Cessione dei beni ai creditori e la liberazione del debitore

Cessione dei beni ai creditori

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A)   Nozione e natura

 

art. 1977 c.c.   nozione: la cessione dei beni ai creditori è il contratto con il quale il debitore incarica  i suoi creditori o alcuni di essi  di liquidare tutte o alcune sue attività  e di ripartire tra loro il ricavato in soddisfacimento dei loro crediti.

 

 

Gazzoni

La natura

si tratta di un mandato con rappresentanza ovvero senza rappresentanza a liquidare, cioè ad alienare i beni ceduti, irrevocabile, perché attribuito anche  nell’interesse dei creditori cessionari.

Capozzi

 La funzione

l’utilità dell’istituto è evidente: il debitore ed i creditori, al fine di evitare un’eventuale esecuzione forzata, talvolta lunga e costosa, concludono il contratto di cessione ed in tal modo i creditori si sostituiranno al debitore nella gestione dei suoi beni, che convertiranno in moneta, ripartendosi poi il ricavato a soddisfacimento dei loro crediti.

I presupposti

A)  necessaria insolvenza oppure

B)  è sufficiente l’esistenza di un debito;

è preferibile questa seconda opinione; al limite, possono, in concreto, anche aversi casi in cui non vi è neanche inadempimento, in quanto i debiti per i quali si effettua la cessione non sono ancora giunti a scadenza.

 

Secondo dottrina autoritaria[1] – la definizione del codice all’art. 1977 c.c. orienta la dottrina quasi unanime e la giurisprudenza della Cassazione[2] a ritenere che la cessione dei beni rientri nello schema del mandato.

Infatti proprio per tale natura secondo una non recente pronuncia della Corte di Legittimità in tema di prelazione urbana disciplinata dall’art. 38 della legge n. 342 del 1978 è valida la “denuntiatio” effettuata dal proprietario dell’immobile locato ad uso diverso dall’abitazione, ancorchè abbia ceduto i suoi beni tra cui quello locato – ai creditori a norma dell’art. 1977 c. c., poichè detta cessione non comporta il trasferimento della proprietà dei beni del debitore, ma ha il limitato effetto di conferire ai creditori cessionari un mandato alla liquidazione ed al riparto dei beni, fatto salvo un connaturato vincolo di indisponibilità di natura personale ed obbligatoria che non incide sulla titolarità dei rapporti sostanziali, nè sulla legittimazione attiva e passiva relativa alle attività cedute.

è un contratto

 1 – bilaterale e plurilaterale

 

secondo Gazzoni – Judica, nel caso in cui la cessione si concluda fra più persone non si avrà un contratto plurilaterale con comunione di scopo, ma solamente un contratto a due parti che si caratterizza per la presenza di più soggetti in una parte contraente.

Gazzoni – Creditori cessionari

qualora i creditori siano una pluralità, il contratto rimane pur sempre bilaterale, perché i creditori formano una sola parte, cioè un solo centro d’interessi, pur se l’accettazione è la risultante di una pluralità di manifestazioni di volontà, configurandosi come atto collettivo.

Contra – Capozzi

secondo il quale nel caso normale d i una pluralità di creditori, non si avrà un’accettazione unica della massa, ma una pluralità di atti autonomi che ogni creditore pone in essere nel proprio esclusivo interesse.

È perciò che la cessione è, di regola, un contratto plurilaterale, anche se, nel momento funzionale del rapporto i vari creditori costituiscono un centro unitario d’interessi.

2 –  formale

È a forma scritta

3 – consensualeEsso si perfeziona, infatti con il semplice consenso delle parti

4 – di durata

Poiché la prestazione  a carico dei creditori, ossia la cessione dei beni, si protrae nel tempo.

La regola generale, valevole per tutti i contratti, è che le parti possono limitarne nel tempo l’efficacia, prevedendo per essa un termine finale. Non vi sono ragioni per le quali tale regola non debba valere anche per il contratto civilistico di “cessio bonorum“. L’apposizione di un termine finale di efficacia del contratto, infatti, soddisfa la duplice esigenza di non rinviare all’infinito la definizione delle ragioni creditorie e di non aggravare ulteriormente la posizione del debitore per l’aumento degli interessi con il decorso del tempo[3].

5) autonomo

Anche se il rapporto che lega il debitore cedente ai creditori cessionari possa inquadrarsi nel largo ambito del mandato con rappresentanza in rem propriam, tuttavia la cessione dei beni ai creditori deve essere considerata un contratto autonomo, perché accanto ai caratteri del mandato tipico, presenta caratteri propri.

È, inoltre riversala funzione:

–      nel mandato essa è di cooperazione gestoria, mentre

–      nella cessione dei beni è anche e prevalentemente satissfattoria e di garanzia.

6)  aperto (se si segue la teoria di Capozzi)

Qualora il contratto si a concluso con alcuni soltanto dei creditori si ritiene, anche in base al diritto positivo (artt. 1981 e 1985) che gli altri possono successivamente aderire, ma questa successiva adesione ha il suo limite temporale nell’operazione di riparto delle somme ricavate (art. 1982).

B)  I requisiti del contratto

 1 – L’accordo delle parti

è un tipico contratto consensuale e si perfeziona, perciò, con il semplice accordo delle parti secondo la normativa stabilita dagli artt. 1326 e seg.

