Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza n. 9528 del 12 giugno 2012
In fatto e in diritto
1. La F.S. S.p.A. impugna per cassazione, sulla base di tre motivi, illustrati con memoria, la sentenza della Corte di Appello di Palermo, depositata il 4 febbraio 2010, che, in parziale riforma della sentenza di primo grado, condannava in solido il responsabile civile G.C. ed il suo assicuratore F.S. al risarcimento del danno, conseguito al sinistro stradale verificatosi il (omissis), ritenuto il concorso di colpa della controparte S.A. nella misura del 20% in favore di quest’ultimo, ritenendo che lo stesso avesse perso completamente la capacità lavorativa specifica di avvocato, attese le conseguenze del sinistro soprattutto di tipo neurologico. Determinava il danno patrimoniale in Euro 482.235, ed in Euro 106.694 quello non patrimoniale (biologico e morale). L’A. ha resistito con controricorso, illustrato con memoria, nel quale ha proposto anche ricorso incidentale sulla base di quattro motivi.
2. Va premesso, in fatto, che l’A. aveva convenuto in giudizio le controparti, assumendo che, alle ore 19.00 del (omissis), G.C., alla guida della propria auto Fiat Croma targata CL (omissis) ed assicurata per la R.C.A. presso la S.p.A. S., provenendo ad alta velocità dalla Via dei (omissis) aveva impegnato, omettendo di rispettare l’obbligo di precedenza cui era tenuto, l’incrociocon la Via (omissis), dalla quale il medesimo S..A. proveniva, procedendo alla guida della propria auto Fiat 126 targata (omissis). La Fiat Croma collideva con la parte posteriore della fiancata sinistra della Fiat 126, la quale ruotava di 45 gradi ed andava ad impattare contro lo spigolo del muro delimitante l’incrocio all’estremità opposta rispetto alla sua direzione originaria. L’A. assumeva di aver riportato lesioni cranio-facciali e toraciche di tipo contusivo con commozione cerebrale, per le quali veniva ricoverato nel Reparto di Rianimazione dell’Ospedale (omissis). Assumeva che i postumi permanenti di dette lesioni gli avrebbero impedito di svolgere temporaneamente la propria attività professionale di avvocato, riducendola poi in modo permanente. Si costituiva G.C. , contestando la domanda deducendo che la responsabilità del sinistro e delle sue conseguenze era da addebitare esclusivamente alla colposa condotta di guida dell’A., il quale aveva impegnato l’incrocio a velocità elevata, a fari spenti e/o non funzionanti, chiedendone pertanto la condanna in via riconvenzionale al risarcimento dei danni riportati dalla propria auto. Si costitutiva anche la S., spiegando difese analoghe a quelle del proprio assicurato e chiedendo dichiararsi che il sinistro del (omissis) era stato determinato dall’apporto causale delle condotte colpose di entrambi i conducenti. Nel corso del giudizio di primo grado, veniva dapprima disposta CTU sull’entità delle lesioni e dei postumi patiti dall’A. da parte di un neurologo; quindi, in considerazione delle osservazioni mosse dalla S. in merito alla preesistente condizione di “patologia della personalità” dell’A., una perizia collegiale. All’esito dell’istruttoria, il Tribunale dichiarava che l’incidente si era verificato per comportamento colposo del C. nella misura del 70% e dell’A. nella misura del 30%. In ordine al quantum debeatur, il Giudice di prime cure recepiva le conclusioni del collegio peritale, determinando un danno biologico complessivo (comprensivo del danno psichico) da invalidità permanente pari al 55% della totale, un’inabilità temporanea assoluta di 4 mesi e temporanea parziale di ulteriori 4 mesi, riconoscendo all’A. un risarcimento del danno morale pari ad 1/4 del danno biologico e liquidando in suo favore un risarcimento pari al 70% della somma complessiva in considerazione del ritenuto concorso di colpa; deduceva dal risarcimento la somma di L. 150.000.000 corrisposta dalla S. all’A. nel (omissis), rivalutandola alla data della sentenza; valutava l’invalidità specifica nella misura del 50% (valutata dal C.T.U. Dr. F. nella misura del 70%), liquidando il risarcimento secondo i criteri di determinazione del reddito di cui all’art. 4 del D.L. 23.12.1976 n. 857, così come modificato e sostituito dall’art. 1 della L. 26.2.1977 n. 39, secondo cui il reddito da lavoro autonomo va determinato sulla base del reddito netto risultante più elevato tra quelli dichiarati dal danneggiato ai fini dell’IRPEF negli ultimi tre anni; la somma calcolata secondo tale criterio veniva decurtata dal Tribunale del 30% in considerazione della ritenuta corresponsabilità dell’A.
