Consiglio di Stato, sezione quarta, Sentenza 12 luglio 2018, n. 4260.
La massima estrapolata:
L’asservimento urbanistico per esaurimento della capacità edificatoria è essenzialmente uno stato di fatto obiettivo, che prescinde da specifici atti formali e dalle relative trascrizioni, impone un vincolo di inedificabilità sull’area di carattere permanente per il solo effetto del rilascio di legittime concessioni edilizie che determini l’esaurimento della capacità edificatoria stabilita dallo strumento urbanistico e rimane insensibile alle successive vicende dell’area.
Sentenza 12 luglio 2018, n. 4260
Data udienza 5 luglio 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8742 del 2009, proposto da Ra. Immobiliare s.a.s., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Gi. Ce., con domicilio eletto presso lo studio Da. Va. in Roma, viale (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante protempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. De Ma. e Ma. Sq., con domicilio eletto presso lo studio Ma. Sq. in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo – sede staccata di Pescara, sezione I, 6 aprile n. 262.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 5 luglio 2018 il consigliere Giuseppe Castiglia;
Udito per l’appellante l’avvocato Da. Va. su delega dell’avvocato Gi. Ce.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. In data 31 ottobre 2003, la Immobiliare Ra. s.a.s. ha presentato al Comune di (omissis) domanda di rilascio del permesso di costruire per un terreno di sua proprietà, sito nel territorio comunale e censito al foglio (omissis), particelle (omissis).
2. Dopo una interlocuzione con la società il Comune – con nota n. 32667 dell’8 luglio 2004, a firma dei funzionari competenti – ha opposto un diniego alla richiesta, motivandolo con la inedificabilità dell’area considerata già satura perché sulla particella (omissis), in precedenza accorpata alla (omissis) e alla (omissis), sarebbe stata realizzata, attraverso due successivi interventi edilizi (1962 e 1966), una costruzione di complessivi mc. 8.400.
3. La società ha impugnato il diniego chiedendone l’annullamento insieme con il risarcimento del danno da ritardo o, in caso di reiezione del ricorso, quello sofferto per la lesione del legittimo affidamento a seguito del comportamento scorretto del Comune, che dapprima avrebbe richiesto il versamento del contributo per gli oneri concessori e poi le avrebbe negato il rilascio del titolo.
4. Con sentenza 6 aprile 2009, n. 262, il T.A.R. per l’Abruzzo – sede staccata di Pescara, sez. I, ha respinto il ricorso e compensato fra le parti le spese di giudizio, ritenendo che:
– correttamente il Comune, al di là dei dati formali risultanti dalle risultanze catastali, avesse – dopo verifica in concreto – reputato il lotto della ricorrente “inedificato” ai sensi dell’art. 37 delle N.T.A. al locale P.R.G., recante la disciplina della sottozona B3 in cui ricade l’area in contestazione; e ciò, al fine di evitare che, una volta consumata la volumetria disponibile, la prescrizione relativa all’indice massimo di fabbricabilità fondiaria potesse essere aggirata di fatto mediante successivi frazionamenti con creazione di nuovi lotti astrattamente edificabili in applicazione dell’indice consentito;
– la domanda risarcitoria andasse rigettata, perché il danno da ritardo sarebbe configurabile solo in caso di accertata spettanza del titolo;
– non sussistesse l’asserita violazione degli obblighi di correttezza procedimentale, posto che l’atto di quantificazione degli oneri di urbanizzazione recava l’espressa dizione “la presente non costituisce rilascio di permesso di costruire” e non era perciò idoneo radicare un affidamento meritevole di tutela potendo l’Amministrazione adottare una motivata decisione finale di segno diverso, fermo il diretto alla ripetizione ex art. 2033 c.c. delle somme eventualmente versate a titolo di oneri di urbanizzazione e divenute prive di una ragione giustificativa a seguito del mancato rilascio del titolo edilizio.
