Ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. e), del t.u. edilizia di cui al d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, costituiscono nuova costruzione gli interventi di trasformazione urbanistica comportanti la realizzazione di depositi di merci o di materiali, la realizzazione di impianti per attività produttive all’aperto ove comportino l’esecuzione di lavori cui consegua la trasformazione permanente del suolo inedificato; di conseguenza è “a fortiori” qualificabile come opera edile di nuova costruzione la realizzazione di un piazzale in cemento, la quale determina un “consumo di suolo” (con una cementificazione che si sostituisce al piano naturale di campagna) e dunque una trasformazione tendenzialmente irreversibile di quest’ultimo.
Sentenza 6 febbraio 2018, n. 753
Data udienza 1 febbraio 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1304 del 2012, proposto dalla s.r.l. Ed., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Ma. Gi., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Lu. Ci. in Roma, viale (…);
contro
Il Comune di (omissis), in persona del Comune p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Sa. Vi. e Ri. De. Sa., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Gi. De. Sa. in Roma, via di (…);
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per la Lombardia, Sezione staccata di Brescia, Sez. I, n. 1181/2011, resa tra le parti, concernente un diniego di permesso di costruire in sanatoria a titolo di condono, nella parte in cui ingiunge di versare la somma complessiva di euro 41.307,60 a titolo di oneri di urbanizzazione e contributo allo smaltimento rifiuti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 1° febbraio 2018 il Cons. Davide Ponte e uditi per le parti l’avvocato Ma. Gi. e l’avvocato Ro. Pe., su delega dell’avvocato Ri. De. Sa.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con l’appello in esame la società odierna parte appellante impugnava la sentenza n. 1181 del 2011, con cui il Tar per la Lombardia, Sezione di Brescia, respingeva l’originario gravame.
Quest’ultimo era stato proposto dalla stessa società, in qualità di proprietaria (per acquisto da procedura civilistica di esecuzione forzata) del bene immobile coinvolto, al fine di ottenere l’annullamento del provvedimento di sanatoria (condono edilizio ex legge 47\1985) ottenuto, nella parte in cui ingiunge alla stessa società di versare la somma di euro 41.307,60 a titolo di oneri di urbanizzazione e contributo allo smaltimento rifiuti.
Nel ricostruire in fatto e nei documenti la vicenda, parte appellante riproponeva le tre censure di primo grado, contestando le argomentazioni di rigetto poste a fondamento della sentenza appellata:
– insussistenza dell’obbligo di versamento delle somme richieste anche in capo all’avente causa del proprietario originario;
– intervenuta prescrizione del diritto di percepire i contributi richiesti, anche a fronte del formarsi del silenzio assenso sull’originaria domanda di condono;
– in subordine, l’erronea quantificazione del quantum debeatur.
Il Comune appellato si costituiva in giudizio e, controdeducendo punto per punto, chiedeva il rigetto dell’appello.
Alla pubblica udienza del 1° febbraio 2018, in vista della quale le parti depositavano memorie, la causa passava in decisione.
DIRITTO
1. L’appello è infondato.
In linea generale, va ribadito che l’obbligazione pecuniaria del pagamento dell’oblazione conseguente al provvedimento di rilascio del titolo edilizio in sanatoria si configura come del tutto accessoria e conseguenziale rispetto all’atto autoritativo con il quale è stata valutata la conformità dell’intervento edilizio nel contesto delle condizioni normativamente contemplate per l’emissione dell’atto che ne dispone la sanatoria (cfr. ad es. Consiglio di Stato sez. IV, 24 febbraio 2011, n. 1235).
2.1 In relazione al primo ordine di censure, costituisce jus receptum il principio in base al quale la normativa sul condono, nel disciplinare le obbligazioni ad esso connesse, include gli aventi causa tra i soggetti in ogni caso legittimati dal punto di vista passivo, configurando una sorta di obbligazioni propter rem legate alla proprietà del bene, sia con riferimento alle somme dovute a titolo di oblazione sia per gli altri oneri concessori.
