L’errore di fatto, idoneo a fondare la domanda di revocazione ai sensi degli artt. 106 Cod. proc. amm. e 395, n. 4 Cod. proc. civ., è configurabile nell’attività preliminare del giudice di lettura e percezione degli atti acquisiti al processo, quanto allo loro esistenza ed al significato letterale, senza coinvolgere la successiva attività di interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande, delle eccezioni e del materiale probatorio, ai fini della formazione del convincimento, così che rientrano nella nozione di errore di fatto revocatorio i casi in cui il giudice, per svista sulla percezione delle risultanze materiali del processo, sia incorso in omissione di pronuncia od abbia esteso la decisione a domande e ad eccezioni non rinvenibili negli atti del processo; il caso non ricorre nell’ipotesi di erroneo, inesatto od incompleto apprezzamento delle risultanze processuali ovvero di anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio, ovvero quando la questione controversa sia stata risolta sulla base di specifici canoni ermeneutici o sulla base di un esame critico della documentazione acquisita: ipotesi, queste, che danno luogo, eventualmente, ad un errore di giudizio, non censurabile mediante il rimedio della revocazione.
Consiglio di Stato
Sezione 5
Sentenza 21 settembre 2017, n. 4407
Data udienza 13 dicembre 2016
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8737 del 2012, proposto da:
C.S. Co. Si. Au., in persona del legale rappresentante pro tempore sig. Vi. Za., rappresentato e difeso dall’avvocato Vi. Pa., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Gi. Pi. To. in Roma, via (…);
contro
Provincia di Taranto, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Ce. Se., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Lu. Al. in Roma, via (…);
per la revocazione
della sentenza del CONSIGLIO DI STATO – SEZ. V n. 04716/2012, resa tra le parti, concernente appello alla sentenza n. 00005/2012 sezione II del Tar Puglia – sez.staccata di Lecce – relativa a comportamenti antisindacali consistenti nell’adozione unilaterale di atti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Provincia di Taranto;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 13 dicembre 2016 il Cons. Stefano Fantini; nessuno è presente per le parti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.- La vicenda oggetto della presente controversia è preceduta dal giudizio su un ricorso esperito dal qui ricorrente C.S.- Co. si. au. ai sensi dell’art. 28 della legge n. 300 del 1970 nei confronti della Provincia di Taranto per comportamenti antisindacali consistiti nell’adozione unilaterale di atti di gestione del rapporto di lavoro del personale, che, secondo quanto previsto dal C.C.N.L. vigente, avrebbero dovuto costituire oggetto di contrattazione decentrata o comunque di informazione nei confronti dei sindacati.
Il Tribunale di Taranto, dapprima con decreto n. 193692 del 2001, e poi, all’esito di opposizione, con sentenza 29 settembre 2008, n. 5476, dichiarò antisindacale la condotta della Provincia di Taranto, ordinandone la cessazione e la rimozione degli effetti.
Per l’ottemperanza dei provvedimenti del Tribunale di Taranto, il C.S.A. ha adito il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione di Lecce, che, con sentenza n. 5 del 2012, ha respinto il ricorso, ritenendo integralmente eseguito il giudicato attraverso la delibera di Giunta n. 92 del 6 aprile 2002 e le note prot. nn. 899 e 16555 in data 2 e 8 aprile 2002.
L’appello avverso è stato respinto con la sentenza 6 settembre 2012, n. 4716 di questa V Sezione, che ha rilevato che le condotte antisindacali riguardano il 2001, e non vi è spazio per ipotizzare “una forma di concertazione a distanza di oltre dieci anni dai fatti su cui si controverte, né il sindacato appellante si è premurato di specificarlo”.
- Il C.S.A. chiede in questa sede in via rescindente la revocazione della detta sentenza, allegando errori di fatto rilevanti ai sensi degli artt. 395, n. 4 Cod. proc. civ e 106 Cod. proc. amm., riguardanti in particolare la statuizione sulla mancata specificazione, da parte dell’associazione sindacale, delle forme della concertazione, nonché l’intervenuta rideterminazione di alcune situazioni controverse mediante la deliberazione di Giunta n. 113 del 2002.
- Si è costituita in resistenza la Provincia di Taranto chiedendo la reiezione del ricorso.
