Dalla semplice lettura dell’articolo 544 ter c.p. e articolo 727 c.p., comma 2, emerge che essi si riferiscono a fattispecie diverse e dotate di diversa gravita’. La fattispecie delittuosa punisce chi “cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche”, e’ caratterizzata dal solo elemento soggettivo del dolo e non anche da quello della colpa, nonche’ dall’ulteriore presupposto della crudelta’ o della mancanza di necessita’. La fattispecie contravvenzionale, invece, punisce, anche a titolo di colpa, la meno grave condotta di chi “detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze”, senza richiedere la crudelta’ o la mancanza di necessita’, ne’ la causazione di lesioni, o la sottoposizione a sevizie, comportamenti, fatiche, lavori insopportabili. Ne consegue che non vi e’ alcuna possibile identita’ fra le due fattispecie, perche’ la seconda, di portata piu’ ampia, rappresenta un’ipotesi residuale rispetto alla prima; e cio’ giustifica sul piano costituzionale la previsione di due ipotesi di reato distinte, nonche’ di sanzioni proporzionate alla loro diversa gravita’.
Sentenza 6 marzo 2018, n. 10163
Data udienza 3 ottobre 2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente
Dott. ROSI Elisabetta – Consigliere
Dott. ACETO Aldo – Consigliere
Dott. ANDRONIO Alessandro – rel. Consigliere
Dott. RENOLDI Carlo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
(OMISSIS) S.R.L. LEGALE RAPP. (OMISSIS);
avverso la sentenza del 23/02/2016 della CORTE APPELLO di BRESCIA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. ALESSANDRO MARIA ANDRONIO;
Udito il Pubblico Ministero, in persona dei Sostituto Procuratore Dr. Dr. ANGELILLIS CIRO che ha concluso per il rigetto;
Udito il difensore presente DI PC avv. (OMISSIS) DEPOSITA IN UDIENZA NOTA SPESE E CONCLUSIONI SCRITTE ALLE QUALI SI RIPORTA PER (OMISSIS);
il difensore presente DI PC AVV. (OMISSIS) DEPOSITA NOTA SPESE E CONCLUSIONI SCRITTE ALLE QUALI SI RIPORTA PER (OMISSIS);
i difensore presente DI PC AVV. (OMISSIS) CHIEDE IL RIGETTO DEL RICORSO E DEPOSITA IN UDIENZA NOTA SPESE PER (OMISSIS) ONLUS;
il difensore presente DI PC Avv. (OMISSIS) PER (OMISSIS) DEPOSITA IN UDIENZA NOTA SPESE E CONCLUSIONI SCRITTE ALLE QUALI SI RIPORTA;
il difensore presente Avv. (OMISSIS) si riporta ai motivi e ne chiede l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
1. – Con sentenza del 23 febbraio 2016, la Corte d’appello di Brescia ha confermato la sentenza del Tribunale di Brescia del 23 gennaio 2015, con la quale gli imputati erano stati condannati, per i reati di cui all’articolo 110 c.p., articolo 81 c.p., comma 2, articoli 544 bis e 544 ter c.p., anche risarcimento del danno nei confronti delle parti civili, in solido con il responsabile civile. L’imputazione si articola nel capo A (articolo 110 c.p., articolo 81 c.p., comma 2, articolo 544 ter c.p., commi 1 e 3), contestato a (OMISSIS), quale gestore di fatto delle procedure di allevamento, a (OMISSIS) quale legale rappresentante della societa’ che gestiva l’allevamento e cogestore di fatto, a (OMISSIS) quale direttore dell’allevamento, che eseguiva le direttive impartite dei primi due, a (OMISSIS) quale veterinario responsabile dell’allevamento, perche’, in concorso tra loro, con piu’ azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, senza necessita’, privando i 2639 cani di razza Beagle detenuti nell’allevamento dei loro pattern comportamentali, li sottoponevano a comportamenti insopportabili per le loro caratteristiche etologiche, analiticamente descritti nell’imputazione, anche eseguendo la tatuatura degli stessi con aghi, in violazione del divieto imposto dal Decreto Legislativo n. 116 del 1992, articolo 13 e Legge Regionale Lombardia n. 16 del 2006, articolo 7, e tagliavano loro le unghie fino alla base, cagionando rotture dei vasi sanguigni; con l’aggravante della cassazione della morte di alcuni cani Beagle. Al capo B, si contesta agli stessi soggetti, nelle stesse vesti, di avere, in concorso tra loro, con piu’ azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso e senza necessita’, se non quella di liberarsi di animali non piu’ vendibili sul mercato, di avere cagionato la morte mediante eutanasia di alcuni cani Beagle.
