SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE IV PENALE
Sentenza 27 giugno 2012, n. 25399
Ritenuto in fatto
C.V. veniva tratto a giudizio dinanzi al Tribunale di Trento per rispondere del reato di guida in stato di ebbrezza secondo la seguente contestazione: perché alla guida dell’autovettura Dodge Nitro targata (…) circolava in stato di ebbrezza in conseguenza dell’uso di bevande alcoliche, stato reso manifesto dalle condizioni psico-fisiche del soggetto: “occhi lucidi, equilibrio precario, forte alito alcolico, comportamenti disarticolati con vistosi ondeggiamenti in avanti, continui sbalzi di umore e difficoltà di espressione verbale”; inoltre, sottoposto ad alcoltest, nonostante ripetuti tentativi, a causa delle condizioni suddette non riusciva a soffiare correttamente nell’apparecchio e, quindi, a portare a termine la prova; dalla gravità degli elementi sintomatici sopra decritti si poteva desumere un tasso alcolico superiore a 1,5 g/l. Commesso in (omissis).
Per tale fatto il Tribunale condannava il C. alla pena complessiva di Euro 4.280,00 di ammenda, previa sostituzione della pena detentiva di mesi due di arresto con quella dell’ammenda, oltre alla sospensione della patente di guida per mesi sei. L’imputato era stato sottoposto a controllo dei carabinieri di Trento, la notte del (omissis) alle ore 2,50 circa; egli era alla guida dell’autovettura della società Pastorello s.r.l. Era apparso subito evidente ai Militari dell’Arma lo stato di alterazione alcoolica del C., il quale era stato perciò invitato a soffiare nell’apposita apparecchiatura di sommario accertamento, che aveva dato esito positivo; si era quindi proceduto ad effettuare l’alcooltest, senza alcun esito nonostante sette tentativi; nella relazione era stato precisato che il C. , proprio a causa dello stato in cui versava, non era riuscito a portare a termine nemmeno una prova.
Su queste basi il primo giudice riteneva ricorrente l’ipotesi di cui all’art. 136 co. 2 lett. b) c.d.s., posto che fino alla soglia dello 0,80 l’ubriachezza è asintomatica e che in questo caso, essendo stati rilevati sintomi consistenti, quali “occhi lucidi, equilibrio precario, forte alito alcoolico, comportamenti disarticolati con vistosi ondeggiamenti in avanti, continui sbalzi di umore e difficoltà di espressione verbale”, non poteva che versarsi in una delle ipotesi più gravi e, peraltro, doveva ritenersi configurabile la meno grave tra esse perché più favorevole. Proponeva appello il difensore dell’imputato, deducendo che quest’ultimo era affetto da grave insufficienza respiratoria e per questa ragione non aveva potuto soffiare adeguatamente, per cui, in mancanza di un accertamento di tipo tecnico, non poteva essere affermata alcuna violazione che andasse al di là della ipotesi minima di cui alla lettera a) dell’art. 186 c.d.s., conformemente a quanto ritenuto dalla giurisprudenza in materia: a tale criterio il primo giudice non si era attenuto, postulando apoditticamente la soglia dello 0,8 come quella discriminante tra alterazione asintomatica e sintomatica, mentre, invece, alcuni dei sintomi rilevati potevano essere presenti già al di sotto di quel limite ed in ogni caso non potevano fare da guida nella decisione le semplici impressioni avute dai carabinieri, facendole assurgere ad elementi dotati di dignità scientifica. L’appellante sosteneva quindi che il fatto addebitato al C. costituiva illecito depenalizzato. In subordine si sollecitava la concessione delle attenuanti generiche con riduzione al minimo, sia della pena che del periodo di sospensione della patente, e concessione, altresì, della non menzione della condanna. Con motivi aggiunti il difensore chiedeva inoltre che, in caso di riconoscimento della fattispecie di cui all’art. 186 co. 2 lett. b), fosse applicata la sostituzione della pena con quella del lavoro di pubblica utilità, di cui all’art. 54 del d.lgs. 28-8-2000 n. 274, quale ulteriore possibilità introdotta dalla L. n. 120 del 29-7-2010: in udienza veniva prodotta dichiarazione di disponibilità a ricevere la persona, rilasciata dal responsabile della Azienda Pubblica “S. Spirito, Fondazione Montel” di Pergine Valsugana, nella fascia oraria dalle 15,30 alle 17,30, dal lunedì al venerdì.
