Corte di Cassazione, sezione seconda penale, sentenza 4 aprile 2018, n. 14949.
Non e’ necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma e’ sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione.
Sentenza 4 aprile 2018, n. 14949
Data udienza 9 febbraio 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DIOTALLEVI Giovanni – Presidente
Dott. IASILLO Adriano – Consigliere
Dott. DI PAOLA Sergio – Consigliere
Dott. PAZIENZA Vittorio – rel. Consigliere
Dott. DI PISA Fabio – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) (OMISSIS), nato a (OMISSIS);
2) (OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza emessa il 11/01/2017 dalla Corte d’Appello di Lecce;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Vittorio Pazienza;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dr. Baldi Fulvio, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione;
uditi i difensori di (OMISSIS), avv. (OMISSIS) e avv. (OMISSIS), che hanno concluso chiedendo l’accoglimento dei motivi di ricorso, sollecitando in subordine l’annullamento della sentenza impugnata per intervenuta prescrizione;
udito il difensore del (OMISSIS), avv. (OMISSIS), che ha concluso riportandosi ai motivi di ricorso e chiedendone l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 07/07/2014, la Corte d’Appello di Lecce riformava parzialmente la sentenza emessa dal Tribunale di Lecce in data 13/04/2011, con la quale – per quanto qui specificamente interessa – (OMISSIS) e (OMISSIS) erano stati condannati alla pena di giustizia in relazione al concorso nei delitti di concussione e corruzione in atti giudiziari loro ascritti, rispettivamente, ai capi b) ed f) della rubrica; nonche’, il solo (OMISSIS), in relazione al concorso negli ulteriori delitti di millantato credito e falso a lui contestati ai capi m) e o) dell’imputazione. Il (OMISSIS) e il (OMISSIS) erano stati anche condannati al risarcimento dei danni e alla rifusione delle spese processuali in favore della parte civile (OMISSIS), persona offesa del reato di cui al capo b).
In particolare, la Corte d’Appello assolveva gli imputati dal reato di cui al capo f) e riqualificava ai sensi dell’articolo 319-quater c.p. il fatto di cui al capo b), rideterminando conseguentemente il trattamento sanzionatorio, eliminando le statuizioni civili a carico del (OMISSIS) e confermando nel resto.
2. Accogliendo il motivo di ricorso proposto dai due imputati con riferimento al capo b), la Sesta Sezione della Corte di Cassazione, con sentenza n. 34200 del 14/05/2015, annullava con rinvio la sentenza della Corte d’Appello (veniva invece rigettato, nel resto, il ricorso del (OMISSIS)).
La Suprema Corte ripercorreva anzitutto la ricostruzione operata in sede di merito quanto al fatto contestato al capo b) come concorso in concussione, e riqualificato in sede di appello come concorso nell’induzione indebita in danno dell’ (OMISSIS): questi aveva intentato una causa per il ripristino dell’assegno di invalidita’ (revocato dopo che era stata accertata una riduzione al 65% della sua percentuale di invalidita’), ed aveva nominato come consulente di parte il (OMISSIS), mentre il (OMISSIS) aveva assunto il ruolo di consulente tecnico d’ufficio.
In particolare, la Suprema Corte riteneva corretta la ricostruzione della materialita’ dei fatti, operata in primo luogo attraverso le dichiarazioni – ritenute attendibili – rese dall’ (OMISSIS), e confermate dalla moglie (OMISSIS), in ordine alle richieste formulate dal (OMISSIS) nel gennaio 2005 della somma di 500 Euro per “inzuppare” il (OMISSIS), ed ottenere il riconoscimento di un’invalidita’ al 75% sin dalla data di revoca dell’assegno: somma poi elevata dal (OMISSIS) a 700 Euro, nel marzo 2005. Immune da censure, per la Suprema Corte, era stata anche la valorizzazione di ulteriori risultanze captative, dichiarative e documentali: le telefonate del 25/02/2005 tra (OMISSIS) e (OMISSIS) (in cui gli imputati trattarono “confidenzialmente” la questione) e tra (OMISSIS) e (OMISSIS); il colloquio tra questi ultimi avvenuto il 07/03/2005 (e inframmezzato da una telefonata tra il (OMISSIS) e il (OMISSIS)), nel corso del quale il (OMISSIS) rappresento’ la necessita’ di versare 700 Euro, per far si’ che il (OMISSIS) favorisse un accordo con la controparte pubblica o comunque facesse decorrere il riconoscimento dell’invalidita’ da un momento successivo a quello auspicato; le ulteriori telefonate intercettate nel maggio 2005 in cui il (OMISSIS) (o la sua collaboratrice), conversando con i familiari o l’avvocato dell’ (OMISSIS), si lamento’ del fatto che questi, pur avendo ottenuto una sentenza favorevole, non aveva ancora pagato quanto concordato; il rinvenimento, nel fascicolo relativo alla pratica dell’ (OMISSIS) custodito nello studio del (OMISSIS), di un’annotazione “700 (OMISSIS)”, che non poteva essere considerata una simulazione di accordo tra i due imputati.
La Suprema Corte riteneva invece non persuasiva la motivazione della sentenza d’appello nella parte in cui aveva ritenuto le predette risultanze dimostrative, al di la’ di ogni ragionevole dubbio, dell’esistenza di un accordo tra il (OMISSIS) ed il (OMISSIS) finalizzato alla commissione dell’abuso costrittivo in danno dell’ (OMISSIS): il Collegio ha in particolare ritenuto che i predetti elementi fossero compatibili anche con l’ipotesi alternativa, sostenuta dalla difesa, di una millanteria del (OMISSIS) tesa ad estorcere danaro all’ (OMISSIS), all’insaputa del (OMISSIS).
In tale prospettiva, la Sesta Sezione osservava che l’annotazione “700 (OMISSIS)”, rinvenuta sul fascicolo (OMISSIS) presente nello studio (OMISSIS), poteva costituire non solo prova della remunerazione del (OMISSIS), ma anche un memorandum annotato dal (OMISSIS) in ordine alle proprie richieste fatte all’ (OMISSIS); allo stesso modo, non poteva essere “troppo sbrigativamente svalutato” il fatto che il (OMISSIS), nella prima delle due telefonate di febbraio con il (OMISSIS), non ricordasse la pratica (OMISSIS), tanto da dover essere richiamato dal (OMISSIS) dopo mezz’ora (ne’ poteva immaginarsi un difetto di memoria dovuto ad un gran numero di pratiche trattate, perche’ all’epoca il (OMISSIS) era impegnato solo in tre cause quale c.t.u.); allo stesso tratto confidenziale, rilevato nei rapporti tra i due imputati, doveva attribuirsi valenza neutra, avuto riguardo al rapporto di colleganza e di collaborazione tra consulenti.