2. – Avverso la sentenza hanno proposto ricorsi per cassazione, tramite il difensore e con unico atto, gli imputati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e il responsabile civile (OMISSIS) s.r.l., in persona del legale rappresentante, chiedendone l’annullamento.
2.1. – Con un primo motivo di doglianza, si deducono la violazione dell’articolo 544 ter c.p., commi 1 e 3, e del Decreto Legislativo n. 116 del 1992, articolo 13, nonche’ vizi della motivazione in relazione alla ritenuta responsabilita’ penale. Si richiama l’articolo 19 ter disp. coord. trans. c.p., nella parte in cui esclude l’applicazione della sanzione penale nel caso in cui siano rispettate le disposizioni previste dalle leggi speciali che disciplinano l’allevamento di animali a fini di sperimentazione. Si lamenta che la Corte d’appello non avrebbe verificato se le etoanomalie riscontrate siano conseguenza delle condizioni nelle quali gli animali venivano tenuti nell’ambito dell’allevamento. E non si sarebbe considerato che si trattava del normale stato in cui questi animali vengono tenuti e che, in ogni caso, la funzione sociale dell’attivita’ di allevamento a fine di sperimentazione deve essere ritenuta prevalente nel bilanciamento con il benessere dell’animale. La difesa prosegue sostenendo che, nel descrivere le etoanomalie riscontrate (freezing, comportamenti ridiretti, comportamenti stereotipati, comportamenti “pica”), la Corte d’appello sostanzialmente ne esclude la relazione causale con le ritenute violazioni del Decreto Legislativo n. 116 del 1992. Non si sarebbe considerato, inoltre, che le disposizioni dell’allegato 2 di tale Decreto Legislativo devono essere considerate come linee di indirizzo non immediatamente precettive, cosicche’ non poteva essere riscontrata, nel caso di specie, alcuna loro violazione.
2.2. – Con un secondo motivo di doglianza, si lamentano la mancata riqualificazione del fatto ai sensi dell’articolo 727 c.p., comma 2, nonche’ vizi della motivazione sul punto. La Corte d’appello basa la sua decisione sulla considerazione che le condotte degli imputati, in relazione alle condizioni in cui gli animali erano mantenuti, abbiano determinato in essi rilevanti sofferenze. Tale affermazione, ad avviso della difesa, avrebbe dovuto indurre i giudici a ritenere sussistente al piu’ il reato di cui all’articolo 727 c.p., comma 2, che si riferisce proprio alle condizioni di detenzione che siano incompatibili con la natura dell’animale e, percio’, produttive di sofferenze. Nell’ambito di tale doglianza si propone, per il caso in cui la Corte di cassazione ritenga di non poter addivenire all’interpretazione prospettata dalla difesa, la questione di legittimita’ costituzionale dell’articolo 544 ter c.p., in riferimento all’articolo 3 Cost., articolo 27 Cost., comma 3, articolo 117 Cost., comma 1, nonche’ articolo 49, paragrafo 3, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, nella parte in cui esso punisce piu’ gravemente chi sottopone un animale a comportamenti insopportabili per le sue caratteristiche etologiche rispetto a quanto previsto dall’articolo 727 c.p., per chi detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di grave sofferenza. Per il caso di sofferenze cagionate dalle modalita’ di tenuta degli animali, vi sarebbe una identita’ sostanziale tra la fattispecie delittuosa e quella contravvenzionale; con la conseguenza che per non potrebbero essere disposte sanzioni di diversa gravita’, contrastando il dettato del richiamato articolo 544 ter anche con la funzione rieducativa della pena.
