La massima
In tema di inadempimento contrattuale, il danno “integrale” ovvero l’obbligazione diretta a reintegrare il patrimonio del danneggiato nella situazione in cui si sarebbe trovato se l’inadempimento non si fosse verificato, non può che essere rappresentato dalla perdita che la società creditrice ha subito in termini di costi sostenuti per l’acquisto delle materie prime necessarie per la realizzazione del prodotto finito e in termini di riorganizzazione della linea di produzione per le richieste “personalizzazioni”, nonché dal lucro cessante quale perdita di quel guadagno che la società creditrice avrebbe ottenuto se la società debitrice avesse assolto l’obbligo di acquistare l’intero numero dei prodotti finiti oggetto del contratto. Tuttavia, il danno integrale non può coincidere automaticamente con il prezzo unitario di vendita del singolo prodotto finito, a meno che non risulti provato, in modo chiaro e preciso, quale sia il prezzo di un pezzo già prodotto, il costo necessario per produrlo, se le materie prime acquistate siano riutilizzabili ed, eventualmente, in quale misura.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE II

SENTENZA 17 maggio 2012, n.7759

Ritenuto in fatto

La società ACM srl, con atto di citazione del 27 aprile 2006, conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Monza la società Cibofer Commerciale srl. perché fosse condannata a pagarle la somma di Euro. 369.696,000, oltre interessi e rivalutazione monetaria a titolo di adempimento di un contratto di compravendita o per risarcimento dei danni. A fondamento di questa domanda l’attrice esponeva: a) che il 10 dicembre 2004 aveva concluso con la convenuta un contratto con il quale essa attrice si era obbligata a produrre e a fornire nell’anno 2005 un quantitativo di almeno 14.000 motori tubolari “Matic” (per tapparelle e per tende da sole) e la convenuta si era obbligata ad acquistare detto quantitativo minimo di motori a prezzi scontati e di cui al listino allegato al contratto, b) contrariamente a quanto pattuito, la convenuta nell’anno 2005 aveva acquistato soltanto 6.298 unità per un importo complessivo di Euro 297.566,69; c) nonostante i numerosi solleciti fatti nel corso del secondo semestre del 2005 la Cibofer non aveva inviato, come di consueto il preventivo programma trimestrali di ordini relativo alla residua quantità di motori (la quantità di 7.702). d) questa condotta omissiva aveva provocato ad essa attrice un pregiudizio economico dal momento che in previsione dell’esecuzione degli obblighi contrattuali aveva provveduto ad acquistare i materiali occorrenti per la produzione dei 14.000 motori ed aveva destinato del personale dell’apposita linea produttiva degli stessi.
Si costituiva in giudizio la Cibofer e resisteva alla domanda eccependo che i motori di cui si dice, nel corso degli anni 2003, 2004 e 2005, si erano rivelati di scarsa qualità, tanto che i suoi clienti nel 2003 gliene avevano restituiti 1900, nel 2004 n. 381 nel 2005 n. 401 e nel 2006 n. 117. Sosteneva, altresì, che la domanda di adempimento contrattuale era infondata perché a norma dell’art. 5 del contratto del dicembre 2005 l’efficacia e la validità dello stesso era condizionata all’acquisto minimo annuale di 14.000 motori, così che essendo mancata la fornitura minima, non erano sorte obbligazioni vincolanti.
Il Tribunale di Monza con sentenza del 25 giugno 2007, in parziale accoglimento della domanda attrice, condannava la società Cibofer al i pagamento in favore dell’attrice della somma di Euro. 234.294,00 oltre interessi e rivalutazione a titolo di risarcimento danni.
Avverso questa sentenza interponeva appello, davanti alla Corte di Appello di Milano, la società Cibofer contestando sia l’interpretazione della clausola contrattuale n. 5, sia l’importo liquidato. La società ACM resisteva all’impugnazione, chiedendone il rigetto e la conferma della sentenza di primo grado.
La Corte di Appello di Milano, con sentenza n. 2819 del 2009, rigettava l’appello e confermava la sentenza di primo grado, dopo averne corretta la motivazione in ordine al danno, distinguendo le componenti del danno emergente e del lucro cessante. A sostegno di questa decisione la Corte milanese osservava: a) il contratto concluso tra le parti in causa è da qualificare siccome contratto di compravendita. B) non era verosimile che, con la previsione dell’acquisto del quantitativo previsto, le parti avessero subordinato ad esso l’applicazione dei prezzi scontati, così che l’acquirente sarebbe stata libera di acquistare un quantitativo minore con la solai conseguenza che lo avrebbe pagato a prezzo pieno, di listino, perché la personalizzazione dei motori richiedeva una riorganizzazione della produzione con un aggravio di spese di personale e di materiale. Piuttosto, la previsione contenuta nel secondo periodo del primo comma dell’art. 5 del contratto che l’efficacia e la validità del contratto erano subordinate al minimo acquisto annuale riguardava esclusivamente le altre clausole contrattuali secondarie.
La cassazione della sentenza n. 2819 del 2009 della Corte di Appello di Milano è stata chiesta da Cibofer con ricorso affidato a sette motivi, illustrati da memoria. La società ACM, in questa fase non ha svolto alcuna attività difensiva.

