La massima
Integrano il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale la sottrazione o la dissipazione del bene oggetto di contratto di leasing, in quanto comportano un pregiudizio per la massa fallimentare che viene privata del valore del medesimo bene e, allo stesso tempo, è gravata da un ulteriore onere economico scaturente dall’inadempimento dell’obbligo di restituzione alla società locatrice.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
sezione V PENALE
SENTENZA 25 giugno 2012, n.25137
Ritenuto in fatto
Con sentenza in data 25-11-2008 la Corte di Appello di Lecce – Sez.Dist. di Taranto – confermava la sentenza emessa dal Tribunale di Taranto, in data 29.4.2005, appellata da G.N. , ritenuto responsabile del delitto di cui all’art. 216 L.F., nonché del reato ex art. 223 L.F. – (perché, quale ‘amministratore’ e legale rappresentante della soc. Coop. a.r.l. ‘Central Service’ distraeva un’attrezzatura da cucina concessa in uso dalla s.p.a. ‘Veneta factoring’ e la somma di Euro 392.889,93) -, condannato alla pena di anni due di reclusione per il delitto di bancarotta e alla pena di mesi quattro di reclusione in riferimento al reato di cui all’art. 220 L.F. in relazione all’art. 16 n. 3 stesso decreto, perché nella qualità anzidetta non depositava il bilancio e le altre scritture contabili entro le ventiquattro ore dalla notifica della sentenza dichiarativa di fallimento (acc. in (OMISSIS) ) con applicazione delle pene accessorie di legge.
Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore dell’imputato. Il ricorrente deduceva con il primo motivo:
1- la inosservanza o erronea applicazione della legge penale, ai sensi dell’art. 606, lettera b) CPP. – in riferimento alla fattispecie di cui all’art. 216 L.F. e all’art. 223 stessa legge.
Al riguardo evidenziava la violazione delle disposizioni enunciate dagli artt. 2555 – 2558 – 2560 – 2424 del Codice Civile, e del combinato disposto degli artt. 79 – 216, comma 1, e 223 R.D. n. 267 del 1942, per avere il Giudice di merito affermato la responsabilità dell’imputato in relazione alla distrazione del patrimonio della società Cooperativa Central Service a.r.l. – per importo di Euro 392.889,93. Evidenziava, in particolare che i beni oggetto di distrazione rientravano nella consistenza patrimoniale della società cooperativa, e che – come previsto dall’art. 2424 C.Civ. detti beni erano comprensivi degli impianti e macchinari, oltre le attrezzature industriali e commerciali.
Nella specie, la difesa rilevava che la società di leasing Veneta Factoring S.p.a. conservava un cd. credito di restituzione e che secondo la dottrina in simili ipotesi deve essere esclusa la sussistenza del reato di bancarotta.
I predetti beni pertanto, secondo il ricorrente, dovevano ritenersi in possesso del fallito a titolo precario, secondo l’art. 79 L.F., e risultavano coinvolti dal fallimento, essendo i proprietari creditori non già del fallito, bensì del fallimento, onde l’obbligo di restituzione era da riferire alla figura del curatore.
Peraltro rilevava che era nella specie pacifico il rapporto contrattuale esistente tra la società cooperativa e la società Veneta factoring, che aveva concesso l’uso delle attrezzature da cucina.
Evidenziava altresì l’erronea applicazione della fattispecie prevista dall’art. 216 L.F. per avere la Corte territoriale ritenuto avvenuta una distrazione di beni, nell’ambito dell’attività del ramo di azienda che era stato ceduto alla Cooperativa Boccuni, essendo il cessionario tenuto all’adempimento dei debiti assunti dalla ditta cedente – ai sensi dell’art. 2560 C.Civ. a prescindere dall’accollo degli stessi al momento della cessione.
Per quanto riguardava la presunta distrazione dell’attrezzatura da cucina che era stata data in uso dalla Veneta Factoring, il difensore rilevava che secondo il contratto di leasing la società fallita era solo utilizzatrice del bene e non proprietaria, come già in precedenza esposto.
2- deduceva inoltre la mancanza e manifesta illogicità della motivazione, e il travisamento del fatto, ex art. 606 lettera e) CPP..
Asseriva al riguardo che la sentenza risultava frammentaria e frutto di inadeguata indagine conoscitiva, e rilevava come non si fosse resa adeguata motivazione circa l’esistenza – in capo all’imputato G. – dell’elemento psicologico del reato, sebbene si fosse dato atto della cessione dal predetto effettuata dell’attività aziendale. Peraltro il ricorrente censurava come illogica la motivazione, avendo omesso di dare conto della lamentata lesione del diritto di difesa, non essendo stata data la possibilità alla difesa di prendere visione della documentazione contabile esistente, fin dalla fase delle indagini preliminari, essendo tali atti rimasti, a disposizione del PM. e del consulente tecnico.
