La concessione di servizi trova puntuale definizione nel nuovo codice dei contratti pubblici; l’art. 3, comma 1, lett. vv) d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 la definisce come “un contratto a titolo oneroso stipulato per iscritto in virtù del quale una o più stazioni appaltanti affidano a uno o più operatori economici la fornitura e la gestione di servizi diversi dall’esecuzione di lavori di cui alla lettera ll) riconoscendo a titolo di corrispettivo unicamente il diritto di gestire i servizi oggetto del contratto o tale diritto accompagnato da un prezzo, con assunzione in capo al concessionario del rischio operativo legato alla gestione dei servizi”; la lett. zz) individua il rischio operativo come “il rischio legato alla gestione dei lavori e dei servizi sul lato della domanda o su lato dell’offerta o di entrambi, trasferito all’operatore economico”. La definizione della concessione di servizi rinvenibile nell’art. 3, comma 1, lett. vv), d.lgs. n. 50 del 2016, (…) e la previsione di puntuali e cogenti regole procedurali per l’affidamento dei servizi in concessione consentono di ritenere, ormai, superate gran parte delle difficoltà definitorie e delle ambiguità regolative prodotte dalla scarna disciplina preesistente (cfr. Adunanza plenaria, 27 luglio 2016, n. 22): gli elementi qualificanti vanno individuati nella traslazione del rischio operativo della gestione e nella direzione del servizio, nei confronti dell’utenza e non dell’amministrazione concedente.
Sentenza 21 marzo 2018, n. 1811
Data udienza 22 febbraio 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso iscritto al numero di registro generale 7876 del 2017, proposto da:
Vi. Ma. Se. s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati St. Vi. e Fr. Va., con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. St. Vi. in Roma, via (…);
contro
Al. – Th. It. In. Co. s.p.a., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avvocato To. Di. Ni., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Ambasciata d’Italia nella Repubblica Popolare Cinese, non costituiti in giudizio;
sul ricorso iscritto al numero di registro generale 8948 del 2017, proposto da:
Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
Al. – Th. It. In. Co. S.p.A., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avvocato To. Di. Ni., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
per la riforma per entrambi i ricorsi: della sentenza del T.A.R. del Lazio, Sezione III-ter, n. 9909/2017
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Al. – Th. It. In. Co. s.p.a.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 22 febbraio 2018 il Cons. Federico Di Matteo e uditi per le parti gli avvocati Vannicelli e Cataldi in delega di Di Nitto, nonché l’avvocato dello Stato Giancarlo Caselli;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con bando pubblicato il 28 marzo 2017 l’Ambasciata d’Italia nella Repubblica Popolare cinese indiceva una procedura negoziata per la “Esternalizzazione di servizi relativi allo svolgimento di attività connesse al rilascio dei visti di ingresso in Italia”, in conformità alle previsioni del Regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio n. 810/2009 del 13 luglio 2009 (codice comunitario dei visti).
1.1. La procedura aveva, dunque, ad oggetto l’affidamento delle attività connesse al rilascio dei visti da parte di quattro distinte autorità aventi competenza ciascuna per una diversa area territoriale: – l’Ambasciata d’Italia a Pechino, il Consolato generale d’Italia a Shanghai, Consolato Generale d’Italia a Canton e Consolato generale d’Italia a Chongquing. La durata del contratto era fissata dal bando in quattro anni e il valore in € 31.070.042,00.
1.2. Il disciplinare di gara prevedeva, all’art. 4, quale requisito economico – finanziario per la partecipazione alla procedura, “il possesso di un fatturato globale nell’ultimo triennio non inferiore a quattro volte il valore annuale dell’esternalizzazione come stimato dall’amministrazione aggiudicatrice, con un importo annuale non inferiore a un terzo di tale importo, ed un fatturato triennale nello specifico settore del rilascio dei visti di ingresso non inferiore a due volte l’importo annuale stimato dall’amministrazione e non inferiore per ogni annualità al 75% dell’importo annuale stimato”.
2. Con ricorso al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, la Al. – Th. It. In. Co. s.p.a. impugnava il bando sulla base di tre motivi.