Motivi della decisione

1. – La società Cibofer Commerciale srl, lamenta: a) con il primo motivo la violazione e falsa applicazione di norma di diritto art. 2697 cod. civ.. b) con il secondo motivo, la violazione e falsa applicazione di norma di diritto art. 1226 cod. civ.. c) Con il terzo motivo la violazione e falsa applicazione di norma di diritto art. 1223 cod. civ.. d) Con il quarto motivo l’insufficienza e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, e) con il quinto motivo, la violazione e falsa applicazione di norma di diritto art. 1225 cod. civ.. f) con il sesto motivo: l’insufficiente e contraddittoria motivazione. Punto 2.2.1 della sentenza n. 2819 del 2009. g) con il settimo motivo: la violazione falsa applicazione art. 1453 cc. e art. 112 cpc.. Avrebbe errato la Corte milanese, secondo la ricorrente:

a) nell’aver condannato la Cibofer a versare un importo a titolo di risarcimento danni, nonostante l’ACM non avesse offerto alcuna prova circa l’esistenza dell’ammontare del danno emergente e del lucro cessante. Per altro, ritiene la ricorrente, i Giudici di merito non hanno neppure ritenuto necessario avviare un’indagine istruttoria. E di più, il Giudice di primo grado ha parlato semplicemente di mancato guadagno della ACM senza distinguere danno emergente e lucro cessante e la Corte di Appello di Milano ha ritenuto di correggere l’errore del Giudice di primo grado attribuendo all’importo liquidato le voci sia di lucro cessante che di danno emergente.

b) nell’aver ritenuto di liquidare il danno facendo riferimento ad un prezzo del prodotto finito e moltiplicando tale prezzo per i motori non forniti.

Epperò, un criterio di tale fatta rientra di fatto in una liquidazione equitativa del danno non praticabile nel caso di specie perché la liquidazione equitativa del danno è possibile solo se il danno non possa essere provato nel suo preciso ammontare.

c) per aver trascurato la norma di cui all’art. 1124 cod. civ. avendo liquidato un danno anche se la parte attrice non aveva identificato e quantificato le proprie richieste risarcitorie.

d) per aver ritenuto corretta l’individuazione del danno nel prezzo unitario dei motori pattuito tra le parti perché danno e prezzo del prodotto finito non possono coincidere. È risaputo infatti che sul prezzo del prodotto finito incide il costo di produzione. Il costo di produzione è dato da un insieme di fattori tra loro assolutamente variabili che non rientrano e non possono rientrare nella nozione di danno così come previsto dall’articolo 1223 cod. civ. Nella fattispecie in esame, non essendo stato mai prodotto nulla il costo di produzione non può gravare certo su quanto liquidato a carico della Cibofer.

