Corte di Cassazione, sezione lavoro, Sentenza 11 maggio 2018, n. 11408.
La massima estrapolata:
In tema di provvedimento di trasferimento adottato in violazione dell’articolo 2103 c.c., l’inadempimento datoriale non legittima in via automatica il rifiuto del lavoratore ad eseguire la prestazione lavorativa in quanto, vertendosi in ipotesi di contratto a prestazioni corrispettive, trova applicazione il disposto dell’articolo 1460 c.c., comma 2, alla stregua del quale la parte adempiente puo’ rifiutarsi di eseguire la prestazione a proprio carico solo ove tale rifiuto, avuto riguardo alle circostanze concrete, non risulti contrario alla buona fede
Sentenza 11 maggio 2018, n. 11408
Data udienza 12 dicembre 2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente
Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere
Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere
Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere
Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 5167/2016 proposto da:
(OMISSIS) S.P.A., in persona dei legali rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 6600/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 10/12/2015 R.G.N. 9852/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/12/2017 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega verbale Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS).
FATTI DI CAUSA
1. (OMISSIS), premesso di avere prestato attivita’ di lavoro dipendente presso lo (OMISSIS) s.p.a. (da ora (OMISSIS)), di essere stata trasferita dalla sede di (OMISSIS) a quella di (OMISSIS), di avere immediatamente contestato la legittimita’ del trasferimento, di essere stata licenziata dalla societa’ per mancata presentazione in servizio presso la sede di (OMISSIS), ha chiesto l’accertamento della illegittimita’ del licenziamento, intimatole in data 12.6.2006, per insussistenza delle ragioni alla base del disposto trasferimento e la condanna della societa’ al risarcimento dei danni quantificati in misura non inferiore a 48 mensilita’ della retribuzione lorda contrattuale; premesso, inoltre, di avere diritto all’inquadramento nel livello 2 del c.c.n.l. applicato, superiore a quello attribuito dalla societa’, ne ha chiesto la condanna al pagamento delle relative differenze retributive, oltre accessori.
2. Il giudice di primo grado ha respinto la domanda.
3. La Corte di appello di Roma, in parziale riforma della sentenza di primo grado, nel resto confermata, ha dichiarato la illegittimita’ del licenziamento ed ha condannato la societa’ al pagamento, a titolo di risarcimento del danno, di un’indennita’ pari a venti mensilita’ dell’ultima retribuzione globale di fatto percepita, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali dalla data del licenziamento.
3.1. La statuizione di illegittimita’ del recesso datoriale e’ stata dalla Corte di merito fondata sul rilievo che la istruttoria espletata in secondo grado aveva dimostrato che il trasferimento della (OMISSIS) presso la sede di (OMISSIS) non era riconducibile ad alcuna specifica esigenza aziendale; il rifiuto della lavoratrice di prestare servizio presso quest’ultima sede risultava, pertanto, giustificato dall’inadempimento datoriale realizzatosi con la violazione dell’articolo 2103 c.c.. In ordine alle conseguenze dell’illegittimita’ del licenziamento, il giudice di appello, ribadita la tardivita’ della richiesta di tutela reintegratoria, ha ritenuto di quantificare il risarcimento del danno in misura pari a venti mensilita’ dell’ultima retribuzione globale di fatto, utilizzando quale parametro risarcitorio, tenuto conto degli incontestati requisiti dimensionali della societa’ datrice, il disposto della L. 20 maggio 1970, n. 300, articolo 18, commi 4 e 5, nel testo risultante dalle modificazioni introdotte dalla L. 11 maggio 1990, n. 108, articolo 1, vigente all’epoca dei fatti. Ha confermato, per difetto di allegazioni idonee a sostenere l’assunto dell’espletamento di mansioni corrispondenti al superiore livello rivendicato, il rigetto della domanda di condanna alle differenze retributive connesse a tale pretesa.
4. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso lo (OMISSIS) s.p.a. sulla base di cinque motivi. La parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso.
4.1. Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’articolo 378 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione degli articoli 2103 e 1460 c.c.. Premesso che la (OMISSIS), senza addurre alcuna giustificazione, non aveva mai preso servizio presso la sede di (OMISSIS), sostiene la efficacia vincolante del provvedimento di trasferimento evidenziando, altresi’, che la deduzione della relativa nullita’ era stata formulata solo in secondo grado. Assume, quindi, l’errore della sentenza impugnata per avere ritenuto legittimo il rifiuto della lavoratrice di prendere servizio presso la nuova sede ed a tal fine richiama precedenti di legittimita’ (Cass. 20/07/2012 n. 12696; Cass. 22/02/2008 n. 4673, in motivazione) in tema di applicazione dell’articolo 1460 c.c., alla stregua dei quali il lavoratore, a fronte dell’inadempimento datoriale, non puo’ opporre un rifiuto totale di rendere la prestazione lavorativa se non nell’ipotesi in cui l’inadempimento di controparte si riveli di gravita’ tale da incidere in maniera irrimediabile sulle esigenze vitali del lavoratore.
2. Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’articolo 2103 c.c. e dell’articolo 41 Cost., censurando, in sintesi, l’accertamento del giudice di appello in punto di verifica delle esigenze aziendali alla base del provvedimento di trasferimento. Assume, infatti, che il controllo giudiziale sulla legittimita’ del trasferimento doveva essere limitato al solo profilo della sussistenza di comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive senza estendersi anche a profili attinenti alla opportunita’ della scelta datoriale; sostiene, quindi, che tali ragioni, in concreto, erano evincibili dal provvedimento con il quale alla (OMISSIS) era stato comunicato il trasferimento presso la sede di (OMISSIS). Censura, inoltre, la sentenza di appello per non avere, nella indagine avente ad oggetto le ragioni addotte alla base del trasferimento, avuto riguardo anche alla sede di destinazione; in questa prospettiva evidenzia, in particolare, la inconferenza dell’argomentazione del giudice di appello incentrata sulla considerazione che la sede di (OMISSIS) fosse orientata all’attivita’ di car design, che a (OMISSIS) non veniva, invece, svolta.
3. Con il terzo motivo di ricorso deduce, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullita’ della sentenza o del procedimento per violazione dell’articolo 112 c.p.c.. Afferma il vizio di ultrapetizione della sentenza impugnata per essersi pronunziata sulla legittimita’ del licenziamento pur in assenza di specifico motivo di gravame a riguardo formulato da controparte. A tal fine premesso che la sentenza di primo grado aveva ritenuto che nel ricorso ai sensi dell’articolo 700 c.p.c., era contenuta l’impugnativa di recesso, rileva che con l’atto di appello la (OMISSIS) si era limitata a prestare “acquiescenza alla parte della sentenza di primo grado in cui si da’ atto della correttezza e della piena efficacia della procedura esperita dall’interessata” senza formulare censure alla ritenuta legittimita’ dell’atto espulsivo. Sulla scorta di tali presupposti di fatto afferma la formazione di un giudicato interno in ordine a tale accertamento.
4. Con il quarto motivo deduce, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione L. 20 maggio 1970, n. 300, articolo 7, censurando la affermazione della Corte in punto di ritenuta giustificatezza dell’autotutela esercitata dalla lavoratrice in relazione all’inadempimento datoriale. Afferma che mai controparte aveva formulato eccezioni in ordine all’inosservanza della procedura ex articolo 7 Legge cit. e mai invocato la nullita’ dell’atto espulsivo.
5. Con il quinto motivo deduce, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullita’ della sentenza o del procedimento in relazione all’articolo 112 c.p.c. e alla L. n. 300 del 1970, articolo 18, nel testo all’epoca vigente. Assume l’errore della sentenza impugnata per avere determinato il risarcimento del danno conseguente alla accertata illegittimita’ del licenziamento sulla base della previsione della L. n. 300 del 1970, articolo 18, norma la cui applicazione non era mai stata invocata da controparte.
6. Ragioni di ordine logico impongono l’esame, con carattere di priorita’, in sequenza, del secondo, del terzo e del quarto motivo di ricorso per il carattere dirimente connesso all’eventuale accoglimento degli stessi.
7. Il secondo motivo e’ inammissibile.
7.1. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte il vizio di violazione di norme di diritto consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie normativa astratta e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di una errata ricostruzione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa e’ esterna all’esatta interpretazione della norma ed inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura e’ possibile, in sede di legittimita’, sotto l’aspetto del vizio di motivazione, nei limiti consentiti dall’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo applicabile ratione temporis. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi e’ segnato dal fatto che quest’ultima censura, e non la prima, e’ mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (cfr., Cass. 26/03/2010 n.7394; Cass. 22/02/2007 n. 4178; Cass. Sez. Un. 05/05/2006 n.10313;). E’ stato altresi’ puntualizzato che il motivo con cui si denunzia il vizio della sentenza previsto dall’articolo 360 c.p.c., n. 3, deve essere dedotto a pena di inammissibilita’, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche mediante specifiche e intelligibili argomentazioni intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie, diversamente impedendosi alla Corte di Cassazione di verificare il fondamento della lamentata violazione (v. tra le altre, Cass. 29/11/2016 n. 24298; Cass. 03/08/2007 n. 5353; Cass. 17/05/2006 n. 11501;).