2.3. – In terzo luogo, si lamentano vizi della motivazione quanto al capo B dell’imputazione, riferito ai cani sottoposti ad eutanasia, in relazione al fatto che il consulente tecnico del pubblico ministero aveva ritenuto giustificate alcune delle eutanasie praticate. La sentenza impugnata non terrebbe conto della comparazione fra le informazioni contenute nei cartellini identificativi e nelle schede sanitarie dei cani per i quali si e’ stata ritenuta giustificata l’eutanasia e gli analoghi documenti riferiti ai cani per i quali l’eutanasia e’ stata ritenuta ingiustificata. Non si sarebbero considerate, in particolare le differenti situazioni dei singoli cani e le diverse patologie di ciascuno. Si contesta, inoltre, l’affermazione della Corte d’appello relativa all’inadeguatezza delle diagnosi, per la mancanza di esami di laboratorio, perche’ se tale fosse la causa della eutanasia non si configurerebbe una uccisione del cane senza necessita’, ma un semplice errore diagnostico. Si contesta, infine, l’affermazione dei giudici di merito secondo cui i cani sarebbero stati gestiti in un’ottica meramente commerciale, mentre emergerebbe dagli atti che gli stessi erano stati eliminati solo in pochissimi casi ed erano stati ceduti gratuitamente ad associazioni o famiglie, nei casi in cui erano inidonei alla vendita a fini di sperimentazione scientifica.
3. – Il difensore della parte civile (OMISSIS) Onlus ha depositato memoria, con la quale rileva, in primo luogo, che e’ pendente un procedimento a carico di (OMISSIS) e (OMISSIS), medici veterinari presso la Asl di Brescia, sia per concorso con i reati oggi contestati, sia per reati di falso, omessa denuncia e falsa testimonianza in relazione alla vicenda oggetto del presente procedimento. Si ribadisce che l’allevamento in questione presentava evidentissime criticita’ e che l’attivita’ veniva svolta in totale violazione delle metodologie tecnicamente adeguate. Si rileva che, in ogni caso, anche dalle testimonianze dei testi indotti dalla difesa era emersa la circostanza che i cani non avessero possibilita’ di muoversi e fossero costretti a sopportare il continuo frastuono provocato dal loro stesso abbaiare all’interno del capannone, nel quale vi era un’illuminazione del tutto insufficiente; vi era, inoltre, un alto tasso di mortalita’ perinatale, a causa dell’utilizzazione di segatura. Quanto all’eliminazione degli animali, si sostiene che per alcuni erano emerse terapie di durata brevissima per patologie non particolarmente gravi, alle quali era inspiegabilmente seguita l’eutanasia.
La difesa della parte civile sostiene, inoltre, l’inapplicabilita’ della clausola di esclusione di cui all’articolo 19 ter delle disp. coord. trans. C.p., essendo evidentemente violate le norme sull’allevamento.
Si condivide infine la ritenuta riconducibilita’ delle condotte alla fattispecie di cui all’articolo 544 ter anziche’ a quella di cui all’articolo 727 c.p., comma 2.
4. – Le parti civili (OMISSIS) Onlus e (OMISSIS) hanno depositato memoria, tramite il difensore, rilevando l’inammissibilita’ o, comunque, l’infondatezza del ricorso, sulla base di considerazioni in larga parte analoghe a quelle dell’altra parte civile. Evidenziano, in particolare, gli elementi a sostegno della ritenuta violazione delle normative tecniche applicabili, che avrebbero causato le gravi sofferenze agli animali. Ribadiscono, inoltre, la precettivita’ del Decreto Legislativo n. 116 del 1992 e, quanto alla motivazione sull’eutanasia, sostengono che la relativa censura sarebbe stata proposta per la prima volta con il ricorso per cassazione e sarebbe, dunque, preclusa, ancor prima che manifestamente infondata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
5. – I ricorsi sono inammissibili.
5.1. – Il primo motivo di doglianza – con cui si deducono la violazione dell’articolo 544 ter c.p., commi 1 e 3, e del Decreto Legislativo n. 116 del 1992, articolo 13, nonche’ vizi della motivazione in relazione alla ritenuta responsabilita’ penale – e’ manifestamente infondato quanto ai profili giuridici e, comunque, sostanzialmente diretto a ottenere da questa Corte una rivalutazione del merito della decisione impugnata; rivalutazione preclusa in sede di legittimita’, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p..