2.1. Con il primo motivo la ricorrente sosteneva che il requisito del fatturato specifico richiesto per la partecipazione alla procedura era di tale rilevanza economica (considerato che ai concorrenti era richiesto un fatturato specifico triennale pari a € 15.535.681,00 ovvero due volte l’importo annuale stimato dell’esternalizzazione e non inferiore per ciascuna annualità a € 5.825.633,00 ovvero il 75% dell’importo stimato dell’esternalizzazione) da consentire la partecipazione solo a grandi operatori economici specializzati nello svolgimento del servizio di rilascio visti, con grave violazione del principio della concorrenza e della non discriminazione, trasparenza e libera circolazione delle prestazioni e dei servizi.
Con il secondo motivo la ricorrente giudicava irragionevole, e in contrasto con la previsione dell’art. 51 d.lgs. 8 aprile 2016, n. 50, la scelta dell’amministrazione di non suddividere in lotti distinti il servizio da affidare, anche in considerazione del fatto che i diversi lotti sarebbero coincisi con aree territoriali distinte corrispondenti a quelle di competenza di ciascuna delle autorità consolari e dell’ambasciata italiana.
Infine, con il terzo motivo la ricorrente lamentava la violazione del divieto di commistione tra criteri soggettivi di qualificazione e criteri oggettivi afferenti la valutazione dell’offerta, poiché, tra questi ultimi erano stati inseriti la “precedente esperienza in Paesi ad alto rilascio di visti”, nonché la “precedente esperienza nella gestione di visti in paesi ad altro rischio di immigrazione clandestina”.
2.2. Si costituiva in giudizio il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale che concludeva per il rigetto del ricorso proposto. Con atto depositato il 19 giugno 2017 interveniva in giudizio, con intervento ad opponendum, la Vi. Ma. Se. s.r.l. che dichiarava il proprio interesse a partecipare alla procedura di gara alle condizioni indicate dal bando e insisteva per il rigetto del ricorso avendo.
3. Il giudizio si concludeva con la sentenza, sezione IIIter, 26 settembre 2017, n. 9909, di accoglimento del ricorso proposto, con conseguente annullamento del bando nei limiti indicati in motivazione e spese compensate.
4. Con distinti appelli, il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale e la società Vi. Ma. Se. s.r.l., hanno richiesto la riforma della sentenza di primo grado.
4.1. Il primo giudizio, appello della Vi. Ma. Se. s.r.l., ha assunto il numero di Registro generale 7876/2017; il secondo, appellante il Ministero, ha assunto il numero 8948/17. In entrambi i giudizi si è costituita la Al. s.p.a. che ha depositato memoria. All’udienza del 22 febbraio 2018 la causa è stata trattenuta in decisione.
5. Ai sensi dell’art. 96, comma 1 del Cod. proc. amm. è disposta la riunione dei giudizi di appello trattandosi di impugnazioni avverso la stessa sentenza.
6. L’appello proposto da Vi. Ma. Se. s.r.l. è inammissibile.
6.1. L’art. 102 Cod. proc. amm. [Legittimazione a proporre appello] stabilisce, al comma 2, che “L’interventore può proporre appello soltanto se titolare di una posizione giuridica autonoma”. La Vi. Ma. Se. s.r.l., interventore ad opponendum nel giudizio di primo grado, non è titolare di una posizione giuridica autonoma e, per questo, non è legittimata alla proposizione dell’appello.
6.2. Queste le ragioni.
L’art. 28 Cod. proc. amm. consente l’intervento volontario in giudizio a coloro che, non essendo parti del processo, se non decaduti dall’esercizio delle relative azioni, “vi abbiano interesse”.
L’”interesse” (di cui già all’art. 21 della l. 6 dicembre 1971, n. 1034 nonché all’art. 105, comma 2, Cod. proc. civ.) che sorregge l’intervento in giudizio ricorre in tutti i casi in cui la pronuncia richiesta al giudice dalle parti (e, in primo luogo, ovviamente, dal ricorrente) è in grado di riverberarsi nei confronti di terzi; costoro vogliono (hanno, appunto, “interesse” a) partecipare al processo per orientare la decisione del giudice.