Sulla scorta di tali considerazioni, la Suprema Corte annullava sul punto la sentenza, con rinvio ad altra Sezione della Corte d’Appello di Lecce “affinche’ proceda ad una nuova e piu’ adeguata verifica in ordine alla prova della partecipazione cosciente e volontaria di (OMISSIS) all’abuso costrittivo ritenuto in sentenza”, ovvero, in caso di esito negativo di tale accertamento, alla verifica della riconducibilita’ della condotta tenuta dal (OMISSIS) nell’alveo del millantato credito.
3. Con la sentenza oggi impugnata, la Corte d’Appello di Lecce ha ritenuto, anche in sede di rinvio, il (OMISSIS) ed il (OMISSIS) responsabili del reato di induzione indebita di cui al capo b).
La Corte territoriale ha preso le mosse dall’indirizzo giurisprudenziale secondo cui il giudice di rinvio puo’ rivisitare l’intero compendio probatorio, con il limite costituito dal divieto di ripercorrere lo stesso iter argomentativo censurato dal giudice di legittimita’, ma senza essere vincolato da eventuali valutazioni in fatto formulate da quest’ultimo in sentenza; dovendosi percio’ ritenere immune da censure la sentenza che pervenga ad una nuova affermazione di responsabilita’ sulla scorta di un percorso motivazionale in parte diverso ed in parte arricchito rispetto a quello censurato dalla Suprema Corte.
In tale prospettiva, la Corte d’Appello ha osservato che i dati gia’ valorizzati nella sentenza annullata, se valutati non in modo parcellizzato e fuori contesto come avvenuto in sede rescindente, ma nel quadro complessivo composto anche da risultanze non prese in considerazione nella precedente pronuncia, assumevano un significato univoco circa l’affermazione della penale responsabilita’ degli imputati per il delitto di induzione indebita.
In particolare, la sentenza impugnata ha posto in evidenza, anzitutto, la perfetta conoscenza del caso (OMISSIS) da parte del (OMISSIS) nella seconda telefonata avuta con (OMISSIS) il 25/02/2005, tanto da ricordare immediatamente, senza sollecitazioni di quest’ultimo, la patologia, gli accertamenti e gli esiti della perizia, e con il (OMISSIS) che conclusivamente diceva “…lo posso confermare…me lo puoi definire….”, ottenendo risposta affermativa dal (OMISSIS) (elementi indicativi di una piena consapevolezza e cointeressenza di quest’ultimo, posto che, nell’ipotesi della millanteria, sarebbe stato il (OMISSIS) a chiamare e a chiedere al c.t.u. le informazioni da “spendere” con la persona offesa; i due avevano invece parlato in maniera criptica e allusiva, sintomatica di un pregresso accordo illecito tra i due).
In secondo luogo, la Corte d’Appello ha valorizzato la telefonata immediatamente dopo intercorsa tra il (OMISSIS) e l’ (OMISSIS), al quale l’imputato riferiva quanto il (OMISSIS) gli aveva assicurato, invitandolo a recarsi in studio per avere spiegazioni su quanto ottenuto. Tale conversazione, se letta di seguito alla precedente, risultava fortemente dimostrativa dell’accordo tra gli imputati e del ruolo di raccordo svolto dal (OMISSIS) (risultando altrimenti incomprensibili le precedenti richieste di conferma e di poter definire la pratica, rivolte al (OMISSIS)).
In terzo luogo, la Corte d’Appello ha richiamato la conversazione del maggio 2005 tra il (OMISSIS) e il difensore dell’ (OMISSIS) nella causa contro l’INPS, ritenuta di univoca chiarezza circa il coinvolgimento del (OMISSIS), alla luce di quanto riferito dal (OMISSIS) al legale in ordine all’irreperibilita’ dell’ (OMISSIS), e della richiesta rivolta a quest’ultimo di non notificare all’INPS la sentenza, in modo da impedire all’ (OMISSIS) di ottenere in concreto le somme riconosciutegli dal giudice. Tale conversazione e’ stata posta in collegamento, dalla sentenza impugnata, con una telefonata tra gli imputati di pochi giorni successiva, nella quale il (OMISSIS) rassicurava il (OMISSIS), informandolo che “quell’ (OMISSIS) Liberato…l’abbiamo consultato diverse volte e..e. ed e’ recidivo, infatti non stiamo depositando manco la sentenza…e la gente e’ delinquente, comunque…”; il (OMISSIS) accettava tale spiegazione (“eh, va bene”) e l’altro conclude dicendo “poi appena avremo…appena avremo…avremo, va bene, comunque ci vediamo”. Sul punto, la Corte d’Appello – oltre ad evidenziare che il riferimento a “Liberato” era un lapsus irrilevante, sia perche’ altre volte il (OMISSIS) aveva errato nel nome di battesimo, sia perche’ non esisteva alcun ” (OMISSIS)” in contatto con l’imputato – ha sottolineato che tale conversazione, tenuta con toni allusivi e criptici, non poteva giustificarsi se non nell’ottica accusatoria. Ulteriori riscontri erano poi derivati dalle ulteriori telefonate effettuate dalla collaboratrice del (OMISSIS) al legale dell’ (OMISSIS) (sempre relative alla notifica all’INPS della sentenza) e alla moglie della persona offesa (esortata a prendere “una decisione sulla pratica”).
Il complesso delle risultanze acquisite, valutate unitariamente, risultavano per la Corte d’Appello idonee ad affermare al di la’ di ogni ragionevole dubbio il diretto coinvolgimento del (OMISSIS) nelle richieste di danaro rivolte all’ (OMISSIS). In senso contrario non poteva sostenersi, da un lato, che il riferimento alla “promessa di cose” (da intendersi danaro) fatto dal (OMISSIS) al legale della persona offesa fosse non rispondente al vero, trattandosi di ipotesi priva di senso logico. Per altro verso, la Corte ha attribuito valenza neutra al fatto che la c.t.u. fosse veritiera, essendo sufficiente, per l’integrazione del reato di induzione indebita, la prospettazione alla persona offesa di influire negativamente nel giudizio, indipendentemente dal fatto che l’ (OMISSIS) avrebbe potuto confidare in un esito favorevole anche senza cedere alla indebita pressione.