3. Invece, con la sentenza oggetto della presente impugnazione, la Corte territoriale determinava nel 20%, anziché nel 30%, il concorso di colpa dell’A. , elevava – dissentendo dalla nuova consulenza collegiale disposta “sugli atti” in appello e valorizzando – fino ad elevarle dal 70% al carattere assoluto dell’inabilità le conclusioni di uno degli esperti di cui alla CTU collegiale di primo grado – l’incapacità lavorativa specifica dal 50% al 100%; rideterminava la base di calcolo del reddito netto da lavoro autonomo da considerare ai fini dell’art. 4 l. n. 39 del 1977. Ricalcolava, di conseguenza gli importi delle varie componenti del risarcimento liquidato all’A..
4. La pronuncia riguarda i ricorsi riuniti, essendo stati proposti avverso la medesima sentenza (art. 335 c.p.c.).
4.1. Col primo motivo, la F. S. deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su fatto controverso e decisivo, in ordine alle patologie di cui soffriva l’A. precedentemente al sinistro stradale, nonché in ordine alla liquidazione del danno alla capacità lavorativa specifica del predetto operata dalla Corte territoriale. Lamenta, in particolare, che la Corte d’Appello abbia disatteso non soltanto le conclusioni del collegio peritale dalla stessa incaricato della nuova c.t.u. in secondo grado, omettendo ogni motivazione al riguardo, ma anche quelle espresse dai consulenti d’ufficio nominati in primo grado, pur in parte e per un certo verso richiamate erroneamente e valorizzate nella sentenza impugnata, omettendo di fornire adeguata motivazione sul perché abbia ritenuto di doversi discostare dalle stesse, ed abbia, invece, riconosciuto la totale incompatibilità fra i postumi del sinistro in lite e la professione di avvocato svolta dall’A.
4.2. Col secondo motivo, la compagnia assicuratrice deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 4 d.l. n. 857 del 1976, convertito con l. n. 39 del 1977, per avere la Corte di appello, nel determinare il danno da riduzione della capacità lavorativa specifica sulla base dei criteri indicati in detta norma, considerato anche la dichiarazione integrativa dei redditi, presentata dall’A. ai fini del “condono” tributario in epoca successiva alla proposizione del presente contenzioso giudiziario, allo scopo, verosimilmente, di pervenire ad un reddito lavorativo più elevato da considerare al fine della liquidazione del risarcimento in base ai criteri di cui a detta norma. Secondo la ricorrente, la ratio della norma di cui all’art. 4 del D.L. 23.12.1976 n. 857, così come modificato e sostituito dall’art. 1 della Legge (di conversione) 26.2.1977 n. 39, è quella di liquidare al danneggiato un risarcimento per la riduzione della capacità lavorativa specifica commisurandolo ai redditi desumibili dalle dichiarazioni presentate ai fini fiscali (quindi a dati verosimilmente e/o presumibilmente esatti), ma desumibili da quelle presentate in tempi non sospetti e per i periodi antecedenti al sinistro; invece, il considerare anche dichiarazioni integrative (condoni fiscali, ecc.) effettuate successivamente al sinistro e/o alla proposizione dell’azione risarcitoria si tradurrebbe in un’elusione della norma stessa e del principio di diritto posto a base della medesima, poiché comporta che il risarcimento venga commisurato a redditi di lavoro inesistenti e/o inverosimili.
4.3. Violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 329, secondo comma, c.p.c., perché la Corte territoriale, riformando la sentenza di primo grado e ponendo a carico solidale della F. S. e di G.C. un ulteriore 10% delle spese di lite del giudizio di primo grado, già liquidate in favore dell’A. , nonché ponendo a carico solidale della F. S. e del sig. G.C. un ulteriore 30% delle spese delle consulenze di ufficio, espletate nel processo di primo grado, avrebbe violato e falsamente applicato le predette disposizioni, statuendo su capi della sentenza di primo grado sui quali si era formato il giudicato e pronunciando oltre i limiti delle domande proposte dall’A. con l’atto di appello.