Terzi sono, in primo luogo, i titolari di situazioni giuridiche soggettive, autonome e coincidenti con quella del ricorrente, e che, per questo, hanno pari interesse alla eliminazione del provvedimento impugnato: i cointeressati che spiegano, pertanto, intervento ad adiuvandum; i titolari di situazioni giuridiche autonome e opposte a quelle del ricorrente, e che, per questo, hanno interesse alla conservazione del provvedimento: sono i controinteressati che spiegano intervento ad opponendum. Terzi sono anche i titolari di situazioni giuridiche soggettive dipendenti da quelle delle parti in causa che potrebbero subire i c.d. effetti riflessi della sentenza nella propria sfera giuridica.
6.2.1. La giurisprudenza amministrativa, tuttavia, ammette all’intervento anche i terzi che hanno un interesse di mero fatto agli esiti del giudizio, purché questo non abbia solo carattere morale o sociale (cfr. Cons. Stato, sez. III, 22 marzo 2017, n. 1303; sez. V, 23 febbraio 2017, n. 849; sez. IV, 10 febbraio 2017, n. 573; e sull’interesse solo morale come quello alla formazione del precedente favorevole, Cons. giust. amm. Sicilia, 9 gennaio 2017, n. 11).
È opportuno precisare che questi terzi sono anch’essi titolari di una situazione giuridica soggettiva – non potendosi immaginare la partecipazione al giudizio di un soggetto che appartenga alla collettività indifferenziata dei consociati e che non vanti rispetto alla situazione dedotta in giudizio alcuna relazione giuridicamente qualificata – ma che non subiscono effetti, né diretti né riflessi, dalla sentenza pronunciata inter alios; essi, tuttavia, hanno interesse a partecipate al giudizio poiché si prospettano che l’azione amministrativa successiva al giudizio svoltosi tra le altre parti, possa incidere, questa volta in maniera diretta, nella propria sfera giuridica.
6.2.2. La differenza tra le varie figure di terzi rileva sulla legittimazione a proporre appello; l’art. 102, comma 2, Cod. proc. amm., come detto, la riconosce ai soli interventori che siano “titolari di una posizione giuridica autonoma”, vale a dire, per quanto detto in precedenza, ai soli controinteressati e cointeressati in senso tecnico (cfr. Cons. Stato, sez VI, 6 agosto 2013, n. 4121: “L’interventore ad opponendum nel giudizio di primo grado è legittimato ad impugnare la sentenza solo quando risulti titolare di una propria ed autonoma posizione giuridica e non di un semplice interesse di fatto o di una aspettativa giuridica”).
La scelta del legislatore, dunque, è stata nel senso di restringere la legittimazione ad appellare ai soli terzi, che, per essere titolari di una situazione giuridica soggettiva coincidente ovvero opposta a quella del ricorrente, subiscono gli effetti diretti della sentenza nella propria sfera giuridica. Sono invece privi della legittimazione ad appellare quei terzi che subiscono effetti solo riflessi e indiretti dalla sentenza o che, al momento della pronuncia della stessa, non ne sono influenzati, salve le conseguenze derivanti dall’attività amministrativa necessaria a conformarsi ad essa.
7. Vi. Ma. Se. s.r.l. ha partecipato al giudizio di primo grado in qualità di interventore ad opponendum.
Come esposto nell’atto di appello la società ha saputo dell’impugnazione del bando allorquando aveva già predisposto la propria offerta ed era pronta a trasmetterla all’amministrazione; le è stato impedito dalla sospensione della procedura, con conseguente riapertura dei termini per la presentazione delle domande, dovuta all’intervenuta impugnazione da parte di Al. s.p.a.. Intervenendo, ha dichiarato di avere interesse a che la procedura fosse svolta alle condizioni poste dal bando così come predisposto dalla stazione appaltante, evidentemente ritenendo di aver, in questo modo, maggiori probabilità di aggiudicazione.
Vi. Ma. Se. s.r.l., pertanto, non è una partecipante alla procedura di aggiudicazione, non avendo ancora presentato la propria offerta; per questo motivo non è titolare di una situazione giuridica soggettiva autonoma (alla conservazione del provvedimento impugnato).
Essa, però, ha interesse ad orientare la decisione del giudice, poiché immagina che gli esiti del giudizio potrebbero influire, sia pure indirettamente, nei suoi confronti, riducendo le probabilità di successo; in ciò consiste il suo interesse, di mero fatto, agli esiti del giudizio.