Su tali basi, la Corte d’Appello ha riconfermato la riqualificazione quale induzione indebita del fatto inizialmente contestato come concussione, escludendo quindi l’applicabilita’ al (OMISSIS) delle disposizioni in tema di millantato credito.
La Corte ha inoltre rigettato i motivi di appello concernenti le attenuanti di cui agli articoli 62-bis e 323-bis c.p.: quanto a quest’ultima disposizione, e’ stato valorizzato il contesto giudiziario della vicenda, nonche’ la pervicacia con cui gli imputati avevano cercato di ottenere il pagamento dall’ (OMISSIS); quanto invece alle attenuanti generiche, la Corte territoriale ha escluso di poter formulare una prognosi favorevole circa la futura condotta degli imputati, nonostante l’incensuratezza, avuto riguardo alle condizioni oggettive, alle modalita’ e alla odiosita’ delle condotte consumate.
4. Ricorre per cassazione il difensore del (OMISSIS), avv. (OMISSIS), deducendo:
4.1. Violazione ex articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), in relazione all’articolo 110 c.p. e alla mancanza, contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione in ordine alla sussistenza del reato di induzione indebita.
Il difensore ripercorre l’iter motivazionale della sentenza impugnata, evidenziando: l’illogicita’ del “vuoto di memoria” in cui sarebbe incorso il (OMISSIS) nella prima telefonata del 25/02/2005, dal momento che si sarebbe trattato della controversia oggetto dell’illecito accordo, di cui egli si era occupato quale c.t.u. solo poche settimane prima; il travisamento in cui la Corte territoriale era incorsa a proposito della seconda telefonata, dato che era stato nuovamente il (OMISSIS) a chiamare il (OMISSIS), e non il contrario; la manifesta illogicita’ riscontrabile nell’aver la Corte ritenuto che, in quella conversazione, il (OMISSIS) paleso’ una piena padronanza del caso, e che il colloquio avvenne in toni criptici; l’illogicita’ dell’interpretazione della conversazione subito dopo intercorsa tra l’ (OMISSIS) ed il (OMISSIS), che andava invece inquadrata nell’intento di questi di coltivare la millanteria; l’illogicita’ dell’interpretazione data al colloquio tra il (OMISSIS) e l’avv. (OMISSIS), stando alla quale l’imputato avrebbe incongruamente confessato al legale di aver commesso un reato (laddove invece, se davvero il (OMISSIS) fosse stato complice del (OMISSIS), avrebbe potuto ritardare il deposito della perizia, attuando uno strumento di pressione ben piu’ efficace, rispetto alle pressioni volte a non far notificare la sentenza); l’illogicita’ dell’interpretazione data al colloquio tra (OMISSIS) e (OMISSIS) del 31/05/2005, sia perche’ questi aveva fatto riferimento a ” (OMISSIS)”, sia perche’ il (OMISSIS) era rimasto vittima di un incidente stradale poco prima della telefonata, cio’ che spiegava il suo atteggiamento passivo nella conversazione.
4.2. Violazione ex articolo 606, lettera b) in relazione all’articolo 323-bis c.p., nonche’ dell’articolo 606, lettera e) per mancanza e manifesta illogicita’ della motivazione.
Si censura il mancato riconoscimento dell’attenuante, sia perche’ non poteva condividersi l’affermazione della maggiore gravita’ dei fatti compiuti in ambito giudiziario, sia perche’ la “pervicacia” non poteva comunque essere riferita alla condotta del (OMISSIS), sia perche’ il fatto, nel suo complesso, non poteva indurre ad una valutazione di gravita’.
4.3. Violazione ex articolo 606 c.p.p., lettera b) in relazione all’articolo 62-bis c.p., nonche’ dell’articolo 606, lettera e) per mancanza e manifesta illogicita’ della motivazione.
Si censura la motivazione addotta per negare le attenuanti generiche, essendo oscuro il riferimento alle “condizioni personali” e inconsistente il riferimento alla “odiosita’” delle condotte.
5. Ricorre per cassazione anche l’altro difensore del (OMISSIS), avv. (OMISSIS), deducendo:
5.1. Violazione dell’articolo 627 c.p.p., comma 3, nonche’ dell’articolo 606 c.p.p., lettera e) in relazione alla mancanza, contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione in ordine all’articolo 110 c.p..
Si lamenta il mancato rispetto, da parte del giudice di rinvio, delle indicazioni fornite dalla Suprema Corte nella sentenza di annullamento in ordine all’inconsistenza del quadro probatorio emerso e alla prudenza nel valutare la prova logica, in assenza di elementi direttamente dimostrativi del coinvolgimento del (OMISSIS); in tal modo, la Corte territoriale aveva ignorato il principio, costantemente affermato in sede di legittimita’, per cui il giudice del rinvio e’ tenuto a non incorrere nel medesimo errore logico gia’ censurato con la sentenza di annullamento: essendogli quindi preclusa la possibilita’ di riproporre il medesimo ragionamento logico-deduttivo o perseverare nello schema motivazionale gia’ cassato. In particolare, la Corte d’Appello era pervenuta ad una nuova decisione di condanna basandosi sugli stessi elementi e ricorrendo alle medesime argomentazioni.
In particolare, era stato nuovamente commesso l’errore di valutare troppo sbrigativamente il mancato ricordo della pratica relativa all’ (OMISSIS), nella prima telefonata avuta dal (OMISSIS) con il (OMISSIS) il 25/02/2005, al quale si erano aggiunti ulteriori profili di illogicita’ (perche’ la telefonata non aveva alcun valore probatorio a carico) ed il travisamento relativo al fatto che era stato il (OMISSIS) a chiamare il (OMISSIS), e non viceversa come ritenuto in sentenza. Inoltre, ricadeva nel vizio motivazionale gia’ censurato dalla Suprema corte la valorizzazione, da parte del giudice di rinvio, sia della telefonata fatta dal (OMISSIS) all’ (OMISSIS) subito dopo aver parlato con il (OMISSIS), sia delle conversazioni successive intercorse con il legale della persona offesa: trattandosi di elementi dimostrativi della responsabilita’ del (OMISSIS), ma non anche del coinvolgimento del (OMISSIS), che mai si era rivolto al (OMISSIS) per sollecitare il pagamento, ne’ tanto meno aveva tentato di esercitare pressioni sull’ (OMISSIS) ritardando il deposito della propria perizia. Contraddittoria e congetturale risultava, altresi’, l’interpretazione offerta della conversazione con cui il (OMISSIS) avrebbe “rassicurato” il (OMISSIS) circa il pagamento. In tale contesto, anche a ritenere non violato l’articolo 627, comma 3, emergeva comunque una sentenza anch’essa viziata da contraddittorieta’ e manifesta illogicita’.
