufficienti e univoci, tali da giustificare l’individuazione del rapporto di fatto con le armi in capo a (OMISSIS); cio’, al di la’ di ogni considerazione – qui non direttamente rilevante – circa la sussistenza o meno degli elementi per configurare l’eventuale concorso di (OMISSIS) nella detenzione illecita.
A fronte di tale accertamento, adeguatamente motivato, la censura analizzata si rivela manifestamente priva di fondamento.
3. Per quanto concerne il secondo motivo, va preso atto che, a fronte del preciso rilievo della Corte territoriale, secondo cui in merito al reato di omessa diligente custodia delle armi nessuna censura specifica era stata proposta dall’appellante, sicche’ non poteva che confermarsi la sentenza di primo grado, il ricorrente, con l’impugnazione, ha dedotto che la doglianza mossa su questo versante doveva intendersi di ordine strettamente consequenziale, nel senso che essa era immanente alla contestazione dell’obbligo di denunciare i fucili per mancanza della loro disponibilita’ materiale, con l’effetto che, ove fosse stata ritenuta l’inesistenza per lui di tale obbligo, non avrebbe potuto non escludersi lo stesso obbligo di custodia delle armi in capo a lui e, quindi, la relativa violazione da parte sua.
Eppero’, tale essendo il contenuto della doglianza, deve necessariamente ritenersi la medesima ictu oculi devitalizzata dal fatto che il presupposto della carenza di titolarita’ detentiva e, dunque, dell’insussistenza dell’obbligo di denuncia della armi e, con esso, del conseguente obbligo di custodia delle stesse sia risultato globalmente smentito dallo scrutinio del precedente motivo.
In altri termini, assodata la titolarita’ in capo a (OMISSIS) della detenzione delle armi, non poteva e non puo’ non ritenersi acclarato in capo a lui anche l’obbligo di adottare tutte le misure necessarie per custodire adeguatamente le stesse, anche al fine qualificato oggetto di contestazione, senza che sia stata devoluta alcuna censura sull’avvenuta integrazione della norma fondante l’obbligo stesso.
Sicche’ anche il motivo inerente al reato contravvenzionale deve considerarsi ineludibilmente e immediatamente privo di fondamento.
4. Corollario delle considerazioni svolte e’ la declaratoria di inammissibilita’ del mezzo che determina, ex articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e – per i profili di colpa correlati all’irritualita’ dell’impugnazione (Corte cost., sent. n. 186 del 2000) – di una somma alla Cassa delle ammende in misura che, per il contenuto dei motivi dedotti, si fissa equamente in Euro 2.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2000,00 in favore della Cassa delle ammende.

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