In tal senso, depone a titolo esemplificativo l’art. 37, comma 1, l. n. 47 del 1985, in base al quale l’obbligazione per il pagamento dei contributi concessori, se non soddisfatto dal richiedente la sanatoria, grava comunque sugli altri soggetti indicati dall’art. 31, commi 1 e 3, tra i quali è da ricomprendere l’avente causa dal richiedente la sanatoria (quale è il ricorrente, pur se acquirente da esecuzione forzata).
A quest’ultimo specifico riguardo, la giurisprudenza civile, da cui non vi sono ragioni per discostarsi, è ferma nel ritenere che l’acquisto di un bene da parte dell’aggiudicatario in sede di esecuzione forzata, pur essendo indipendente dalla volontà del precedente proprietario in quanto da ricollegarsi ad un provvedimento del giudice dell’esecuzione, ha natura di acquisto a titolo derivativo e non originario, traducendosi nella trasmissione dello stesso diritto del debitore esecutato (cfr. ancora di recente Cassazione civile, sez. I 13 marzo 2017, n. 6386; cfr. nei medesimi termini ad es. Cassazione civile, sez. II, 25 ottobre 2010, n. 21830).
A sua volta, l’art. 39, comma 6, l. n. 724 del 1994 contiene una analoga previsione a carico dei soggetti aventi causa per il caso di mancato integrale versamento dell’oblazione.
Pertanto, se da un lato, la legge presuppone nei richiedenti la sanatoria la qualità di soggetti obbligati in via principale al pagamento degli oneri derivanti dalla medesima, dall’altro fa emergere come l’interesse azionato con la domanda di condono di un abuso edilizio sia comunque strettamente collegato alla titolarità dell’immobile abusivo.
In definitiva la normativa sul condono (in coerenza con il principio per il quale i poteri repressivi e sanzionatori prescindono dalle vicende civilistiche del bene), nel disciplinare le obbligazioni ad esso connesse, include gli “aventi causa” tra i soggetti in ogni caso legittimati dal punto di vista passivo, configurando una sorta di obbligazioni propter rem connesse alla proprietà del bene, sia con riferimento alle somme versate a titolo di oblazione sia per gli altri oneri concessori.
La stretta connessione evidentemente sussistente tra la titolarità dell’immobile e gli obblighi derivanti dalla concessione rende questi ultimi assimilabili alle obbligazioni propter rem, appunto caratterizzate dal fatto che l’obbligato è individuabile in base alla titolarità di un diritto reale su un determinato bene ed implica il trasferimento di essi in concomitanza con il trasferimento del diritto reale cui accedono.
D’altronde, altrimenti opinando, se per un verso sarebbe elevato il rischio di elusione degli obblighi connessi al peculiare assenso per condono, tramite la cessione del bene condonato, per un altro verso proprio per il caso di insolvibilità dell’originario proprietario è pienamente ragionevole una normativa secondo cui il beneficio della permanenza di un bene in base all’eccezionale meccanismo del condono venga sopportato (anche) dall’effettivo titolare e beneficiario del bene.
2.2 In relazione al secondo ordine di censure, concernente l’invocazione del silenzio assenso a fini di decorrenza del termine di prescrizione, oltre a quanto statuito in termini esecutivi dalla precedente sentenza del Tar Brescia (da cui è scaturito anche il rilascio in parte qua del titolo di sanatoria), assume rilievo dirimente il principio consolidato (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. IV, 18 gennaio 2017, n. 187) per il quale l’art. 35, commi 1 e 3, l. 28 febbraio 1985, n. 47, nel disciplinare il procedimento per la sanatoria, prevede che la domanda di concessione edilizia sia corredata dalla prova dell’eseguito versamento dell’oblazione e che alla stessa debbano essere allegati i documenti che vengono specificamente indicati; da tale norma emerge come il silenzio assenso si possa formare soltanto in presenza di tutti i presupposti da essa indicati e, in particolare, in presenza di una documentazione completa degli elementi richiesti dal cit. art. 35; il termine di prescrizione può decorrere soltanto nel caso in cui si sia formato un atto tacito di condono.
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