In conclusione, per quanto precedentemente esposto, un operatore economico, che non abbia ancora presentato offerta per la partecipazione ad una procedura di aggiudicazione, può intervenire nel giudizio di impugnazione del bando se ha interesse alla sua conservazione nella formulazione predisposta dalla stazione appaltante, e, tuttavia, si tratta di un interesse la cui consistenza, se consente l’intervento ad opponendum, non legittima alla proposizione dell’appello.
8. Si passa all’esame dei motivi proposti dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale nel proprio atto di appello.
9. Con unico motivo di appello (ammissibile pur in mancanza di una rubrica che traduca i vizi della sentenza prospettati in altrettanti errori di diritto, in quanto dal tenore del motivo appare chiara la critica che l’appellante rivolge alla sentenza impugnata, cfr. Cons. Stato, sez. V, 11 dicembre 2017 n. 5808), il Ministero, svolta una breve premessa sulla peculiarità della concessione di servizi oggetto della procedura in esame per essere disciplinata dalla normativa europea in materia di visti (il già citato Regolamento (CE) 810/2009) oltre che dai principi generali del codice dei contratti pubblici, contesta tutti i passaggi a fondamento della decisione di annullamento del bando di gara.
La prima censura è rivolta alla sentenza di primo grado per aver ritenuto immotivata ed irragionevole la scelta dell’amministrazione di accorpare in un’unica gara (c.d. lotto unico) il servizio oggetto di concessione.
Secondo l’appellante il Tribunale non ha tenuto in debita considerazione le ragioni che, nel caso di specie, avevano indotto l’Ambasciata italiana in Cina, in accordo con il Ministero, a scegliere di non distinguere in diversi lotti la procedura di affidamento del servizio. Dette ragioni sono individuate nel contenimento e razionalizzazione della spesa pubblica, nella necessità di avere un unico interlocutore, così da garantire agli utenti la fornitura del servizio di raccolta delle domande di visto in maniera omogenea, uniforme ed improntata a caratteri di trasparenza ed efficienza, nonché di evitare il c.d. visa shopping, ossia la tendenza a rivolgersi a quello, tra gli operatori, che pratica la tariffa per il servizio (c.d. service fees) più conveniente, così caricando eccessivamente alcuni fornitori e lasciando poco operativi gli altri. Infine, il Ministero rammenta che la scelta di non suddividere in lotti la procedura è adottata da tutti i principali partener Schengen della Repubblica italiana.
10. Si oppone la società appellata contestando, innanzitutto, nella memoria depositata in vista dell’udienza di merito, che l’attività oggetto del bando sia una concessione di servizi.
La Al. s.p.a. lo argomenta per due ragioni: in primo luogo, per la mancanza di qualsiasi trasferimento di poteri dal Ministero concedente all’operatore concessionario, che si limita, invece, a svolgere compiti meramente esecutivi, senza assumere decisioni sull’esistenza dei presupposti per il rilascio dei visti e, in secondo luogo, per la mancata assunzione da parte del concessionario di un vero e proprio rischio operativo, trattandosi di un’attività – la concessione dei visti – necessaria essendo il visto documento indispensabile per il transito o il soggiorno nel territorio degli Stati Schengen.
10.1. Poiché dalla esatta qualificazione della procedura di affidamento in esame dipende la soluzione delle questioni poste dal Ministero nel motivo di appello, da essa occorre partire.
10.2. La tesi della società appellata non è condivisibile: oggetto di aggiudicazione è una concessione di servizi e non un appalto di servizi.
