Corte di Cassazione, sezione quarta penale, Sentenza 17 maggio 2018, n. 21878.
Le massime estrapolate:
Il reato di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti prescinde dal numero di volte in cui il singolo partecipante ha personalmente agito, per cui il coinvolgimento in un solo episodio criminoso non e’ incompatibile con l’affermata partecipazione dell’agente all’organizzazione.
In tema di associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, anche il coinvolgimento in un solo reato-fine puo’ integrare l’elemento oggettivo della partecipazione, laddove le connotazioni della condotta dell’agente, consapevolmente servitosi dell’organizzazione per commettere il fatto, ne riveli, secondo massime di comune esperienza, un ruolo specifico in funzione delle dinamiche operative e della crescita criminale dell’associazione.
La ragione sottostante siffatta interpretazione- che limita sino ad escluderla la necessita’ di partecipazione al reato-fine risiede nella classificazione del reato, come reato di mera condotta, consistente nella compenetrazione nel sodalizio orientato alla realizzazione di un programma criminoso e nella dimostrata disponibilita’ al perseguimento del fine comune, anche tramite la realizzazione di reati-fine. Sicche’ la partecipazione ai reati fine finisce per essere elemento sintomatico della disponibilita’, intesa come appartenenza associativa, ma non ne integra l’elemento oggettivo. La particolarita’ della condotta di partecipazione sta, infatti, nella sua impermeabilita’ alla consumazione del reato, tanto che di questo, o meglio di questi, risponde solo chi vi abbia materialmente o moralmente contribuito causalmente, proprio come accade nell’ipotesi di mero concorso di persone nel reato, restando esclusi coloro che condividono il generale programma dell’organizzazione e contribuiscono al suo sviluppo, laddove non personalmente coinvolti.
In tema di detenzione illecita di sostanze stupefacenti, la ricorrenza della circostanza aggravante della ingente quantita’ va verificata in relazione a ciascuno dei delitti commessi, dovendosi escludere che la stessa sia configurabile in ragione della sommatoria dei quantitativi di volta in volta singolarmente detenuti, a meno che non sia possibile identificare una condotta antecedente unica, avente ad oggetto l’intero quantitativo, successivamente frazionato in quote distinte.
In caso di difformita’ tra dispositivo e motivazione, il primo prevale sulla seconda, in quanto il dispositivo costituisce l’atto con il quale il giudice estrinseca la volonta’ della legge nel caso concreto, mentre la motivazione ha una funzione esplicativa della decisione adottata.
Sentenza 17 maggio 2018, n. 21878
Data udienza 21 marzo 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FUMU Giacomo – Presidente
Dott. BRUNO Mariarosaria – Consigliere
Dott. NARDIN Maura – rel. Consigliere
Dott. CENCI Daniele – Consigliere
Dott. PAVICH Giuseppe – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
(OMISSIS);
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 19/07/2016 della CORTE APPELLO di NAPOLI;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa NARDIN MAURA;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. FIMIANI PASQUALE.
Il Proc. Gen. conclude per l’inammissibilita’.
PER TUTTI E RETTIFICA AD ANNI 8 PER (OMISSIS).
E’ presente l’avvocato (OMISSIS) del foro di SALERNO in difesa di:
(OMISSIS) IL QUALE SI RIPORTA AI MOTIVI.
E’ presente l’avvocato (OMISSIS) del foro di ROMA in difesa di: (OMISSIS) IL QUALE SI RIPORTA AI MOTIVI.
E’ presente l’avvocato (OMISSIS) IN SOSTITUZIONE ORALE DELL’AVV (OMISSIS) del foro di TORRE ANNUNZIATA PER (OMISSIS) DI CUI CHIEDE L’ACCOGLIMENTO DEL RICORSO E DELL’AVV (OMISSIS) PER (OMISSIS) CHIEDENDO L’ANNULLAMENTO DELLA SENTENZA.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 19 luglio 2016 la Corte di appello di Napoli parzialmente riformando la sentenza di primo grado, pronunciata nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) ha rideterminato, riducendole, la pena loro inflitte, in particolare, riconoscendo ad (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) ed a (OMISSIS) le attenuanti generiche in misura equivalente alle contestate aggravanti, ivi compresa quella di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 80, comma 2, mentre per (OMISSIS), denegate le circostanze attenuanti generiche, la, la riduzione e’ intervenuta in forza della rivalutazione del dell’entita’ dei fatti ed alla personalita’ dell’imputato ex articolo 133 c.p., confermando nel resto le condanne anche con riferimento alla sussistenza del delitto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 2, nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) ed alla legittimita’ della confisca ai danni di (OMISSIS), relativi a beni immobili e mobili registrati, nonche’ alle somme depositate in depositi bancari nominativi e al portatore, certificati di deposito, titoli ed oggetti di valore.
