La disposizione di cui all’art. 38, comma 1, lettera f), D.Lgs. 163/2006mira a garantire l’elemento fiduciario nei rapporti contrattuali della Pubblica Amministrazione fin dal momento genetico; è consentito all’Amministrazione di valutare i precedenti professionali delle imprese concorrenti e quindi di tenere conto anche di rapporti contrattuali intercorsi con Amministrazioni diverse.
Sentenza 6 settembre 2017, n. 4228
Data udienza 27 giugno 2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1769 del 2013, proposto da:
Im. Se. s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., in proprio e quale Capogruppo mandataria della costituenda Ati con la mandante Gi. Im. s.n. c. – Gi. Im. Snc, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentate e difese dall’avvocato Ra. De Bo., con domicilio eletto presso lo studio Ro. De Bo. in Roma, via (…);
contro
Regione Basilicata, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Ma. Ro. Br., con domicilio eletto presso lo studio Ufficio Rappresentanza Regione Basilicata in Roma, via (…);
nei confronti di
Consorzio Co. Co. Cc. Società Cooperativa in proprio e quale Capogruppo Mandataria Ati, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avvocato Fe. Ru., con domicilio eletto presso lo studio Cl. Ma. in Roma, via (…);
Ati – Ge. Im. Sud Srl e in Proprio non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. BASILICATA – POTENZA: SEZIONE I n. 00518/2012, resa tra le parti, concernente affidamento servizio di esercizio e manutenzione degli impianti elettrici, bassa tensione, speciali ed affini a servizio delle sedi degli uffici regionali.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Regione Basilicata e di Consorzio Co. Co. Cc. Società Cooperativa in proprio e quale Capogruppo Mandataria Ati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visti gli artt. 74 e 120, co. 10, cod. proc. amm.;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 27 giugno 2017 il Cons. Daniele Ravenna e udito per le parti il solo avvocato Ma. Ro. Br.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Le società Im. Se. s.p..a e Gi. Im. s.n. c., in proprio e quali rispettivamente capogruppo mandataria e mandante di una costituenda ATI, hanno impugnato la sentenza in epigrafe, che ha respinto il loro ricorso avverso il provvedimento di esclusione da una gara indetta dalla Regione Basilicata.
Le appellanti ricordano che la costituenda ATI era risultata aggiudicataria provvisoria della gara, di cui al bando regionale del 24 marzo 2011, avente ad oggetto l’affidamento del servizio di esercizio e manutenzione degli impianti elettrici nelle sedi degli uffici regionali. Tuttavia, in sede di verifica del possesso dei requisiti, il responsabile del procedimento aveva disposto l’esclusione dell’ATI, avendo riscontrato la notizia di una risoluzione contrattuale per negligenza, disposta nel 2008 dal Comune di (omissis) in danno della Gi.. Il provvedimento di esclusione era fondato su due motivi: perché la mancata segnalazione configurava una falsa dichiarazione e perché la pregressa risoluzione comportava una fattispecie di grave negligenza, implicante il venir meno del requisito di cui all’art. 38, comma 1, lettera f), del codice appalti (d.lgs. n. 163 del 2006).
Le due società hanno impugnato l’esclusione avanti il Giudice amministrativo, che peraltro ha respinto il ricorso con la sentenza ora appellata. In particolare, il Giudice adito ha ritenuto non necessario pronunciarsi sulla questione se il comportamento tenuto dalla Gi. Im. corrispondesse all'”errore grave” (o piuttosto alla “grave negligenza”) di cui alla sopra citata disposizione, perché la società era stata esclusa anche per omessa dichiarazione in sede di gara e, in caso di pluralità di argomentazioni o motivi autonomi posti a fondamento di un provvedimento, questo è legittimo anche se solo uno di essi è fondato.
Nell’appello a questo Consiglio, le due società adducono i seguenti motivi di erroneità della sentenza.
1. L’esclusione sarebbe illegittima perché entrambe le cause di esclusione di cui ai due periodi del richiamato art. 38, comma 1, lettera f), riguarderebbero comportamenti contro la medesima stazione appaltante che ha bandito la gara, come specificato anche dalla giurisprudenza comunitaria, mentre il precedente della risoluzione contrattuale addebitato alla Gi. riguarda il Comune di (omissis). Inoltre la lex specialis farebbe riferimento a un errore “accertato” e non già “accertabile” in futuro. Pertanto la Gi. non sarebbe stata tenuta ad alcuna dichiarazione né avrebbe potuto esserle imputata alcuna causa di esclusione.
