Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 11 maggio 2018, n. 2837.
È illegittimo l’ordine di rimessione in pristino dello stato dei luoghi che erano stati alterati da un abuso edilizio – effettuato 54 anni prima dall’accertamento – che riguardava la variazione della sagoma con innalzamento del fabbricato di circa mezzo metro.
Sentenza 11 maggio 2018, n. 2837
Data udienza 15 marzo 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3082 del 2013, proposto da:
Comune di Bologna, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. St. Ri., Gi. Ca., con domicilio eletto presso lo studio Gi. St. Ri. in Roma, via (…);
contro
Condominio di viale (omissis), in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Ru., Do. Fa., con domicilio eletto presso lo studio Gi. Ru. in Roma, viale (…);
per la riforma
della sentenza del T.A.R. EMILIA-ROMAGNA – BOLOGNA (SEZIONE I) n. 00691/2012, resa tra le parti, concernente rimessione in pristino stato dei luoghi
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Condominio di viale (omissis);
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 15 marzo 2018 il Cons. Francesco Mele e uditi, per le parti, gli avvocati St. Ri. e Ru.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con sentenza n. 691 /2012 del 19-11-2012 il Tribunale Amministrativo Regionale per L’Emilia Romagna (Sezione Prima) accoglieva il ricorso proposto dal Condominio Viale (omissis), inteso ad ottenere l’annullamento dell’ordinanza di rimessione in pristino pg. n. 38698/2011 del 17-2-2011, adottata in relazione a rilevate difformità dal titolo edilizio a suo tempo rilasciato e consistenti in: a) Variazione della sagoma volumetrica dell’intero stabile mediante innalzamento del fabbricato di circa mt. 0,53; b) Ampliamento di superficie in pianta dello stabile.
La pronuncia rilevava che l’abuso contestato, consistente in una sopraelevazione di cm. 53 rispetto al remoto titolo edilizio, era stato realizzato nel 1956 ed era stato accertato 54 anni dopo, evidenziando che i modesti incrementi di superficie e di volumetria che si erano determinati nei singoli appartamenti erano stati sanati dai singoli proprietari, onde non residuava alcuna superficie utile nelle proprietà individuali.
Evidenziava, pertanto, la sostanziale assenza di pregiudizio effettivo per l’interesse pubblico alla base dell’esercizio del potere amministrativo e del controllo sull’uso del territorio.
Riteneva, pertanto, fondata la censura dedotta dal ricorrente di carenza di pubblico interesse, sotto il profilo della mancanza di motivazione in proposito.
Avverso la sentenza di primo grado il Comune di Bologna ha proposto appello, deducendone l’erroneità e chiedendone l’integrale riforma, con conseguente rigetto del ricorso di primo grado.
Ha in proposito dedotto: 1) Errata e falsa applicazione dell’articolo 34 del DPR n. 380 del 2001 e dei principi in materia di potere sanzionatorio edilizio; 2) Erroneità per falso presupposto di fatto – violazione ed errata applicazione della normativa edilizia – motivazione contraddittoria e perplessa.
Si è costituito in giudizio il Condominio intimato, deducendo l’infondatezza dell’appello e chiedendone il rigetto.
In corso di giudizio, le parti hanno presentato memorie illustrative e di replica.
La causa è stata discussa e trattenuta per la decisione all’udienza del 15 marzo 2018.
DIRITTO
Con il primo motivo il Comune di Bologna lamenta: Errata e falsa applicazione dell’articolo 34 del DPR n. 380 del 2001 e dei principi in materia di potere sanzionatorio edilizio.
Censura la gravata sentenza nella arte in cui il Tribunale, ritenendo la peculiarità della fattispecie, caratterizzata da un abuso “realizzato dal costruttore 54 anni prima dall’accertamento dello stesso” e consistente in una “modestissima sopraelevazione dell’edificio…..caratterizzato dall’assenza di incremento di superficie utile sui singoli appartamenti, a seguito della sanatoria ad opera dei proprietari, in un periodo storico in cui qualche piccolo scostamento dal titolo edilizio in sede di realizzazione poteva dirsi fisiologico”, ha affermato la fondatezza della censura dedotta dal ricorrente di carenza di pubblico interesse al ripristino.