2. Avverso la sentenza propongono ricorso per cassazione (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS).
3. (OMISSIS) formula, a mezzo del proprio difensore, due motivi di impugnazione. Con il primo lamenta che la sentenza della Corte territoriale, pur riformulando nel corpo della motivazione il ricalcolo della pena- a seguito del giudizio di equivalenza fra le circostanze- in modo corretto (pena base per il reato piu’ grave 10 anni di reclusione, aumentata per la continuazione fino ad anni 12 ed indi ridotta per il rito ad anni 8 di reclusione) abbia indicato nel dispositivo una pena superiore (anni 9 di reclusione), rispetto a quella frutto del calcolo. Con il secondo si duole della ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 80, comma 2, rilevando che il giudice d’appello, pur investito della questione, si e’ limitato a richiamare quanto gia’ affermato dal primo giudice, senza tenere in nessuna considerazione ne’ le note difensive, ne’ la decisione- prodotta nel giudizio di secondo grado- relativa al principale filone di indagini relative al gruppo ” (OMISSIS)” che in fattispecie analoga, ha escluso l’aggravante dell’ingente quantita’. Osserva come, in assenza del sequestro dello stupefacente e quindi di una perizia che individuasse la percentuale di principio attivo, non sia possibile affermare il superamento di duemila volte il valore massimo in milligrammi (valore soglia) determinato dalla tabella allegata al Decreto Ministeriale 11 aprile 2006, il che avrebbe imposto di assolvere l’obbligo motivazionale sull’applicabilita’ dell’aggravante dell’ingente quantita’ in modo ben piu’ stringente rispetto a quanto fatto dalla sentenza impugnata.
4. (OMISSIS) affida il ricorso, proposto personalmente, a due doglianze. Con la prima fa valere il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta equivalenza delle circostanze attenuanti generiche con le contestate aggravanti. Rileva che l’incensuratezza e la piena confessione dell’imputato avrebbero dovuto orientare il Collegio nel senso della prevalenza delle prime, mentre pur essendo il giudice onerato della specifica motivazione sul punto, era mancata ogni spiegazione al riguardo. Con la seconda lamenta l’eccessivita’ della pena, non commisurata al caso di specie, non solo perche’ l’imputato ha reso piena confessione, ma perche’ e’ stata acclarata la sua scarsa pericolosita’ sociale, essendogli stato contestato uno solo degli episodi di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73.
5. (OMISSIS) formula, a mezzo del suo difensore, un solo articolato motivo con cui rileva il vizio di motivazione per avere la sentenza impugnata in modo carente ed illogico confermato il giudizio di primo grado sulla legittimita’ del vincolo cautelare sui beni oggetto di confisca, disposta L. n. 356 del 1992, ex articolo 12 sexies, senza in alcun modo esaminare le note tecniche tempestivamente depositate dal consulente dell’imputato. Da siffatta relazione emerge, infatti, una capacita’ economico-patrimoniale dell’ (OMISSIS) e della moglie (OMISSIS) del tutto congrua rispetto all’acquisto degli immobili, derivante dall’istituzione di un centro scommesse autorizzato presso il bar (OMISSIS), della Bar (OMISSIS) s.a.s., societa’ dell’ (OMISSIS) e della moglie; questo reddito e’ comprovato dalla fatture emesse dalla societa’ per le provvigioni ricavate per un importo totale di Euro 93,932,48 relativo agli anni 2007-2010.
Seppure non indicate ai fini del calcolo IRPEF, nondimeno, le somme dimostrano la legittima provenienza delle risorse necessarie all’acquisto degli immobili sequestrati, rispetto ai quali peraltro erano prodotti tutti gli atti di compravendita. D’altro canto, i pagamenti, benche’ all’epoca non fosse prevista la loro tracciabilita’, erano stati effettuati con titoli di credito riconducibili a conti correnti dell’ (OMISSIS) e della (OMISSIS), ed in un caso previa accensione di apposito mutuo. Infine, gli acquisiti risalivano al periodo 2005/2011, mentre la contestazione associativa formulata D.P.R., ex articolo 74, era collocata nel 2013-2014. Del tutto ingiustificata, dunque, anche sotto questo punto di vista la confisca per sproporzione, avendo la parte interessata provveduto a dimostrare la lecita provenienza delle sostanze per l’acquisto dei beni, anche se intervenuti molto tempo prima.
6. (OMISSIS), a mezzo del proprio difensore, introduce un unico motivo di impugnazione, con cui si duole della violazione della legge penale, con riferimento al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 e articolo 80, comma 2, e del vizio di motivazione per avere la sentenza affermato la sussistenza dell’aggravante dell’ingente quantita’, nonostante il mancato sequestro della sostanza e l’impossibilita’ di determinare il principio attivo della sostanza secondo i criteri indicati dalla giurisprudenza di legittimita’ (richiama Sezioni Unite 36258/2012 e Sez. 6 n. 543/2015) sul superamento della quantita’ determinata come duemila volte superiore al valore soglia ai sensi del Decreto Ministeriale 11 aprile 2006. Sottolinea che il quantitativo di stupefacente oggetto della contestazione riguardante il (OMISSIS) (rispettivamente 30 e 90 Kg di cocaina) e’ costituito dal peso lordo della sostanza nel suo complesso, nulla essendo noto circa il principio attivo, con la conseguenza dell’impossibilita’ di stabilire in modo positivo i presupposti dell’aggravante.