La Corte distrettuale confermava l’affermazione di colpevolezza del Ci uri etti ribadendo la riconducibilità del fatto all’ipotesi di cui alla fascia b) del secondo comma dell’art. 186 del codice della strada e dava conto del convincimento così espresso con le seguenti argomentazioni: 1) l’insufficienza della spinta respiratoria era stata attribuita dai verbalizzanti a malizia del controllato; contrariamente il difensore aveva ampiamente documentato che egli soffriva di gravi problemi respiratori e ciò chiudeva l’argomento, di tal che l’intera valutazione doveva essere fatta sulla base delle complessive circostanze emerse e secondo i normali criteri interpretativi accreditati dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui “Non vi è motivo di ritenere che il nuovo sistema sanzionatorio (introdotto con il d.l. 3-8-2007 n. 117 e successive modificazioni apportate all’art. 186 del c.d.s.) precluda oggi al giudice di poter dimostrare l’esistenza dello stato di ebbrezza del livello contestato nell’imputazione, in assenza di accertamento strumentale e precipuamente sulla base delle circostanze sintomatiche riferite dai verbalizzanti; occorre, però, che ricorrano significativi e concreti elementi per ritenere sussistente nell’organismo del soggetto, al momento del controllo, un tasso alcoolemico superiore a 0,8 g/l. Diversamente si dovrà optare per la fattispecie meno grave di cui all’art. 186 lett. a) c.d.s., oggi depenalizzata, ai sensi della L n. 120 del 2010, art. 33” (in proposito veniva evocata la sentenza n. 16012 del 17 febbraio 2011 della Quarta Sezione Penale); 2) un valore orientativo determinante poteva essere desunto dalla “tabella descrittiva dei principali sintomi correlati ai diversi livelli di concentrazione alcolemica”, costituente l’allegato 1 alla legge modificativa dell’art. 186 c.d.s., pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 210 dell’8-9-2008; dovendo tuttavia comunque privilegiarsi il criterio prudenziale della conclusione più favorevole all’imputato, nel senso che tra la ricostruzione indiziaria che potrebbe condurre a far riconoscere una violazione di cui alla lettera c), con aspetti di confondibilità con i profili di cui alle altre due lettere, si propenderà per la ricorrenza della violazione di fascia minore, non esclusa la a), quando la confondibilità stessa toccherà anche gli ambiti suoi propri; 3) nella descrizione fatta dai Carabinieri delle condizioni del C. al momento del controllo spiccavano particolarità che risultavano proprie delle alterazioni di livello superiore allo 0,8: così, i “comportamenti disarticolati, con vistosi ondeggiamenti in avanti”, richiamavano la “difficoltà marcata a stare in piedi o camminare”, corrispondente in tabella ai livelli compresi tra 1,6 e 3,0; così, ancora, “fa difficoltà di espressione verbale”, richiamava il “linguaggio mal articolato”, corrispondente ai livelli compresi tra 0,9 ed 1,5; bastavano questi rilievi per collocare la condizione della persona in ambito rientrante nei più alti gradi della compromissione psicofisica, che già per se stessi facevano escludere di essere al cospetto delle ben minori alterazioni da fascia a) (riduzione della capacità di giudizio, riduzione della capacità di individuare oggetti in movimento e della visione laterale, riflessi alterati, alterazione delle capacità di reazione agli stimoli sonori e luminosi), tutte consistenti in minorazioni più o meno avvertibili dalla stessa persona coinvolta e non certo di immediata percepibilità esterna; d’altro canto, che si trattasse di effettiva alterazione da abuso di sostanze alcoliche risultava confermato dal peculiare “forte alito alcoolico” menzionato dai carabinieri e dal fatto che il primo screening con il cd. “premonitore” aveva dato esito positivo; correttamente, pertanto, il primo giudice aveva escluso che l’imputato versasse in una alterazione da fascia minima (altrimenti non avrebbe potuto avere manifestazioni da fascia massima) ed aveva escluso anche la fascia massima, non perché non fossero emerse sintomatologie corrispondenti, ma per necessario ripiegamento sul livello immediatamente inferiore, secondo la logica del “favor rei”; 4) quanto al trattamento sanzionatorio (e per la parte che in questa sede rileva), ad avviso della Corte di merito non poteva concedersi la sostituzione della pena con il lavori di pubblica utilità prevedendo la normativa di riferimento che il lavoro debba essere svolto prioritariamente “nel campo della sicurezza e dell’educazione stradale”, come previsto dall’art. 186 co. 9 bis c.d.s. e non risultando che l’Azienda “S. Spirito, Fondazione Montel” operasse nello specifico settore.