4.- Nella camera di consiglio del 13 dicembre 2016 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1.- Premette il Collegio che, in termini generali, l’errore di fatto, idoneo a fondare la domanda di revocazione ai sensi degli artt. 106 Cod. proc. amm. e 395, n. 4 Cod. proc. civ., è configurabile nell’attività preliminare del giudice di lettura e percezione degli atti acquisiti al processo, quanto allo loro esistenza ed al significato letterale, senza coinvolgere la successiva attività di interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande, delle eccezioni e del materiale probatorio, ai fini della formazione del convincimento, così che rientrano nella nozione di errore di fatto revocatorio i casi in cui il giudice, per svista sulla percezione delle risultanze materiali del processo, sia incorso in omissione di pronuncia od abbia esteso la decisione a domande e ad eccezioni non rinvenibili negli atti del processo.
Il caso non ricorre nell’ipotesi di erroneo, inesatto od incompleto apprezzamento delle risultanze processuali ovvero di anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio, ovvero quando la questione controversa sia stata risolta sulla base di specifici canoni ermeneutici o sulla base di un esame critico della documentazione acquisita: ipotesi, queste, che danno luogo, eventualmente, ad un errore di giudizio, non censurabile mediante il rimedio della revocazione (es. Cons. Stato, V, 29 ottobre 2014, n. 5347; V, 11 giugno 2013, n. 3210; Ad. plen., 10 gennaio 2013, n. 1; Ad. plen., 17 maggio 2010, n. 2; Ad. plen., 11 giugno 2001, n. 3).
- Nella fattispecie in esame non si rinvengono gli elementi tipici dell’errore di fatto revocatorio.
- In particolare, procedendo alla disamina del motivo di revocazione, è inammissibile la doglianza che afferma frutto di abbaglio dei sensi e non corrispondente al vero la statuizione che afferma che il sindacato ricorrente non si è preoccupato di specificare in concreto la concertazione sindacale da espletare, nei suoi contenuti e nelle sue forme, nonché quella secondo cui con deliberazione di Giunta n. 113 del 2002 si è avuta una rideterminazione di alcune delle situazioni controverse, previa consultazione dell’associazione ricorrente, in tema di fondo accessorio per le azioni di sviluppo e al produttività del personale.
Infatti, sotto il primo profilo, la sentenza ha rilevato che a distanza di dieci anni dai fatti non è possibile ipotizzare una forma di concertazione postuma; sotto il secondo profilo ha analogamente evidenziato che il tempo decorso ha reso impossibile provvedere su situazioni ormai consolidate, e comunque vi è stata una rideterminazione amministrativa, con la delibera n. 113/2002, adottata previa consultazione delle associazioni sindacali.
Non è dunque ravvisabile un errore di fatto revocatorio, collocabile nell’attività preliminare di lettura e percezione degli atti acquisiti al processo, ma un’interpretazione e valutazione delle domande e delle risultanze processuali: questa, ove per ipotesi errata, configurerebbe errore di diritto.
Si aggiunga, a conferma, che l’errore di fatto, oltre a derivare da una errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio (falso presupposto di fatto), deve attenere ad un punto non controverso e sul quale la decisione non ha espressamente motivato.
Anche tale requisito non sussiste nel caso di specie, come appare chiaro dalla pagina 7 della sentenza, dove espressamente si dà atto della radicale inutilità di una condotta riparatrice a così ampia distanza di tempo dal 2001. Analogo ragionamento la sentenza svolge con riguardo al fondo accessorio, dando altresì atto dell’intervenuta delibera giuntale n. 113 del 2002 con la quale è stata rinnovata la procedura.
- Alla stregua di quanto esposto, il ricorso per revocazione va dichiarato inammissibile, ciò precludendo il riesame del merito della controversia già precedentemente decisa.
Le spese di giudizio seguono, come per regola, la soccombenza e sono liquidate nell’importo fissato nel dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sul ricorso per revocazione, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.
Condanna la ricorrente alla rifusione, in favore dell’Amministrazione appellata, delle spese di giudizio, liquidate in complessivi euro tremila.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 dicembre 2016 con l’intervento dei magistrati:
Giuseppe Severini – Presidente
Paolo Giovanni Nicolò Lotti – Consigliere
Fabio Franconiero – Consigliere
Raffaele Prosperi – Consigliere
Stefano Fantini – Consigliere, Estensore
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