5. I primi due motivi sono fondati, nei termini di seguito precisati.
5.1.1. Infatti, quanto al primo, a fronte degli accertamenti del collegio di consulenti nominato in primo grado (e, in particolare della quantificazione al 70% della perdita di capacità lavorativa specifica, pur valorizzata nella sentenza impugnata, ai fini della diagnosi, e considerata la base per poter ritenere l’ulteriore 30% d’inabilità specifica permanente: p. 23 sentenza impugnata) e del collegio nominato in appello (che aveva stimato detta inabilità nel 12 %), accertamenti che entrambi evidenziavano l’esistenza nel soggetto di patologie psichiche preesistenti, la Corte territoriale, senza una specifica motivazione, afferma che sono condivisibili e fondate le conclusioni dei consulenti di primo grado (fondatezza, almeno, “in astratto”: p. 23 cit.), ma poi se ne distacca, riconoscendo la completa impossibilità lavorativa dell’A. , come avvocato, reputando “non affatto arbitrario ritenere non spendibile in termini di capacità di guadagno la residua capacità lavorativa del 30%” solo perché “se non altro per l’aleatorietà della performance professionale di un soggetto che paga un deficit di concentrazione e di memoria in un settore caratterizzato da cadenze e scadenze”.
5.1.2. In particolare, la motivazione sul punto dell’impugnata sentenza non risulta aver fatto buon governo dei consolidati principi in tema di concorso tra le cause determinanti l’evento lesivo in lite e quelle preesistenti, non dando adeguatamente conto della loro reciproca influenza, né ha fornito congrue e logiche ragioni per disattendere totalmente le conclusioni dei consulenti nominati in appello e parzialmente quelle degli esperti nominati in primo grado, e senza, in ogni caso, alcun riferimento agli argomenti delle parti in ordine a dette pur contrastanti valutazioni (in argomento, cfr., tra le molte Cass. n. 993 del 2002).
5.1.3. Quanto ai profili giuridici dell’indicata motivazione, deve ribadirsi che, in materia di rapporto di causalità nella responsabilità extracontrattuale, in base ai principi di cui agli artt. 40 e 41 cod. pen., qualora la condotta abbia concorso, insieme a circostanze naturali, alla produzione dell’evento, e ne costituisca un antecedente causale, l’agente deve rispondere per l’intero danno, che altrimenti non si sarebbe verificato; non sussiste, invece, nessuna responsabilità dell’agente per quei danni che non dipendano dalla sua condotta, che non ne costituisce un antecedente causale, e si sarebbero verificati ugualmente anche senza di essa, né per quelli preesistenti. Anche in queste ultime ipotesi, peraltro, debbono essere addebitati all’agente i maggiori danni, o gli aggravamenti, che siano sopravvenuti per effetto della sua condotta, anche a livello di concausa, e non di causa esclusiva, e non si sarebbero verificati senza di essa, con conseguente responsabilità dell’agente stesso per l’intero danno differenziale (Cass. n. 13400 del 2007, che, sulla scorta di tale principio, ha confermato la sentenza di merito che, con riferimento all’azione di un lavoratore che aveva agito per il risarcimento del danno nei confronti del suo datore di lavoro per ripetuti comportamenti vessatori, aveva riconosciuto la responsabilità dello stesso datore per i soli danni a lui imputabili a titolo differenziale per le ulteriori conseguenze patologiche di tipo depressivo derivate dalla sua condotta, inquadrabile come mera concausa rispetto al quadro clinico del dipendente già affetto in precedenza da una situazione psichica compromessa, sulla quale, perciò, aveva prodotto un effetto di aggravamento e non di causa esclusiva).
6. Anche il secondo motivo è fondato,
Infatti, l’art. 4 d.l. n. 857 del 1976, convertito con l. n. 39 del 1977, si riferisce solo alla dichiarazione dei redditi pregressi, mentre la Corte territoriale ha tenuto conto anche della dichiarazione integrativa dei redditi, presentata in sede di “condono” tributario, al fine di individuare il reddito prodotto negli anni precedenti. Come correttamente rilevato dalla ricorrente, la ratio della disposizione di cui al citato art. 4 consiste nel liquidare al danneggiato un risarcimento per la riduzione della capacità lavorativa specifica commisurandolo ai redditi desumibili dalle dichiarazioni presentate ai fini fiscali presentate per i periodi antecedenti al sinistro.
7. L’accoglimento dei primi due motivi del ricorso principale ed il nuovo esame nel merito che ne deriverà, assorbono ogni decisione in ordine al terzo, dato che detto nuovo esame comporterà anche una rivisitazione della pronuncia relativa alle spese dell’intero processo, incluse quelle del presente giudizio di legittimità.