5. La Immobiliare Ra. ha interposto appello avverso la sentenza n. 262/2009 premettendo che solo la particella (omissis) (e non anche la (omissis)) sarebbe stata originariamente accorpata alla (omissis) e, nel merito, sviluppando quattro motivi.
I) Il Comune prima e il Tribunale regionale poi avrebbero mosso da un presupposto sbagliato, essere cioè il lotto in questione parte integrante e inscindibile dell’ex particella (omissis), laddove il previgente P.R.G. del 1978 (con destinazione del terreno ad “aree di parcheggio, autorimesse e strade”), la successiva variante generale del 2001 (con inclusione nella sottozona B3 – zona di completamento) e il certificato di destinazione urbanistica, rilasciato dal Comune il 14 settembre 2004, avrebbero fatto riferimento alle singole aree frazionali (una delle quali di proprietà dell’appellante) e non all’intera particella (omissis). Date le risultanze catastali in possesso dell’ente, questo avrebbe dovuto spiegare nel dettaglio le ragioni ostative al rilascio della concessione per un lotto ricadente in un’area per sua natura edificabile, mentre sarebbero del tutto mancati quei necessari accertamenti istruttori genericamente richiamati dal primo giudice.
II) Sarebbe insufficiente allo scopo l’unico elemento istruttorio addotto, cioè un parere legale, il quale avrebbe trascurato che l’ex particella (omissis) risulterebbe frazionata in due particelle distinte, delle quali la (omissis), destinata all’intervento della ricorrente, sarebbe libera, inedificata e perciò edificabile.
III) Non varrebbe richiamare quella giurisprudenza che, procedendo a una verifica globale e generalizzata, fa discendere l’asservimento di una intera area dal rapporto plano-volumetrico concernente un manufatto già realizzato nell’area medesima, anche se su un lotto in seguito distinto per frazionamento o alienazione da quello su cui tale manufatto insiste. Pena altrimenti una applicazione retroattiva di norme di sfavore, illegittima e incostituzionale, questi indirizzi interpretativi non potrebbero valere per le opere realizzate in vigenza della legge urbanistica (n. 1150/1942), che solo per le opere da eseguire nei centri abitati e nelle zone di espansione previste dai piani regolatori prescriveva la licenza edilizia, richiesta in via generale dalla c.d. legge-ponte (n. 765/1967) per le nuove costruzioni.
IV) Quanto al risarcimento del danno, da un lato non potrebbe rimproverarsi all’appellante di aver confidato in atti che avevano l’aspetto di preludere al rilascio del titolo, dall’altro il danno da ritardo prescinderebbe dalla spettanza del bene della vita e – nel quadro di una visione sistematica, che prenda in considerazione la lettera dell’art. 2 bis della legge n. 241/1990, pure non applicabile ratione temporis – rileverebbe anche come danno da mero ritardo.
6. Il Comune di (omissis) si è costituito in giudizio per resistere all’appello osservando:
– sul punto della edificabilità (primo, secondo e terzo motivo dell’appello), che l’area di intervento, in epoca precedente all’avvenuto frazionamento, era inclusa nella ex particella (omissis), già urbanisticamente asservita a un fabbricato preesistente che avrebbe ampiamente esaurito l’indice di fabbricabilità fondiaria; sarebbe ininfluente la successiva divisione in più particelle e, ai fini del calcolo della volumetria assentibile, occorrerebbe avere riguardo alla normativa vigente al momento della richiesta della nuova edificazione. La questione del rilievo, ai fini dell’asservimento, di edifici realizzati nella vigenza della legge urbanistica, sarebbe nuova in questa sede e come tale inammissibile, comunque infondata nel merito, posto che l’area andrebbe valutata complessivamente alla luce del vigente P.R.G.;
– in tema di risarcimento del danno, che la domanda sarebbe inammissibile perché generica e indimostrata, e comunque infondata nel merito, in quanto il danno da ritardo si configurerebbe solo in caso di accertata spettanza del titolo e, sotto altro profilo, non potrebbe essergli imputato un comportamento in contrasto con l’obbligo di correttezza procedimentale.