2. La risoluzione disposta dal Comune di (omissis) sarebbe stata pronunciata per “negligenza” e non per “errore professionale”. La negligenza di cui alla richiamata lettera f) varrebbe come causa di esclusione solo se tenuta verso la stessa stazione appaltante. Non essendo questo il caso, la Regione non avrebbe potuto quindi invocarla per escludere la Gi.. Ad avviso degli appellanti la sentenza avrebbe omesso di pronunciarsi sul punto, già sollevato in primo grado. Né potrebbe imputarsi alla società una dichiarazione scientemente falsa (aver dichiarato che non sussistono cause di esclusione ex art. 38 lett. f)) poiché dato il tenore della norma sussisterebbero comunque la buona fede e l’errore scusabile.
3. La lex di gara non chiedeva di dichiarare specificamente eventuali provvedimenti di risoluzione precedenti, ma solo la generica insussistenza di cause di esclusione. Anche secondo giurisprudenza di questo Consiglio, la valutazione della gravità delle possibili cause di esclusione da dichiarare sarebbe rimessa al dichiarante. Andrebbe dunque applicato il principio della tassatività della cause di esclusione.
4. La sentenza avrebbe altresì errato non cogliendo, negli atti della Regione impugnati, la assoluta mancanza della indispensabile valutazione dei precedenti professionali dell’impresa, che ha correttamente eseguito lavori per oltre 15 milioni di euro per committenze pubbliche, a fronte della risoluzione di un appalto da 147.000 euro, per di più riguardante una tipologia di lavori affatto differente. Inoltre l’Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici avrebbe attestato che quella unica risoluzione non potrebbe configurare una causa di esclusione ex art. 38, lettera f), o il grave errore professionale.
Le appellanti, previa istanza cautelare, hanno chiesto quindi l’annullamento della esclusione e in subordine l’accertamento della inesistenza della falsa dichiarazione, richiamando le gravissime conseguenze che deriverebbero a loro danno da tale fatto, se confermato.
Si è costituita la Regione, che in sintesi ha argomentato come segue.
1. L’esclusione dalla gara sarebbe conseguenza dell’accertamento di una condotta che ha compromesso la necessaria fiducia nell’impresa; la stazione appaltante potrebbe valutare i precedenti dei concorrenti e i precedenti rapporti con altre Pubbliche Amministrazioni; inoltre la condotta qualificata come “grave negligenza” dalla prima stazione appaltante contraente (il Comune di (omissis)) potrebbe essere qualificata “grave errore professionale” dall’Amministrazione della Regione, estranea a quel rapporto.
2. Non potrebbe negarsi la sussistenza della dichiarazione falsa, poiché i concorrenti sarebbero tenuti a dichiarare tutti i fatti intercorsi con le altre PA, potenzialmente preclusivi e la Gi. avrebbe dovuto dichiarare l’esistenza delle precedente risoluzione contrattuale.
Si è costituita la CCC Società cooperativa, controinteressata, argomentando a sua volta nel merito avverso i singoli motivi di appello.
Con successiva memoria le appellanti hanno ribadito le proprie argomentazioni.
Questo Consiglio, con ordinanza n. 1373 del 2013 ha rigettato l’istanza cautelare.
All’udienza del 27 giugno 2017 la causa è passata in decisione.
DIRITTO
L’appello è infondato e va respinto, nei termini che seguono.
Quanto ai primi due motivi di appello, giova richiamare la disposizione del d.lgs. n. 163 del 2006 (l’art. 38, comma 1, lettera f)) su cui le appellanti fondano le proprie argomentazioni, ai sensi del quale sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti i soggetti “f) che, secondo motivata valutazione della stazione appaltante, hanno commesso grave negligenza o malafede nell’esecuzione delle prestazioni affidate dalla stazione appaltante che bandisce la gara; o che hanno commesso un errore grave nell’esercizio della loro attività professionale, accertato con qualsiasi mezzo di prova da parte della stazione appaltante”.
Al riguardo, va condivisa la lettura fornita dal Giudice di primo grado che, in sostanza, trae dalla suddetta disposizione due distinti comandi, rispettivamente volti ad escludere i soggetti:
– che hanno commesso grave negligenza o malafede nei confronti della medesima stazione appaltante;
– che hanno commesso un errore grave nell’esercizio dell’attività professionale, a prescindere dal committente nei cui confronti l’errore sia stato commesso. Tale errore può essere accertato dalla stazione appaltante con qualsiasi mezzo di prova.
