Consiglio di Stato, sezione terza, Sentenza 3 agosto 2018, n. 4808.
La massima estrapolata
In materia di immigrazione, la proposizione del ricorso del richiedente asilo avverso il provvedimento di diniego della protezione internazionale sospende l’efficacia esecutiva di tale provvedimento; ove la sospensione del provvedimento impugnato, di rigetto della richiesta di asilo, non sia disposta con provvedimento giudiziale, ma sia direttamente prevista dalla legge, art. 19, comma 4, D.Lgs. n. 150/2011, come modificato dall’art. 27, comma 1, lett. c), D.Lgs. n. 142/2015, che non stabilisce quando cessi, deve concludersi nel senso di ritenerne la cessazione alla fine dell’intero giudizio, e quindi col passaggio in giudicato.
Sentenza 3 agosto 2018, n. 4808
Data udienza 26 luglio 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7790 del 2017, proposto da Lucky Pullen, rappresentato e difeso dagli avvocati Si. Gi., Ro. Or., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’Avv. Si. Gi. in Roma, via (…);
contro
Ministero dell’Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici, in Roma, via (…), è ope legis domiciliato;
per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. Lombardia, sezione staccata di Brescia, n. 1238/2017, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 luglio 2018 il Cons. Umberto Maiello e uditi per le parti gli avvocati Ra. Ch. su delega dichiarata di Ro. Or. e l’Avvocato dello Stato Al. Gi.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
L’appellante ha impugnato dinanzi al TAR per la Lombardia, Sez. di Brescia, il provvedimento della Prefettura di Bergamo che disponeva la cessazione delle misure di accoglienza, in precedenza concesse, nelle more della definizione della procedura per ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato.
La richiesta in tal senso avanzata dal ricorrente era stata, invero, respinta, dapprima, dalla Commissione Territoriale e quindi dal Tribunale Ordinario di Brescia e, per tale ragione, la Prefettura aveva assunto l’impugnato provvedimento.
Il giudice di prime cure, con la decisione qui appellata, pur aderendo alla tesi secondo cui, in pendenza di appello, debbono essere assicurate la tutela e l’assistenza dello straniero presso i centri di accoglienza nelle more della definizione del giudizio, rilevava che il provvedimento di revoca era stato assunto in data 11.7.2017, prima che il ricorrente presentasse ricorso in appello avverso la suddetta decisione del Tribunale (l’atto d’appello recava, invero, la data del 19.7.2017). Soggiungeva, dunque, che il ricorso non poteva trovare accoglimento, dovendo eventualmente l’Amministrazione rivalutare la situazione a fronte della comunicazione dell’interposto appello da parte dell’interessato.
Con il medesimo decisum il TAR Brescia affermava, altresì, che l’istanza di gratuito patrocinio non poteva trovare accoglimento stante l’infondatezza del ricorso e dovendosi evidenziare, in ogni caso, l’incompletezza della domanda medesima, alla quale non era stato allegato il certificato dell’Ambasciata o del Consolato relativo alla mancanza di reddito nel proprio paese di origine ma solo la richiesta inoltrata via e-mail di tale certificato, senza però produrre la specifica dichiarazione sostituiva dell’atto di notorietà relativamente ai suddetti redditi prodotti all’estero.