7. La società ha replicato con memoria.
8. All’udienza pubblica del 5 luglio 2018, l’appello è stato chiamato e trattenuto in decisione.
9. Il nucleo centrale della controversia riguarda la contestata legittimità del diniego opposto dal Comune alla richiesta della Immobiliare Ra. di rilascio di un permesso di costruire nell’area di sua proprietà. Ad esso attengono i primi tre motivi dell’appello, che possono essere esaminati congiuntamente.
10. I motivi sono infondati per le ragioni che seguono:
– è pacifico che sulla originaria particella (omissis), dalla quale è derivata – per frazionamento avvenuto in data 23 luglio 1999 – la particella (omissis), di proprietà della società, siano stati realizzati nel 1962 e nel 1966 due edifici, che hanno esaurito l’indice di fabbricabilità fondiaria dell’area. Secondo quanto afferma il Comune, non contraddetto, a fronte di un indice massimo attuale di 1 mc/mq, gli interventi hanno comportato un indice reale superiore a 2 mc/mq.;
– su tutti i terreni ricompresi nella particella (omissis), anche se non edificati, questa edificazione ha realizzato una condizione di asservimento. Per costante giurisprudenza, l’asservimento urbanistico per esaurimento della capacità edificatoria è essenzialmente uno stato di fatto obiettivo, che prescinde da specifici atti formali e dalle relative trascrizioni, impone un vincolo di inedificabilità sull’area di carattere permanente per il solo effetto del rilascio di legittime concessioni edilizie che determini l’esaurimento della capacità edificatoria stabilita dallo strumento urbanistico (da ultimo, Cons. Stato sez. IV, 5 febbraio 2015, n. 562; sez. IV, 5 maggio 2017, n. 2064) e rimane insensibile alle successive vicende dell’area come, nel caso di specie, il frazionamento (Cons. Stato, sez. V, 27 giugno 2011, n. 3823; sez. VI, 9 febbraio 2016, n. 547);
– è del tutto irrilevante la circostanza che i due edifici siano stati realizzati nella vigenza della legge urbanistica del 1942, posto che il rilascio del titolo edilizio è subordinato alla compatibilità con la densità edilizia consentita dalle prescrizioni urbanistiche vigenti all’epoca dell’adozione del provvedimento abilitativo (Cons. Stato, sez. IV, 29 luglio 2008, n. 3766) senza che ciò comporti alcuna applicazione retroattiva di norme;
– è del pari irrilevante che la destinazione impressa al lotto in contestazione dal P.R.G. vigente sia quella di zona di completamento. Ciò rende il lotto bensì potenzialmente edificabile, ma solo nel rispetto delle previsioni dell’art. 37 delle N.T.A., il quale, nella sottozona B3, impone in linea di principio l’adozione di uno strumento attuativo e, in assenza di questo, consente gli interventi diretti di nuova costruzione nei lotti inedificati solo nel rispetto di un indice di fabbricabilità e di una dimensione minima del lotto; peraltro, il certificato di destinazione urbanistica del 14 settembre 2004, in atti, reca la clausola espressa, bene evidenziata con l’uso del neretto, “il presente certificato non tiene conto dell’eventuale precedente utilizzo dell’area per fini costruttivi”;
– tanto premesso, non si vede quale ulteriore istruttoria il Comune dovesse svolgere prima di rigettare legittimamente l’istanza della società, essendo invece pienamente sufficienti le considerazioni svolte nel parere legale che l’ente ha fatto proprio;
– la società appellante non ha ritenuto di valorizzare il dato che la sua area risulta composta, oltre che dalla particella (omissis), dalle particelle (omissis) (il provvedimento impugnato indica solo la prima di questa), della eventuale edificazione o edificabilità delle quali nulla dice. Il dato, di cui le parti non discutono, deve dunque tenersi per irrilevante ai fini della decisione della controversia.