7. (OMISSIS), a mezzo del suo difensore, censura la decisione sotto il profilo del vizio di motivazione perche’, in modo illogico e del tutto contraddittorio, riconosce la partecipazione dell’imputato all’associazione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, benche’ dalle emergenze processuali risultino esclusivamente contatti fra il (OMISSIS) e l’ (OMISSIS), acquirente del gruppo ” (OMISSIS)”. E cio’ esclusivamente in occasione di due episodi -capi c) e d) dell’imputazione relativi all’importazione dalla Spagna di Kg. 10,00 di cocaina, affidata all’autista (OMISSIS) ed all’importazione dall’Olanda di kg. 32,923 di cocaina affidata al medesimo autista, oggetto di sequestro- e per un periodo di tempo assi limitato (solo dal 27 aprile 2013 al 5 maggio 2013 per il capo c) e deal 3 maggio al 11 maggio 2013 per il capo d). Rileva che la qualita’ di sodale e’ fatta derivare in modo del tutto indiretto, senza spiegare come il (OMISSIS), che ebbe con l’ (OMISSIS) un cosi’ breve rapporto, potesse conoscere la stabilita’ dei suoi rapporti ed il gruppo ” (OMISSIS)” o che gli acquisti avvenissero in (OMISSIS) a seconda della convenienza del mercato. Sottolinea che rispetto al coimputato (OMISSIS), la Corte di Cassazione, Sezione 6″ penale, aveva annullato un’ordinanza cautelare che, in relazione alla partecipazione al sodalizio, faceva proprio riferimento all’esclusivo rapporto dell’ (OMISSIS) con l’ (OMISSIS). Evidenzia, infine, come la smentita circa il contributo del (OMISSIS), quale determinante per il raggiungimento degli obiettivi associativi, emerga dal fatto che l’illecita transazione di cui al capo b) dell’imputazione, relativo all’importazione di kg. 12,00 circa di cocaina, pur prossima agli episodi contestati, e’ intervenuta senza la sua partecipazione, il che dimostra che egli non era organico al sodalizio, che si serviva del contributo di piu’ esterni.
8. (OMISSIS) formula, con ricorso presentato personalmente, un unico motivo che articola in due profili. Con il primo lamenta il vizio di motivazione per non avere la sentenza specificato le modalita’ di calcolo sulla pena, in particolare in ordine agli aumenti per la continuazione. Con il secondo si duole della genericita’ dell’iter logico-argomentativo sull’affermazione di responsabilita’.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Conviene esaminare i motivi proposti in ordine logico trattando congiuntamente quelli comuni fra i ricorrenti.
2. La prima doglianza di cui occuparsi e’ quella relativa alla configurabilita’ del reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 2, proposta da (OMISSIS), avendo tutti gli altri coimputati rinunciato ai motivi inerenti alla responsabilita’ per i reati loro contestati.
3. La censura pone, fondamentalmente, la questione dell’individuazione dei tratti specifici del reato associativo, rispetto ai quali lamenta il vizio logico e l’omissione della motivazione, travalicante nell’errata applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 2, a fronte della loro chiara inconsistenza nel caso di specie.
4. La connotazione dell’associazione viene correttamente individuata dal ricorrente nella proiezione dell’interesse del compartecipe oltre ai singoli episodi che lo vedono direttamente coinvolto. Gli indici dell’espansione dell’interesse alla finalita’ associativa andrebbero desunti nel caso di specie, quantomeno, dalla durata del vincolo avente natura stabile e continuativa, e dall’esclusivita’ della fornitura, implicante la non concorrenza con altri soggetti cui viene devoluto il medesimo compito. Siffatti elementi sintomatici, tuttavia, sarebbero stati del tutto ignorati dalla motivazione, ove si ritiene integrata la fattispecie sulla basi due soli episodi di organizzazione del trasporto sottovalutando, tra l’altro, la non esclusivita’ del contributo operativo, per avere l’organizzazione utilizzato la prestazione di altri in occasione di altra importazione, se non coeva quantomeno assai prossima a quelle oggetto delle imputazioni del (OMISSIS), da cui si ricaverebbe l’autonomia della sua posizione rispetto all’organizzazione.
Va subito osservato che la sentenza, contrariamente a quanto preteso con il ricorso, da’ conto, da un lato, dei motivi per i quali assegna un rilevante valore partecipativo alla disponibilita’ manifestata dal (OMISSIS) alla fornitura degli stupefacenti oggetto del traffico cui era finalizzata l’associazione, anziche’ alla pluralita’ dei reati, dall’altro, delle ragioni per le quali ritiene sussistente la partecipazione ed il vincolo associativo al di la’ dell’estensione temporale delle attivita’ illecite svolte.
In particolare, richiamando in modo pressoche’ integrale la sentenza di primo grado, il cui corpo argomentativo costituisce un unico tessuto motivazionale con quella di secondo grado, chiarisce che deve ritenersi integrata la condotta di partecipazione all’associazione di cui all’articolo 74 cit., a fronte della consapevolezza di operare in un’organizzazione le cui singole attivita’, ancorche’ organizzate in sottogruppi, operanti con discreta liberta’, contribuiscono- con vicendevole integrazione- al fine comune costituito dal narcotraffico, per il conseguimento di ingenti profitti. In questo quadro l’assenza di un rapporto di esclusivita’ non assume, secondo i giudici di merito, alcuna rilevanza allorquando si determini un vincolo durevole fra i soggetti che fanno parte della struttura organizzata, anche qualora non conoscano gli altri compartecipi.