8. Il ricorso incidentale dell’A. si basa su cinque motivi.
8.1. Violazione e falsa applicazione degli artt. 2054 c.c., 141 Codice Strada e 41 c.p., pere non avere la Corte territoriale attribuito al C. , conducente del veicolo antagonista, la responsabilità esclusiva nella determinazione del sinistro, nonostante questi avesse violato l’obbligo di dare la precedenza ed avendo, pertanto, impropriamente preteso che l’A. avrebbe dovuto dimostrare di avere adottato tutte le accortezze per evitare il verificarsi dell’impatto.
8.2. Violazione e falsa applicazione di norme di diritto (n.d.r.: non indicate), perché, secondo il ricorrente incidentale, stante l’assenza di sua responsabilità, la Corte territoriale non avrebbe dovuto operare alcuna decurtazione della somma spettantegli a titolo di risarcimento danni da invalidità specifica.
8.3. Con il terzo, quarto e quinto motivo, l’A. denunzia violazione e falsa applicazione di norme di diritto (anche qui non indicate neanche nella trattazione dei motivi) in relazione alla quantificazione del risarcimento del danno relativo al: a. danno biologico (terzo motivo); b. danno biologico da inabilità temporanea totale e parziale (quarto motivo); e. danno morale (quinto motivo).
8.4. Il primo ed il secondo motivo – da trattarsi congiuntamente, data l’intima connessione, essendo il secondo mera conseguenza del primo – sono infondati.
8.4.1. In primo luogo, si rivela non pertinente il riferimento all’art. 41 c.p. rispetto alla dinamica del sinistro stradale in lite ed all’oggetto della censura (concorso di colpa nella determinazione dello stesso), perché l’evento si è verificato in conseguenza della contestuale condotta dei conducenti dei veicoli coinvolti.
8.4.2. Non è prospettabile, nella specie, neanche una violazione dell’art. 141 Cod. Strada: correttamente è stata valutata, come concausa dell’evento, la velocità tenuta nella circostanza dall’A. , perché il solo fatto che un conducente goda del diritto di precedenza non lo esenta dall’obbligo di usare la dovuta attenzione nell’attraversamento di un incrocio, anche in relazione e pericoli derivanti da comportamenti illeciti o imprudenti di altri utenti della strada, che non si attengano al segnale di arresto o di precedenza (Cass. n. 16768/2006; v. anche Cass. n. 484/2003). Inoltre, nell’ipotesi, deve ribadirsi che, nel caso di scontro tra veicoli, il giudice che abbia accertato la violazione, da parte di uno dei conducenti, del diritto di precedenza non è, perciò solo, dispensato dal verifica re il comportamento dell’altro conducente onde stabilire se questi abbia o meno rispettato le norme sulla circolazione stradale ed i normali precetti della prudenza (in particolare, quello di ridurre la velocità agli incroci), potendo l’eventuale inosservanza delle dette norme comportare l’affermazione di una colpa concorrente (Cass. n. 15847 del 2000). La Corte territoriale si è, con congrua e corretta motivazione, immune da vizi logici e giuridici, attenuta a tali principi nel ritenere il concorso di colpa dell’A. .
8.4.3. Infine, anche la deduzione della violazione dell’art. 2054 c.c. si rivela, nel caso in esame, priva di pregio, dovendosi ribadire, alla luce di una costante giurisprudenza di questa Corte, da cui totalmente prescinde parte ricorrente, che in tema di incidenti stradali la ricostruzione della loro dinamica, come pure l’accertamento delle condotte dei veicoli coinvolti e della sussistenza o meno della colpa dei soggetti coinvolti e la loro eventuale graduazione, al pari dell’accertamento della esistenza o esclusione del rapporto di causalità tra i comportamenti dei singoli soggetti e l’evento dannoso, integrano altrettanti giudizi di merito, come tali sottratti al sindacato di legittimità, qualora il procedimento posto a base delle conclusioni sia caratterizzato – come nella specie – da completezza, correttezza e coerenza dal punto di vista logico – giuridico, e ciò anche per quanto concerne il punto specifico se il conducente di uno dei veicoli abbia fornito la prova liberatoria di cui all’art. 2054 c.c. (Tra le tantissime, 5 giugno 2007 n. 15434; 10 agosto 2004 n. 15434; Cass. 14 luglio 2003, n. 11007; Cass. 10 luglio 2003, n. 10880; Cass. 5 aprile 2003, n. 5375; Cass. 11 novembre 2002, n. 15809). Pacifico quanto precede, atteso che l’A. , lungi dal prospettare con i due motivi ora in esame, vizi logici o giuridici posti in essere dai giudici del merito e rilevanti sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, si limita – contra legem e cercando di superare quelli che sono i ristretti limiti del giudizio di legittimità, il quale, contrariamente a quanto reputa la difesa di parte ricorrente incidentale non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale sottoporre a un nuovo vaglio tutte le risultanze di causa – a sollecitare una nuova lettura delle prove raccolte in causa è palese l’inammissibilità del profilo di censura in esame. Ne deriva che si rivela insussistente anche la doglianza oggetto del consequenziale secondo motivo.