7.2. Parte ricorrente non ha articolato le censure svolte con modalita’ conformi a tali indicazioni in quanto ha omesso, innanzitutto, di individuare le affermazioni in diritto del giudice di appello in contrasto con le norme delle quali denunzia la violazione.
Ne’ dall’esame della sentenza impugnata e’ possibile, comunque, evincere la sussistenza della violazione, denunziata sotto il profilo del superamento dei limiti consentiti del controllo giurisdizionale sul provvedimento di trasferimento; il sindacato del giudice di secondo grado, infatti, ha avuto ad oggetto esclusivamente la verifica dell’effettivita’ delle ragioni poste a base del provvedimento di trasferimento senza estendersi anche a valutazioni attinenti all’opportunita’ della relativa adozione. La sentenza impugnata, pertanto, sotto questo profilo, risulta conforme alla consolidata giurisprudenza di legittimita’ secondo la quale, in tema di verifica della conformita’ al disposto dell’articolo 2103 c.c., del provvedimento di trasferimento, il controllo giudiziale e’ circoscritto all’accertamento del nesso di causalita’ tra il detto provvedimento e le ragioni poste a fondamento della scelta imprenditoriale, senza che sia sindacabile il merito di tale scelta al fine di valutarne l’idoneita’ o inevitabilita’ (v., tra le altre, Cass. 28/07/2003 n. 11597; Cass. 18/11/1998 n. 11634; Cass. 09/06/1993 n. 6408;). Le ulteriori doglianze articolate da parte ricorrente risultano anch’esse inammissibili in quanto – a prescindere dal difetto di formale enunciazione nella rubrica del motivo della denunzia del vizio di motivazione – intese a contestare l’accertamento di fatto sulla effettivita’ delle ragioni poste a base del provvedimento datoriale con modalita’ non conformi all’attuale configurazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5; manca, infatti, la stessa prospettazione che tale accertamento sia frutto dell’omessa considerazione di uno specifico fatto storico, di rilevanza decisiva, oggetto di discussione fra le parti, come invece prescritto (Cass. Sez. Un. 07/04/2014 n. 8053).
8. Parimenti inammissibile il terzo motivo di ricorso in quanto la denunzia del vizio di ultrapetizione, riferita alla statuizione di accertamento della illegittimita’ del licenziamento, non e’ sorretta dalla esposizione della vicenda processuale quale sviluppatasi nelle fasi di merito. E’ stato, infatti, chiarito che ove si deduca la violazione, nel giudizio di merito, dell’articolo 112 c.p.c., riconducibile alla prospettazione di error in procedendo per il quale la Corte di cassazione e’ giudice anche del “fatto processuale”, detto vizio, non essendo rilevabile d’ufficio, comporta pur sempre che il potere-dovere del giudice di legittimita’ di esaminare direttamente gli atti processuali sia condizionato, a pena di inammissibilita’, all’adempimento da parte del ricorrente – per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione che non consente, tra l’altro, il rinvio per relationem agli atti della fase di merito – dell’onere di indicarli compiutamente, non essendo legittimato il suddetto giudice a procedere ad una loro autonoma ricerca, ma solo ad una verifica degli stessi (v. tra le altre, Cass. 04/07/2014 n. 15367; Cass. 14/10/2010 n. 21226, in motivazione; Cass. 19/03/2007 n. 6361). Parte ricorrente si e’ sottratta a tale onere in quanto si e’ limitata a riprodurre alcune espressioni dell’appello avversario le quali, in quanto slegate dal complessivo contesto argomentativo di riferimento, prive, oltretutto, della compiuta esposizione delle doglianze articolate e delle corrispondenti conclusioni formulate nell’atto di gravame, risultano obiettivamente inidonee a consentire la verifica, sulla base del solo ricorso per cassazione, dell’asserita formazione del giudicato, per difetto di impugnazione, in ordine alla legittimita’ del licenziamento.
9. Il quarto motivo di ricorso e’ inammissibile sia perche’ non sorretto dalla esposizione del fatto processuale in termini idonei a dare contezza delle censure articolate sia, soprattutto, perche’ non pertinente alle effettive ragioni del decisum al quale e’ estranea ogni considerazione attinente a pretese violazioni procedurali poste in essere dalla societa’ datrice di lavoro ai sensi della L. n. 300 del 1970, articolo 7.