– D’altra parte il difensore rilevava che il giudizio relativo all’entità del passivo (lire 200.000.000), era basato sull’esito della consulenza d’ufficio, avendo la Corte fatto propria la valutazione del PM.
In tal senso veniva desunta la violazione di cui all’art. 606 comma 1 lettera e) CPP..
Lamentava anche illogicità per avere la Corte ritenuto di desumere dalla insinuazione al passivo fallimentare della società Veneta Factoring, e dalla assenza dell’attrezzatura da cucina l’avvenuta distrazione di tali beni.
3- Infine deduceva la mancata assunzione di prova decisiva, evidenziando che in appello erano state disattese le istanze di rinnovazione del dibattimento, avendo la difesa rilevato che la documentazione contabile era rimasta inaccessibile all’imputato e al suo difensore. In merito a tale censura la Corte non aveva fornito alcuna motivazione.
Per tali motivi concludeva chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata.
Osserva in diritto
Il ricorso deve ritenersi privo di fondamento.
In primo luogo va rilevata l’infondatezza delle censure riguardanti la violazione di legge inerenti alla ritenuta configurabilità, nella specie, della condotta tipica della fattispecie di cui all’art. 216 R.D. n. 267/1942.
A riguardo la sentenza appare adeguatamente motivata su tutte le questioni prospettate dalla difesa.
Ai fini della configurabilità del reato di bancarotta per distrazione, va evidenziato che come specificato nel testo del provvedimento impugnato, l’imputato aveva assunto la qualifica di Presidente del Consiglio di Amministrazione della società cooperativa a r.l. ‘Central Service’ (costituita in data 29.11.1990) dal 15 marzo del 1991 ed aveva mantenuto tale qualifica sino alla data della dichiarazione di fallimento … avvenuta con sentenza del Tribunale di Taranto in data 5.11.2001.
Pertanto resta priva di efficacia la tesi del ricorrente che ponendo l’accento sulla cessione di un ramo di azienda (quello della ristorazione) – nel 1998, con scrittura privata, e con atto notarile del 29.4.1999 – ad altro imprenditore (B. ) i debiti che erano maturati dovevano attribuirsi ad altri, restando il G. estraneo ad ogni condotta illecita.
Sul punto la sentenza rende adeguata e logica motivazione, facendo riferimento alla qualifica che l’imputato odierno ricorrente aveva mantenuto in capo al consiglio di amministrazione della s.r.l..
Non giova al ricorrente addurre il contratto di leasing avente ad oggetto l’attrezzatura da cucina, per traine la conclusione che i corrispondenti beni non siano usciti dal patrimonio della società poi fallita, per non esserle mai appartenuti. In materia vale richiamarsi al principio, già ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui ‘integrano il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale la sottrazione o la dissipazione del bene oggetto di contratto di leasing, in quanto comportano un pregiudizio per la massa fallimentare che viene privata del valore del medesimo bene e, allo stesso tempo, è gravata da un ulteriore onere economico scaturente dall’inadempimento dell’obbligo di restituzione alla società locatrice’ (così Sez. 5, n. 33380 del 18-07-2008, Bottamedi, RV 241397; v. anche Sez. 5, n. 10333 del 14-12-2000, Moglialanetti, RV.218681).
– Parimenti devono ritenersi destituite di fondamento le censure articolate in ordine alla pretesa illogicità della motivazione, ed al travisamento del fatto, in quanto il giudice di appello ha reso dettagliata motivazione, in armonia con le risultanze processuali, smentendo anche le doglianze difensive inerenti alla pretesa violazione del diritto di accedere alla documentazione contabile, e fornendo logica spiegazione della ascrivibilità dei fatti all’imputato.
Né appare carente la dimostrazione del dolo, avendo la motivazione fatto riferimento al ruolo che il G. aveva mantenuto nel Consiglio di amministrazione, del quale era presidente, onde deve ritenersi evidente la consapevolezza dell’imputato di assumere la responsabilità di condotta distrattiva dei beni affidati alla cooperativa, oltre che delle somme menzionate nel capo d’imputazione.
Per tali rilievi si rivelano manifestamente infondate le doglianze difensive relative alla inadeguatezza delle prove (anche per l’accertamento del passivo desunto da una consulenza contabile d’ufficio), oltre le censure per travisamento del fatto, e per mancata assunzione di prove decisive, attraverso la rinnovazione del dibattimento.
Va sul punto rilevato che la rinnovazione del dibattimento in appello è rimessa all’apprezzamento del giudice di merito sulla completezza degli elementi probatorie che la difesa non adduce alcun dato documentale, il fatto trascurato dai giudici di appello, efficace al fine di far escludere la responsabilità dell’imputato.
D’altra parte devono ritenersi inammissibili i rilievi tendenti alla diversa interpretazione delle risultanze processuali.
Per tali motivi la Corte deve rigettare il ricorso, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione
Sezione Quinta Penale
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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