Lamenta che, in tal modo, il Tribunale ha di fatto attribuito decisivo rilievo all’affidamento insorto nel Condominio per il mero decorso del tempo, in contrasto con il consolidato principio secondo il quale il potere di irrogare sanzioni in materia edilizia non necessita di specifica motivazione in ordine all’interesse pubblico alla irrogazione della sanzione, non essendo configurabile alcun legittimo affidamento del privato a vedere conservata una situazione di fatto che rimane contra ius e che il tempo non può mai legittimare.
Inoltre, il giudice di prime cure non avrebbe considerato che ciò che rileva, al fine di ritenere necessaria una congrua motivazione in proposito, è il momento in cui l’Amministrazione ha preso piena contezza dell’abuso medesimo, non potendosi imputare a questa il mancato esercizio del potere sanzionatorio rispetto ad un illecito di cui ignorava l’esistenza. Invero, l’ente ha scoperto l’abuso solo con l’accertamento effettuato in data 25-2-2010, emanando il provvedimento ad un solo anno di distanza.
Aggiunge che, a seguito dell’accertamento dell’abuso, si presentava come doverosa l’applicazione dell’articolo 34 del DPR n. 380/2201 con la conseguente irrogazione della sanzione demolitoria, rilevando la possibilità di sostituire quest’ultima con la sanzione pecuniaria solo in un momento successivo.
Evidenzia, poi, che non può parlarsi di affidamento, atteso che i proprietari dei singoli appartamenti hanno provveduto al pagamento della sanzione pecuniaria in relazione agli aumenti di superficie realizzati nelle singole unità immobiliari.
Con il secondo motivo di appello il Comune di Bologna lamenta: Erroneità per falso presupposto di fatto – violazione ed errata applicazione della normativa edilizia -motivazione contraddittoria e perplessa.
L’ente censura la gravata sentenza nella parte in cui ha rilevato che l’abuso “consiste in una modestissima sopraelevazione di cm. 53 rispetto al remoto titolo edilizio”, in tal modo errando sull’entità dell’abuso, il quale deve essere parametrato alle dimensioni perimetrali dell’edificio (mt. 19,50 per 27,80), onde lo stesso non può in alcun modo essere considerato di lieve consistenza.
Risulterebbe, inoltre, erronea la considerazione che l’abuso non riguardi superficie utile (essendovi stata, in relazione alla medesima, sanatoria da parte dei singoli proprietari), in tal modo ritenendo che non avrebbero incidenza gli incrementi di superficie accessoria.
Il Tribunale avrebbe, in tal modo, obliterato la circostanza che risultano rilevanti anche le difformità rispetto al parametro volumetrico, le quali hanno in concreto determinato l’aumento della capacità edificatoria presente sul lotto.
Difatti, la maggiore altezza interna del sottotetto faciliterebbe la creazione di nuova superficie utile, risultando realizzabile la conversione di superficie accessoria (SA) in superficie utile (SU).
I motivi di appello, che possono essere congiuntamente esaminati, sono infondati.
E tanto per le considerazioni che di seguito si svolgono.
E’ ben vero che l’Adunanza Plenaria di questo Consiglio, con la sentenza n. 9 del 17-10-2017 ha affermato il principio di diritto secondo il quale ” il provvedimento con il quale viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso…”.
Tanto è stato statuito nella considerazione che non sarebbe in alcun modo concepibile l’idea stessa di riconnettere al decorso del tempo ed all’inerzia dell’Amministrazione la sostanziale perdita del potere di contrastare il grave fenomeno dell’abusivismo edilizio, ovvero di legittimare in qualche misura l’edificazione avvenuta senza titolo, non emergendo oltretutto alcuna possibile giustificazione normativa a una siffatta – e inammissibile – forma di sanatoria automatica o praeter legem.