5.2. Violazione ex articolo 606 c.p.p., lettera b), nonche’ dell’articolo 606 c.p.p., lettera e) per mancanza e manifesta illogicita’ della motivazione, in relazione all’articolo 323-bis c.p..
Si denuncia il carattere meramente apparente della motivazione che aveva confermato il diniego, e la contraddittoria pretesa di accomunare, nella “pervicacia”, il ricorrente al (OMISSIS). Per altro verso, l’oggettiva modestia delle somme richieste non era stata superata da una adeguata analisi degli altri aspetti della vicenda idonea a motivare il mancato riconoscimento dell’attenuante: vicenda che del resto era consistita nell’ottenimento di una mera promessa dall’esito non scontato e, quanto al (OMISSIS), in un atteggiamento di sostanziale disinteresse.
5.3. Violazione ex articolo 606 c.p.p., lettera b), nonche’ dell’articolo 606 c.p.p., lettera e) per mancanza e manifesta illogicita’ della motivazione, in relazione all’articolo 62-bis c.p..
Si censura la motivazione addotta per il diniego delle attenuanti, consistente in una mera clausola di stile, senza alcun reale apprezzamento dei fatti e della condotta tenuta dal (OMISSIS), il quale si era anche cancellato dall’elenco dei consulenti del Tribunale dopo la vicenda per cui e’ causa: risultava percio’ gravemente censurabile il riferimento ad una prognosi negativa.
5.4. Si deduce infine l’intervenuta prescrizione del reato, originariamente punito con pena da tre a otto anni di reclusione: prescrizione maturata – anche conteggiando i periodi di sospensione intervenuti – prima dell’emissione della sentenza del giudice di rinvio.
5.5. Con motivi nuovi depositati il 24/11/2017, l’avv. (OMISSIS) ribadisce l’estinzione del reato di induzione indebita per intervenuta prescrizione, osservando che la prima sentenza della Corte d’Appello aveva indicato una serie di periodi di sospensione che, complessivamente calcolati, risultavano pari a due anni meno quattro giorni: in tale prospettiva, il reato sarebbe risultato comunque prescritto alla data del 27/05/2017.
Il difensore rileva peraltro – allegando copia dei verbali in questione – che tutti i periodi di sospensione calcolati (tranne l’ultimo, dovuto a rinvio per adesione dei difensori all’astensione di categoria) riguardavano rinvii del procedimento causati da impedimento del difensore. Dovendo in tali ipotesi conteggiarsi solo un periodo di sessanta giorni di sospensione, anche in caso di rinvio di maggiore durata (secondo la costante interpretazione dell’articolo 159 c.p., comma 1, n. 3 fornita dalla giurisprudenza), la difesa ha calcolato un periodo complessivo di sospensione pari ad anni uno, mesi sei e giorni dodici, interamente decorso alla data del 12/11/2016, e dunque prima della pronuncia della sentenza impugnata (emessa in data 11/01/2017).
6. Ricorre per cassazione anche il (OMISSIS), a mezzo del proprio difensore, deducendo anzitutto violazione dell’articolo 627 c.p.p., comma 3, violazione ex articolo 606 c.p.p., lettera b) in relazione agli articoli 110 e 319-quater c.p. nonche’ ex articolo 606 c.p.p., lettera e), per motivazione carente, illogica e contraddittoria.
Si lamenta la persistenza, anche nella sentenza di rinvio, delle lacune motivazionali riscontrate nella prima decisione della Corte d’Appello, richiamando espressamente le doglianze formulate dalla difesa (OMISSIS). Il percorso argomentativo della nuova pronuncia era stato infatti il medesimo della sentenza annullata, come emergeva dall’interpretazione offerta in ordine alle telefonate del febbraio 2005. Era stato invero il (OMISSIS) a “battere cassa”, forte dell’esito favorevole della consulenza d’ufficio, millantando un suo intervento sul (OMISSIS), in realta’ mai avvenuto.
In via subordinata, il difensore deduce la violazione dell’articolo 129 c.p.p. in relazione all’articolo 157 c.p., stante l’intervenuta prescrizione del reato.
Al riguardo, si rileva – in linea con quanto osservato dalla difesa (OMISSIS), pur se con lievi differenze nel computo – che la prescrizione del reato risulterebbe maturata nel giugno 2017 anche calcolando integralmente il periodo di sospensione indicati nella prima sentenza della Corte d’Appello. Tuttavia, dovendosi limitare a sessanta giorni l’effetto sospensivo dei rinvii disposti per impedimento dei difensori, il reato deve ritenersi prescritto gia’ il 13/12/2016, prima cioe’ dell’emissione della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Evidenti ragioni di logica espositiva rendono opportuno prendere le mosse dalla questione qui da ultimo richiamata. E’ infatti evidente che il maturare della prescrizione prima della sentenza impugnata imporrebbe – anche in caso di ricorso per il resto inammissibile – l’immediato esercizio, da parte di questo Collegio, dei poteri officiosi ex articolo 609 c.p.p., comma 2: poteri invece non esercitabili nella diversa ipotesi in cui, in presenza di un ricorso inammissibile, la prescrizione risulti maturata dopo l’emissione della sentenza della Corte d’Appello (su questi aspetti, cfr. Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, Ricci, Rv. 266818).
1.1. Si e’ visto che i difensori degli imputati, pur con lievi differenze di calcolo, hanno dedotto che il reato di induzione indebita, consumatosi in data (OMISSIS), si prescrive in otto anni (avuto riguardo alla pena edittale in vigore al momento della sua commissione) e che – pur tenendo conto dell’aumento di un quarto ex articolo 161 c.p., e dei periodi di sospensione correlati ai plurimi rinvii del procedimento – detto reato si e’ estinto nel dicembre 2016, ovvero in epoca anteriore alla pronuncia della Corte d’Appello in sede di rinvio (emessa in data 11/01/2017).