11. Come anticipato, i primi tre motivi dell’appello sono dunque infondati e vanno di conseguenza respinti.
12. Egualmente infondato è il quarto motivo, con il quale la società argomenta la propria pretesa risarcitoria sotto il duplice profilo del danno da ritardo e di quello da comportamento scorretto del Comune.
13. Non solo la censura si pone al limite della inammissibilità per il suo carattere vago, generico e comunque indimostrato, ma è priva di pregio perché, come bene ha rilevato il T.A.R.:
– la pretesa risarcitoria relativa al danno da ritardo va ricondotta allo schema generale dell’art. 2043 c.c., con conseguente applicazione rigorosa del principio dell’onere della prova in capo al danneggiato circa la sussistenza di tutti i presupposti oggettivi e soggettivi dell’illecito e con l’avvertenza che, nell’azione di responsabilità per danni, il principio dispositivo, sancito in generale dall’art. 2697, primo comma, c.c., opera con pienezza, e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell’azione di annullamento (giurisprudenza ormai costante: per tutte Cons. Stato, sez. IV, 28 dicembre 2016, n. 5497; sez. IV, 30 giugno 2017, n. 3222; sez. IV, 17 gennaio 2018, n. 240);
– il risarcimento del danno da ritardo, relativo a un interesse legittimo pretensivo, implica una valutazione sulla spettanza del bene della vita; di conseguenza, deve essere subordinato, tra l’altro, anche alla dimostrazione che l’aspirazione al provvedimento sia destinata ad esito favorevole e quindi, appunto, alla dimostrazione della spettanza definitiva del bene sostanziale della vita collegato a un tale interesse (Cons. Stato, sez. IV, 13 ottobre 2015, n. 4712; sez. IV, 23 giugno 2017, n. 3068; sulla sostanziale spettanza del bene quale necessario presupposto per la nascita dell’obbligazione risarcitoria a fronte di un interesse pretensivo leso, in termini generali, Cons. Stato, sez. IV, 14 giugno 2018, n. 3657);
– non è di per sé risarcibile il danno da mero ritardo (Cons. Stato, n. 3068/2017, cit., secondo cui neppure l’entrata in vigore dell’art. 2 bis della legge n. 241/1990, peraltro inapplicabile ratione temporis alla vicenda controversa, ha elevato a bene della vita – suscettibile di autonoma protezione mediante il risarcimento del danno – l’interesse procedimentale al rispetto dei termini dell’azione amministrativa avulso da ogni riferimento alla spettanza dell’interesse sostanziale al cui conseguimento il procedimento stesso è finalizzato);
– nel caso di specie, oltretutto, l’appellante non tanto reclama il ristoro di un danno riferito al solo ritardo nell’adozione del provvedimento finale, quanto piuttosto si duole del danno conseguente al mancato rilascio del titolo richiesto; con il che appare evidente che la figura del danno da ritardo non è evocata a proposito;
– la richiesta di pagamento degli oneri concessori, per la sua dizione, palesemente non poteva essere intesa come permesso di costruire. Imputet sibi la società se ha fatto affidamento su di essa per affrontare spese e avviare lavori.
14. In sintesi, l’appello è complessivamente infondato e va perciò respinto, con conferma della sentenza impugnata.
15. Le spese di giudizio seguono la regola della soccombenza, secondo la legge, e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
Condanna la parte soccombente al pagamento delle spese di giudizio, che liquida nell’importo di euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre agli accessori di legge (15% a titolo di rimborso delle spese generali, I.V.A. e C.P.A.).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 luglio 2018 con l’intervento dei magistrati:
Antonino Anastasi – Presidente
Giuseppe Castiglia – Consigliere, Estensore
Luca Lamberti – Consigliere
Alessandro Verrico – Consigliere
Giovanni Sabbato – Consigliere
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