Invero, non potendo il decorso del tempo incidere sull’ineludibile doverosità degli atti volti a perseguire l’illecito attraverso l’adozione della relativa sanzione, deve conseguentemente essere escluso che l’ordinanza di demolizione di immobile abusivo (pur se tardivamente adottata) debba essere motivata sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale al ripristino della legalità.
Tanto premesso, ritiene, peraltro, la Sezione che l’applicazione alla fattispecie concreta oggetto di causa dei richiamati principi non conduce alla riforma della sentenza gravata.
Va, invero, considerato che da una attenta lettura della sentenza del Tribunale Amministrativo emerge che l’accoglimento del ricorso non è stato determinato in relazione all’avvenuto formarsi di un affidamento in capo al Condominio a cagione del tardivo esercizio del potere sanzionatorio da parte del Comune.
Ed, invero, ad un tale affidamento, in quanto giustificativo di un rafforzato obbligo motivazionale nella specie mancante, mai si opera riferimento nella motivazione della prefata decisione.
Essa piuttosto fonda la determinazione di accoglimento, al di là del rilevato difetto di motivazione, su di un dato sostanziale, consistente, in relazione alla peculiarità della fattispecie ed alle attività poste in essere dai singoli condomini, nella assenza di un pregiudizio effettivo per l’interesse pubblico alla base dell’esercizio del potere amministrativo e del controllo urbanistico del territorio.
Tanto risulta chiaramente evincibile dal contenuto motivazionale del provvedimento.
In esso, invero, si legge: “6. Tuttavia, l’applicazione di detto principio generale non può prescindere dall’analisi del caso concreto e dalle peculiarità che lo caratterizzano e dalla sostanziale assenza di un pregiudizio effettivo per l’interesse pubblico alla base dell’esercizio delpotere amministrativo del controllo sull’uso del territorio. Infatti, nel caso concreto l’abuso realizzato dal costruttore 54 anni prima dell’accertamento dello stesso è caratterizzato dall’assenza di incremento di superficie utile sui singoli appartamenti, a seguito della sanatoria ad opera dei proprietari, in un periodo storico in cui qualche piccolo scostamento dal titolo edilizio in sede di realizzazione degli interventi poteva ritenersi fisiologico”.
Tali affermazioni si riconnettono ai rilievi in precedenza effettuati in sentenza, laddove si evidenzia che “l’abuso contestato ….consiste in una modestissima sopraelevazione di cm. 53 rispetto al remoto titolo edilizio”, evidenziandosi che “i modesti incrementi di superficie e di volumetria che si sono determinati nei singoli appartamenti sono stati sanati dai singoli proprietari per cui non residua alcuna superficie utile nelle proprietà individuali”.
Da quanto sopra emerge, dunque, che la decisione del Tribunale Amministrativo è stata fondata sulla sostanziale assenza di un pregiudizio all’interesse pubblico urbanistico e, pertanto, sul dato sostanziale di una mancanza di “offensività” per l’interesse pubblico tutelato, anche in relazione alla “sanatoria” posta in essere dai singoli condomini per le proprietà individuali.
In tal modo ciò che viene a mancare è proprio l’esistenza di un abuso rilevante, tale da giustificare l’irrogazione della sanzione edilizia.
Orbene, la Sezione condivide la statuizione del giudice di primo grado circa la sostanziale assenza di un abuso sanzionabile per la mancanza di pregiudizio all’interesse pubblico urbanistico.
Ed, invero, tanto discende in primo luogo dalla circostanza che la sopraelevazione del fabbricato rispetto alla originaria previsione del titolo edilizio si palesa effettivamente modesta.
Trattasi, invero, di 53 cm., misura che va considerata non in assoluto ma in relazione alla differenza di altezza alla quale essa ha condotto, passandosi da mt. 16,50 a mt. 17,03.
