SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE II CIVILE
Sentenza 3 febbraio 2012, n. 1675
Ritenuto in fatto
1. – Con atto di citazione notificato il 3 gennaio 2001, la Ma.El. s.r.l. convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di Napoli, la General Trade Group s.r.l. per sentire dichiarare la nullità dell’atto di vendita per notar Milone di Napoli in data 30 dicembre 1998, del contratto di locazione del 30 dicembre 1998 e del patto di opzione al riacquisto anch’esso del 30 dicembre 1998, perché stipulati in frode alla legge, in violazione degli artt. 1344 e 2744 cod. civ.
Espose la società di avere alienato alla convenuta, con il citato atto pubblico, l’immobile di sua proprietà sito in (omissis) , per il prezzo di lire 2.600.000.000; che il prezzo pattuito era stato in parte corrisposto dall’acquirente General Trade Group contestualmente alla stipula dell’atto pubblico di compravendita e, per il residuo, mediante accollo da parte dell’acquirente di mutui ipotecari contratti dalla Ma.El. s.r.l. con la Icle s.p.a. e con l’Isveimer s.p.a.; che unitamente alla stipula del contratto di compravendita era stato sottoscritto, nella stessa data e tra le stesse parti, un contratto di locazione, con cui l’acquirente aveva locato alla venditrice l’immobile oggetto del primo contratto; che con diversa scrittura privata la General Trade Group s.r.l. aveva stipulato con la Ma. El. un patto di opzione, in base al quale era stata riconosciuta a quest’ultima la facoltà di riacquistare la proprietà dell’immobile oggetto della compravendita contro il versamento della somma delle vecchie lire 2.800.000.000, oltre all’IVA, cifra da rivalutarsi in base ad un tasso annuo pari all’8%.
Tanto premesso, l’attrice concluse per l’accoglimento delle seguenti conclusioni: (a) accertare il collegamento negoziale tra il contratto di compravendita, il contratto di locazione ed il patto di opzione; (b) accertare che l’effetto realizzato dal complesso delle predette pattuizioni non era quello di pattuire un prezzo come corrispettivo di una compravendita, bensì quello di mutuare una somma, costituendo allo stesso tempo una garanzia reale in favore del mutuante, garanzia rappresentata dal trasferimento dell’immobile; (c) dichiarare, quindi, la nullità dei contratti, perché in frode alla legge, e condannare la convenuta alla restituzione dei canoni di locazione.
Si costituì la convenuta, resistendo, ed in via subordinata chiedendo, a mezzo di riconvenzionale e per l’ipotesi di accoglimento della domanda dell’attrice, la condanna della Ma.El. alla restituzione delle somme indebitamente ricevute.
Il Tribunale adito, con sentenza depositata in data 20 gennaio 2005, rigettò la domanda della Ma.El.
2. – La Corte d’appello di Napoli, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 5 febbraio 2010, ha respinto il gravame della Ma.El.
2.1. – La Corte territoriale ha premesso che la domanda di nullità di una compravendita, finalizzata alla configurabilità di un patto commissorio, non può prescindere dalla dimostrazione dell’esistenza tra le parti di un accordo preventivo, in virtù del quale, da un lato, il debitore consenta che il trasferimento del bene sia la conseguenza della mancata estinzione del debito e, dall’altro lato, il creditore realizzi un arricchimento ingiustificato in danno della controparte.
Nella specie – ha rilevato la Corte partenopea – la società appellante non ha dimostrato il preesistente rapporto obbligatorio con l’acquirente General Trade Group né, tanto meno, il preesistente contratto di mutuo e la debolezza economica della predetta alienante.
Con l’operazione economica intervenuta – ha sottolineato la Corte d’appello – è stato realizzato l’interesse sia della Ma.El, quale alienante, a conservare la conduzione dell’immobile al fine di salvaguardare il proprio avviamento commerciale, sia l’interesse della General Trade Group, quale acquirente, ad ottenere un corrispettivo per la locazione. Né è stata accertata alcuna sproporzione tra il valore del bene ed il corrispettivo versato dall’acquirente.
3. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello la Ma.El. ha proposto ricorso, con atto notificato il 5 luglio 2010, sulla base di tre motivi.
L’intimata General Trade Group ha resistito con controricorso.
Considerato in diritto
1. – Con il primo motivo (omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in riferimento all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ.) la società ricorrente lamenta che la Corte d’appello abbia confermato in fatto ed in diritto l’impianto della sentenza di primo grado, anche in punto di inquadramento dell’operazione negoziale in un contratto di sale and lease back, senza motivare sui rilievi mossi dall’appellante, in particolare circa il fatto che la General Trade Group non era una società finanziaria di leasing e che l’oggetto sociale della medesima prevedeva soltanto la possibilità di stipulare esclusivamente locazioni non finanziarie. Ad avviso della ricorrente, “se la sentenza di appello ha condiviso la ricostruzione giuridica del giudice di primo grado, avrebbe necessariamente dovuto motivare sui motivi di appello in ordine alla natura del contratto di leasing (finanziario o operativo), del canone di locazione da intendersi o meno come compenso per l’uso del bene o piuttosto restituzione rateale delle somme mutuate, sulla natura del prezzo di riscatto che cumulato con i canoni oltre all’8% di rivalutazione annua avrebbe difatti reso oltremodo gravoso, usurario ed impossibile per la venditrice il riacquisto dell’immobile”.
Con il secondo mezzo (violazione o falsa applicazione degli artt. 1344, 1345, 1418 e 2744 cod. civ., dell’art. 106 del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, dell’art. 1421 cod. civ. in relazione all’art. 644 cod. pen., degli artt. 1362 e ss. cod. civ. in relazione agli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. e dell’art. 2721 cod. civ.) si sostiene che il divieto di patto commissorio, sancito dall’art. 2744 cod. civ., si estende a qualunque negozio, quale che sia il contenuto, che venga impiegato per conseguire il risultato concreto vietato dall’ordinamento, dell’illecita coercizione del debitore a sottostare alla volontà del creditore, accettando preventivamente il trasferimento di proprietà di un bene, con conseguente estinzione del debito. Ad avviso della ricorrente, l’accertamento delle condizione di debolezza del venditore si può ricavare anche per presunzioni o tenuto conto della esposizione debitoria del medesimo di cui l’acquirente dell’immobile si renda accollatario al momento dell’acquisto del bene, costituendo l’opzione di riacquisto in favore del venditore, qualora chiaramente sproporzionata rispetto al prezzo pattuito al momento della cessione del bene, sintomo della coercizione a carico dell’originario venditore ed elemento utile alla qualificazione dei negozi intercorsi tra le parti. Inoltre, qualora il giudice ritenga la sussistenza tra le parti di una fattispecie negoziale di sale and lease back, nel caso in cui la parte finanziata lamenti la eccessiva onerosità per il superamento del tasso soglia ai sensi della legge 7 marzo 1996, n. 108, e dell’art. 640 cod. pen., dovrebbe essere dichiarata la nullità dei negozi intercorsi tra le parti per violazione di norma imperativa: sotto questo profilo, anche la circostanza che la parte finanziata non possa accedere al credito stante la preesistenza di ipoteche sul bene compravenduto a fini di garanzia per l’estinzione di debiti preesistenti anche nei confronti di terzi, costituirebbe elemento per la sussistenza della fattispecie vietata del patto commissorio di cui all’art. 2744 cod. civ. Infine, la ricorrente sostiene che il contratto di sale and lease back o vendita con locazione di ritorno sarebbe nullo per frode al divieto di patto commissorio ogni qualvolta si riscontrino anomalie idonee a snaturarne la funzione socialmente tipica e a rivelarne lo scopo di garanzia, come ad esempio nel caso in cui il prezzo venga utilizzato a scopo di sostegno finanziario alla società venditrice o non venga erogato come nel caso di mero accollo di mutui pregressi della venditrice e di estinzione di pregresse esposizioni della venditrice nei confronti della locataria acquirente.