Ricorre per cassazione il Ci uri etti, tramite il difensore deducendo violazione di legge e vizio di motivazione sotto plurimi profili in ordine alla ritenuta riconducibilità del fatto addebitato al C. all’ipotesi di cui alla lettera b) dell’art. 186 del codice della strada, anche per quel che riguarda le indicazioni contenute nella “Tabella descrittiva dei principali sintomi correlati ai diversi livelli di concentrazione alcolemica” cui la Corte distrettuale ha fatto riferimento per dar conto del proprio convincimento; osserva in particolare il ricorrente che: a) i dati sintomatici riscontrati e riferiti dai verbalizzanti, e valutati dai giudici di merito come rivelatori di uno stato di ebbrezza del C. da collocarsi al di sopra della soglia 0,8 – vale a dire i “comportamenti disarticolati, con vistosi ondeggiamenti in avanti” che ad avviso della Corte distrettuale evocherebbero “la difficoltà marcata a stare in piedi e camminare” collegata nella tabella a livelli tra 1,6 e 3,0 – sarebbero invece, in base alla medesima tabella, compatibili anche con un tasso alcolemico al di sotto della soglia di 0,8: 1) il significato dell’espressione “riduzione del coordinamento motorio o dei riflessi” non sembrerebbe diverso, ad avviso del ricorrente, da quello ravvisarle nell’espressione “difficoltà a stare in piedi o camminare” oppure “alterazione dell’equilibrio”; 2) la “difficoltà di espressione verbale”, che secondo i giudici di seconda istanza richiamerebbe il “linguaggio mal articolato”, potrebbe avere altre spiegazioni come uno stress emotivo o lo stato d’ansia creatosi nel C. per il fatto che costui non riusciva ad eseguire il test con l’etilometro; ancora, la Corte territoriale avrebbe del tutto omesso ogni valutazione delle indicazioni fornite dal prof. T. con la sua relazione medico-legale e tossicologica (allegata al ricorso) secondo cui dovrebbe escludersi l’applicabilità al caso di specie di fasce diverse da quella sub a) dell’art. 186 dei codice della strada; si denuncia poi contraddittorietà di motivazione nella parte in cui la Corte d’Appello dopo aver attribuito un valore orientativo determinante alla tabella descrittiva dei sintomi delle varie fasce di ebbrezza, ha poi precisato che “non esiste categoricità o meccanicismo assoluto nelle relative elencazioni, Incidendo su di esse le variabilità individuali”, così dando atto della rilevanza della componente soggettiva invece del tutto trascurata dalla Corte stessa: la giurisprudenza di legittimità richiamata dai giudici di merito ritiene indispensabile, per la configurabilità di un’ipotesi di ebbrezza riconduciate ad una delle fasce diverse da quella sub a), in presenza di dati sintomatici, che ci si trovi di fronte ad elementi “significativi” e “concreti”, insussistenti nel caso di specie; avrebbe infine errato la Corte d’Appello nel negare la sostituzione della pena con il lavoro di pubblica utilità posto che lo svolgimento del lavoro nel campo della sicurezza e dell’educazione stradale costituirebbe un’indicazione in via prioritaria ma non esclusiva, tanto che la stessa disposizione di legge consente di rivolgersi anche ad enti di “assistenza sociale e di volontariato”.
