Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 16 maggio 2018, n. 21639.
La massima estrapolata:
In tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’Amministrazione finanziaria, ove sia omessa la dichiarazione da parte del contribuente, puo’ anche ricorrere a presunzioni anche prive dei requisiti di gravita’, precisione e concordanza, ma deve comunque tenere conto anche delle componenti negative di reddito emerse dagli accertamenti, sicche’ qualora non sia possibile accertare i costi, questi possono essere anche determinati induttivamente, posto che, diversamente, cioe’ laddove non si tenesse assolutamente conto dei costi di produzione del reddito, si considererebbe reddito d’impresa, costituente la base imponibile per il calcolo dell’imposta, il profitto lordo anziche’ quello netto.
In tema di reati tributari, per accertare l’ammontare dell’imposta evasa ai fini della verifica del superamento delle soglie di punibilita’, le regole stabilite dalla legislazione fiscale per quantificare l’imponibile subiscono limitazioni che derivano dalla diversa finalita’ dell’accertamento tributario, con la conseguenza che i costi non contabilizzati debbono essere considerati solo in presenza di allegazioni fattuali da cui si desuma la certezza o comunque il ragionevole dubbio della loro esistenza.
Qualora vengano accertati ulteriori ricavi rispetto a quelli dichiarati dal contribuente, nella determinazione del reddito imponibile non puo’ non tenersi conto di tutti gli elementi – ricavi, proventi, costi ed oneri – che concorrono a formarlo.
Sentenza 16 maggio 2018, n. 21639
Data udienza 18 dicembre 2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SAVANI Piero – Presidente
Dott. ACETO Aldo – Consigliere
Dott. GENTILI Andrea – rel. Consigliere
Dott. DI STASI Antonella – Consigliere
Dott. MACRI’ Ubalda – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza n. 65/17 + 69/17 RIMC Reali del Tribunale di Benevento del 2 agosto 2017;
letti gli atti di causa, l’ordinanza impugnata e i ricorsi introduttivi;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GENTILI Andrea;
sentita la requisitoria del PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. CANEVELLI Paolo, il quale ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della ordinanza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Benevento, con ordinanza emessa in data 2 agosto 2017, ha rigettato la richiesta di riesame presentata da (OMISSIS) e da (OMISSIS) in relazione al decreto con il quale in data 6 luglio 2017 il Gip presso il medesimo Tribunale aveva disposto il sequestro preventivo di tutti i beni, mobili ed immobili, nella disponibilita’ della (OMISSIS) Srl, ora (OMISSIS) Srl, sino alla concorrenza della somma di Euro 3.651.113,00, nonche’, in caso di impossibilita’ di eseguire la misura sul predetto patrimonio, dei beni mobili ed immobili nella titolarita’ o comunque nella disponibilita’ dei predetti (OMISSIS) e (OMISSIS), sino alla concorrenza della somma sopra indicata, essendo costoro indagati in relazione al reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 5, per avere omesso la presentazione della dichiarazione annuale dei redditi relativa all’anno di imposta 2013.
Avverso il predetto provvedimento hanno interposto ricorso per cassazione, con distinti atti sebbene in larga misura coincidenti quanto al loro contenuto sostanziale, i due indagati i quali hanno affidato le loro doglianze ciascuno a due motivi di impugnazione.
Con riferimento al primo di essi, comune ad ambedue i ricorrenti, risulta essere stata dedotta, con riferimento alla violazione di legge consistente nella assenza o mera apparenza della motivazione del provvedimento censurato, la illegittimita’ della ordinanza impugnata in particolare nella parte in cui e’ stato in essa considerato affidabile l’accertamento reddituale operato a carico della impresa (OMISSIS) srl dalla Guardia di Finanza sulla base del volume di affari dichiarato ai fini iva, senza che il relativa importo sia stato decurtato da alcun costo, sebbene l’importo degli stessi fossero indicati nella medesima dichiarazione utilizzata al fine di determinare i ricavi.
Con il secondo motivo di ricorso dei rispettivi i due ricorrenti, con le differenze legate alla specificita’ delle singole posizioni, hanno lamentato, sempre con riferimento alla violazione di legge derivante dalla mancanza ovvero mera apparenza dell’apparato motivazionale della ordinanza impugnata, la omessa considerazione della assenza in capo ai medesimi di qualsivoglia profilo di rimproverabilita’ rispetto alla commissione del reato contestato.
Infatti, quanto alla posizione del (OMISSIS), questi rileva che egli aveva cessato di essere il legale rappresentante della (OMISSIS) Srl fin dal 31 luglio 2014, quindi da epoca precedente alla scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione omessa e dalle risultanze in atti, non sarebbe emerso che, successivamente a tale data, egli avrebbe continuato a svolgere compiti di amministratore dei fatto e tanto meno erano stati indicati i contenuti di tale eventuale perdurante attivita’
Quanto alla posizione del (OMISSIS), questi ha fatto rilevare che lo stesso era stato investito della qualifica di legale rappresentante della (OMISSIS) solo in data 2 dicembre 2014, quindi nella imminenza della scadenza del termine peri la presentazione della dichiarazione dei redditi avvalendosi dell’istituto del ravvedimento operosi, ma ben dopo la scadenza del termine ordinario, sicche’ il medesimo, al momento in cui ha assunto la funzione di amministratore della ricordata Societa’ non era tenuto a sapere se gli omessi adempimenti fiscali erano stati o meno tempestivamente eseguiti prima della assunzione da parte sua della predetta qualifica.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono fondati nei termini che saranno di seguito indicati.