A tali conclusioni, ad avviso dei ricorrenti, si perviene all’esito di un corretto calcolo dei predetti periodi di sospensione, conseguenti alle plurime ordinanze di rinvio del procedimento emesse dalla Corte territoriale, nel corso del primo giudizio di appello (cfr. memoria dif. (OMISSIS) del 24/11/2017).
In particolare, si assume che i periodi intercorrenti tra ogni udienza di rinvio e quella successiva non possono essere integralmente computati ai fini della sospensione della prescrizione: risultando tale operazione corretta solo con riferimento all’ultimo rinvio preso in considerazione (causato dall’adesione dei difensori all’astensione di categoria), ma non anche in relazione agli altri sette, disposti dalla Corte d’Appello per impedimento del difensore o dell’imputato. In relazione a tali ulteriori rinvii, ai sensi dell’articolo 159 c.p., comma 1, n. 3, ai fini della sospensione non potrebbe essere considerato un periodo superiore a sessanta giorni, anche qualora il differimento dell’udienza fosse stato disposto per un periodo maggiore.
Poste tali premesse, la difesa del (OMISSIS) ha calcolato il periodo di sospensione della prescrizione, correlato agli otto rinvii disposti dalla Corte territoriale nel corso del primo giudizio di appello, non gia’ in complessivi 726 giorni (con maturazione della causa estintiva alla data del 27/05/2017), ma in complessivi 558 giorni: con prescrizione del reato alla data del 12 dicembre 2016, e dunque prima della sentenza della Corte d’Appello in sede di rinvio.
1.2. L’assunto difensivo e’ manifestamente infondato.
Pur muovendo da premesse in se’ condivisibili, i difensori hanno infatti erroneamente inserito il rinvio dell’udienza dal 17/06/2013 al 11/11/2013 tra quelli dovuti “ad impedimento dell’avv. (OMISSIS)” (cfr. pag. 3 memoria dif. (OMISSIS)), ed hanno percio’ altrettanto erroneamente computato, nel calcolo complessivo della sospensione della prescrizione, solo 60 giorni in luogo dei 143 effettivamente decorsi tra un’udienza e l’altra.
In realta’, come risulta dal verbale di udienza del 17/06/2013, allegato alla richiamata memoria difensiva, l’avv. (OMISSIS) chiese ed ottenne, in quell’occasione, un rinvio del dibattimento per attendere un pronunciamento delle Sezioni unite: si tratto’ dunque di un rinvio su richiesta del difensore, e non per impedimento di quest’ultimo, con conseguente necessita’ di computare integralmente, ai fini della sospensione della prescrizione, i 147 giorni decorsi dalla data del rinvio all’udienza successiva.
E’ poi appena il caso di evidenziare l’assoluta irrilevanza, ai fini che qui specificamente interessano, del fatto che il difensore del (OMISSIS) avesse presentato, nella predetta udienza del 17/06/2013, una istanza di rinvio per impedimento del proprio assistito dovuto a ragioni di salute: la Corte procedente, nell’accogliere la richiesta di rinvio dell’avv. (OMISSIS), dichiaro’ infatti “assorbita” l’istanza presentata dal difensore del (OMISSIS), come del resto comprovato dal fatto che l’effettiva sussistenza dell’impedimento per ragioni di salute, il suo carattere assoluto ecc., non formo’ oggetto di valutazione alcuna da parte della Corte d’Appello (cfr. il verbale di udienza allegato alla memoria (OMISSIS)).
Il computo ai fini della sospensione dell’intero periodo di 147 giorni (e non di soli 60) decorso tra l’udienza del 17/06/2013 e quella del 11/11/2013 comporta, evidentemente, uno spostamento “in avanti” della prescrizione del reato ascritto al (OMISSIS) e al (OMISSIS): prescrizione maturata il 12 marzo 2017, data ampiamente successiva a quella in cui e’ stata emessa la seconda sentenza in grado d’appello.
2. Per cio’ che riguarda gli ulteriori motivi, ritiene il Collegio che i ricorsi siano manifestamente infondati.
2.1. Un primo ordine di doglianze formulate dai difensori, che possono qui essere esaminate congiuntamente, riguarda la ritenuta violazione, da parte del giudice di rinvio, dei principi fissati dalla Suprema Corte in sede rescindente. In particolare, si assume che la Corte d’Appello – anziche’ procedere alla richiesta “nuova e piu’ adeguata verifica in ordine alla prova della partecipazione cosciente e volontaria di (OMISSIS) all’abuso costrittivo ritenuto in sentenza” (cfr. pag. 9 della sentenza di annullamento con rinvio) – si sarebbe limitata a riproporre, con riferimento alle medesime risultanze gia’ prese in considerazione nel precedente giudizio d’appello, le stesse argomentazioni di ordine meramente logico gia’ censurate dalla Suprema Corte, perche’ ritenute inidonee ad escludere la plausibilita’ dell’ipotesi alternativa per cui le richieste economiche formulate dal (OMISSIS) all’ (OMISSIS), al fine di “inzuppare” il c.t.u., andrebbero in realta’ ricondotte a millanterie del (OMISSIS), all’insaputa del (OMISSIS).
2.2. I rilievi difensivi sono manifestamente infondati, avendo la Corte territoriale fatto buon governo dell’indirizzo interpretativo secondo cui “non viola l’obbligo di uniformarsi al principio di diritto il giudice di rinvio che, dopo l’annullamento per vizio di motivazione, pervenga nuovamente all’affermazione di responsabilita’ sulla scorta di un percorso argomentativo in parte diverso ed in parte arricchito rispetto a quello gia’ censurato in sede di legittimita’” (cosi’ da ultimo Sez. 2, n. 1726 del 05/12/2017, dep. 2018, Liverani, Rv. 271696, che in motivazione ha precisato che dalla sentenza di annullamento deriva solo un vincolo di contenuto negativo, ovvero un divieto di adottare la stessa motivazione che la Suprema Corte ha ritenuto viziata. In senso conforme, v. tra le altre Sez. 4, n. 20044 del 17/03/2015, S., Rv. 263864).