Considerato in diritto
Il principale motivo di ricorso è meritevole di accoglimento, per le ragioni di seguito indicate, con conseguente assorbimento delle ulteriori censure. Talune precisazioni e considerazioni si impongono in via preliminare.
L’articolo 5 del d.l. 3 agosto 2007, n. 117 ha – come è noto – riscritto l’articolo 186 del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, trasformando in illecito amministrativo il rifiuto di sottoporsi all’accertamento (poi ricriminalizzato con la novella del 2008), ma non abolendo, neppure in parte, la fattispecie di guida in stato di ebbrezza ed inasprendone anzi l’apparato sanzionatorio.
In particolare, le pene principali sono state differenziate in base alla gravità della violazione: prima fascia: ammenda da 500 a 2000 Euro e arresto fino ad un mese se il tasso alcolemico accertato é superiore a 0,5 grammi per litro e non superiore a 0,8 (la previsione dell’arresto è stata, poi, soppressa dalla legge di conversione 2 ottobre 2007, n. 160 e la contravvenzione è, dunque, tornata ad essere oblabile);
seconda fascia: ammenda da 800 a 3.200 Euro ed arresto fino a tre mesi (elevato a sei mesi dall’articolo 4 del d.l. 23 maggio 2008, n. 92, recante misure urgenti in materia di sicurezza pubblica, convertito dalla legge 24 luglio 2008, n. 125) se il tasso alcolemico accertato é superiore a 0,8 grammi per litro e non superiore a 1,5.
terza fascia: ammenda da 1.500 a 6.000 Euro ed arresto fino a sei mesi (ora da tre mesi ad un anno per effetto dell’intervento dei provvedimenti legislativi da ultimo citati) se il tasso alcolemico accertato é superiore a 1,5 grammi per litro.
Nella vigenza del precedente assetto normativo, questa Corte aveva più volte avuto modo di affermare (cfr. Cass. S.U. 27 settembre 1995, Cirigliano, RV 203634; Cass. 4, 4 maggio 2004, Ciacci, RV 229966; Cass. 4, 9 giugno 2004, p.m. in proc. Massacesi, RV 229087) che lo stato di ebbrezza del conducente del veicolo poteva essere accertato e provato, ai fini della configurabilità della contravvenzione in esame, con qualsiasi mezzo, e non necessariamente, né unicamente, mediante la strumentazione (il cd. etilometro) e le procedure indicate nel menzionato articolo 379 del d.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495.
In particolare, per il principio del libero convincimento, per l’assenza di prove legali e per la necessità che la prova non dipenda dalla discrezionale volontà della parte interessata, il giudice poteva dimostrare l’esistenza dello stato di ebbrezza sulla base delle circostanze sintomatiche, desumibili in particolare dallo stato del soggetto (alterazione della deambulazione, difficoltà di movimento, eloquio sconnesso, alito vinoso, ecc.) e dalla condotta di guida (che i verbalizzanti hanno il compito di indicare nella notizia di reato, ai sensi dell’articolo 347 c.p.p.: v. comma 3 del citato articolo 379).
Con le modificazioni anzidette sono state dunque introdotte tre fasce contravvenzionali che, come questa Corte ha già ripetutamente avuto modo di affermare (cfr. ad esempio Cass. 4, 16 settembre 2008, Vergori; Cass. 4, 11 aprile 2008, P.G. in proc. Scanziani, non massimate), integrano fattispecie autonome di reato, non ricorrendo alcun rapporto di specialità fra le tre disposizioni: le ipotesi ivi contemplate – disposte, come si è visto, in ordine crescente di gravità modellata sul tasso alcolemico accertato – sono, invero, caratterizzate da reciproca alternatività, quindi da un rapporto di incompatibilità.
Ciò detto, non vi è motivo, tuttavia, di ritenere che il nuovo sistema sanzionatorio precluda oggi al giudice di poter dimostrare l’esistenza dello stato di ebbrezza sulla base delle circostanze sintomatiche riferite dai verbalizzanti.