8.5. Del tutto privi di pregio si rivelano anche i motivi dal terzo al quinto, da trattarsi congiuntamente, in quanto tutti diretti a censurare la quantificazione della componenti del danno non patrimoniale. Anzitutto le tre censure (come la seconda sopra trattata) sono prive di qualsiasi indicazione delle norme di diritto che si assumono violate dalla Corte territoriale, in violazione dell’art. 366 n. 4 c.p.c. e del canone di autosufficienza dei motivi di ricorso per cassazione da detta norma desumibile.
8.5.1. Infatti, quando – come in questi motivi del ricorso incidentale – è denunziata violazione e falsa applicazione della legge e non risultano indicate anche le argomentazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che si assumono in contrasto con le medesime o con l’interpretazione fornitane dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, il motivo è inammissibile, in quanto non consente alla Corte di cassazione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione. Non è, al riguardo, sufficiente un’affermazione apodittica (nella specie, il semplice e generico richiamo al rigetto dei corrispondenti motivi di appello e l’invocazione degli esiti lesivi e dei postumi patiti dall’A.) e non seguita da alcuna dimostrazione, dovendo il ricorrente viceversa porre la Corte in grado di orientarsi fra le argomentazioni in base alle quali ritiene di censurare la pronunzia impugnata (Cass. 31 maggio 2006 n. 12984; 16 gennaio 2007 n. 828; nonché Cass. 18 aprile 2007 n. 9245 e 16 luglio 2007 n. 15768, in motivazione).
8.5.2. Inoltre, i motivi in esame sono privi di pregio anche perché, nonostante la generica ed impropria deduzione di violazione di norme di legge, consistono in un’inammissibile richiesta di riesame delle circostanze di fatto e delle prove acquisite agli atti di causa, sulla
base della “diversa lettura” che degli stessi da la parte ricorrente, senza muovere reali rilievi sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica all’esame ed alla valutazione compiuti dal giudice del merito, al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllandone l’attendibilità e la concludenza, e infine scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti di causa (tra le molte, v. Cass. n. 27162/2009). Senza contare che, quanto al terzo motivo, l’A. non ha specificato nel ricorso incidentale se, come, dove e quando sia stata prospettata ai giudici di merito la questione della personalizzazione del danno biologico, in considerazione di un danno alla vita di relazione collegato, a sua volta, alla perdita assoluta della capacità lavorativa specifica e che, quanto al terzo ed al quinto motivo, la decisione impugnata, nel respingere le analoghe censure mosse in appello, si rivela conforme al consolidato orientamento di questa S.C., secondo cui il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce danno conseguenza, che deve essere allegato e provato: a tal fine il giudice può far ricorso a presunzioni, ma il danneggiato dovrà comunque allegare tutti gli elementi idonei a fornire, nella concreta fattispecie, la serie concatenata di fatti noti che consentano di risalire al fato ignoto (Cass. S.U. 11 novembre 2008, n. 26973).
9. Pertanto, pronunciando sui ricorsi riuniti, vanno accolti il primo ed il secondo motivo del ricorso principale, di cui va dichiarato assorbito il terzo;
va rigettato il ricorso incidentale. La sentenza impugnata va cassata, in relazione ai motivi accolti e la causa rinviata (per nuovo motivato esame del merito alla luce di quanto espresso ai precedenti punti 5 e 6) ed anche per la determinazione in ordine alle spese (incluse quelle del presente giudizio di legittimità), alla Corte di Appello di Palermo in diversa composizione.
P.Q.M.
Pronunciando sui ricorsi riuniti, accoglie il primo ed il secondo motivo del ricorso principale, assorbito il terzo; rigetta il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Palermo in diversa composizione.
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