10. Il primo motivo di ricorso e’ fondato.
10.1. Premette il Collegio che la deduzione formulata a pagina 9 del ricorso per cassazione, secondo la quale l’assunto della nullita’ del trasferimento sarebbe stata formulata dalla (OMISSIS) solo nel giudizio di appello, deve essere ritenuta, in assenza di conforme denunzia nella rubrica del motivo in esame e di considerazioni comunque idonee ad illustrarla, una mera argomentazione difensiva destinata a rafforzare le censure articolate in coerenza con le violazioni formalmente denunziate, ma non a concretare un autonomo motivo di ricorso.
10.2. Cio’ posto si osserva che la questione del rifiuto del dipendente di adempiere al provvedimento datoriale di trasferimento ad altra sede, in quanto ritenuto illegittimo, si inquadra nel piu’ generale tema degli effetti dell’inadempimento di una delle parti del contratto a prestazioni corrispettive nell’alveo del quale e’ riconducibile, ai sensi dell’articolo 2094 c.c., il contratto di lavoro.
10.3. Una parte della giurisprudenza di questa Corte si e’ a riguardo espressa nel senso che il mutamento della sede lavorativa deve essere giustificato da sufficienti ragioni tecniche, organizzative e produttive, in mancanza delle quali e’ configurabile una condotta datoriale illecita, che giustifica la mancata ottemperanza a tale provvedimento da parte del lavoratore, sia in attuazione dell’eccezione di inadempimento di cui all’articolo 1460 c.c., sia sulla base del rilievo che gli atti nulli non producono effetti, non potendosi ritenere che sussista una presunzione di legittimita’ dei provvedimenti aziendali che imponga l’ottemperanza agli stessi fino ad un contrario accertamento in giudizio (Cass. 24/07/2017 n. 18178; Cass. 16/05/2013 n. 11927; Cass. 30/12/2009 n. 27844; Cass. 10/11/2008 n. 26920; Cass. 25/07/2006 n. 16907; Cass.09/03/2004 n. 4771; Cass. 20/12/2002 n. 18209; Cass. 08/02/1999 n. 1074).
10.4. E’ stato peraltro puntualizzato da recenti pronunzie che, in caso di trasferimento non adeguatamente giustificato a norma dell’articolo 2103 c.c., il rifiuto del lavoratore di assumere servizio presso la sede di destinazione deve essere proporzionato all’inadempimento datoriale ai sensi dell’articolo 1460 c.c., comma 2, sicche’ lo stesso deve essere accompagnato da una seria ed effettiva disponibilita’ a prestare servizio presso la sede originaria, configurandosi, altrimenti, l’arbitrarieta’ dell’assenza dal lavoro (Cass. 05/12/2017 n. 29054; Cass. 29/02/2016 n. 3959). In questa linea argomentativa si pone anche Cass. 26/09/2016 n. 18866 laddove, in fattispecie di trasferimento di dipendente presso altra sede, ha ritenuto che l’inadempimento parziale, giudicato di scarsa importanza rispetto alla reazione negativa della lavoratrice, con apprezzamento di fatto esente da rilievi, non poteva giustificare il rifiuto aprioristico e senza un eventuale avallo giudiziario (conseguibile anche in via d’urgenza), di eseguire la prestazione lavorativa richiesta, in quanto il lavoratore e’ tenuto ad osservare le disposizioni impartite dall’imprenditore, ex articoli 2086 e 2104 c.c. e puo’ legittimamente invocare l’eccezione di inadempimento, ex articolo 1460 c.c., solo in caso di totale inadempimento dell’altra parte.
