Corte di Cassazione, sezione terza civile, ordinanza 20 aprile 2018, n. 9826.
La polizza fideiussoria di cui all’articolo 38 bis, Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, costituisce un contratto autonomo di garanzia la cui durata e’ si’ normalmente collegata ai tempi di accertamento fiscali, ma qualora una norma di legge, sopravvenuta rispetto alla data di stipulazione del contratto, proroghi i termini per il medesimo accertamento in favore dell’amministrazione finanziaria, tale proroga non si riflette automaticamente sulla durata della suddetta garanzia, a meno che non risulti una diversa previsione.
Ordinanza 20 aprile 2018, n. 9826
Data udienza 31 gennaio 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIVALDI Roberta – Presidente
Dott. SESTINI Danilo – Consigliere
Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere
Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere
Dott. PORRECA Paolo – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 21808-2015 proposto da:
(OMISSIS) SA, in persona del suo preposto e legale rappresentante in Italia (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS) in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui e’ difesa per legge;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 485/2014 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI, depositata il 23/07/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 31/01/2018 dal Consigliere Dott. PAOLO PORRECA.
FATTI DI CAUSA
La (OMISSIS) conveniva in giudizio l’Agenzia delle Entrate di Cagliari esponendo di aver emesso, nell’interesse di (OMISSIS) s.r.l. e in favore dell’amministrazione erariale, una polizza fideiussoria a prima richiesta per garantire le somme percepite dalla garantita a titolo di rimborso di eccedenza IVA, per l’anno d’imposta 2001, a norma del Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, articolo 38 bis. Deduceva che aveva corrisposto la somma richiesta dall’Agenzia, per evitare di esporsi a ulteriori provvedimenti pregiudizievoli da parte dell’amministrazione erariale, fermo il diritto alla ripetizione dell’indebito che cosi’ avanzava in ragione dell’intervenuta scadenza della garanzia, al momento della sua escussione, quale esplicitamente fissata dall’articolo 2 del relativo contratto.
L’Agenzia delle entrate si costituiva controdeducendo che il termine indicato nel contratto doveva essere letto in relazione ai tempi fissati dalla legge per l’accertamento, da parte dell’amministrazione, della correttezza del rimborso dell’IVA, a garanzia della quale la polizza era stata prevista dalla legge e stipulata dalle parti. Tale termine era stato prorogato di due anni dalla L. 27 dicembre 2002, n. 289, articolo 10, per i contribuenti che non si fossero avvalsi del c.d. condono tributario ivi regolato, sicche’ ne derivava pari proroga della durata della garanzia, pertanto non scaduta al momento dell’escussione.
Il tribunale di Cagliari, ritenendo dirimente il dato esplicito fatto proprio dal contratto su cui non potevano riverberarsi regolazioni del diverso seppur connesso rapporto tra fisco e contribuente, accoglieva la domanda attorea condannando l’amministrazione convenuta alla restituzione di quanto erogato.
La corte di appello della stessa citta’ riformava la decisione in forza di una lettura del testo contrattuale quale ricostruito alla luce della funzione prevista dalla normativa primaria cui il negozio dava seguito, ossia quella di garantire l’amministrazione per il tempo a essa assegnato dalla legge per l’accertamento della fondatezza del rimborso IVA ottenuto, a condizione, appunto, dell’emissione della garanzia, salvo successivo controllo.
Avverso questa decisione ricorre per cassazione la (OMISSIS) s.a., affidandosi a sei motivi.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
La ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso si prospetta la violazione e falsa applicazione degli articoli 1362, 1363, 1366, 1367, 1368, 1369, 1370 e 1371 c.c., poiche’ la corte di appello avrebbe violato i canoni di ermeneutica negoziale assumendo quale postulato che il contratto doveva in ogni caso soddisfare il massimo interesse del beneficiario pubblico. In tal modo sarebbero state immutate le esplicite previsioni degli articoli 1 e 2 delle condizioni di polizza in uno alle premesse alla stessa, attuative del disposto del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 38 bis, e conformi al decreto dirigenziale di approvazione del modello contrattuale, nonche’ alla successiva circolare del Ministero dell’economia e delle finanze cui lo schema di testo della polizza risultava allegato. Sarebbe stato altresi’ violato il parametro ermeneutico della buona fede contrattuale, che non poteva che coincidere con il senso proprio e inequivoco delle espressioni utilizzate. Solo le espressioni ambigue, suscettibili di avere piu’ significati avrebbero potuto permettere interpretazioni differenti dalla lettera del patto, che sanciva una specifica e superata data di efficacia della garanzia. Inoltre, la societa’ deducente sarebbe stata la parte che aveva subito la predisposizione delle clausole, come reso evidente dagli atti amministrativi citati, sicche’ nel dubbio esse avrebbero dovuto essere interpretate nel senso piu’ favorevole ad essa, e non, come avvenuto, in senso contrario. L’interpretazione fatta propria dalla corte di appello, in tal modo, non avrebbe contemperato gli interessi delle parti leggendo invece i patti contrattuali in funzione di quelli di una sola di esse.