Nella specie, la Corte territoriale ha preso le mosse dalle risultanze specificamente prese in considerazione dalla prima sentenza d’appello (l’annotazione “700 (OMISSIS)” posta sul fascicolo della pratica (OMISSIS) rinvenuto nello studio del (OMISSIS); la telefonata del 25/02/2005; il colloquio con cui il (OMISSIS) chiede la somma di Euro 700 all’ (OMISSIS), inframmezzato da una telefonata tra il (OMISSIS) e il (OMISSIS); la serie di telefonate del maggio 2005 da cui emerge la ricerca dell’ (OMISSIS) per il pagamento, dopo il deposito della sentenza a lui favorevole), ed e’ pervenuta ad una nuova affermazione di responsabilita’ di entrambi gli imputati per il delitto di induzione indebita loro ascritto, valorizzando le predette risultanze unitamente ad altri elementi non considerati dalla sentenza annullata, e tuttavia ritenuti idonei a delineare un quadro complessivo univoco, incompatibile con ricostruzioni diverse da quella accusatoria.
2.2.1. In primo luogo, con riferimento ai contatti telefonici intercorsi tra il (OMISSIS) e il (OMISSIS) in data 25/02/2005, la Corte d’Appello ha tra l’altro posto in evidenza, da un lato, che la seconda conversazione – in cui il (OMISSIS) passa in rassegna le patologie riscontrate sull’ (OMISSIS), gli accertamenti svolti e gli esiti della perizia – si conclude con il (OMISSIS) che chiede “lo posso confermare…me lo puoi definire”, ricevendo dal (OMISSIS) risposta affermativa. D’altro lato, la sentenza impugnata ha evidenziato la necessita’ di porre in stretta correlazione la predetta conversazione con quella, immediatamente successiva, intercorsa tra il (OMISSIS) e l’ (OMISSIS), in cui il primo informa il secondo di quanto era stato ottenuto, e lo invita a prendere un appuntamento in studio (cfr. anche pag. 9-10 della sentenza di primo grado, in cui le due telefonate vengono integralmente riportate). Ad avviso della Corte d’Appello, tale stretta consequenzialita’ di conversazioni – non considerata dalla prima pronuncia – appare fortemente dimostrativa dell’esistenza di un accordo tra i due medici, risultando ben poco comprensibili, in una diversa prospettiva, le richieste del (OMISSIS) al (OMISSIS) “lo posso confermare…me lo puoi definire”, formulate da un consulente di parte al perito d’ufficio (cfr. pag. 7 della sentenza impugnata).
Ritiene il Collegio che la valorizzazione di tale collegamento tra le due conversazioni, operato attraverso l’esame del loro rispettivo contenuto, sia del tutto privo delle connotazioni di manifesta illogicita’ denunciate dai ricorrenti, apparendo superfluo soffermarsi sull’anomalia, insita in una conversazione di tal fatta, tra il consulente di una delle parti di un giudizio civile e il perito nominato in quel giudizio: una conversazione che da un lato sembra ben poco coerente con l’ipotesi alternativa della millanteria e, dall’altro, non appare spiegabile con un mero richiamo dei rapporti di pregressa conoscenza e colleganza tra i due medici (rapporti certamente esistenti, e del resto diffusamente analizzati dalla sentenza di primo grado anche con riferimento – v. pag. 41 ss. – al delitto di corruzione in atti giudiziari contestato al capo F..
La sentenza impugnata ha peraltro correttamente evitato di inserire nel proprio compendio valutativo tali ulteriori risultanze, dal momento che la prima pronuncia della Corte d’Appello aveva assolto gli odierni ricorrenti dal predetto reato, pur ritenuto “provato nella sua materialita’”, per il difetto – quanto al certificato in contestazione, redatto dal (OMISSIS) e richiesto dal (OMISSIS) nelle vesti di consulente di parte – della qualifica di pubblico ufficiale in capo ad un medico ospedaliero esercente anche attivita’ libero-professionale in regime c.d. intra moenia: cfr. pag. 14 ss. della sentenza, sul punto divenuta irrevocabile).
La consistenza intrinseca dei richiamati profili prettamente contenutistici, valorizzati nelle due conversazioni unitariamente considerate, rende sostanzialmente irrilevanti gli ulteriori richiami alla confidenzialita’ delle conversazioni tra i medici, al tenore piu’ o meno criptico dei vari riferimenti, alla prontezza del (OMISSIS) nel rispondere appropriatamente ecc. (in tale complessivo contesto, ed anche alla luce di quanto si osservera’ in seguito, del tutto privo di rilievo appare poi il fatto che la Corte territoriale, come rilevato dai difensori, abbia erroneamente attribuito al (OMISSIS), anziche’ al (OMISSIS), l’effettuazione della seconda telefonata del 25 febbraio).
2.2.2. In secondo luogo, la sentenza impugnata ha diffusamente valorizzato una conversazione in data 24/05/2005 tra il (OMISSIS) e il legale dell’ (OMISSIS), facente parte di un gruppo di telefonate che la prima sentenza d’appello aveva genericamente ed “indistintamente” richiamato (in tali conversazioni il (OMISSIS), dopo il deposito della sentenza favorevole all’ (OMISSIS), aveva rappresentato ai propri interlocutori – individuati di volta in volta nel legale o nei familiari dell’ (OMISSIS) – la necessita’ che questi si facesse vivo per pagare quanto richiesto, arrivando a chiedere al legale di non depositare la sentenza per impedirne l’esecuzione).
Nel prendere in specifica considerazione la telefonata del 24 maggio, la Corte d’Appello ha premesso che il (OMISSIS) avrebbe lecitamente potuto operare pressioni – anche rivolgendosi al legale dell’ (OMISSIS) – per ottenere il pagamento dei propri onorari di consulente di parte. Tuttavia, tale “fisiologica” ipotesi e’ stata esclusa dalla predetta conversazione, nella quale il (OMISSIS) chiarisce inequivocabilmente al legale le reali ragioni del suo risentimento nei confronti dell’ (OMISSIS): l’aver fatto una perizia con un medico “al quale avevo promesso delle cose”; la richiesta all’ (OMISSIS), dopo il deposito della perizia, di portare immediatamente “la cosa”, dato che egli non poteva anticipare di tasca propria; le difficolta’ poste dall’ (OMISSIS) nel rendersi disponibile (“mi sta chiudendo il telefono”). In tale contesto, ritenuto indicativo di una comunanza di rapporti e di interessi tra i due indagati, la Corte territoriale ha altresi’ evidenziato il fatto che il (OMISSIS) si era addirittura rivolto al legale dell’ (OMISSIS) per chiedergli di non notificare la sentenza (“…gli faccio prendere tanti soldi non gliela notifichiamo e i soldi non li prende fino a quando non me li da’ punto e basta”).