L’esiguità di tale modificazione non muta avendo riguardo alle dimensioni dell’intero fabbricato, atteso che la stessa ha finito per interessare, per come emerge dal secondo motivo di appello, una “maggiore altezza interna del sottotetto” e, dunque, una superficie non utile e rilevandosi comunque l’avvenuta regolarizzazione degli incrementi riconducibili ai singoli appartamenti.
Trattasi, in relazione all’altezza originariamente autorizzata, di incremento davvero di scarsa consistenza, pari a circa il 3%, come tale neppure visivamente di facile ed agevole percezione.
A tanto va aggiunto che gli incrementi prodottisi, in conseguenza delle contestate difformità, nei singoli appartamenti risultano essere stati sanati dai proprietari delle unità immobiliari, onde le difformità rilevate nell’ambito condominiale perdono ulteriormente di offensività per l’interesse pubblico tutelato, in quanto l’ampliamento del fabbricato si è riverberato sull’ampliamento della superficie delle singole unità immobiliari, sostanzialmente coincidendo con esso, il quale è stato oggetto di sanatoria mediante il pagamento della sanzione prevista dall’articolo 34 del T.U.Edilizia.
Per tale aspetto, dunque, la sanzione relativa alle riscontrate difformità e la richiesta, a seguito di applicazione del disposto del richiamato articolo 34, di un’ulteriore somma di denaro, verrebbe a tradursi, a seguito dell’avvenuta regolarizzazione da parte dei singoli condomini, in una inammissibile duplicazione dei costi in relazione ad una abuso che risulta essere sostanzialmente lo stesso e, come tale, sanato.
Invero, la sentenza evidenzia che “i modesti incrementi di superficie e di volumetria che si sono determinati nei singoli appartamenti sono stati “sanati” dai singoli proprietari”.
Né, per giungere a diversa conclusione, possono rilevare l’argomentazione dedotta dal Comune secondo cui l’incremento volumetrico ha di fatto aumentato la capacità edificatoria del lotto, ammettendo l’articolo 62 del R.U.E. “la sostituzione di interi edifici esistenti all’interno del lotto, a parità di volume”, nonché quella in base alla quale, a seguito dell’incremento dell’altezza interna del sottotetto, sarebbe possibile la creazione di nuove superfici utili, potendosi effettuare la conversione della superficie accessoria in superficie utile.
Quanto alla prima osservazione, in disparte la considerazione che la pronuncia richiama la regolarizzazione operata dai singoli proprietari con riferimento agli incrementi di superficie e volumetria, basta rilevare che la sostituzione riguarderebbe pur sempre un volume relativo ad una superficie accessoria, come tale comunque caratterizzata dalla medesima mancanza di offensività originaria per l’interesse urbanistico tutelato.
Quanto alla seconda, rileva il Collegio che la stessa non appare dirimente, atteso che si riferisce non alla situazione attuale della difformità così come accertata e sanzionata, ma ad una mera potenzialità di carattere eventuale, cioè ad una futura modificabilità della natura della superficie interessata, la quale deve necessariamente passare attraverso la verifica del rispetto dei parametri urbanistici all’uopo necessari, i quali presumibilmente non risultano sussistenti avuto riguardo alla superficie di terreno disponibile ed all’entità e natura della edificazione originariamente assentita.
Sulla base delle considerazioni tutte sopra svolte, pertanto, l’appello deve essere respinto in quanto infondato, con conseguente conferma della gravata sentenza.
Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, sez. II, 22marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
La novità delle questioni affrontate e la peculiarità della vicenda giustificano l’integrale compensazione tra le parti delle spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Spese del grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 marzo 2018 con l’intervento dei magistrati:
Luciano Barra Caracciolo – Presidente
Bernhard Lageder – Consigliere
Francesco Mele – Consigliere, Estensore
Oreste Mario Caputo – Consigliere
Francesco Gambato Spisani – Consigliere
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