e) per non aver tenuto in conto che fosse evidente la prevedibilità da parte della ACM del fatto che la Cibofer Commerciale mai avrebbe acquistato 14000 motori, considerato che la Cibofer negli anni 2002, 2003, 2004 non ha mai rispettato i presunti vincoli di acquisto.

f) per aver ritenuto che la clausola di cui all’art. 5 del contratto intercorso tra le parti (secondo cui ‘l’efficacia e la validità del contratto (erano) subordinate al minimo acquisto annuale’) non aveva il significato di rendere inefficace il contratto in ogni sua parte nel caso in cui non venisse rispettato l’acquisto del minimo dei motori previsto, così come era stato sostenuto dall’attuale ricorrente, anche nella fase di appello, ma il significato di riferirsi alle altre clausole contrattuali secondarie di non meglio specificato contenuto.

g) per non aver considerato che il risarcimento del danno è correlato alla domanda di adempimento o alla domanda di risoluzione e non può essere alternativo ad esse. Pertanto, specifica la ricorrente, il Giudice, affermando che la domanda di adempimento non fosse più possibile e che fosse i accoglibile solo la domanda di risarcimento del danno formulata in via alternativa, si sarebbe sostituito alla parte, pronunciando, implicitamente, una risoluzione del contratto. Se poi non si volesse dare tale lettura alla motivazione in ogni caso, secondo sempre la ricorrente, si appaleserebbe una violazione della norma citata per aver il Giudice introdotto un’azione autonoma a prescindere dal contratto e/o presunta violazione dello stesso che ne avrebbe dovuto determinare i presupposti.

2 – Appare opportuno esaminare anzitutto e congiuntamente il secondo, il terzo e il quarto motivo, per l’innegabile connessione che esiste tra gli stessi, essendo tutti e tre la specificazione di una stessa censura, considerato che si ritiene errato, sia pure sotto profili diversi, il rinvio di cui alla sentenza della Corte milanese, al prezzo di vendita, quale criterio per determinare il quantum del danno. La censura in essi contenuta è fondata, e va accolta, per quanto di ragione, perché il rinvio al prezzo unitario di vendita seppure avesse potuto identificare un criterio idoneo a guidare la quantificazione del danno subito dalla Cibofer, in concreto, però, la Corte avrebbe dovuto chiarire – e, non sembra, lo abbia fatto – in quale misura quel prezzo consentiva di identificare il mancato guadagno e in quale altra misura indicava il lucro cessante soprattutto, perché – come è detto nella stessa sentenza – la produzione della quantità dei motori, oggetto di causa, era stata programmata, ma non anche realizzata

2.1.a). – Va qui osservato che l’art. 1223 c.c. stabilisce che ‘il risarcimento del danno per l’inadempimento o per il ritardo deve comprendere, così la perdita: subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta’. La norma sintetizza in poche battute il contenuto minimo del risarcimento, introducendo un concetto di danno “integrale’,.comprensivo sia della diminuzione subita, e cioè il danno che il debitore adempiente avrebbe potuto evitare, sia del mancato incremento patrimoniale di cui il creditore avrebbe potuto godere se la prestazione fosse stata eseguita. Insomma, il risarcimento del danno è l’obbligazione diretta a reintegrare il patrimonio del danneggiato nella situazione in cui si sarebbe trovato se l’inadempimento non si fosse verificato. Semplice sarà per il creditore provare il danno emergente: essendo quest’ultimo una posta attiva del patrimonio del soggetto, basterà dimostrarne l’attualità e la sua conseguente lesione. Più difficoltosa sarà, invece, la prova del lucro cessante il creditore si vedrà costretto a provare il mancato guadagno che gli sarebbe potuto derivare da quella determinata operazione economica. Sarà tenuto, quindi, a dare la prova di un bene o un interesse che non sono mai venuti ad esistenza, ma che, se si fossero concretizzati (in mancanza dell’inadempimento), sarebbero stati sicuramente di sua spettanza. Tuttavia, quest’ultima voce di danno può essere dimostrata, anche in via presuntiva.