Anche in questo caso, il percorso motivazionale compiuto dalla sentenza impugnata appare non solo privo delle connotazioni di manifesta illogicita’ denunziate dai ricorrenti, ma anzi del tutto in linea con il senso comune: risulta invero incompatibile, con l’ipotesi alternativa del millantato credito, il fatto che il (OMISSIS) abbia pensato bene di rivolgersi non piu’ solo al soggetto destinatario delle sue richieste di danaro, ma anche al difensore di quest’ultimo, illustrandogli le illecite ragioni di tali richieste e arrivando addirittura al punto di chiedergli una paradossale disponibilita’ a non porre in esecuzione la sentenza favorevole, appena ottenuta dall’ (OMISSIS), pur di costringerlo al pagamento delle somme in questione. In realta’, come evidenziato dalla Corte territoriale, e’ da ritenere che il (OMISSIS) mai si sarebbe spinto a quelle affermazioni con il legale dell’ (OMISSIS), se le circostanze rappresentate non fossero state rispondenti al vero.
2.2.3. In terzo luogo, la Corte d’Appello ha attribuito assoluto rilievo ad una conversazione direttamente intercorsa tra il (OMISSIS) e il (OMISSIS), intercettata il 31/05/2005, anch’essa non presa in considerazione dalla sentenza oggetto dell’annullamento con rinvio.
Si tratta di una conversazione avente un oggetto del tutto analogo a quello della telefonata poc’anzi esaminata tra il (OMISSIS) e il legale dell’ (OMISSIS) (cfr. supra, § 2.2.2). Infatti, il (OMISSIS) dice al (OMISSIS) che “quell’ (OMISSIS) …l’abbiamo consultato diverse volte e..e..ed e’ recidivo, infatti non stiamo depositando manco la sentenza…e la gente e’ delinquente, comunque…”; il (OMISSIS) accetta tale spiegazione (“eh, va bene”) e l’altro conclude dicendo “poi appena avremo…appena avremo…avremo, va bene, comunque ci vediamo”.
La valorizzazione di questa telefonata da parte della Corte territoriale, che ha escluso la possibilita’ di letture alternative a quella accusatoria, risulta immune dalle censure dedotte dai ricorrenti, ed anzi perfettamente logica.
Invero, la diretta informativa del (OMISSIS) al (OMISSIS) sulla condotta da “delinquente” tenuta dall’ (OMISSIS), “recidivo” al punto da costringere a non notificare la sentenza a lui favorevole, seguita dal proposito espresso dallo stesso (OMISSIS) di incontrare il collega “appena avremo”, appare non solo incompatibile con letture alternative (tantomeno con l’ipotesi del millantato credito), ma costituisce anzi una “acquisizione probatoria dimostrativa dell’accordo illecito fra (OMISSIS) e (OMISSIS) teso a realizzare l’abuso costrittivo” (cfr. pag. 7 della sentenza di annullamento con rinvio): ovvero un “tassello” probatorio che, in sede rescindente, era stato ritenuto indispensabile, per un’affermazione di penale responsabilita’ al di la’ di ogni ragionevole dubbio.
In buona sostanza, il colloquio tra i due imputati, dedicato non piu’ alla (ormai definita) vicenda giudiziaria, ma direttamente ed inequivocabilmente alle richieste di danaro rivolte all’ (OMISSIS), appare spiegabile solo nel quadro di un pieno coinvolgimento del (OMISSIS) nelle richieste medesime, in quanto il (OMISSIS) non avrebbe avuto alcun’altra plausibile ragione per informarlo dei non positivi sviluppi, e per prospettargli un incontro “appena avremo”: ne’, d’altra parte, il (OMISSIS) avrebbe a sua volta avuto alcun tipo di lecito interesse ad essere informato sulla vicenda, essendo quest’ultima del tutto ininfluente, com’e’ ovvio, sul procedimento di liquidazione degli onorari a lui spettanti quale consulente tecnico d’ufficio (e risultando quindi del tutto irrilevante il fatto che, al momento della conversazione, egli avesse o meno gia’ ricevuto il relativo pagamento). Ne’ sembra in alcun modo condivisibile il rilievo mosso dalla difesa (OMISSIS) (cfr. pag. 17 ricorso avv. (OMISSIS)) alla sentenza impugnata per non aver considerato che l’atteggiamento del (OMISSIS), nella predetta conversazione, poteva essere spiegato con i postumi di un incidente stradale da poco avvenuto: quel che assume dirimente rilievo, al riguardo, e’ il fatto che era stato il (OMISSIS), e non il (OMISSIS), ad intraprendere una conversazione assolutamente incomprensibile in un’ottica diversa da quella accusatoria.
Ancor meno rilevante e’ poi il fatto che il (OMISSIS), nella telefonata in questione, si sia riferito al destinatario delle due richieste chiamandolo ” (OMISSIS)” (anziche’ (OMISSIS)): la stessa Corte territoriale ha infatti chiarito sia che il (OMISSIS), anche in altre conversazioni, aveva fatto riferimento all’ (OMISSIS) con un nome di battesimo errato, sia che comunque non era emersa l’esistenza di un altro soggetto in contatto con il (OMISSIS), di nome (OMISSIS) (cfr. pag. 10 della sentenza impugnata).
2.2.4. In definitiva, all’esito della rivisitazione dell’intero compendio probatorio acquisito agli atti, il giudice di rinvio e’ pervenuto ad una decisione di condanna per induzione indebita valorizzando una serie di elementi non considerati nella prima pronuncia d’appello, tra i quali spicca una conversazione dotata di autonoma e diretta valenza probatoria, perche’ intercorsa tra i due imputati proprio sui problemi causati dal “recidivo” (OMISSIS): elementi apprezzati unitamente alle risultanze gia’ espressamente prese in considerazione, e ad ulteriori conversazioni specificamente richiamate (cfr. pag. 9 della sentenza).