10.5. Ritiene il Collegio che la esigenza di ricondurre ad un discorso sistematico ed unitario le affermazioni che si leggono nella giurisprudenza di legittimita’ sul tema del rifiuto del lavoratore di prendere servizio presso la sede di destinazione, allegando la illegittimita’ del provvedimento datoriale di trasferimento, imponga di muovere dalla pacifica configurazione del rapporto di lavoro subordinato quale rapporto a prestazioni corrispettive, connotato dalla previsione di una serie articolata di obblighi a carico di entrambe le parti, i quali si affiancano alle obbligazioni principali scaturenti dal contratto di lavoro, rappresentate, per il lavoratore, dalla prestazione lavorativa e, per il datore di lavoro, dal pagamento della retribuzione (in tema di obblighi ulteriori delle parti, in via esemplificativa, e’ sufficiente ricordare, quanto al datore di lavoro, l’obbligo di protezione ex articolo 2087 c.c. e, quanto al lavoratore, l’obbligo di fedelta’ ex articolo 2105 c.c.). Ulteriore peculiarita’ del rapporto di lavoro, non direttamente’discendente dalla natura corrispettiva delle obbligazioni reciproche ma comunque destinata ad influenzare la verifica del sinallagma contrattuale, e’ costituita dal diretto coinvolgimento, nella esecuzione del contratto, della persona del lavoratore, con conseguente potenziale ricaduta dei provvedimenti datoriali su aspetti non meramente patrimoniali ma connessi a fondamentali esigenze di vita del prestatore di lavoro, oggetto di protezione, anche costituzionale, da parte dell’ordinamento.
10.6. La giurisprudenza di questa Corte, con riguardo ai rapporti sinallagmatici o di scambio, ha precisato che il principio di corrispettivita’ non richiede – al di fuori dei limiti posti da disposizioni legali o collettive, e segnatamente, nel caso di rapporto di lavoro subordinato, dall’articolo 36 Cost. – che ad ogni singola prestazione o modalita’ della prestazione di una parte corrisponda una distinta controprestazione o comunque una qualche forma di remunerazione, bensi’ opera, ove la legge o l’autonomia privata non dispongano diversamente, tra gli insiemi di obblighi assunti da ciascuna delle parti, assicurando nel suo complesso l’equilibrio contrattuale, salva la possibile diversa rilevanza delle singole prestazioni a specifici effetti (Cass. 08/11/1997 n. 11003).
10.7. In coerenza con tale indicazione e’ stato ritenuto che il giudice, ove venga proposta dalla parte l’eccezione inadimplenti non est adimplendum – alla quale e’ riconducibile il rifiuto del lavoratore di rendere la prestazione fondata sulla allegazione dell’inadempimento, anche parziale, del datore di lavoro – deve procedere ad una valutazione comparativa degli opposti inadempimenti avuto riguardo anche alla loro proporzionalita’ rispetto alla funzione economico-sociale del contratto e alla loro rispettiva incidenza sull’equilibrio sinallagmatico, sulle posizioni delle parti e sugli interessi delle stesse; pertanto, qualora rilevi che l’inadempimento della parte nei cui confronti e’ opposta l’eccezione non e’ grave ovvero ha scarsa importanza, in relazione all’interesse dell’altra parte a norma dell’articolo 1455 c.c., deve ritenersi che il rifiuto di quest’ultima di adempiere la propria obbligazione non sia di buona fede e quindi non sia giustificato ai sensi dell’articolo 1460 c.c., comma 2 (v., tra le altre, Cass. 29/02/2016 n. 3959; Cass. 16/05/2006 n. 11430; Cass. 03/07/2000 n. 8880;). In altri termini, secondo quanto anche ritenuto da dottrina consolidata, con il richiamo alla non contrarieta’ alla buona fede, dell’articolo 1460 c.c., comma 2, intende fondamentalmente esprimere il principio per cui ci deve essere equivalenza tra l’inadempimento altrui e il rifiuto a rendere la propria prestazione il quale, deve essere successivo e causalmente giustificato dall’inadempimento della controparte. Il parametro della non contrarieta’ alla buona fede del rifiuto ad adempiere va riscontrato in termini oggettivi, a prescindere dall’animus dell’autore del rifiuto, e costituisce espressione del principio di buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto sancito dall’articolo 1375 c.c. (v. tra le altre, Cass. 04/02/2009 n. 2720; Cass. 10/11/2003 n. 16822; Cass. 21/02/1983 n. 1308;)
10.8. Da quanto ora osservato consegue, innanzitutto, che il trasferimento contra legem ad altra sede lavorativa disposto dal datore di lavoro, e cioe’ in assenza di comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive, non giustifica in via automatica il rifiuto del lavoratore all’osservanza del provvedimento e quindi la sospensione della prestazione lavorativa.
10.9. Sotto diverso profilo e’ da escludere la necessita’ che il rifiuto del lavoratore, per risultare legittimo, debba essere sempre preventivamente avallato in via giudiziale per il tramite eventualmente dell’attivazione di una procedura in via di urgenza ai sensi dell’articolo 700 c.p.c., in quanto cio’ significherebbe porre a carico del lavoratore un onere di entita’ non indifferente, in difetto di specifica previsione normativa che lo supporti.