Avverso la detta sentenza con il mezzo in epigrafe l’appellante ha impugnato anzitutto il capo della decisione relativo alla domanda principale, all’uopo articolando i seguenti motivi di gravame:
1) assume l’appellante che, formalizzato in data 19.07.2017 il ricorso d’appello, il provvedimento della Prefettura avrebbe dovuto essere dichiarato decaduto e, dunque, inefficace poichè in siffatta evenienza diventerebbe operativa la sospensiva ex lege. Né la Prefettura avrebbe, di sua iniziativa, revocato il provvedimento di cessazione delle misure di accoglienza;
2) il giudice di prime cure non si sarebbe, altresì, avveduto del fatto che la revoca della Prefettura, atto ricettizio, sarebbe stata notificata all’appellante dopo la proposizione dell’impugnazione avanti la Corte d’Appello, quando cioè già operava il divisato effetto sospensivo;
3) affermando che la cognizione delle doglianze attoree fosse rimessa all’Amministrazione, chiamata a rivalutare la situazione, il giudice di primo grado avrebbe denegato la richiesta di giustizia, abdicando al suo ruolo;
Risulta, altresì, attratto nel fuoco della contestazione il capo della decisione relativo alla mancata ammissione, in primo grado, del sig. Pu. Lu. al gratuito patrocinio, avendo a tali fini l’appellante articolato i seguenti motivi di gravame:
1) sarebbe nulla la decisione di primo grado essendosi l’apposita Commissione pronunciata dopo l’emanazione della sentenza;
2) le circostanze poste a fondamento dell’opposto diniego non avrebbero rilievo nell’economia della disciplina di settore, atteso che, da un lato, non sussisterebbe il presupposto della “manifesta infondatezza”, peraltro accertabile solo ex ante, e, dall’altro, che l’accertamento delle condizioni reddituali dell’istante, ai sensi dell’art. 127 DPR 115/2002, non competerebbe al Giudice ma all’Agenzia delle Entrate;
3) il giudice di prime cure non avrebbe rilevato la completezza della documentazione depositata a sostegno dell’istanza di gratuito patrocinio.
Con ordinanza n. 5182 del 30/11/17 questa Sezione, in accoglimento dell’appello cautelare, ha sospeso gli effetti della sentenza appellata.
L’Amministrazione si è costituita in giudizio con memoria di mero stile.
Con decreto n. 36/2017, relativamente al procedimento di appello, l’appellante è stato ammesso, in via anticipata e provvisoria, al patrocinio gratuito a spese dello Stato.
L’appello è fondato.
Com’è noto, il d.lgs. 18 agosto 2015, n. 142, in attuazione delle direttive 2013/33/UE e 2013/32/UE, reca, tra l’altro, la disciplina in tema di accoglienza dei cittadini di Paesi extracomunitari e degli apolidi richiedenti protezione internazionale in Italia.
L’operatività di siffatte misure è strettamente connessa alla pendenza del procedimento per il riconoscimento della protezione internazionale all’interessato e, nei casi di contestazione, al processo promosso dall’interessato avverso il diniego di riconoscimento, che si svolge innanzi al Giudice Ordinario.
Quanto a tale ultimo profilo, referente normativo in materia, è l’art. 14, comma 4, del d.lgs. n. 142/2015 che, nella versione applicabile ratione temporis (prima cioè dell’entrata in vigore delle modifiche apportate dal D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 13 aprile 2017, n. 46) prevedeva che “Le misure di accoglienza sono assicurate per la durata del procedimento di esame della domanda da parte della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di cui all’articolo 4 del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, e successive modificazioni, e, in caso di rigetto, fino alla scadenza del termine per l’impugnazione della decisione. Salvo quanto previsto dall’articolo 6, comma 7, in caso di ricorso giurisdizionale proposto ai sensi dell’articolo 35 del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, e successive modificazioni, il ricorrente, privo di mezzi sufficienti ai sensi del comma 1, usufruisce delle misure di accoglienza di cui al presente decreto per il tempo in cui è autorizzato a rimanere nel territorio nazionale ai sensi dell’articolo 19, commi 4 e 5, del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150. Nei casi di cui all’articolo 19, comma 5, del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150, fino alla decisione sull’istanza di sospensione, il ricorrente rimane nella struttura o nel centro in cui si trova”.
Da parte sua, l’articolo 19 suddetto prevedeva che:
“4. La proposizione del ricorso sospende l’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato, tranne che nelle ipotesi in cui il ricorso viene proposto:
a) da parte di un soggetto nei cui confronti è stato adottato un provvedimento di trattenimento in un centro di cui all’articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286;
b) avverso il provvedimento che dichiara inammissibile la domanda di riconoscimento della protezione internazionale;
c) avverso il provvedimento di rigetto per manifesta infondatezza ai sensi dell’articolo 32, comma 1, lettera b-bis), del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, e successive modificazioni;
d) avverso il provvedimento adottato nei confronti dei soggetti di cui all’articolo 28-bis, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, e successive modificazioni.
5. Nei casi previsti dal comma 4, lettere a), b), c) e d), l’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato può essere sospesa secondo quanto previsto dall’articolo 5. L’ordinanza di cui all’articolo 5, comma 1, è adottata entro 5 giorni dalla presentazione dell’istanza di sospensione. Nei casi di cui alle lettere b), c) e d), del comma 4, quando l’istanza di sospensione è accolta, al ricorrente è rilasciato un permesso di soggiorno per richiesta asilo”.