Le ragioni che legittimavano quell’orientamento interpretativo (principio del libero convincimento, assenza di prove legali e necessità che la prova non dipenda dalla discrezionale volontà della parte interessata) non sono, invero, venute meno.
Il tasso alcolemico è elemento costitutivo di ognuna delle tre fattispecie e, come tale, è suscettibile di accertamento secondo le regole che governano il sistema delle prove. Dunque, è ben possibile, per le ragioni dianzi indicate, che il giudice possa desumere lo stato di alterazione psicofisica derivante dall’influenza dell’alcool, indipendentemente dall’accertamento strumentale, da qualsiasi elemento sintomatico dell’ebbrezza: e ciò deve ritenersi con riferimento a tutte e tre le ipotesi introdotte dall’art. 5 del D.L. 3.8.2007 n. 117 nella ristrutturazione dell’art. 186 C.d.S.
Una volta ammesso che, in linea di principio, lo stato di ebbrezza può desumersi da elementi sintomatici, è agevolmente intuibile che, sul piano probatorio, la possibilità per il giudice di avvalersi, ai fini dell’affermazione della sussistenza dello stato di ebbrezza, delle sole circostanze sintomatiche riferite dagli agenti accertatori sarà da circoscriversi – in mancanza di significativi, concreti ed univoci elementi fattuali per ritenere sussistente nell’organismo del soggetto, al momento del controllo, un tasso alcolemico superiore a 0,8 g/l – alla sola fattispecie meno grave.
Fatte queste premesse sul piano sistematico ed ermeneutico, e passando all’esame della concreta fattispecie, mette conto sottolineare che la colpevolezza del C. – una volta esclusa qualsiasi rilevanza all’insufficienza della spinta respiratoria dello stesso, ritenuta dai giudici di seconda istanza riconducibile non alla malizia dell’imputato ma ad una sua patologia idoneamente documentata – è stata affermata sulla scorta delle circostanze sintomatiche dello stato di ebbrezza rilevate al momento del controllo, valutate dai verbalizzanti e così descritte dagli stessi: “occhi lucidi, equilibrio precario, forte alito alcolico, comportamenti disarticolati con vistosi ondeggiamenti in avanti, continui sbalzi di umore e difficoltà di espressione verbale”.
La Corte d’Appello, nella concreta fattispecie, ha in particolare valorizzato i “comportamenti disarticolati, con vistosi ondeggiamenti in avanti”, e “la difficoltà di espressione verbale”, per cui su tali dati bisogna soffermarsi, non potendo certo attribuirsi alcun decisivo rilievo agli “occhi lucidi” ed all’”alito vinoso” che rappresentano le comuni e ricorrenti conseguenze di uno stato di ebbrezza riconducibile anche ad un tasso alcolemico nell’ambito della forbice di cui alla fascia a) del secondo comma dell’art. 136 del codice della strada. Orbene, appare di tutta evidenza che i dati sintomatici rilevati dai verbalizzanti nel caso in esame non possono considerarsi quali “elementi significativi, concreti ed univoci” richiesti dalla giurisprudenza per la riconducibilità – pur in mancanza di un accertamento strumentale -dello stato di ebbrezza del Ci uri etti, oltre ogni ragionevole dubbio, in una delle due fasce sub b) e sub c) di cui al secondo comma del citato art. 186 del codice della strada; ed invero: 1) il comportamento del C. è stato descritto dai verbalizzanti sulla scorta di un loro apprezzamento, inevitabilmente orientato – certo in assoluta buona fede – da parametri soggettivi di valutazione; 2) a sua volta, la Corte d’Appello ha ritenuto, con propria valutazione e con una ulteriore operazione interpretativa di quei dati sintomatici, di poter ricondurre i “comportamenti disarticolati, con vistosi ondeggiamenti in avanti” a quella “difficoltà marcata a stare in piedi e camminare” collegata nella tabella a livelli tra 1,6 e 3,0, e “la difficoltà di espressione verbale” al “linguaggio mal articolato” corrispondente ai livelli compresi tra 0,9 ed 1,5; 3) la mancanza di sicuri parametri oggettivi cui rapportare la descrizione dei