Deve premettersi che, in sede di ricorso per cassazione proposto avverso provvedimenti cautelari reali, l’articolo 325 c.p.p. ammette il sindacato di legittimita’ soltanto per motivi attinenti alla violazione di legge.
Nella nozione di “violazione di legge” rientrano, in particolare, la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali, ma non l’illogicita’ manifesta, la quale puo’ denunciarsi nel giudizio di legittimita’ soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui all’articolo 606 c.p.p., lettera e) (cfr., per tutte: Corte di cassazione Sezione 3 penale, 14 dicembre 2017, n. 55785).
Cio’ posto osserva il Collegio che, quanto al caso di specie, il Tribunale di Benevento ha ritenuto di potere determinare il profitto conseguito dalla (OMISSIS) nella misura di Euro 3.651.113,00 in via induttiva, prendendo come riferimento a tal fine, il volume di affari dichiarato dalla stessa Societa’ nella dichiarazione redatta ai fini Iva relativamente all’anno di imposta in questione, come recuperata dalla Guardia di Finanza attraverso la consultazione della anagrafe tributaria, in dichiarata assenza di altri elementi probatori a sostegno.
Nel procedere nei termini dianzi esposti il Tribunale ha ritenuto, tuttavia, di dovere disattendere, senza alcuna preventiva valutazione sia in ordine alla loro inerenza rispetto alla attivita’ di produzione del reddito sia in ordine alla loro congruita’, il rilievo formulato dalla difesa dei ricorrenti in relazione alla necessaria decurtazione dal reddito imponibile dei costi riportati nella medesima dichiarazione redatta ai fini Iva.
Siffatto modus procedendi appare del tutto immotivato e, peraltro, in contrasto coi principi elaborati in materia di verifica della congruita’ degli accertamenti tributari operati dalla Polizia tributaria.
Come infatti e’ stato rilevato da questa Corte in sede civile, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’Amministrazione finanziaria, ove sia omessa la dichiarazione da parte del contribuente, puo’ anche ricorrere a presunzioni anche prive dei requisiti di gravita’, precisione e concordanza, ma deve comunque tenere conto anche delle componenti negative di reddito emerse dagli accertamenti, sicche’ qualora non sia possibile accertare i costi, questi possono essere anche determinati induttivamente (Corte di cassazione, Sezione V civile, 10 febbraio 2017, n. 3567), posto che, diversamente, cioe’ laddove non si tenesse assolutamente conto dei costi di produzione del reddito, si considererebbe reddito d’impresa, costituente la base imponibile per il calcolo dell’imposta, il profitto lordo anziche’ quello netto (Corte di cassazione, Sezione 5 civile, 19 febbraio 2009, n. 3995).
Cio’ posto, seppure va ricordato che in tema di reati tributari, per accertare l’ammontare dell’imposta evasa ai fini della verifica del superamento delle soglie di punibilita’, le regole stabilite dalla legislazione fiscale per quantificare l’imponibile subiscono limitazioni che derivano dalla diversa finalita’ dell’accertamento tributario, con la conseguenza che i costi non contabilizzati debbono essere considerati solo in presenza di allegazioni fattuali da cui si desuma la certezza o comunque il ragionevole dubbio della loro esistenza (Corte di cassazione, Sezione 3 penale, 20 dicembre 2016, n. 53907; idem Sezione 3 penale, 15 settembre 2015, n. 37094), deve tuttavia anche considerarsi che, come questa Corte ha rilevato, qualora vengano accertati ulteriori ricavi rispetto a quelli dichiarati dal contribuente, nella determinazione del reddito imponibile non puo’ non tenersi conto di tutti gli elementi – ricavi, proventi, costi ed oneri – che concorrono a formarlo (Corte di cassazione, Sezione 3 penale, 14 dicembre 1998, n. 13068), dovendosi ritenere in contrasto coi criteri applicabili ai fini della determinazione del reddito imponibile, e di conseguenza anche dell’imposta, escludere in linea di principio la esistenza dei costi necessari per la sua produzione.
Nel caso in questione il Tribunale di Benevento, che pure da’ atto della natura induttiva dell’accertamento tributario operato nel caso in esame, ha programmaticamente ed immotivatamente negato la esistenza dei costi inerenti alla produzione del reddito, escludendo la pur astratta rilevanza probatoria delle stesse fonti conoscitive da cui erano stati attinti gli elementi presuntivi in base ai quali operare l’accertamento degli elementi attivi di reddito.
Il ricorso, stante la mancanza di motivazione sul punto, deve, pertanto, essere accolto e l’ordinanza impugnata va annullata, con assorbimento dell’ulteriore motivo di ricorso, con rinvio al Tribunale di Benevento che, in diversa composizione personale, verifichera’ nuovamente, alla luce del principio esposto, la ricorrenza del fumus delicti, ai fini della legittimita’ della misura cautelare oggetto di riesame.
P.Q.M.
Annulla la ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Benevento.
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