La riorganizzazione aziendale se non direttamente riferibile alla situazione del lavoratore non giustifica il demansionamento per il quale la società paga il danno biologico.

Corte di Cassazione, sezione lavoro, ordinanza 22 marzo 2018, n. 7118.

La riorganizzazione aziendale se non direttamente riferibile alla situazione del lavoratore non giustifica il demansionamento per il quale la società paga il danno biologico.

Ordinanza 22 marzo 2018, n. 7118
Data udienza 19 dicembre 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11992-2013 proposto da:

(OMISSIS) S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta difende, giusta delega in atti;

– controricorrente

avverso la sentenza n. 2329/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 03/05/2012 R.G.N. 6768/2008.

RILEVATO IN FATTO

che, con la sentenza n. 2329/2012, la Corte di appello di Roma ha confermato sia la pronuncia non definitiva del 19.9.2006 che quella definitiva del 10.7.2007, rese dal Tribunale della stessa citta’ con le quali, in accoglimento delle domande proposte da (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS) spa, era stato ordinato alla societa’ di attribuire all’originario ricorrente mansioni equivalenti a quelle svolte precedentemente al provvedimento in data 7.2.2001 ed era stata condannata la societa’ al risarcimento del danno biologico nella misura di 120 giornate di inabilita’ temporanea liquidata secondo le tabelle INAIL nonche’ al risarcimento del danno da demansionamento nella misura pari ad un quarto della retribuzione effettivamente percepita nel periodo dal 7.2.2001 al 7.10.2006, oltre accessori e spese;

che avverso la decisione di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS) spa affidato a due motivi;

che (OMISSIS) ha resistito con controricorso;

che il PG non ha formulato richieste scritte;

che le parti hanno depositato memorie.

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con il ricorso per cassazione, si censura: 1) la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2103 c.c., degli articoli 115 e 116 c.p.c. e degli articoli 37, 38, 44, 45, 48, 49, 50, 51 e 53 del CCNL 1994 (articolo 360 c.p.c., n. 3) nonche’ l’insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia (articolo 360 c.p.c., n. 5) per avere erroneamente ritenuto la Corte territoriale, nella specie, non ravvisabile alcuna equivalenza tra le mansioni svolte dal (OMISSIS) prima del febbraio 2001 e quelle disimpegnate successivamente e per avere erroneamente applicato il disposto di cui all’articolo 2103 c.c., sia perche’ l’adibizione a nuove mansioni si era resa necessaria a seguito della soppressione delle attivita’ di natura tecnica svolte in precedenza sia perche’ le nuove mansioni risultavano pacificamente idonee a valorizzare la professionalita’ potenziale del (OMISSIS); 2) la violazione degli articoli 115, 116, 414 e 420 c.p.c., articoli 2697, 1223, 1226, 2103, 2043, 2059 e 2087 c.c. (articolo 360 c.p.c., n. 3) nonche’ l’insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia (articolo 360 c.p.c., n. 5) per non avere, con riguardo alla condanna al risarcimento del danno biologico per effetto del ravvisato demansionamento, la Corte di merito chiarito, in concreto, le ragioni effettive della correttezza delle conclusioni cui era pervenuto il consulente tecnico il quale, peraltro, aveva omesso di evidenziare gli elementi da cui desumere il diretto collegamento tra le mansioni disimpegnate dal (OMISSIS) a partire dal 2001 e la patologia individuata nell’elaborato peritale; inoltre, con riguardo al riconoscimento del danno morale, si contestano le argomentazioni della Corte distrettuale che, da un lato, ha ritenuto inidonee le censure dell’atto di appello a condurre alla riforma della sentenza di primo grado e, dall’altro, ha, in pratica, riconosciuto una duplicazione del danno morale ammettendo congiuntamente sia il danno biologico che quello morale e che, comunque, non era necessario il solo inadempimento datoriale ma anche la prova del pregiudizio in concreto patito;

che il primo motivo e’ infondato in quanto, ancorche’ svolto sotto il profilo della violazione di legge, la censura si sostanzia nella critica della ricostruzione fattuale operata dalla Corte territoriale, configurando come tale una censura riconducibile al paradigma del vizio di motivazione che, pero’, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, non conferisce al giudice di legittimita’ il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale sottoposta al suo vaglio: in particolare, deve rilevarsi che la Corte territoriale, con argomentazioni logiche e congrue, da un lato, ha rilevato che nessuna equivalenza tra le mansioni svolte prima e dopo il cambiamento poteva ravvisarsi con riguardo alla posizione del (OMISSIS) e, dall’altro, che la deduzione della societa’ circa una riorganizzazione aziendale era generica, poiche’ riferita all’intero contesto aziendale e priva di qualsivoglia diretta riferibilita’ alla concreta vicenda del lavoratore, oltre ad essere sfornita di prova;

che il secondo motivo e’ anche esso infondato: invero, la Corte territoriale, in primo luogo, ha rilevato che in atti non vi era alcuna CTP; in secondo luogo, ha aderito alle conclusioni del CTU sottolineando che, a seguito di approfonditi esame della documentazione medica e valutazione clinica del caso, oltre che dall’esame dell’interessato e degli atti processuali, era stata evidenziata la sussistenza di una “reattivita’ ansiosa specifica fondamentalmente legata al demansionamento subito dal proprio datore di lavoro”. Orbene, a fronte di tali valutazioni di fatto incensurabili in cassazione, con il motivo in esame non vengono dedotti vizi logico-formali che si concretino in deviazioni dalle nozioni della scienza medica o si sostanzino in affermazioni manifestamente illogiche o scientificamente errate, risolvendosi in un mero dissenso diagnostico e in una inammissibile critica del convincimento del giudice (tra le altre Cass. 12.9.2016 n. 17935; Cass. 15.1.2013 n. 767);

che quanto, invece, alla asserita duplicazione del danno biologico e di quello morale, deve evidenziarsi che, se e’ vero che il danno morale non e’ una posta autonoma di danno, ma solo un criterio di liquidazione della piu’ generale posta di danno non patrimoniale risarcibile ex articolo 2059 c.c. (cfr. Cass. n. 26792/2008), tuttavia va rilevato che dal sostanziale tenore della motivazione della sentenza impugnata si evince che in tal modo e’ stato considerato dalla Corte di merito la quale lo ha ritenuto una componente del calcolo del danno non patrimoniale rilevante ai fini della determinazione del patito danno da demansionamento sofferto dal lavoratore;

che alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato;

che, al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimita’ che si liquidano come da dispositivo; ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimita’ che liquida in Euro 4.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

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