Ad una piana lettura delle richiamate disposizioni emerge, dunque, che, al di fuori dei casi in cui il ricorrente si trovi nelle situazioni descritte dalle lettere da a) a d) (per le quali la sospensione presuppone un provvedimento giudiziario), la proposizione del gravame avverso la decisione negativa sulla domanda di riconoscimento della protezione internazionale, senza distinzione tra primo e secondo grado, determina, ope legis, la sospensione del diniego impugnato.
E’ pur vero che, nel corpo normativo come sopra ricostruito, non risulta espressamente disciplinato il caso della pendenza di un giudizio di impugnazione avverso la decisione di prime cure, ciò nondimeno la declinazione applicativa delle richiamate disposizioni fatta propria dalla giurisprudenza di settore porta a considerare come l’effetto di quiescenza debba ritenersi esteso anche ai successi gradi di giudizio.
Ha, invero, evidenziato, di recente la Suprema Corte, che, in materia di immigrazione, la proposizione del ricorso del richiedente asilo avverso il provvedimento di diniego della protezione internazionale sospende l’efficacia esecutiva di tale provvedimento; ove, come nella specie, la sospensione del provvedimento impugnato, di rigetto della richiesta di asilo, non sia disposta con provvedimento giudiziale, ma sia direttamente prevista dalla legge (art. 19,comma 4, d.lgs. 150/2011, come modificato dall’art. 27, comma 1, lett.c) del d.lgs. 142/2015), che non stabilisce quando cessi, deve concludersi nel senso di ritenerne la cessazione alla fine dell’intero giudizio, e quindi col passaggio in giudicato (cfr. Cassazione civile, sez. I, 21/05/2018, n. 12476).
E del resto ha, altresì, evidenziato la Corte nella distinta pronuncia n. 18737 del 2017 “se la sospensione non si protraesse anche in grado d’appello e di cassazione, non avrebbe molto senso la previsione di termini entro cui definire il giudizio stesso sia in appello che in cassazione”.
In applicazione dei richiamati postulati – riferibili alla disciplina operante prima dell’entrata in vigore delle modifiche apportate dal D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 13 aprile 2017, n. 46 – le doglianze veicolate con l’appello qui in rilievo devono ritenersi fondate vieppiù in considerazione del fatto che, alla data di notifica del provvedimento di revoca, intervenuta il 20.7.2017, risultava già proposta l’impugnazione innanzi alla competente Corte d’Appello del provvedimento negativo emesso in prime cure.
Alle medesime conclusioni deve pervenirsi quanto all’impugnativa spiegata avverso il capo della decisione appellata che ha statuito, con esito negativo, sull’istanza di ammissione al patrocinio a favore dello Stato in relazione al procedimento di primo grado.
Sul punto, occorre, anzitutto, osservare, sotto il profilo procedimentale, che l’istanza de qua, per effetto delle regole speciali per il processo amministrativo, introdotte dall’art. 1, comma 1308, l. 27.12.2006 n. 296 e ora trasfuse nell’art. 14 delle norme di attuazione al codice del processo amministrativo, va presentata ad apposite Commissioni che adottano provvedimenti con valenza anticipata e provvisoria, spettando la decisione definitiva al collegio in sede di decisione del ricorso (in tal senso cfr. anche art. 126, comma 3, del citato d.p.r. 115/2002).
E’ dunque in capo al giudice che procede che si radica, in via definitiva, la competenza a deliberare sulle istanze de quibus, di talchè nei casi, come quello di specie, in cui il procedimento giunge alla fase della decisione prima che l’apposita Commissione abbia avuto modo di pronunciarsi, la competenza in subiecta materia non può che essere esercitata direttamente dal giudice procedente. E tanto è quanto correttamente avvenuto nel caso qui in rilievo, avendo correttamente, da un lato, l’apposita Commissione dichiarato in non luogo a provvedere sull’istanza siccome il ricorso era stato già trattenuto in decisione e, dall’altro, provveduto sull’istanza in argomento il giudice del merito.