2.1.b). – Ora, nell’ipotesi in esame, il danno ‘integrale’, ovvero, l’obbligazione diretta a reintegrare il patrimonio del danneggiato nella situazione in cui si sarebbe trovato se l’inadempimento non si fosse verificato, non poteva che essere rappresentato dalla perdita che la società creditrice aveva subito: in termini di costi sostenuti per l’acquisto delle materie prime con cui produrre i motori, e in termini di riorganizzazione della linea di produzione per le richieste ‘personalizzazioni” e dal lucro cessante quale perdita di quel guadagno che la società ACM avrebbe ottenuto se la società Cibofer avesse assolto l’obbligo di acquistare i restanti 7702 motori. Tuttavia, la Corte milanese ha mancato di chiarire se il prezzo unitario di vendita del singolo motore, essendo stato scontato, indicava il prezzo di un motore già prodotto, oppure il costo necessario per produrlo, né ha specificato se le materie prime acquistate erano riutilizzabili ed, eventualmente, in quale misura.

3. – Il primo motivo rimane assorbito dall’accoglimento del secondo, terzo e quarto, per quanto in motivazione.

4 – Il quinto motivo è infondato e non può essere accolto perché non vi è alcuna connessione tra l’inadempimento contrattuale, oggetto di causa, e il comportamento della Cibofer in ordine ad altri precedenti contratti, e comunque, nell’ipotesi in esame sussistono i presupposti della fattispecie di cui all’art. 1225 cod. civ. considerato che, nel caso in esame, il rifiuto, della Cibofer, di adempiere l’obbligo di acquistare è stato (ed, è) consapevole volontario.

3.1. – Va qui osservato che in tema di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale, il dolo del debitore che, ai sensi dell’art. 1225 cod. civ., comporta la risarcibilità anche dei danni imprevedibili al momento in cui è sorta l’obbligazione, non consiste nella coscienza e volontà di provocare tali danni, ma nella mera consapevolezza e volontarietà dell’inadempimento.

4. – Infondato è anche il sesto motivo, che, pertanto, non può essere accolto, non solo e non tanto perché la ricorrente si propone di ottenere una nuova valutazione della clausola contrattuale di cui si dice, ovvero un nuovo e diverso giudizio di merito, inibito in cassazione, ma, soprattutto, perché l’interpretazione della clausola di cui all’art. 5 del contratto intercorso tra le data dalla Corte milanese è convincente proprio perché coerente con il testo contrattuale i considerato che una diversa interpretazione avrebbe trasformato il contratto di cui si dice in un contratto aleatorio, che non sembra sia quello che la concreta comune intenzione delle parti avrebbe voluto porre in essere.

5. – Inammissibile è il settimo motivo perché la statuizione di cui alla sentenza del Tribunale secondo la quale ‘da ultimo si precisa che è stata accolta la domanda di risarcimento del danno formulata in via alternativa e non quella di adempimento in quanto quest’ultima è condizionata all’offerta della controprestazione e all’esecuzione della stessa (…)’ non risulta sia stata impugnata e, come tale, non può essere censurata per la prima volta in Cassazione essendo ormai coperta dal giudicato interno. Né, nell’ipotesi in esame, la richiesta di risarcimento danni era subordinata alla risoluzione del contratto considerato che quella domanda era relazionata all’inadempimento dell’obbligo di acquistare.

In definitiva, vanno accolti il secondo, terzo e quarto motivo per quanto in motivazione, dichiarato assorbito il primo, rigettati gli altri. La sentenza impugnata va cassata e il processo rinviato ad altra sezione della Corte di appello di Milano la quale provvederà al regolamento delle spese anche del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo, il terzo e il quarto motivo del ricorso per quanto di ragione, dichiara assorbito il primo motivo, rigetta gli altri. Cassa la sentenza impugnata e rinvia il processo ad altra sezione della Corte di Appello di Milano, anche per le spese di questo grado di giudizio.

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