Con il secondo motivo di ricorso si prospetta la violazione degli articoli 1362 c.c. e segg., con particolare riferimento all’articolo 5 del contratto, nonche’ degli articoli 1322, 1936, 1938, 1939 e 1941 c.c., poiche’ la corte di appello avrebbe errato procedendo sostanzialmente a un’interpretazione della clausola, che confermava la natura di contratto autonomo di garanzia della polizza in parola, con l’enunciata finalita’ di uniformare contenuto e durata della stessa al contenuto e alla durata dell’obbligazione principale, individuando, in specie, un unico termine finale di validita’ ed efficacia, ma cosi’ infrangendo il principio di non accessorieta’ proprio della garanzia rilasciata. Avrebbe dovuto al contrario desumerne l’immodificabilita’ del termine di durata della garanzia, senza previo accordo tra le parti, in ragione della mera modifica del termine per l’accertamento dell’effettiva debenza inerente all’obbligazione garantita. Non si sarebbero potuti sovrapporre, cioe’, i rapporti tra garante e garantito, da una parte, e tra contribuente e fisco dall’altra, ne’ avrebbe potuto rimettersi il garante a un’esposizione contrattuale potenzialmente quanto arbitrariamente “sine die”.
Con il terzo motivo di ricorso si prospetta la violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, articoli 38 bis e 57, e successive modificazioni, nonche’ delle disposizioni contenute nel decreto dirigenziale e nella circolare ministeriale gia’ menzionate, poiche’ la corte di appello avrebbe errato nell’omettere di considerare che le stesse modifiche alla normativa primaria citata, nonche’ gli atti amministrativi conseguenti, altrimenti inutilmente specificativi al pari del puntuale testo contrattuale, avrebbero confermato come il tempo di efficacia della garanzia sarebbe stato indipendente da quello riferibile alla potesta’ di accertamento dell’amministrazione. Tempo di efficacia contrattuale invece previamente e giustamente conoscibile dal garante. Cio’ sarebbe stato ribadito dal richiamo, operato dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 38 bis e dall’articolo 2 del contratto, all’articolo 57, comma 1, secondo periodo, del medesimo D.P.R., che estendeva la durata della polizza di alcuni giorni in ragione della tempistica della produzione dei documenti richiesti dall’amministrazione alla richiesta di rimborso dell’eccedenza d’imposta risultante dalla dichiarazione annuale. Dunque solo tale combinato disposto, e non altri, avrebbe potuto ritenersi modificativo della durata della garanzia quale stabilita in sede di premesse e all’articolo 2 della polizza.
Con il quarto motivo di ricorso si prospetta l’omesso esame di un fatto decisivo e discusso, con riguardo al decreto dirigenziale e alla circolare ministeriale gia’ ricordati, che, se oggetto di vaglio, avrebbero potuto e dovuto condurre la corte di appello ad opposta interpretazione per quanto in altra chiave esposto nei precedenti motivi.
Con il quinto motivo di ricorso si prospetta la violazione e falsa applicazione degli articoli 1362, 1363, 1367, 1368, 1370 e 1371 c.c., con particolare riferimento all’appendice contrattuale conseguente alla comunicazione del concessionario per la riscossione di Cagliari, poiche’ la corte di appello avrebbe erroneamente travisato la puntuale specificazione additiva della durata della garanzia presente nell’appendice, senza considerare che essa era conseguente al citato atto del concessionario che, quindi, imponeva interpretazione opposta a quella data nella sentenza impugnata. Il concessionario, infatti, aveva comunicato l’estensione dal 31 dicembre 2006 al 24 febbraio 2007 della durata della garanzia, in ragione della sospensione dei termini di decadenza dell’accertamento ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 57, comma 1, secondo periodo, gia’ oggetto della terza censura. La corte cagliaritana avrebbe dunque errato, in chiave di ermeneutica negoziale, anche a tale specifico riguardo, nel mancare di valutare: il comportamento complessivo delle parti anche pdsteriore alla conclusione del contratto; il testo della polizza nel suo complesso nel senso risultante dalla letture congiunta delle sue parti; e il vincolo a interpretare le clausole, nel dubbio, nel senso piu’ favorevole a chi aveva subito la predisposizione delle stesse, ovvero contemperando i contrapposti interessi e non valorizzandone uno a scapito dell’altro.