Dunque, la prova del coinvolgimento in due soli episodi penalmente rilevanti e’ compatibile con l’associazione laddove si possa ritenere il proposito del singolo associato sia quello di contribuire causalmente ad una serie indeterminata di delitti, essendo cio’ dimostrato nel caso di specie non solo dalla delicatezza dei trasporti la cui organizzazione era stata affidata al (OMISSIS) – il quale si era premurato di reclutare l’autotrasportatore, dipendente della stessa societa’ presso cui egli lavorava, per affidargli il delicato incarico- ma anche dai continui contatti con l’ (OMISSIS), a sua volta in contatto costante con (OMISSIS) e (OMISSIS), acquirenti continuativi dello stupefacente.
Gli elementi di fatto sussunti nella fattispecie sono principalmente tratti dal numero di contatti emersi dalle intercettazioni telefoniche e pinto pin su Balckberry, da cui i giudici del merito ricavano, nonostante il breve periodo di riferimento, la disponibilita’ del (OMISSIS), stabile ed indefinita nel tempo, a fornire al sodalizio l’apporto richiesto per l’organizzazione concreta dei trasporti. L’esame del materiale consente, secondo il Collegio, di individuare – tramite la decrittazione del linguaggio usato dai compartecipi – in ciascuno dei contatti, largamente riportati- le modalita’ di regolazione dei rapporti. Cio’ emerge, nel ragionamento del provvedimento impugnato, anche dai riferimenti degli appartenenti al sodalizio al suo contributo, definito dalla sentenza “essenziale”, per l’importazione della sostanza stupefacente e dalla “supina disponibilita’” nei confronti degli organizzatori degli acquisti di narcotico, nonche’ dal ruolo di raccordo fra corrieri e destinatari della droga, testimoniato dalla comunicazione delle informazioni che egli curava, ricevendole e trasmettendole. Ed infine dall’accordo, intervenuto con l’ (OMISSIS), per il trasporto di ulteriori carichi (in tutto cinque) di cocaina, per i quali era stato contrattato fra i due il prezzo.
Tornando alla doglianza, come proposta in questa sede, occorre verificare se effettivamente possa affermarsi la logicita’ e la congruita’ della motivazione in relazione alla corrispondenza fra gli elementi accertati – emergenti dalla captazioni- e la fattispecie di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, sotto il profilo della ricorrenza degli indici dell’espansione dell’intento criminoso al programma associativo, elemento distintivo del reato associativo.
Con riferimento alla lettura della disposizione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, la soluzione del problema posto dall’impugnante va ricercata nel confronto con la copiosa giurisprudenza di questa Corte relativa alla sussistenza dell’elemento oggettivo e di quello soggettivo del reato.
Sotto il primo profilo e’ stato anche ultimamente ribadito l’orientamento secondo il quale il reato di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti prescinde dal numero di volte in cui il singolo partecipante ha personalmente agito, per cui il coinvolgimento in un solo episodio criminoso non e’ incompatibile con l’affermata partecipazione dell’agente all’organizzazione (cfr. “In tema di associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, anche il coinvolgimento in un solo reato-fine puo’ integrare l’elemento oggettivo della partecipazione, laddove le connotazioni della condotta dell’agente, consapevolmente servitosi dell’organizzazione per commettere il fatto, ne riveli, secondo massime di comune esperienza, un ruolo specifico in funzione delle dinamiche operative e della crescita criminale dell’associazione. (Conf. sent. n. 1346 del 2016, non mass.)”. (Sez. 6, n. 1343 del 04/11/2015 – dep. 14/01/2016, Policastri, Rv. 26589001; conformi Sez. 1, n. 43850 del 03/07/2013 – dep. 25/10/2013, Durand e altri, Rv. 25780001).
La ragione sottostante siffatta interpretazione- che limita sino ad escluderla la necessita’ di partecipazione al reato-fine -(cfr. in questo senso “In materia di reati associativi, la commissione dei “reati-fine” dell’associazione, di qualunque tipo essa sia, non e’ necessaria, ne’ ai fini della configurabilita’ e nemmeno ai fini della prova della sussistenza della condotta di partecipazione.” (Sez. 3, n. 9459 del 06/11/2015 – dep. 08/03/2016, Venere, Rv. 26671001) – risiede nella classificazione del reato, come reato di mera condotta, consistente nella compenetrazione nel sodalizio orientato alla realizzazione di un programma criminoso e nella dimostrata disponibilita’ al perseguimento del fine comune, anche tramite la realizzazione di reati-fine. Sicche’ la partecipazione ai reati fine finisce per essere elemento sintomatico della disponibilita’, intesa come appartenenza associativa, ma non ne integra l’elemento oggettivo. La particolarita’ della condotta di partecipazione sta, infatti, nella sua impermeabilita’ alla consumazione del reato fine (cfr. di nuovo Sez. 3, n. 9459 del 06/11/2015), tanto che di questo, o meglio di questi, risponde solo chi vi abbia materialmente o moralmente contribuito causalmente, proprio come accade nell’ipotesi di mero concorso di persone nel reato, restando esclusi coloro che condividono il generale programma dell’organizzazione e contribuiscono al suo sviluppo, laddove non personalmente coinvolti.