La giurisprudenza europea, prima dell’entrata in vigore della Direttiva del Parlamento europeo del Consiglio 2014/23/UE, ha chiarito che elemento decisivo ai fini della qualificazione dell’affidamento di un certo servizio come concessione risiede nel trasferimento del rischio (cfr. Corte giustizia Comunità europee, 13 novembre 2008, C-437/07, Commissione c. Italia), specificando ulteriormente che il rischio va inteso come esposizione all’alea di mercato che ricorre, in primo luogo, nel caso in cui, essendo la remunerazione del servizio garantita da soggetti terzi rispetto all’amministrazione, l’operatore economico può trovarsi nella situazione in cui il ricavato dell’attività svolta a favore dei terzi non consente la copertura integrale dei costi sostenuti (cfr. Corte giustizia Unione europea, 10 marzo 2011, C-274/09, Strong Segurança SA), mentre non assumono rilevanza i rischi legati a una cattiva gestione o ad errori di valutazione da parte dell’operatore economico poiché insiti in qualsiasi contratto, indipendentemente dal fatto che quest’ultimo sia riconducibile alla tipologia dell’appalto pubblico di servizi ovvero a quella della concessione di servizi (cfr. Corte giustizia Unione europea, 10 novembre 2011, C-348/10, Norma-A Sia).
A sua volta la giurisprudenza nazionale ha, dapprima, attribuito rilevanza alla struttura del rapporto, che intercorre tra due soggetti (stazione appaltante e appaltatore) nel caso dell’appalto di servizi ed invece tra tre soggetti (amministrazione concedente, concessionario ed utente) nel caso della concessione di servizi (cfr. Cons. Stato, Adunanza plenaria, 7 maggio 2013, n. 13), per poi indicare nel rischio economico l’elemento qualificante la concessione (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 21 maggio 2014, n. 2624 e Cass. civ., Sezioni Unite, 20 aprile 2017, n. 9965).
10.3. La concessione di servizi trova ora puntuale definizione nel nuovo codice dei contratti pubblici; l’art. 3, comma 1, lett. vv) d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 la definisce come “un contratto a titolo oneroso stipulato per iscritto in virtù del quale una o più stazioni appaltanti affidano a uno o più operatori economici la fornitura e la gestione di servizi diversi dall’esecuzione di lavori di cui alla lettera ll) riconoscendo a titolo di corrispettivo unicamente il diritto di gestire i servizi oggetto del contratto o tale diritto accompagnato da un prezzo, con assunzione in capo al concessionario del rischio operativo legato alla gestione dei servizi”; la lett. zz) individua il rischio operativo come “il rischio legato alla gestione dei lavori e dei servizi sul lato della domanda o su lato dell’offerta o di entrambi, trasferito all’operatore economico”.
L’Adunanza plenaria, 27 luglio 2016, n. 22, ha avuto modo di precisare che: “La definizione della concessione di servizi rinvenibile nell’art. 3, comma 1, lett. vv), d.lgs. n. 50 del 2016, (…) e la previsione di puntuali e cogenti regole procedurali per l’affidamento dei servizi in concessione consentono di ritenere, ormai, superate gran parte delle difficoltà definitorie e delle ambiguità regolative prodotte dalla scarna disciplina preesistente.”, riconoscendo nella traslazione del rischio operativo della gestione e nella direzione del servizio, nei confronti dell’utenza e non dell’amministrazione concedente, gli elementi
10.4. Alla luce delle considerazioni esposte la procedura di affidamento in esame ha senza meno ad oggetto una concessione di servizi.
Ricorre:
– il trasferimento del rischio operativo. L’art. 1 del disciplinare di gara (rubricato: Oggetto) prevede: “Il servizio, come meglio definito nel prosieguo, viene reso in regime di esternalizzazione di attività connesse al rilascio dei visti d’ingresso, con assunzione di rischio d’impresa ed esatta esecuzione dell’obbligazione da parte dell’Aggiudicatario. Il corrispettivo della prestazione fornita dall’Aggiudicatario è rappresentato esclusivamente dal costo aggiuntivo alla tariffa consolare, applicato a ciascuna pratica ed oggetto dell’offerta economica nell’ambito della gara, con esclusione di qualunque onere a carico dell’Ufficio, nonché del bilancio dello Stato”; si tratta, precisamente, del rischio di domanda, potendo il concessionario non ricevere richieste dall’utenza sufficienti, quanto al ricavato che ne consegue, a coprire i costi sostenuti per apprestare un servizio idoneo (di cui alla lett. ccc) dell’art. 3 cit.).