Con il sesto motivo di ricorso si prospetta la violazione e falsa applicazione della L. n. 289 del 2002, articolo 10 e Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 38 bis, nonche’ L. n. 212 del 2000, articolo 3, e articolo 14 preleggi, poiche’ la corte di appello avrebbe errato nel non dare al citato articolo 10 un’interpretazione diversa da quella strettamente emergente dal suo testo, trattandosi di norma tributaria eccezionale, a mente della generale improrogabilita’ dei termini di decadenza degli accertamenti fiscali stabilito dal menzionato articolo 3, che non affatto aveva previsto l’estensione temporale delle garanzie previste ai sensi dell’articolo 38 bis parimenti invocato.
2. Il primo, terzo, quinto e sesto motivo di ricorso, da esaminare congiuntamente per connessione, sono fondati con assorbimento degli altri.
Va premesso che, come pacifico tra le stesse parti, correttamente la corte di appello di Cagliari ha qualificato la polizza in esame quale contratto autonomo di garanzia.
Secondo la costante e condivisibile nomofilachia, infatti, la polizza fideiussoria prevista dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 38 bis al fine di consentire al contribuente il rimborso delle eccedenze IVA risultanti dalla dichiarazione annuale in forma accelerata, ossia senza preventivo riscontro della spettanza, e consistente nell’obbligo per la societa’ di assicurazione di versare le somme richieste dall’Ufficio IVA, a meno che non vi abbia gia’ provveduto il contribuente, configura un contratto autonomo di garanzia che, diversamente dal modello tipico della fideiussione, e’ connotato dalla non accessorieta’ dell’obbligazione di garanzia rispetto all’obbligazione garantita (Cass., Sez. U., 15/10/1998, n. 10188, e Cass., 01/10/2015, n. 19609).
La conclusione e’ confermata dal testo della polizza qui in esame, quale trascritta in ossequio all’autosufficienza e quindi specificita’ del motivo, che espressamente chiarisce l’obbligazione della societa’ di pagare “senza eccezione alcuna, a meno che non abbia gia’ provveduto il contraente, le somme richieste dalla Agenzia delle Entrate”.
Cio’ posto, l'”iter” motivazionale della corte territoriale e’ riassumibile nei seguenti passaggi: a) la garanzia attua l’articolo 38 bis appena citato il quale, nella versione “ratione temporis” vigente, prevedeva che “i rimborsi” in questione fossero “eseguiti… prestando, contestualmente all’esecuzione del rimborso e per una durata pari al termine di decadenza dell’accertamento, cauzione… o polizza fideiussoria…” quale quella appunto emessa; b) la funzione del contratto e’ quella di assicurare le somme rimborsate senza previo controllo, e dunque la sua durata deve logicamente parametrarsi ad essa, estendendosi ai tempi previsti dalla legge, a pena di decadenza, per il correlativo accertamento; c) la durata prevista al momento della stipula e’ stata esemplificativamente indicata nelle premesse del contratto al 31 dicembre 2006, proprio perche’ coincidente ai suddetti tempi in quel momento enucleabili dalla legge; d) intervenuto la L. n. 289 del 2002, articolo 10, che per i contribuenti che non si fossero avvalsi del c.d. condono tributario, aveva prorogato di due anni i tempi per l’accertamento in parola, la durata doveva ritenersi implicitamente modificata per le medesime ragioni, in tal modo dovendo complessivamente interpretarsi il contratto.
Cosi’ facendo la corte e’ incorsa in plurime violazioni di legge, in particolare inerenti ai canoni di ermeneutica negoziale e alla disciplina di cui al combinato disposto del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 38 bis e L. n. 289 del 2002, articolo 10.