Sotto il profilo soggettivo, invece, cio’ che connota il reato associativo e’ proprio l’apporto individuale apprezzabile, che integri un contributo alla stabilita’ dell’unione illecita: requisito questo, ampiamente motivato dalla Corte territoriale, anche in termini temporali, nonostante la ridotta durata delle intercettazioni, attraverso l’esame di conversazioni da cui viene tratto positivo riscontro degli accordi non solo per la predisposizione di efficaci mezzi di trasporto che assicurarono il compimento dei reati fine direttamente attribuiti al (OMISSIS), ma anche per la stabile prosecuzione del rapporti, con particolare riguardo alla predisposizione dell’organizzazione di successivi trasporti di droga, per i quali viene concordato anticipatamente il prezzo, cosi’ dimostrando, come si evince dalla motivazione, un solido programma futuro e comune.
Proprio a questo proposito puo’ assumersi che, in generale, l’adesione al programma associativo puo’ prescindere dall’effettiva prova della duratura appartenenza al sodalizio criminale, essendo sufficiente, da un lato, la dimostrazione della sua condivisione per un tempo apprezzabile e dall’altro, la prospettiva soggettiva di durevole intraneita’ all’organizzazione. Sicche’ e’ sufficiente, come nel caso di specie, anche l’osservazione di un breve periodo di contatti fra i compartecipi, quando dimostrino sia l’oggettiva sussistenza di una collaborazione stabile nella programmazione criminale, che la soggettiva volonta’ di condividere il progetto per un tempo apprezzabile.
Parimenti deve essere ritenuta, cosi’ come fanno i giudici del merito, l’irrilevanza dell’esclusivita’ del contributo fornito per la preparazione dei trasporti, ben potendo l’associazione avvalersi di piu’ di un compartecipe per siffatta frazione dell’organizzazione del traffico di stupefacenti. Non e’ infatti necessario che per appartenere al sodalizio al soggetto coinvolto venga assicurata l’unicita’ della funzione assegnatagli, cio’ peraltro essendo pressoche’ incompatibile con un’organizzazione estesa.
Ne’ puo’ darsi alcun rilievo al fatto che con ordinanza di altra Sezione della Suprema Corte, relativa all’impugnazione di un provvedimento cautelare, sia stato riconosciuta per l’imputato (OMISSIS) l’insussistenza della partecipazione del medesimo all’associazione dedite al narcotraffico, in quanto egli avrebbe tenuto rapporti solo con l’ (OMISSIS) e non con altri sodali. Da un lato, infatti, (OMISSIS) e’ stato assolto anche in questo processo da quell’imputazione, proprio in relazione all’assenza di un rapporto di intraneita’, dall’altro, cio’ che valutato e’ il contributo fornito da ciascuno degli imputati all’attivita’ associativa, dimostrata dalla natura della collaborazione e dell’inserimento organizzativo non solo, come sembra ritenere il ricorrente, dall’esclusivita’ del rapporto telefonico con uno dei compartecipi, peraltro valutato in una fase del procedimento in cui l’imputazione e’ ancora “fluida”.
Il motivo va, dunque, definitivamente respinto.
5. Va, a questo punto, affrontato il tema proposto da diversi ricorrenti, relativo alla configurabilita’ dell’aggravante del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 80, comma 2, ritenuta dai giudici del merito, e contestata, in assenza di sequestro della sostanza – in piu’ episodi fra quelli contestati agli imputati- manca ogni conoscenza sulla significativita’ del principio attivo.
E’ stato affermato in plurime pronunce, che nelle ipotesi in cui il traffico, la detenzione o lo spaccio emerga da prove indiziarie o da dichiarazioni captate, in assenza di sequestro dello stupefacente (quella che con un’espressione scorretta, ma sicuramente efficace, viene definita droga parlata) “la loro valutazione, ai sensi dell’articolo 192 c.p.p., comma 2, deve essere compiuta dal giudice con particolare attenzione e rigore ed, ove siano prospettate piu’ ipotesi ricostruttive del fatto, la scelta che conduce alla condanna dell’imputato deve essere fondata in ogni caso su un dato probatorio “al di la’ di ogni ragionevole dubbio”, caratterizzato da un alto grado di credibilita’ razionale, con esclusione soltanto delle eventualita’ piu’ remote. (Fattispecie relativa ad annullamento di condanna per traffico di stupefacenti, nella quale la Corte ha censurato la sentenza impugnata perche’ non aveva adeguatamente motivato sul fatto che, in una conversazione intercettata, l’imputato accusava il suo interlocutore di averlo “truffato”, circostanza che consentiva alla difesa di prospettare che la droga ricevuta non aveva in realta’ efficacia drogante). (Sez. 6, n. 27434 del 14/02/2017 – dep. 01/06/2017, Albano, Rv. 27029901; Sez. 3, Sentenza n. 16792 del 25/03/2015 Ud. (dep. 22/04/2015) Rv. 263356; Sez. 2, Sentenza n. 44220 del 18/10/2013 Ud. (dep. 29/10/2013) Rv. 257666).
Ora, cio’ che connota la credibilita’ della c.d. droga parlata e’ l’assenza di altra spiegazione sul significato delle conversazioni captate o sulla capacita’ sintomatica degli indizi raccolti di rappresentare una realta’ difforme da quella della determinazione del traffico di stupefacente la cui efficacia drogante possa dirsi superiore alla soglia minima come stabilita ravvisabile quando la quantita’ risulti pari a 2.000 volte il valore massimo, in milligrammi (valore – soglia), determinato per ogni sostanza nella tabella allegata al Decreto Ministeriale 11 aprile 2006. (Sez. 3 n. 42827 del 04/05/2016 – dep. 11/10/2016, Eke e altro, Rv. 26790201).
