Corte di Cassazione, sezione quinta penale, sentenza 4 maggio 2018, n. 19352.
L’omessa tenuta della contabilita’, una volta intervenuta la sentenza dichiarativa di fallimento, e’ penalmente sanzionata per la mera possibilita’ di lesione dell’interesse protetto dalla disposizione incriminatrice ed e’ irrilevante la mancanza di un effettivo pregiudizio economico per i creditori o di una reale difficolta’ nella ricostruzione del patrimonio dell’ente fallito.
La mancata o irregolare tenuta dei libri e delle scritture contabili non deve ricomprendere l’intero periodo di tre anni precedenti la dichiarazione di fallimento, ma il reato sussiste anche se il comportamento sia stato tenuto, in tale periodo, per un arco temporale inferiore ai tre anni; infatti la possibilita’ di ricostruzione contabile del patrimonio del fallito e’ attivita’ ricognitiva, che presuppone non solo che le scritture contabili siano tenute correttamente ma che siano tenute con regolarita’ e completezza, cioe’ senza omissioni o lacune, in modo da rispecchiare fedelmente ed in modo continuativo la dinamica contabile ed aziendale nell’arco di tempo preso in considerazione dalla norma incriminatrice.
Sentenza 4 maggio 2018, n. 19352
Data udienza 18 dicembre 2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VESSICHELLI Maria – Presidente
Dott. DE GREGORIO Eduardo – rel. Consigliere
Dott. CATENA Rossella – Consigliere
Dott. MICCOLI Grazia – Consigliere
Dott. SETTEMBRE Antonio – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 09/05/2017 della CORTE APPELLO di MILANO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere EDUARDO DE GREGORIO;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore PERLA LORI;
Il Proc. Gen. conclude per il rigetto.
Udito il difensore (OMISSIS), insiste per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata la Corte d’Appello di Milano ha confermato la decisione di primo grado nei confronti del ricorrente, amministratore unico della societa’ (OMISSIS) srl, per il reato di bancarotta semplice documentale ex articolo 217, comma 2, Legge Fall. Fallimento dichiarato con sentenza del Tribunale di Milano di Luglio 2010.
1.Avverso la decisione ha proposto ricorso la difesa, lamentando col primo motivo violazione ed erronea applicazione dell’articolo 217 legge fall., poiche’ la Corte avrebbe giudicato integrato il reato nonostante il breve periodo in cui vi era stata l’omissione della contabilita’.
1.1 Col secondo motivo il ricorso ha censurato la violazione dell’articolo 522 c.p.p., poiche’ il capo di imputazione aveva descritto una condotta di bancarotta fraudolenta documentale e la Corte territoriale aveva respinto l’eccezione di nullita’ per difetto di contestazione, osservando che all’imputato non ne era derivato danno e che anche qualora la contestazione fosse stata di bancarotta fraudolenta il Giudice avrebbe potuto derubricare il fatto nel delitto meno grave.
1.2 Tramite il terzo motivo e’ stata lamentata l’errata applicazione dell’articolo 131 bis c.p., in quanto la Corte territoriale aveva negato la causa di non punibilita’, ignorando l’esiguita’ del danno e le modalita’ non gravi della condotta.
All’odierna udienza il PG, drssa Perla Lori ed il difensore dell’imputato hanno concluso come in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso e’ inammissibile.
1.La doglianza riguardante la presunta inoffensivita’ della condotta, avuto riguardo alla sua breve durata, non si discosta da una generica richiesta di valutazione alternativa della decisione adottata dai Giudici della fase di merito e, pertanto, e’ inammissibile.
1.1 Occorre in ogni caso osservare che questa Corte ha affermato costantemente e da gran tempo la natura di reato di pericolo presunto del delitto di bancarotta semplice documentale, che, mirando ad evitare che sussistano ostacoli alla attivita’ di ricostruzione del patrimonio aziendale, persegue la finalita’ di consentire ai creditori l’esatta conoscenza della consistenza patrimoniale sulla quale possano soddisfarsi. La fattispecie incriminatrice – consistendo nel mero inadempimento di un precetto formale, cioe’ il comportamento imposto all’imprenditore dall’articolo 2214 cod. civ. – integra un reato di mera condotta, che si realizza anche quando non si verifichi, in concreto, danno per i creditori. Pertanto l’omessa tenuta della contabilita’, una volta intervenuta la sentenza dichiarativa di fallimento, e’ penalmente sanzionata per la mera possibilita’ di lesione dell’interesse protetto dalla disposizione incriminatrice ed e’ irrilevante la mancanza di un effettivo pregiudizio economico per i creditori o di una reale difficolta’ nella ricostruzione del patrimonio dell’ente fallito. Sez. 5, Sentenza n. 20911 de/ 19/04/2011 Ud. (dep. 25/05/2011)Rv. 250407; Sez. 5 n.4727 del 15/03/2000.