Il terzo motivo denuncia “violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. in relazione agli artt. 1362 e ss., 2744 e 2721 cod. civ., nonché omessa ed erronea valutazione delle prove documentali ed in particolare del patto di opzione del 30 dicembre 1993 e della transazione del 22 dicembre 2008, agli atti del giudizio di appello”. Con esso si sostiene che il giudice d’appello dovrebbe poter ricavare argomenti di prova “anche dai documenti prodotti da una delle parti [per] dimostrare la eventuale cessata materia del contendere al fine di ricavare, come nella fattispecie dedotta in giudizio, la sussistenza della condotta dell’acquirente finanziatore volta ad eludere il divieto di cui all’art. 2744 cod. civ., condotta sussistente anche qualora la volontà del venditore a formalizzare la vendita con scopi di garanzia si sia formata con il concorso dello stesso acquirente socio di maggioranza della società venditrice”.
2. – I tre motivi – i quali, stante la loro connessione, possono essere esaminati congiuntamente – sono infondati.
2.1. – Incorre nella sanzione della nullità per violazione del divieto del patto commissorio posto dall’art. 2744 cod. civ. la convenzione mediante la quale le parti abbiano inteso costituire, con un determinato bene, una garanzia reale in funzione di un mutuo, istituendo un nesso teleologico o strumentale tra la vendita del bene ed il mutuo, in vista del perseguimento di un risultato finale consistente nel trasferimento della proprietà del bene al creditore-acquirente nel caso di mancato adempimento dell’obbligazione di restituzione del debitore-venditore.
L’art. 2744 cod. civ. costituisce infatti una norma materiale, destinata a trovare applicazione non soltanto in relazione alle alienazioni a scopo di garanzia sospensivamente condizionate all’inadempimento del debitore, ma anche a quelle immediatamente traslative risolutivamente condizionate all’adempimento del debitore (Cass., Sez. Un., 3 aprile 1989, n. 1611). Detta norma esprime un divieto di risultato, mirando a difendere il debitore da illecite coercizioni del creditore, assicurando nel contempo la garanzia della par condicio creditorum. È tale risultato che giustifica il divieto di legge, non i mezzi impiegati: con la conseguenza che, ove, sulla base della corretta qualificazione della fattispecie, il versamento del denaro non costituisca il pagamento del prezzo, ma l’esecuzione di un mutuo e il trasferimento del bene non integri l’attribuzione al compratore, bensì l’atto costitutivo di una posizione di garanzia innegabilmente provvisoria, manca la funzione di scambio tipica del contratto di compravendita e si realizza proprio il negozio vietato dalla legge (Cass., Sez. 2, 8 febbraio 2007, n. 2725; Cass., Sez. 2, 12 gennaio 2009, n. 437).
Perché la vendita realizzi una forma di garanzia impropria occorre quindi, tra l’altro, l’esistenza di una situazione di debito del venditore nei confronti dell’acquirente, preesistente o coeva alla vendita.
Nella specie, la Corte d’appello ha rilevato che nella specie difetta proprio tale presupposto, necessario perché l’operazione incorra nel divieto del patto commissorio.
Il giudice del merito ha anche escluso tanto la sproporzione tra entità del prezzo e valore del bene a-lienato e, più in generale, tra le reciproche obbligazioni nascenti dal rapporto, quanto l’approfittamento da parte dell’acquirente della situazione dell’alienante.
Non essendo stata fornita la prova dell’esistenza coeva o precedente di un’obbligazione dell’alienante verso l’acquirente, correttamente la Corte territoriale ha escluso che il trasferimento immobiliare fosse destinato a sovrapporsi all’inadempimento di un rapporto obbligatorio.
Si è trattato, infatti, di una vendita “isolata” con patto di opzione, dettata da esigenze di finanziamento, nella quale – ha rilevato la Corte d’appello, con logico e motivato apprezzamento delle risultanze di causa – manca, tra l’altro, qualsiasi sproporzione tra il valore del bene ed il corrispettivo versato, essendo il prezzo pagato dall’acquirente congruo rispetto ai valori indicati nella perizia giurata effettuata in base alla richiesta della stessa Ma.El. e costituendo l’accollo dei mutui una modalità di adempimento dell’obbligazione di pagamento del prezzo.