– il servizio è diretto all’utenza, concretizzandosi, come si legge ancora una volta nel disciplinare di gara, in “a) Attività di informazione sui visti e sul loro rilascio (…); b) Fissazione di appuntamenti presso l’Ufficio (…); c) Raccolta della documentazione relativa a richieste di visto e sua trasmissione all’Ufficio competente (…); d) Inserimento di dati relativi ad una richiesta di visto in una banca dati informatizzata (…); e) Acquisizione di dati biometrici dei richiedenti un visto (…); f) Restituzione ai richiedenti dei passaporti su cui è stato apposto il visto (…); g) Incasso di diritti e tariffe”.
È pur vero che le attività descritte, rivolte all’utenza, sono, però, dirette a consentire all’amministrazione il rilascio del visto, e, per questo, si presentano come strumentali all’esercizio del potere pubblico, oltre che indirizzate a soddisfare un bisogno dell’utenza, ma ciò non vale ad escludere il carattere di concessione in quanto, anche a voler prescindere dall’ammissibilità, alla luce del nuovo codice dei contratti pubblici, dell’istituto delle cc.dd. “concessioni fredde”, è certo che il beneficiario ne è pure sempre il privato richiedente, il quale, in mancanza, non potrebbe ricevere il visto, e ciò spiega la ragione per la quale è a questi, e non all’amministrazione, che si richiede di remunerare il servizio.
11. Qualificata come concessione di servizi la procedura di affidamento in esame, è possibile esaminare la prima censura contenuta nell’atto di appello del Ministero.
La censura è fondata per le ragioni che si vanno ad esporre.
11.1. In materia di appalti pubblici costituisce principio di carattere generale la preferenza per la suddivisione in lotti degli appalti, in quanto diretta a favorire la partecipazione alle gare delle piccole e medie imprese; tale principio risulta ora recepito all’art. 51 d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 che, tuttavia, non ne fa una regola inderogabile, consentendo alla stazione appaltante di derogarvi per giustificati motivi (che siano puntualmente espressi nel bando o nella lettera di inviti) (cfr. Cons. Stato, sez. III, 22 gennaio 2018, n. 1138; sez. III, 13 novembre 2017, n. 5224).
Analoga disposizione non ricorre all’interno del codice dei contratti pubblici in relazione alle procedure per l’aggiudicazione dei contratti di concessione (né, per vero, nella Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, 26 febbraio 2014, n. 2014/23/UE) ove, anzi, è posto dall’art. 166 il principio (denominato “di libera amministrazione delle autorità pubbliche”) per il quale “le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori sono liberi di organizzare le procedure per la scelta del concessionario, fatto salvo il rispetto delle norme di cui alla presente Parte”. È vero, peraltro, che anche per le aggiudicazioni di concessioni il legislatore mostra di considerare possibile la suddivisione in lotti, come si ricava dal riferimento contenuto all’art. 167, comma 7, d.lgs. cit., alla possibilità che un’opera o un servizio diano luogo all’aggiudicazione di una concessione per lotti distinti (caso in cui è imposto di considerare come valore complessivo della concessione quello della totalità dei lotti).
11.2. Ritiene il Collegio che, nonostante la mancata esplicita previsione normativa, anche in relazione all’aggiudicazione delle concessioni la suddivisione in lotti, ove possibile, costituisca criterio preferenziale, rispondendo alla medesima esigenza di favorire l’attività economica delle imprese medie e piccole (anche in ragione della disposizione di cui all’art. 30, comma 7, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, riferita ai contratti di appalto e a quelli di concessione, per la quale: “I criteri di partecipazione alle gare devono essere tali da non escludere le microimprese, le piccole e medie imprese”; così, del resto, Cons. Stato, sez. V, 11 gennaio 2018, n. 123), con la sola precisazione che alla stazione appaltante non è richiesta una puntuale motivazione negli atti di gara circa le ragioni della mancata suddivisione in lotti della procedura. La stazione appaltante è, invece, tenuta a dar conto delle motivazioni che l’hanno indotta a non suddividere in lotti nel caso in cui sia a ciò sollecitata dalla contestazioni mosse, anche in sede giudiziaria, dalle parti private.