10.10. L’inottemperanza del lavoratore al provvedimento di trasferimento illegittimo dovra’, quindi, essere valutata, sotto il profilo sanzionatorio, alla luce del disposto dell’articolo 1460 c.c., comma 2, secondo il quale, nei contratti a prestazioni corrispettive, la parte non inadempiente non puo’ rifiutare l’esecuzione se, avuto riguardo alle circostanze, il rifiuto e’ contrario alla buona fede. La relativa verifica, in coerenza con le richiamate caratteristiche del rapporto di lavoro, dovra’ essere condotta sulla base delle concrete circostanze che connotano la specifica fattispecie nell’ambito delle quali si potra’ tenere conto, in via esemplificativa e non esaustiva, della entita’ dell’inadempimento datoriale in relazione al complessivo assetto di interessi regolato dal contratto, della concreta incidenza del detto inadempimento datoriale su fondamentali esigenze di vita e familiari del lavoratore, della puntuale, formale esplicitazione delle ragioni tecniche, organizzative e produttive alla base del provvedimento di trasferimento, della incidenza del comportamento del lavoratore sulla organizzazione datoriale e piu’ in generale sulla realizzazione degli interessi aziendali, elementi questi che dovranno essere considerati nell’ottica del bilanciamento degli opposti interessi in gioco anche alla luce dei parametri costituzionali di cui agli articoli 35, 36 e 41 Cost..
10.11. Tale verifica e’ rimessa all’esame del giudice di merito ed e’ incensurabile in cassazione se la relativa motivazione risulti immune da vizi logici o giuridici (Cass. 23/03/2012 n. 4709; Cass. 26/07/2002 n. 11118).
10.12. Ne’ la necessita’ di accertamento della non contrarieta’ a buona fede dell’inottemperanza del lavoratore al provvedimento di trasferimento, scaturente dal disposto dell’articolo 1460 c.c., comma 2, puo’ essere elisa assumendo che la nullita’ del provvedimento datoriale, per violazione dell’articolo 2103 c.c., renderebbe tale provvedimento privo di effetti si’ che dallo stesso non potrebbe sorgere alcun obbligo di esecuzione a carico del lavoratore il quale, per questo solo fatto, dovrebbe ritenersi esonerato dal rendere la propria prestazione. Tale assunto e’ frutto, infatti, di una visione parcellizzata ed atomistica degli obblighi scaturenti dal rapporto di lavoro in quanto pretermette del tutto la necessaria considerazione del sinallagma esistente tra i reciproci, complessivi obblighi delle parti. In questa prospettiva, il provvedimento datoriale affetto da nullita’, per violazione dell’articolo 2103 c.c., deve essere ricondotto all’ambito dell’inadempimento parziale per il quale valgono i principi ora affermati in tema di necessita’ di verifica, ai sensi dell’articolo 1460 c.c., della non contrarieta’ alla buona fede del rifiuto del lavoratore di rendere la propria prestazione.
11. Da quanto osservato deriva che la sentenza impugnata e’ incorsa in errore di diritto avendo il giudice di appello mostrato di collegare la legittimita’ del rifiuto della lavoratrice a rendere la prestazione presso la sede di (OMISSIS) al solo dato della adozione da parte della societa’ del provvedimento di trasferimento in violazione dell’articolo 2103 c.c., omettendo di accertare se tale rifiuto risultava contrario o meno alla buona fede avuto riguardo alle concrete circostanze del caso.
12. Si impone, pertanto, l’accoglimento del primo motivo, assorbito il quinto, e la cassazione della sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione. Nel riesame della fattispecie il giudice del rinvio si atterra’ al seguente principio:
“In tema di provvedimento di trasferimento adottato in violazione dell’articolo 2103 c.c., l’inadempimento datoriale non legittima in via automatica il rifiuto del lavoratore ad eseguire la prestazione lavorativa in quanto, vertendosi in ipotesi di contratto a prestazioni corrispettive, trova applicazione il disposto dell’articolo 1460 c.c., comma 2, alla stregua del quale la parte adempiente puo’ rifiutarsi di eseguire la prestazione a proprio carico solo ove tale rifiuto, avuto riguardo alle circostanze concrete, non risulti contrario alla buona fede”.
13. Al giudice del rinvio e’ demandato il regolamento delle spese del giudizio di legittimita’.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibili il secondo, il terzo e il quarto motivo e accoglie il primo, assorbito il quinto; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, alla quale demanda il regolamento delle spese del giudizio di legittimita’.
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