Secondo quanto previsto dall’articolo 19 ter disp. coord. c.p., introdotto dalla L. n. 189 del 2004, articolo 3, comma 1, “le disposizioni del titolo 9 bis del libro 2 c.p. non si applicano ai casi previsti dalle leggi speciali in materia di caccia, di pesca, di allevamento, di trasporto, di macellazione degli animali, di sperimentazione scientifica sugli stessi, di attivita’ circense, di giardini zoologici, nonche’ dalle altre leggi speciali in materia di animali. Le disposizioni del titolo 9 bis del libro 2 c.p. non si applicano altresi’ alle manifestazioni storiche e culturali autorizzate dalla regione competente”. La ratio di tale disposizione e’ quella di scriminare attivita’ che, gia’ riconosciute come lecite dalle leggi speciali, possano essere obiettivamente lesive della vita e della salute degli animali. E la scriminante trova il proprio limite applicativo nella funzionalita’ della condotta posta in essere rispetto agli scopi e alle ragioni posti a base della normativa speciale: dette attivita’, segnatamente contemplate dalla suddetta norma di coordinamento, devono essere svolte, per potere essere esentate da sanzione penale, nell’ambito della normativa speciale stessa (cfr., con riferimento all’attivita’ circense, Sez. 3, n. 11606 del 06/03/2012, Rv. 252251). La norma in questione, alla pari di quella, generale, dell’articolo 51 c.p. appare, dunque, espressione del principio della necessaria coerenza dell’ordinamento giuridico, posto che un medesimo comportamento non puo’, allo stesso tempo, essere consentito o addirittura imposto, da una parte, e vietato dall’altra. Ne consegue che deve riaffermarsi il principio di diritto secondo cui incombe sul giudice l’onere di verificare che, in effetti, l’attivita’ concretamente posta in essere sia disciplinata da una legge speciale riconducibile all’interno delle materie tassativamente elencate, e, in caso di soluzione affermativa, di accertare, successivamente, se le condotte si siano svolte nei limiti consentiti o imposti dalla norma speciale individuata.
5.1.1. – Nella specie, i giudici di merito hanno proceduto correttamente alla prima verifica: dopo avere rilevato che l’attivita’ di allevamento, suscettibile di per se’ di comportare l’eventuale sottoposizione degli animali a condizioni di vita non perfettamente in linea con la loro etologia, rientra all’interno dell’articolo 19 ter richiamato, hanno individuato nel Decreto Legislativo n. 116 del 1992 all’epoca vigente – ed in particolare nell’articolo 5, dedicato all’allevamento di “animali da esperimento”, e nell’allegato 2, da detto articolo richiamato, la norma di possibile “copertura”, anche sotto un profilo sanzionatorio, affidato dall’articolo 14 a sanzioni di natura amministrativa, delle condotte di specie. Tale normativa speciale, oltre a disciplinare le caratteristiche dell’attivita’ di allevamento (in particolare attraverso l’allegato 2) e dell’attivita’ di sperimentazione (attraverso l’articolo 6), pone, essa stessa, espressamente, i limiti che non devono essere oltrepassati in entrambe dette attivita’, pena, diversamente, secondo quanto previsto dall’articolo 14, l’integrazione, “salvo che il fatto costituisca reato”, di illeciti amministrativi. Anzi, proprio l’articolo 14 segnala significativamente che lo stesso legislatore ha riconosciuto come non funzionali e non necessarie alla attivita’ di allevamento (oltre che all’attivita’ di sperimentazione) tutte quelle condotte che vengano poste in essere in violazione dei precetti stabiliti in particolare dall’articolo 5 ed allegato 2 Decreto Legislativo in parola, con conseguente esclusione, per quanto si e’ gia’ detto in principio, dell’operativita’ della scriminante di cui al citato articolo 19 ter.
Tale essendo il quadro di riferimento, Deve rilevarsi che la ricostruzione difensiva secondo cui le norme dell’allegato 2 citato non sarebbero immediatamente precettive risulta smentita proprio dalla funzione scriminante esercitata, nel sistema vigente all’epoca dei fatti, dal Decreto Legislativo n. 116 del 1992. Proprio perche’ tale testo normativo deve essere interpretato nel suo complesso come eccezione alla regola della punibilita’, i confini del suo ambito di applicazione devono essere definiti in modo sufficientemente chiaro; e non puo’ essere che questo il senso di richiamo dell’articolo 5 all’allegato 2.
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