1.2 Con riguardo alla fattispecie concreta deve, altresi’, considerarsi che – diversamente da quanto implicitamente presupposto dal ricorrente – la mancata o irregolare tenuta dei libri e delle scritture contabili non deve ricomprendere l’intero periodo di tre anni precedenti la dichiarazione di fallimento, ma il reato sussiste anche se il comportamento sia stato tenuto, in tale periodo, per un arco temporale inferiore ai tre anni; infatti la possibilita’ di ricostruzione contabile del patrimonio del fallito e’ attivita’ ricognitiva, che presuppone non solo che le scritture contabili siano tenute correttamente ma che siano tenute con regolarita’ e completezza, cioe’ senza omissioni o lacune, in modo da rispecchiare fedelmente ed in modo continuativo la dinamica contabile ed aziendale nell’arco di tempo preso in considerazione dalla norma incriminatrice. (Sez. 5 n. 8932 del 8.8.2000).
1.3 Applicando tali principi al caso in esame, va constatato che dalla sentenza impugnata si ricava che il curatore, proprio a causa delle carenze della documentazione riscontrate, ha affermato di non essere stato in grado di ricostruire ne’ l’entita’ dei crediti societari, ne’ gli esiti delle attivita’ annotate in bilancio ed i Giudici ne hanno logicamente ricavato la conclusione che la lacunosita’ documentale accertata avrebbe potuto essere idonea a celare la destinazione extrasocietaria delle attivita’ dell’impresa.
2.Inammissibile risulta anche il secondo motivo di ricorso, in quanto, come affermato dalla giurisprudenza costante di questa Corte, sussiste la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza solo nell’ipotesi in cui tra il fatto contestato e quello dedotto in sentenza sussista una incompatibilita’ sostanziale, per essersi realizzato un mutamento radicale dei contenuti essenziali del fatto addebitato. L’imputato si deve trovare, cioe’, sorpreso dinanzi ad un fatto nuovo senza aver avuto la possibilita’ di esercitare effettivamente il proprio diritto di difesa. (Sez. 5 n.42754 del 26/05/2017).
2.1 Tale radicale mutamento non e’ ravvisabile nella fattispecie in esame, poiche’, come correttamente affermato dai Giudici del merito, il mutamento dell’originaria imputazione di bancarotta fraudolenta documentale non ha arrecato alcun pregiudizio alla difesa dell’imputato, non modificando i caratteri essenziali del fatto addebitato; la difesa, infatti, avrebbe ben potuto confrontarsi con il meno grave reato ritenuto in sentenza, come epilogo possibile e non imprevedibile del giudizio. Sez. 5, Sentenza n. 33878 del 03/05/2017 Ud. (dep. 11/07/2017) Rv. 271607.
3. Il terzo motivo di ricorso e’ inammissibile.
La Corte di merito ha plausibilmente giustificato la non applicabilita’ della causa di non punibilita’ ex articolo 131 bis c.p., per la gravita’ della condotta posta in essere dall’imputato, che non
ha permesso la ricostruzione della situazione patrimoniale e del movimento degli affari della societa’. La carenza documentale, relativa quantomeno all’anno e mezzo precedente al fallimento, e’ stata esplicitamente definita grave ed avrebbe potuto, secondo la congrua argomentazione della Corte milanese, costituire un mezzo per celare la possibile destinazione extrasocietaria del patrimonio aziendale.
Alla luce delle considerazioni e dei principi che precedono il ricorso deve essere dichiarato inammissibile ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali ed al versamento di Euro duemila in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di Euro duemila in favore della cassa delle ammende.
Motivazione semplificata.
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