Questa Corte ha gia’ avuto modo di pronunciarsi al riguardo, concludendo nel senso che la polizza fideiussoria di cui all’articolo 38 bis, costituisce un contratto autonomo di garanzia la cui durata e’ si’ normalmente collegata ai tempi di accertamento fiscali, ma qualora una norma di legge, sopravvenuta rispetto alla data di stipulazione del contratto, proroghi i termini per il medesimo accertamento in favore dell’amministrazione finanziaria, tale proroga non si riflette automaticamente sulla durata della suddetta garanzia, a meno che non risulti una diversa previsione (Cass., 28/03/2017, n. 7884; conf. Cass., 28/07/2017, n. 18773).
Come osservato nel precedente appena citato, il giudice di merito che argomenti come sopra sintetizzato, viola il primo canone di ermeneutica negoziale (articolo 1362 cod. civ.), ossia quello emergente dall’inequivoco testo del contratto (Cass. n. 7884 del 2017, pagg. 5, secondo capoverso, e 8, ultimo capoverso).
E’ vero che non si puo’ limitare l’interpretazione al senso letterale delle parole, essendo necessario ricercare la comune intenzione delle parti. Ma e’ altrettanto vero che l’evidenziato senso univoco del testo puo’ essere letto come esemplificativo, cosi’ da svincolare le obbligazioni dal suo esplicito perimetro, quando cio’ emerga dall’intenzione comune delle parti e non di una sola di esse, ricostruita inoltre secondo buona fede (articolo 1366 cod. civ.). Con conseguente necessita’ di tener conto dell’affidamento, fatto dalla parte controinteressata al superamento del senso letterale delle parole, nella chiarezza dei patti che andava a sottoscrivere.
Lo stesso comportamento successivo dell’amministrazione depone in senso contrario, e il profilo non e’ stato approfondito dalla sentenza gravata. Infatti, dall’appendice contrattuale (pag. 9 del ricorso) risulta un’estensione della polizza dal 31 dicembre 2006 al 24 febbraio 2007, pacificamente dovuta alla sospensione istruttoria dei tempi di accertamento, riportata nel terzo e quinto motivo, in coerenza con il Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 57, comma 1, secondo periodo. Se la durata della garanzia era determinabile, come non previsto esplicitamente dal testo della polizza, di rimando a qualsiasi modifica dei tempi di (decadenza per l’)accertamento, questa seconda specificazione temporale, dopo quella iniziale, non avrebbe avuto e non troverebbe plausibile spiegazione.
Al contempo, come indicato nelle censure e come osservato dal precedente specifico cui qui si da’ continuita’ (pag. 9), in assenza di un’esplicita previsione contrattuale che colleghi la durata della garanzia ai termini fissati dalla legge per l’accertamento tributario, l’obbligazione del garante non puo’ che rimanere fissata nei termini consensualmente definiti, trattandosi di atto di autonomia privata che la legge non ha indicato di voler eterointegrare nel senso a ben vedere operato dalla pronuncia qui censurata. In questa chiave ne risultano violati gli articoli 38 bis e 10 citati, da cui non e’ dato evincere tale eterointegrazione, infatti declinata in termini interpretativi dalla corte territoriale eccedendo, pero’, il perimetro oggettivamente assegnabile all’ermeneutica, e plausibilmente attribuibile a quella inerente allo specifico contratto stipulato.
In altre parole, deve ribadirsi che non e’ pensabile che si costruisca un’obbligazione di garanzia destinata a durare per un tempo imprecisato in ragione di una normativa sopravvenuta e concernente il distinto rapporto tributario. Infine, poiche’ il beneficiario della garanzia e’ l’amministrazione finanziaria, si perverrebbe all’assurdo risultato di consentire, in sostanza, a una delle parti contraenti di protrarre unilateralmente e a proprio vantaggio la durata dell’obbligazione di garanzia.
Pertanto, il dilatarsi dei tempi posti all’amministrazione per i propri accertamenti non puo’ tradursi, in assenza di una chiara previsione contrattuale o di un’altrettanto puntuale eterointegrazione normativa negoziale (in tesi possibile), in una conseguente dilatazione della validita’ temporale dell’obbligazione di garanzia, venendo meno la stessa prevedibilita’ delle obbligazioni contrattuali, e del loro peso economico, in capo al garante.
3. Ne deriva l’accoglimento dei motivi secondo quanto anticipato, e la correlativa cassazione della decisione impugnata.
3.1. Spese al giudice del rinvio.
P.Q.M.
La Corte accoglie per quanto di ragione i motivi primo, terzo, quinto e sesto, assorbiti gli altri, cassa la decisione impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla corte di appello di Cagliari perche’, in diversa composizione, si pronunci anche sulle spese di legittimita’.
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