verbalizzanti risulta palese laddove si consideri, ad esempio, che tra i dati sintomatici descritti nella tabella come riferibili ad un tasso alcolemico addirittura inferiore a 0,5 vi è anche la “riduzione del coordinamento motorio e dei riflessi”: di tal che non può certo escludersi che i verbalizzanti abbiano valutato come “comportamenti disarticolati, con vistosi ondeggiamenti in avanti” un atteggiamento riconducibile invece ad una “riduzione del coordinamento motorio e dei riflessi”; quanto alla “difficoltà di espressione verbale”, si tratta di formulazione che, in quanto genericamente così indicata in tabella quale dato riconducibile ad un tasso alcolemico 0,9/1,5, necessita di concreta descrizione nella specie inesistente (frasi sconclusionate, risposte del tutto non pertinenti a domande formulate, difficoltà meccanica nel pronunciare parole, etc), non potendo in assoluto escludersi che una “difficoltà di espressione verbale” sia ricollegabile anche ad uno stato emotivo o di panico, in cui può trovarsi il soggetto per il controllo in atto, e non direttamente, ed esclusivamente, ad un significativo stato di ebbrezza che, giova ripeterlo, deve essere collegato a dati sintomatici eclatanti e non equivoci per la configurabilità di una delle due più gravi ipotesi previste nel secondo comma dell’art. 186 del codice della strada, in mancanza di accertamento strumentale: ciò nel rispetto del principio stabilito nell’art. 533 c.p.p. (l’imputato deve essere condannato se risulta colpevole del reato contestatogli “al di là di ogni ragionevole dubbio”); 4) non può certo attribuirsi categoricità o meccanicismo assoluto alle elencazioni di cui alla tabella, incidendo su di esse anche le variabilità individuali.
Né potrebbe richiedersi alla Corte territoriale, con un annullamento con rinvio, un ulteriore approfondimento della questione, risultando ormai del tutto compiutamente valutati dalla Corte stessa tutti gli elementi probatori a disposizione.
Di tal che, per le considerazioni dianzi esposte, ed in virtù del principio generale di cui al l’art. 2 del codice penale in tema di successione delle leggi nel tempo, il fatto addebitato all’imputato deve essere ricondotto nell’ambito della ipotesi contravvenzionale di cui alla prima delle tre fasce sopra ricordate, vale a dire quella concernente il tasso alcolemico non superiore a 0,8 g/l avuto riguardo al più favorevole trattamento sanzionatorio in conseguenza delle modifiche introdotte dalla legge del 2007.
Con la novella di cui alla legge 29 luglio 2010 n. 120 la fattispecie di cui alla fascia a) del novellato art. 186, comma secondo, del codice stradale, è stata però depenalizzata, e sanzionata quale illecito amministrativo. Deve quindi trovare applicazione, in relazione al “tempus commissi delicti” ((omissis) ) ed in forza del principio di cui all’art. 2 del codice penale, la legge n. 210 del 2010 – entrata in vigore il 13 agosto 2010 – con la quale la violazione “de qua” è stata, appunto, depenalizzata.
In ordine all’addebito in argomento l’impugnata sentenza deve essere pertanto annullata, senza rinvio, trattandosi di fatto non previsto dalla legge come reato.
Non ritiene il Collegio di trasmettere gli atti all’autorità amministrativa, in considerazione del principio di legalità – irretroattività operante sia per gli illeciti penali (art. 2 c.p.), sia per gli illeciti amministrativi (L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 1 richiamata dall’art. 194 C.d.S.), e non rinvenendosi nella L. n. 120 del 2010 una apposita previsione che imponga la trasmissione e che possa far ritenere derogato il suddetto principio di irretroattività (v. Sez. Un. 16.3.1994 n. 739 rv 197698).
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, qualificato il fatto come violazione dell’art. 186, comma 2, lett. a), del codice della strada, perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.
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