Dalla sentenza impugnata risulta altresì che l’equilibrio tra le prestazioni dei contraenti non è risultato alterato per effetto della stipulazione del contratto di locazione, perché con detta pattuizione è stato realizzato l’interesse sia della Ma.El. (quale alienante) a conservare la conduzione dell’immobile al fine di salvaguardare il proprio avviamento commerciale, sia l’interesse della General Trade Group ad ottenere un corrispettivo per la locazione.
Inoltre, escludendo la sussistenza di una più generale sproporzione tra le reciproche obbligazioni nascenti dall’intero rapporto, la Corte territoriale, ponendosi in continuità con l’accertamento compiuto dal Tribunale, ha – implicitamente ma chiaramente – negato che il corrispettivo pattuito per l’esercizio del diritto potestativo di opzione in capo all’alienante fosse di entità tale da determinare un’alterazione degli equilibri contrattuali o una sopraffazione di una parte a danno dell’altra.
Le verifiche compiute dal giudice del merito per escludere la frode dimostrano che la Corte di Napoli non si è fermata ad un’indagine formale dei tre atti in questione (il contratto di vendita, il contratto di locazione ed il patto di opzione), ma ha compiuto una valutazione penetrante e d’insieme, apprezzando ogni circostanza di fatto relativa alle pattuizioni intervenute e al risultato concreto che l’operazione negoziale nel suo complesso era idonea a produrre.
2.2. – Anche le ulteriori censure articolate con i motivi non colgono nel segno:
la doglianza relativa alla mancata iscrizione dell’acquirente nell’albo degli intermediari finanziari autorizzati, previsto dall’art. 106 del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (approvato con il d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385), introduce nella controversia un tema d’indagine nuovo, che dal testo della sentenza impugnata non consta abbia costituito oggetto del thema decidendum nei gradi di meritoria critica consistente nel non avere la sentenza d’appello preso in considerazione la censura, rivolta alla sentenza di primo grado, relativa al discostarsi dell’operazione da un vero e proprio contratto di leasing o di sale and lease back, è priva di decisività e di pertinenza, perché non tiene conto del fatto che la Corte territoriale ha ampiamente motivato sia sull’insussistenza di uno scopo di garanzia alla base della concreta operazione, sia sulla mancanza degli altri indici sintomatici della frode (la sproporzione tra entità del prezzo e valore del bene alienato e, più in generale, delle reciproche obbligazioni nascenti dal rapporto) (cfr. Cass., Sez. 3, 16 ottobre 1995, n. 10805; Cass., Sez. 3, 21 gennaio 2005, n. 1273; Cass., Sez. 3; 14 marzo 2006, n. 5438; Cass., Sez. 3, 22 marzo 2007, n. 6969);
il riferimento all’usurarietà dell’operazione negoziale contrasta con la valutazione di complessivo equilibrio della stessa formulato dalla Corte d’appello, e muove da una lettura delle pattuizioni negoziali già smentita dal primo giudice, il quale aveva evidenziato come la prevista liberazione per l’intero della General Trade dall’accollo dei mutui era stata stipulata per la sola ipotesi in cui il diritto di opzione fosse stato esercitato in epoca anteriore all’estinzione dei debiti stessi, cosicché ove l’acquirente fosse stata liberata dagli accolli, il relativo importo avrebbe dovuto essere detratto dal prezzo di opzione;
in ogni caso, detta censura non considera che la nullità per usurarietà dell’intera operazione era stata oggetto di una diversa azione giudiziaria, promossa dinanzi al Tribunale di Salerno dalla curatela del fallimento della Ma.El. s.r.l. nei confronti della General Trade: domanda non solo rigettata da quel giudice, ma anche oggetto, successivamente, della transazione in data 22 dicembre 2008, con la quale la curatela, a ciò debitamente autorizzata, ha riconosciuto “la piena legittimità e liceità” dell’atto di compravendita notar Milone del 30 giugno 1998 nonché del contratto di locazione e del patto di opzione di pari data.
3. – Il ricorso è rigettato.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dalla controricorrente, che liquida in complessivi Euro 6.200, di cui Euro 6.000 per onorari, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
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