Sull’elemento specifico del “superamento”, dunque, la motivazione della sentenza deve mostrare l’univocita’ logica degli elementi non direttamente rappresentativi dell’efficacia drogante dello stupefacente oggetto delle conversazioni captate o comunque delle prove raccolte da cui si ricavi il quantitativo del traffico. Cio’ perche’ l’assenza di una prova diretta implica di per se’ la possibilita’ che il quantitativo effettivamente detenuto o trasportato o compravenduto non corrisponda a quanto emergente dall’analisi delle intercettazioni, ma altresi’ perche’ il quantitativo di per se’ non significa che la sostanza lorda contenga una quantita’ di principio attivo sufficiente al “superamento” appena indicato.
Occorre, tuttavia, occuparsi anche di un altro aspetto, perche’ sia la sentenza di secondo, che quella di prima grado configurano l’aggravante facendo riferimento al quantitativo complessivo, senza riferire l’aggravante a ciascun singolo episodio. E cio’, sebbene vi sia un orientamento secondo cui “qualora si tratti di una pluralita’ di reati in materia di stupefacenti, la ricorrenza della circostanza di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 80, comma 2, che accede ai delitti di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, va verificata in relazione a ciascuno dei delitti commessi, dovendosi escludere che di ingente quantita’ si possa parlare in virtu’ della sommatoria dei quantitativi trasportati, ceduti, detenuti e cosi’ via, a meno che non sia possibile identificare una antecedente condotta avente ad oggetto l’intero quantitativo, solo frazionato in successivi quote. Del pari, l’aggravante in parola e’ si’ configurabile anche se la materiale disponibilita’ della sostanza sia frazionata tra piu’ persone, in modo che solo dalla somma dei diversi quantitativi risulti superato il dato ponderale necessario, ma sempre che tra esse sia ravvisabile il concorso nel reato”. (Sez. 6, n. 47984 del 27/11/2012 – dep. 12/12/2012, Kamberaj e altro, Rv. 254276; cfr anche: “In tema di detenzione illecita di sostanze stupefacenti, la ricorrenza della circostanza aggravante della ingente quantita’ va verificata in relazione a ciascuno dei delitti commessi, dovendosi escludere che la stessa sia configurabile in ragione della sommatoria dei quantitativi di volta in volta singolarmente detenuti, a meno che non sia possibile identificare una condotta antecedente unica, avente ad oggetto l’intero quantitativo, successivamente frazionato in quote distinte.” (Sez. 4, n. 27736 del 11/04/2014 – dep. 26/06/2014, S. e altri, Rv. 26105801).
Ora, la sentenza impugnata, integrata con la motivazione del primo grado di giudizio implicitamente -ma chiaramente- richiama la massima di esperienza secondo cui lo stupefacente importato e’ di elevato grado di purezza, perche’ e’ destinato a successivo frazionamento, in vista del soddisfacimento di un amplissimo numero di acquirenti finali.
Sicche’ l’intercettazione da cui si desuma la prova della responsabilita’ e’ prova non solo del quantitativo, ma altresi’ di una “qualita’” della droga ai fini della valutazione del limite fissato -e riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimita’- come quantitativo “ingente”.
La decisione gravata, dunque, regge alla loro applicazione anche avuto riguardo a ciascuno dei singoli episodi, proprio in considerazione della circostanza, piu’ volte ricordata dalla pronuncia, relativa all’enormita’ dei quantitativi ricavabili delle captazioni, mai inferiori ai 10 kg cocaina e con punte sino a 90 kg..
L’aggravante e’ stata, pertanto, riconosciuta correttamente dalla sentenza impugnata (cosi’ come da quella del primo grado).
6. Ne consegue che tutti i ricorsi sul punto vanno rigettati.
9. Puo’ essere affrontato, a questo punto, il motivo di impugnazione formulato da (OMISSIS) relativo al vizio di motivazione per avere la decisione confermato il giudizio di primo grado sulla legittimita’ del vincolo cautelare sui beni oggetto di sequestro finalizzato alla confisca, disposta L. n. 356 del 1992, ex articolo 12 sexies. La censura, come risulta dell’esposizione, si concentra in modo particolare su due aspetti: il primo riguarda la capacita’ economico-patrimoniale dell’imputato e della moglie (OMISSIS), da ritenersi del tutto congrua rispetto all’acquisto degli immobili; il secondo sulla mancanza di contiguita’ temporale fra l’acquisto di alcuni degli immobili ed il periodo in cui ricade l’attivita’ illecita contestata. Cio’ emergerebbe, da un lato, dai proventi derivanti dal centro scommesse autorizzato presso il bar (OMISSIS), della Bar (OMISSIS) s.a.s., – societa’ dell’ (OMISSIS) e della moglie- nella misura totale di Euro 93,932,48 relativo agli anni 2007-2010, che dimostrerebbero la legittima provenienza delle somme utilizzate per l’acquisto dei beni oggetto del provvedimento. Dall’altro, dal tempo in cui intervennero gli acquisiti, risalenti al 2005-2011, rispetto al tempo cui viene riferita la contestazione associativa, formulata D.P.R., ex articolo 74, nel periodo 2013-2014.