Quanto al merito, mette conto evidenziare che l’articolo 79 del d.p.r. 115/2002 espressamente prevede che, per i redditi prodotti all’estero, il cittadino di Stati non appartenenti all’Unione europea correda l’istanza con una certificazione dell’autorità consolare competente, che attesta la veridicità di quanto in essa indicato.
Vale inoltre soggiungere che, a differenza di quanto prescritto per la dimostrazione della sussistenza delle condizioni di reddito, rispetto alle quali la disposizione in argomento reputa sufficiente l’allegazione di una dichiarazione sostitutiva di certificazione (cfr. art. 79 comma 1 lett. c), nel caso di redditi prodotti all’estero il legislatore esige, in via ordinaria, la produzione della detta certificazione consolare (art. 79 comma 2).
Tale documentazione, a mente dell’articolo 94 del medesimo testo normativo, può essere sostituita da un’autocertificazione solo in caso di impossibilità a produrre la documentazione richiesta.
Ne discende che, in via di principio, siffatto certificato non è surrogabile con nessun atto di parte, con l’unica mitigazione ammessa dall’art. 94, comma 2, del d.P.R. n. 115/2002 che ne consente la sostituzione, a pena di inammissibilità, con una dichiarazione sostitutiva di certificazione nel caso di impossibilità a produrre la documentazione in argomento.
Nello specifico caso qui in rilievo occorre però tener conto dello speciale procedimento in cui si innesta l’istanza di patrocinio gratuito e, tal riguardo, non può dubitarsi dell’applicabilità del disposto di cui all’art. 16, comma 2, del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25 (Attuazione della direttiva 2005/85/CE recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato) il quale dispone che nel caso di impugnazione delle decisioni sullo status di rifugiato in sede giurisdizionale, il cittadino straniero è assistito da un avvocato ed è ammesso al gratuito patrocinio ove ricorrano le condizioni previste dal decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 e che, in ogni caso per l’attestazione dei redditi prodotti all’estero si applica l’articolo 94 che, come visto, consente la sostituzione con una dichiarazione sostitutiva di certificazione.
Nel caso qui in rilievo il soggetto istante ha autocertificato – anche se con formula generica e riepilogativa – di non aver prodotto reddito e non avere la titolarità di immobili di talchè il giudice di prime cure, considerata nel complesso la documentazione prodotta, avrebbe, al più, potuto chiedere chiarimenti ovvero specificazioni delle dichiarazioni rese quanto alle condizioni di reddito nello Stato di provenienza, dovendo altrimenti reputarsi sufficiente quanto già dichiarato.
Deve, dunque, ritenersi sufficiente la dichiarazione sostitutiva all’uopo prodotta circa l’inesistenza di tali crediti.
Del pari, nemmeno può ritenersi sussistente l’ulteriore ragione ostativa su cui poggia l’avversata decisione di diniego e che impinge nella rilevata infondatezza del ricorso laddove, alla stregua della disciplina di settore, ciò che rileva è che le ragioni di doglianza confluite nella domanda “risultino non manifestamente infondate” (cfr. articolo 74 del d.p.r. 115/2002), evenienza questa non affermata nella decisione di prime cure.
In considerazione di quanto fin qui esposto l’appello, anche in parte qua, va accolto e, per l’effetto, va disposta l’ammissione dell’odierno appellante al patrocinio a spese dello Stato, per entrambi i gradi di giudizio, dovendosi qui confermare, quanto al secondo grado di giudizio, il decreto n. 36/2017 già emesso dall’apposita Commissione.
Quanto al governo delle spese di giudizio il Collegio, avuto riguardo alla peculiarità della fattispecie in commento, ritiene che sussistano giusti motivi per disporne la compensazione.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, così provvede:
– lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della decisione di primo grado:
a) ammette l’appellante al patrocinio a spese dello Stato, per entrambi i gradi di giudizio, confermando, quanto al secondo grado di giudizio, il decreto n. 36/2017;
b) annulla l’atto impugnato in prime cure.
c) spese dei due gradi di giudizio compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 luglio 2018 con l’intervento dei magistrati:
Franco Frattini – Presidente
Umberto Realfonzo – Consigliere
Pierfrancesco Ungari – Consigliere
Stefania Santoleri – Consigliere
Umberto Maiello – Consigliere, Estensore
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