Corte di Cassazione, Sezione sesta penale, Sentenza 6 luglio 2018, n. 30733.
La massima estrapolata:
Ai fini del riconoscimento del vizio totale o parziale di mente, rilevano solo i «disturbi della personalità» che siano di consistenza, intensità e gravità tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere o di volere, escludendola o scemandola grandemente, e a condizione – inoltre – che sussista un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa, per effetto del quale il fatto di reato sia ritenuto causalmente determinato dal disturbo mentale. Ne consegue che nessun rilievo, ai fini dell’imputabilità, deve essere dato alle anomalie caratteriali o alterazioni e disarmonie della personalità che non presentino i caratteri sopra indicati, nonché agli stati emotivi e passionali, salvo che questi ultimi non si inseriscano, eccezionalmente, in un quadro più ampio di “infermità”
Sentenza 6 luglio 2018, n. 30733
Data udienza 27 aprile 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETRUZZELLIS Anna – Presidente
Dott. GIANESINI Maurizio – Consigliere
Dott. TRONCI Andrea – Consigliere
Dott. COSTANZO Angelo – rel. Consigliere
Dott. COSTNATINI Antonio – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 03/02/2015 della CORTE APPELLO di ANCONA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ANGELO COSTANZO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. MOLINO Pietro, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza n. 364/2015, la Corte di appello di Ancona ha confermato la condanna inflitta dal Tribunale di Pesaro a (OMISSIS) ex articolo 385 c.p., per essersi allontanato per oltre 45 minuti dalla abitazione nella quale stava agli arresti domiciliari.
2. Nel ricorso di (OMISSIS) si chiede l’annullamento della sentenza deducendo: a) illogicita’ della motivazione per avere trascurato il vizio di mente dell’imputato – affetto da disturbo antisociale della personalita’ – al momento della commissione del fatto; b) mancanza di motivazione dell’esclusione dello stato di necessita’, essendosi il ricorrente allontanato dall’abitazione a causa di una crisi di panico che lo indusse a uscire per respirare all’aria aperta. A conclusione del ricorso, si assume che ricorrono i presupposti per applicare l’articolo 131 bis c.p..
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso (nel quale non si precisa se i motivi dedotti concernono violazioni di legge o vizi della motivazione) e’ manifestamente infondato.
1. Quanto al primo motivo, la Corte di appello ha rilevato che dalle relazioni mediche emerge che al momento del fatto (OMISSIS) era affetto da un “disturbo antisociale di personalita’” e da un “disturbo correlato all’uso di sostanze” e, valutati anche gli altri dati (comportamento dell’imputato e sue dichiarazioni) ha correttamente escluso una situazione riconducibile a una incapacita’ di intendere e di volere. Infatti, secondo ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte, per il riconoscimento del vizio di mente (totale o parziale) rilevano solo i “disturbi della personalita’” che siano di consistenza, intensita’ e gravita’ tali da incidere concretamente sulla capacita’ di intendere o di volere, escludendola o riducendola grandemente, a condizione – inoltre – che sussista un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa, per effetto del quale il fatto di reato sia ritenuto causalmente determinato dal disturbo mentale. Ne deriva che non rilevano anomalie caratteriali o alterazioni e disarmonie della personalita’ che non presentino i caratteri sopra indicati, nonche’ gli stati emotivi e passionali, tranne che non si inseriscano, eccezionalmente, in un quadro piu’ ampio di “infermita’” (ex multis: Sez. U, n. 9163 del 25/01/2005, Rv. 230317; Sez. 1, n. 52951 del 25/06/2014, Rv. 261339; Sez. 3, n. 1161 del 20/11/2013, dep. 2014, Rv. 257923). Ne’, oltretutto, nel ricorso si argomenta circa la, pur necessaria, correlazione causale fra il disturbo e la condotta tenuta dall’imputato.
1.2. Quanto al secondo motivo di ricorso, le deduzioni sviluppate risultano aspecifiche perche’ non si confrontano con le argomentazioni espresse nella sentenza impugnata, nella quale si osserva che l’eventuale attacco di panico e la necessita’ di calmarsi (dopo una lite con la madre e la figlia) non giustificavano la condotta di (OMISSIS) perche’ egli avrebbe potuto chiamare un medico, spostarsi in altra zona della casa o, comunque, allontanarsi per un tempo piu’ breve di quello (45 minuti) durante il quale resto’ fuori dalla abitazione.
1.3. Quanto alla chiesta applicazione dell’articolo 131 bis c.p., va rilevato che la sentenza impugnata e’ stata emessa prima della vigenza della norma. Poiche’ ha natura sostanziale, l’istituto della esclusione della punibilita’ per particolare tenuita’ del fatto puo’ applicarsi ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 28 del 2015, compresi quelli pendenti davanti alla Corte di cassazione, che puo’ valutare di ufficio ex articolo 609 c.p.p., comma 2, l’applicabilita’ della norma, ma limitandosi – per la natura del giudizio di legittimita’ – a vagliare la non incompatibilita’ della fattispecie concreta, risultante dalla sentenza impugnata e dagli atti processuali, con i requisiti e i criteri indicati dal predetto articolo 131 bis (Sez. 2, n. 41742 del 30/09/2015, Rv. 264596; Sez. 3, n. 15449 del 8/04/2015 2015 Rv. 263308; Sez. 4, n. 1474 del 22/04/2015 Rv. 263693). Tuttavia, nel caso in esame il ricorrente presenta reiterati precedenti penali (per reatiDecreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, ex articolo 73, articoli 337, 582 e 585 c.p., oltre che per guide in stato di ebbrezza) e questo osta – in base all’ultima porzione dell’articolo 131 bis c.p., comma 1, – al riconoscimento della particolare tenuita’ del fatto, perche’ denota una devianza “non occasionale (Sez. 2, n. 1 del 15/11/2016, dep. 2017, Rv. 268970; Sez. 3, n. 43816 del 01/07/2015, Rv. 265084; Sez. 3, n. 29897 del 28/05/2015, Rv. 264034).
2. Dalla dichiarazione di inammissibilita’ del ricorso deriva, ex articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche’ al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma che risulta congruo determinare in Euro 2000.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende.
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