Il tenore della disposizione appare sufficientemente chiaro, sì da escludere l’argomentazione addotta dalle appellanti – le quali pure invocano precedenti giurisprudenziali – secondo il quale entrambe le fattispecie avrebbero riferimento al caso della condotta nei confronti della medesima stazione appellante che dispone l’esclusione. Occorre pertanto concludere che, ai fini della esclusione di cui all’art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006, la stazione appaltante può valutare la sussistenza dell’errore professionale grave verificatosi anche nel quadro di un precedente rapporto con altro soggetto.
Le appellanti affermano tuttavia che la risoluzione del contratto con il Comune di (omissis) sarebbe dovuta a “negligenza” e non a errore professionale e pertanto non avrebbe potuto essere considerata dalla Regione quale causa per la esclusione. Al riguardo, va premesso che, in via di fatto, gli elementi richiamati nella sentenza e non contestati, in base ai quali il Comune di (omissis) ha disposto la risoluzione del contratto (elementi oggetto fra l’altro della sentenza n. 2325 del 2010 del Tribunale di Monza, che ha condannato la Gi. a risarcire quel Comune), e cioè la fornitura di apparecchi non compatibili, la proposta di utilizzare altri apparecchi non conformi e infine l’utilizzo di mezzi d’opera non idonei all’esecuzione dei lavori, se certamente rientrano nella fattispecie della negligenza grave, possono altresì configurare il “grave errore nell’esercizio dell’attività professionale” e pertanto legittimamente l’Amministrazione regionale poteva assumerli quale causa di esclusione.
Tanto premesso, ai fini di una corretta interpretazione della disposizione più volte richiamata, merita condivisione l’affermazione del Giudice di primo grado, secondo la quale essa mira a garantire l’elemento fiduciario nei rapporti contrattuali della Pubblica Amministrazione fin dal momento genetico. Va poi ricordato che questo Consiglio ha già avuto modo di affermare che è consentito all’Amministrazione di valutare i precedenti professionali delle imprese concorrenti e quindi di tenere conto anche di rapporti contrattuali intercorsi con Amministrazioni diverse.
Va inoltre respinta come infondata l’argomentazione – invero non chiara – delle appellanti, per cui la stazione appaltante non avrebbe potuto disporre l’esclusione di un concorrente a carico del quale non avesse precedentemente constatato o accertato alcun errore professionale. Invero, non può dubitarsi che, ai sensi della disposizione richiamata, la stazione appaltante possa accertare, in sede di verifica del possesso dei requisiti, se l’aggiudicatario provvisorio abbia commesso un “errore grave” nell’esercizio della sua attività professionale, a tal fine avvalendosi – come espressamente disposto dal legislatore in termini di massima latitudine – ¬di “qualsiasi mezzo di prova”. Nel caso specifico, l’Amministrazione procedente risulta aver operato una accurata istruttoria, acquisendo dal Comune di (omissis) la documentazione relativa al contratto risolto, nonché la sentenza del Giudice ordinario citata.
Quanto al terzo motivo, questo Collegio concorda con la sentenza appellata, laddove, richiamando giurisprudenza di questo Consiglio, afferma che – spettando alla sola stazione appaltante valutare l’applicabilità della causa di esclusione di cui alla più volte richiamata lettera f) – sull’impresa concorrente sarebbe gravato l’obbligo di dichiarare la precedente risoluzione del contratto con il Comune di (omissis), affinché l’Amministrazione potesse valutare il grado di affidabilità e di capacità della concorrente. Tuttavia le oscillazioni giurisprudenziali in ordine all’interpretazione della disposizione richiamata inducono a ritenere che si potrebbe giungere ad escludere, nello specifico caso, la fattispecie della dichiarazione scientemente falsa e a riconoscere la scusabilità dell’errore. Ciò comunque non inficia la legittimità del provvedimento di esclusione, per l’autonomia del motivo già sopra illustrato.
Il quarto motivo d’appello va respinto sulla considerazione che la mancanza del requisito di cui all’art. 38 riveste carattere di ordine generale ed è comunque preclusiva della partecipazione alla gara.
La decisione sulle spese segue la soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna le appellanti in solido alle spese, nella misura di euro 3.000 (tremila) a favore di ciascuna delle parti costituite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 giugno 2017 con l’intervento dei magistrati:
Francesco Caringella – Presidente
Roberto Giovagnoli – Consigliere
Valerio Perotti – Consigliere
Stefano Fantini – Consigliere
Daniele Ravenna – Consigliere, Estensore
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