Deve quindi escludersi la sussistenza della dedotta violazione dell’articolo 627 c.p.p., avendo la Corte territoriale compiuto un percorso argomentativo perfettamente in linea con la giurisprudenza di questa Suprema Corte in tema di poteri attribuiti al giudice di rinvio (cfr. supra, § 2).
Per altro verso, l’impianto motivazionale appare anche intrinsecamente immune dalle censure di illogicita’ manifesta o contraddittorieta’ dedotte in questa sede. Va anzi posto in rilievo che la valorizzazione, anche da parte della sentenza impugnata, di elementi gia’ considerati dalle precedenti pronunce, assume una “rinnovata” consistenza e solidita’, ove si consideri che l’ipotesi alternativa del millantato credito e’ stata motivatamente e condivisibilmente esclusa (perche’ all’evidenza incompatibile, tra l’altro, con la conversazione tra (OMISSIS) e (OMISSIS) analizzata nel precedente paragrafo).
Si intende dire che ad es. all’annotazione “700 (OMISSIS)”, apposta sul fascicolo della pratica (OMISSIS) rinvenuto nello studio del (OMISSIS) – annotazione ritenuta almeno in astratto spiegabile, in sede rescindente, come una condotta del (OMISSIS) volta a rafforzare la propria millanteria (cfr. pag. 8 della sentenza di annullamento;
– con rinvio) – e’ stata restituita la sua marcata valenza dimostrativa in chiave accusatoria, una volta che la percorribilita’ dell’ipotesi alternativa e’, per le ragioni indicate, venuta meno. Ne’ tali conclusioni possono ritenersi in alcun modo confutate dal rilievo difensivo secondo cui il (OMISSIS) avrebbe potuto esercitare una piu’ efficace pressione sull’ (OMISSIS) ritardando il deposito del proprio elaborato peritale: trattasi infatti di argomentazione meramente congetturale, come tale inidonea a vulnerare la consistenza del quadro accusatorio valorizzato dalla sentenza impugnata.
Allo stesso modo, e per le stesse ragioni, risulta del tutto immune da censure, ed anzi perfettamente logico, il richiamo della Corte territoriale (pag. 7) alla telefonata fatta dal (OMISSIS) al (OMISSIS) in data 07/03/2005, in presenza dei coniugi (OMISSIS) convocati in studio (telefonata integralmente riportata nella motivazione della sentenza di primo grado, unitamente alla conversazione tra presenti registrata dall’ (OMISSIS): cfr. pag. 11 ss.), in cui i riferimenti alla somma di 700 Euro precedono, di pochi istanti, la predetta telefonata in cui i due medici si soffermano sulla decorrenza da attribuire al riconoscimento dell’invalidita’ dell’ (OMISSIS) (si rinvia integralmente, sul punto, alle considerazioni svolte dal Tribunale, il cui compendio argomentativo – secondo un indirizzo interpretativo del tutto consolidato – si salda con quello della sentenza di secondo grado, qualora i giudici di appello abbiano esaminato le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice. E’ da notare che anche in questa occasione il (OMISSIS), nel parlare con il (OMISSIS) della pratica, ha attribuito all’ (OMISSIS) un nome di battesimo errato, chiamandolo “Renato”: risulta quindi confermata la logicita’ della motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui aveva ritenuto irrilevante l’erroneo riferimento del (OMISSIS) ad un inesistente ” (OMISSIS)”: cfr. supra, § 2.2.3).
3. Manifestamente infondati sono anche i motivi concernenti il diniego dell’attenuante di cui all’articolo 323-bis c.p., avuto riguardo all’insegnamento di questa Suprema corte secondo cui “in tema di delitti contro la P.A., la circostanza attenuante speciale prevista per i fatti di particolare tenuita’ ricorre quando il reato, valutato nella sua globalita’, presenti una gravita’ contenuta, dovendosi a tal fine considerare non soltanto l’entita’ del danno economico o del lucro conseguito, ma ogni caratteristica della condotta, dell’atteggiamento soggettivo dell’agente e dell’evento da questi determinato” (Sez. 6, n. 14825 del 26/02/2014, Di Marzio, Rv. 259501).
In tale condivisibile ottica interpretativa, la pur sintetica motivazione della sentenza impugnata deve ritenersi immune dalle censure prospettate, avendo valorizzato – ad onta della obiettiva modestia delle somme richieste all’ (OMISSIS) – il contesto giudiziario in cui sono maturati i fatti in contestazione (risultando superfluo soffermarsi sulla congruenza e logicita’ di un siffatto riferimento) e sull’insistenza palesata nella richiesta delle somme (profilo che sembra riguardare essenzialmente la condotta del (OMISSIS), alla quale peraltro il (OMISSIS) non puo’ ritenersi in alcun modo estraneo, anche alla luce di quanto poc’anzi osservato in ordine alla telefonata fatta dinanzi agli (OMISSIS) proprio nel corso della conversazione dedicata alla necessita’ di versare 700 Euro, per ottenere una favorevole decorrenza del riconoscimento dell’invalidita’: cfr. supra, § 2.2.4).
4. Ad analoghe conclusioni occorre giungere per cio’ che riguarda il diniego delle attenuanti generiche. Il sintetico riferimento alle modalita’ e odiosita’ delle condotte, contenuto nella sentenza impugnata, si pone in linea con i rilievi pÃÂÂu’ diffusamente sviluppati sul punto dal Tribunale, che ha negato il beneficio sottolineando, tra l’altro, la gravita’ insita nel mercimonio delle funzioni con connotazioni prevaricatorie, in un settore delicato come quello della sanita’ (cfr. pag. 146). Trattasi di valutazione che appare immune da censure deducibili in questa sede, alla luce dell’indirizzo interpretativo secondo cui non e’ necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma e’ sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n.3609 del 18/1/2011, Sermone, Rv. 249163).
5. Le considerazioni fin qui svolte impongono una declaratoria di inammissibilita’ dei ricorsi, con conseguente preclusione della possibilita’ di accogliere le istanze subordinate di annullamento senza rinvio per intervenuta prescrizione del reato, essendo quest’ultima maturata in data successiva a quella di emissione della sentenza impugnata (cfr. supra, § 1).
L’inammissibilita’ dei ricorsi determina, inoltre, la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, e al versamento della somma di Euro duemila ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila ciascuno a favore della Cassa delle Ammende.
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