11.3. La sentenza impugnata ha ritenuto immotivata ed irragionevole la scelta del Ministero di accorpare in unico lotto il servizio oggetto della concessione, considerate le consistenti dimensioni economiche del servizio, rispetto al quale la scelta dell’affidamento ad un unico operatore comporta un restringimento della partecipazione alle gare degli operatori di settore; ha anche giudicato le motivazioni allegate dal Ministero generiche ed apodittiche.
11.4. La sentenza non è condivisibile: le motivazioni fornite dal Ministero appellante nel presente giudizio circa la scelta di non suddividere in lotti corrispondenti alle ripartizioni consolari (e dell’Ambasciata d’Italia) la procedura di aggiudicazione della concessione non sono né irragionevoli, né illogiche e né arbitrarie: ponendo a gara un’unica concessione il Ministero ha voluto in questo modo contenere la spesa ed effettivamente è pensabile che una sola procedura consenta di individuare un concessionario in tempi più celeri e con costi minori; specialmente, però, come esposto dal Ministero appellante, un unico concessionario rende più efficiente il servizio poiché l’amministrazione può contare sulla gestione uniforme e omogenea delle pratiche e l’utenza reperire più facilmente il soggetto cui rivolgere le proprie richieste senza dover preventivamente districarsi tra la competenza per ambito territoriale dei diversi concessionari. Che ciò avvenga o meno (la Al. s.p.a. ha insistito sul carattere strandardizzato dell’attività istruttoria delle pratiche) è certo che la motivazione è ragionevole e nella piena facoltà dell’amministrazione che esercita il suo potere discrezionale sulla più efficiente gestione del servizio.
12. La seconda censura contenuta nell’unico motivo di appello è rivolta al capo della sentenza in cui è accolto il motivo di ricorso di contestazione dei requisiti economico – finanziari e di esperienza professionale richiesti per la partecipazione alla procedura.
La ricorrente lamentava che la stazione appaltante aveva stabilito nel disciplinare di gara, quale requisito di partecipazione economico – finanziario, un fatturato specifico triennale particolarmente elevato, in possesso di poche, grandi, imprese operanti nel settore dei servizi per la concessione dei visti, e con l’effetto, quindi, di impedire la partecipazione a imprese più piccole, non in grado di vantare la medesima consistenza economica. Era contestato, altresì, il requisito esperienziale dell’aver operato “in Paesi ad alto rilascio di visti” e “ad alto rischio di immigrazione clandestina”.
12.1. Il Tribunale ha accolto il motivo affermando che tali requisiti “determinano il concreto effetto di consentire la partecipazione alla gara solo ai grandi operatori economici specializzati nel settore (peraltro, facilmente individuabili), così artificiosamente limitando la concorrenza, in violazione dell’art. 30, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 50 del 2016, ed impostando la procedura secondo criteri di selezione manifestamente non proporzionati all’oggetto dell’appalto, con oblio dell’interesse pubblico ad avere il più ampio numero di potenziali partecipanti, secondo quando prescritto dall’art. 83, comma 2, d.lgs. n. 50 del 2016”.
12.2. Il Ministero appellante contesta la sentenza di primo grado sostenendo, in sintesi, che i requisiti di qualificazione sono coerenti con la rilevanza economica della prestazione posta a gara, tanto più che gli stessi potrebbero essere facilmente raggiunti anche da operatori medi mediante gli istituti posti a disposizione dall’ordinamento al fine di porre in comune le esperienze e le capacità economiche con altri operatori.
13. La censura è fondata.
13.1. Il disciplinare di gara prevede quale requisito di partecipazione economico – finanziario il possesso di un fatturato triennale nello specifico settore del rilascio dei visti d’ingresso “non inferiore a due volte l’importo annuale stimato dall’Amministrazione e non inferiore per ogni annualità al 75% dell’importo annuale stimato” (pag. 4).
Il requisito del fatturato specifico è espressamente previsto dall’art. 83, comma 4, lett. a) d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 tra i requisiti di capacità economica e finanziaria che le stazioni appaltanti possono richiedere per la partecipazione ad una procedura di aggiudicazione di un contratto di appalto.
La disposizione trova applicazione anche nell’ambito delle procedure di aggiudicazione dei contratti di concessione per il rinvio dell’art. 164, comma 2, d.lgs. cit. alle disposizioni contenute nella parte II del codice relative ai requisiti generali e speciali degli operatori economici.
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