7. Anche con riferimento a queste doglianze la sentenza e’ congruamente e logicamente motivata, perche’ muove dal principio ripetutamente affermato secondo cui “In tema di confisca ai sensi del Decreto Legge 8 giugno 1992, n. 306, articolo 12 sexies, convertito con modificazioni nella L. 7 agosto 1992, n. 356, essendo irrilevante il requisito della “pertinenzialita’” dei beni rispetto al reato per cui si e’ proceduto, la confisca non e’ esclusa per il fatto che questi siano stati acquisiti in epoca anteriore o successiva al reato per cui e’ intervenuta condanna o che il loro valore superi il provento del medesimo reato. (ex multis Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017 – dep. 20/04/2017, Napoli e altro, Rv. 26965701; Sez. 6, Sentenza n. 22020 del 22/11/2011 Cc. (dep. 07/06/2012) Rv. 252849 Sez. 6, Sentenza n. 22020 del 22/11/2011 Cc. (dep. 07/06/2012) Rv. 252849;, Sez. 1, Sentenza n. 8404 del 15/01/2009 Ud. (dep. 25/02/2009) Rv. 242863).
8. Le ragioni per cui deve ritenersi che la confisca di cui al Decreto Legge n. 306 del 1992, articolo 12 sexies, non richieda l’accertamento di un nesso eziologico tra il reato e i beni, rendendo irrilevante che detti beni siano o meno derivanti dal reato per il quale e’ stata inflitta la condanna, sono state oggetto di una pronuncia delle Sezioni unite che ha ampiamente spiegato che se “si richiedesse un carattere immediato e diretto della pertinenza della cosa col delitto, tale relazione corrisponderebbe o alle cose utilizzate per il reato o alla nozione di prezzo o di prodotto o di profitto, la cui confiscabilita’ e’ gia’ prevista dall’articolo 240 c.p.. E quindi (…) l’articolo 12 sexies (…) si limiterebbe a rendere obbligatoria la confisca facoltativa prevista per le cose destinate a commettere il reato, il prodotto ed il profitto di questo. Ma considerando che l’obbligatorieta’ e’ gia’ specificamente prevista dal codice per i delitti di associazione mafiosa e di usura, la norma in esame, per questi delitti, costituirebbe un’inutile replica di un istituto gia’ esistente nell’ordinamento, cosi’ come in generale lo sarebbe per la confisca del prezzo del reato (…). Rimane pertanto da verificare se, nonostante la presunzione posta dal legislatore, la norma, pur muovendo dalla condanna per uno dei reati che essa stessa indica, richieda un accertamento della provenienza dei beni non dal reato oggetto del giudizio, ma dall’attivita’ illecita del condannato. (…). Tuttavia “L’innesto della confisca in esame nel processo non puo’ allargare indefinitamente il thema decidendum di quest’ultimo. I limiti della contestazione, con i connessi diritti della difesa al contraddittorio, impediscono al giudice di occuparsi di condotte varie e multiformi, pregresse o successive al fatto per cui si procede. Il quale giudice dovrebbe invece conoscere di queste condotte non incidenter tantum, ma nella pienezza delle sue attribuzioni di cognizione, sia pure ai limitati fini della sussistenza di un presupposto della misura di sicurezza patrimoniale. Con la conseguenza che l’istituto in parola o resterebbe di fatto inapplicato per incompatibilita’ con i meccanismi processuali in cui s’e’ cercato di introdurlo o che un accertamento del nesso di derivazione del bene dall’attivita’ criminosa non e’ richiesto dall’articolo 12 sexies. Tutto quanto s’e’ fin qui osservato conduce allora a ritenere che il legislatore, nell’individuare i reati dalla cui condanna discende la confiscabilita’ dei beni, non ha presupposto la derivazione di tali beni dall’episodio criminoso singolo per cui la condanna e’ intervenuta, ma ha correlato la confisca proprio alla sola condanna del soggetto che di quei beni dispone, senza che necessitino ulteriori accertamenti in ordine all’attitudine criminale. In altri termini il giudice, attenendosi al tenore letterale della disposizione, non deve ricercare alcun nesso di derivazione tra i beni confiscabili e il reato per cui ha pronunziato condanna e nemmeno tra questi stessi beni e l’attivita’ criminosa del condannato (…) Con il corollario che, essendo la condanna e la presenza della somma dei beni di valore sproporzionato realta’ attuali, la confiscabilita’ dei singoli beni, derivante da una situazione di pericolosita’ presente, non e’ certo esclusa per il fatto che i beni siano stati acquisiti in data anteriore o successiva al reato per cui si e’ proceduto o che il loro valore superi il provento del delitto per cui e’ intervenuta condanna”.
9. Sulla base di questa premessa, ritenuta dalla Corte territoriale e prima ancora dal Tribunale, quale presupposto del ragionamento, sono state svolte idonee ed incensurabili argomentazioni in relazione a ciascun singolo bene immobile e mobile, chiarendo anche perche’ si e’ ritenuto che le somme necessarie agli acquisti non fossero qualificabili come di lecita provenienza, andando cioe’ ben oltre a quanto richiesto, secondo la lettura appena offerta, dalla norma per sottoporre al provvedimento di confisca i beni dell’interessato e del suo nucleo familiare. Cosi’ come la sentenza impugnata ha esaurientemente spiegato perche’ le deduzioni del ricorrente non costituissero una prova contraria sufficiente a vincere la presunzione posta dalla norma in discussione.
10. Anche questo motivo deve, pertanto respinto.
11. Restano- prima di occuparsi della discrasia denunciata da (OMISSIS) fra il dispositivo e la motivazione in relazione al calcolo della pena irrogatagli- i motivi formulati da (OMISSIS) in ordine all’eccessivita’ della pena e quelli formulati da (OMISSIS) in riferimento al calcolo della continuazione. Partendo da quest’ultimo va semplicemente rilevato che la Corte si e’ limitata, nel riconoscere l’equivalenza delle attenuanti generiche con l’aggravante di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 80, comma 2, a detrarre l’aumento di pena riconosciuto dal primo giudice, mantenendo gli aumenti per la continuazione e la riduzione per il rito. Riguardo alla doglianza formulata da (OMISSIS), invece. Va ricordato che la Corte ha confermato il giudizio del primo giudice, anche qui solo scomputando l’aggravante per effetto del giudizio di equivalenza. A proposito dell’eccessivita’ della pena applicata all’ (OMISSIS), occorre osservare che le ragioni della sua concreta definizione si rinvengono nel complesso della motivazione della sentenza – si deve rammentare infatti che l’interessato, sebbene assolto per il reato associativo, nondimeno e’ stato condannato per l’importazione di un quantitativo notevolissimo di droga (kg. 32,923) oggetto di sequestro e che del suo comportamento processuale e collaborativo si da’ atto in quella parte della sentenza in cui si giustifica l’applicazione delle attenuanti generiche. Mal si comprende, infine, di cosa si dolga l’ (OMISSIS) in relazione al calcolo della continuazione fra i reati, tenuto conto che la pena per il reato associativo e’ stata quantificata in anni 9 di reclusione e per ciascuno dei reati di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, commi 1 e 1 bis, l’aumento e’ stato determinato in misura rispettivamente in anni 1, cioe’ in misura assai ridotta, sino a determinare la pena finale in anni 11, che con la diminuzione per il rito sono stati ridotti ad anni 7 e mesi 4 di reclusione. L’ulteriore motivo proposto dall’ (OMISSIS), relativo alle modalita’ di accertamento della responsabilita’, e’ inammissibile in quanto assolutamente generico.
12. In ordine al motivo proposto da (OMISSIS) in relazione al preteso errore contenuto nel dispositivo della sentenza impugnata va premesso come nella motivazione sia effettivamente contenuto un calcolo della pena che- fissando la pena base relativa al reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, in anni 10 di reclusione, considerato il reato piu’ grave, opera gli aumenti per la continuazione in relazione ai due reati meno gravi di cui al Decreto del Presidente della Repubblica cit., articolo 73, commi 1 e 1 bis, fissando cosi’ la pena in anni 12 di reclusione, cui applica la riduzione per il rito- giunge alla determinazione della pena in anni 8 di reclusione, mentre nel dispositivo viene applicata al (OMISSIS) quella di anni 9 di reclusione.
13. L’argomento fondante la doglianza e’ quello secondo cui la chiarezza del calcolo contenuto nella motivazione consente di comprendere che il Collegio la difforme compilazione del dispositivo e’ frutto di un mero refuso, che puo’ essere corretto anche in sede di legittimita’.
Deve ribadirsi, a questo proposito, il principio della prevalenza del dispositivo sulla motivazione -molto correttamente riportato anche dal ricorrente- orientamento ampiamente maggioritario nella giurisprudenza di questa Corte secondo cui: “In caso di difformita’ tra dispositivo e motivazione, il primo prevale sulla seconda, in quanto il dispositivo costituisce l’atto con il quale il giudice estrinseca la volonta’ della legge nel caso concreto, mentre la motivazione ha una funzione esplicativa della decisione adottata. (Sez. 2, n. 15986 del 07/01/2016 – dep. 19/04/2016, Marzico, Rv. 26671701; Sez. 3, Sentenza n. 37849 del 19/05/2015 Ud. (dep. 18/09/2015) Rv. 265183; Sez. 6, Sentenza n. 29348 del 13/06/2013 Ud. (dep. 09/07/2013) Rv. 257212; Sez. 6, Sentenza n. 29348 del 13/06/2013 Ud. (dep. 09/07/2013) Rv. 257212 Sez. 4, Sentenza n. 34177 del 19/07/2012 Ud. (dep. 06/09/2012) Rv. 253530).
In questo caso, va constatato che la motivazione non contiene alcuna giustificazione in ordine alla determinazione della pena concretamente applicata in nove anni di reclusione, perche’ utilizza parametri che non consentono di risalire al calcolo, anche avuto riguardo ad altri coimputati che si trovano in posizione analoga. Ne discende l’annullamento della sentenza sul punto, in quanto il dispositivo, prevalente sulla motivazione, resta privo di giustificazione alcuna.
14. All’integrale rigetto dei ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) consegue la condanna al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) limitatamente al trattamento sanzionatorio con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Napoli per nuovo giudizio sul punto.
Dichiara irrevocabile l’affermazione di responsabilita’ del predetto imputato. Rigetta i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) che condanna al pagamento delle spese processuali.
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