Per la Corte di legittimità[4] il contratto previsto dall’art 1977 c.c.  – che, anche se non attua immediatamente una “solutio“, ha una funzione solutoria, attenendo la sua causa al soddisfacimento dei crediti – è caratterizzato dall’intento, comune al cedente ed ai cessionari, di liquidare, in tutto o in parte, il patrimonio del debitore, al fine di ripartirne il ricavato fra i creditori.

Pertanto, ai fini della configurabilità di tale contratto, non è sufficiente che il debitore dichiari di mettere i suoi beni a disposizione dei creditori, ma occorre che il debitore medesimo – mediante una inequivoca manifestazione di volontà (l’accertamento della cui sussistenza costituisce un giudizio di fatto riservato al giudice del merito) – conferisca ai creditori un mandato a liquidare i suoi beni e a soddisfarsi con il ricavato di tale liquidazione.

2 –  La causa

La sua funzione economica – sociale è preminentemente quella di soddisfare i creditori, in modo da evitare l’esecuzione forzata, anche se non si è esclusa, in via subordinata, una funzione di garanzia, in quanto la cessione assicura pur sempre ai creditori, sia pure in misura più attenuata rispetto alle garanzie tipiche, maggiori facilità di realizzare i loro crediti, sia perché il cedente perde la disponibilità dei beni ceduti e sia perché il contratto di cessione è trascritto o iscritto a carico del debitore.

3 – L’oggetto

Riguardo all’oggetto immediato (rectius prestazione)

Secondo il dettato normativo è previsto all’art. 1977,

A)   a carico del debitore (cedente) l’incarico  di liquidare tutte o alcune sue attività .

B)    a carico dei creditori o ad alcuni di essi (cessionari) l’obbligo  di liquidare tutte o alcune attività del cedente debitore

Riguardo all’oggetto mediato (rectius oggetto della prestazione) < tutte o alcune sue attività>

Possibile – lecito – determinato o  determinabile

È necessario comunque che il debitore indichi i singoli beni ceduti, perché solo tale indicazione rende possibile l’applicazione dell’art. 1986.

art. 1986 c.c.  annullamento e risoluzione del contratto: la cessione può essere annullata se il debitore, avendo dichiarato di cedere tutti i suoi beni, ha dissimulato parte notevole di essi, ovvero se ha occultato passività o ha simulato passività inesistenti.

La cessione può essere risoluta per inadempimento secondo le regole generali.

 

Beni futuri

È stato da taluno (Salvi – Vassalli) escluso che la cessione possa estendersi anche ai beni futuri del patrimonio del debitore, poiché l’efficacia del contratto in esame non può rimanere sospesa per un tempo indefinito, essendo la sua specifica funzione quella di liquidare subito le attività cedute.

In contrario (Capozzi) può, peraltro, osservarsi che anche il bene futuro ha una sua attuale valutazione economica e non si vede la ragione per cui, se è espressamente ammessa la vendita di un bene futuro (art. 1472), non possa questo stesso bene essere alienato a mezzo dei creditori a ciò abilitati con il contratto di cessione.

4 – La formaFORMA SCRITTA –

art. 1978 c.c.    forma: la cessione dei beni si deve fare per iscritto, sotto pena di nullità (c.c.1350, 2649, 2687).

Se tra i beni ceduti esistono crediti, si osservano le disposizioni degli artt. 1264 e 1265 (c.c.2725).

 

La forma scritta è richiesta ad substantiam.

5 – La trascrizione

Quando il contratto di cessione comprenda beni immobili o mobili registrati deve essere trascritto (artt. 2649 e 2687 il quale in merito ai beni mobili registrati richiama espressamente l’art. 2649).

art. 2649 c.c.   cessione dei beni ai creditori: deve essere trascritta, qualora comprenda beni immobili, la cessione che il debitore fa dei suoi beni ai creditori, perché questi procedano alla liquidazione dei medesimi e alla ripartizione del ricavato (c.c.1977 e seguenti; disp.di att. al c.c. 225, 231).

Non hanno effetto, rispetto ai creditori, le trascrizioni o iscrizioni di diritti acquistati verso il debitore, se eseguite dopo che la cessione è stata trascritta.

Tale trascrizione si inquadra fra le trascrizioni di vincoli di indisponibilità.

Per effetto della cessione non si ha, infatti, né trasferimento di proprietà, né costituzione di diritti reali sui beni ceduti, bensì la costituzione di un vincolo d’indisponibilità per il debitore e l’acquisto in capo ai creditori, del potere di amministrare e liquidare i beni ceduti, onde soddisfarsi sul ricavato.

Da ciò deriva la conseguenza giuridica che le trascrizioni dei singoli trasferimenti di proprietà andranno prese direttamente contro il debitore cedente, che risulta titolare dei beni; egli è il dominus negotii, ed i creditori sono equiparabili ai mandatari che agiscono in nome e per conto del primo.

 

 

C)   Effetti e disciplina

 

Vincolo d’indisponibilità

art. 1980  c.c.  effetti della cessione: il debitore non può disporre dei beni ceduti.

I creditori anteriori alla cessione che non vi hanno partecipato possono agire esecutivamente anche su tali beni.

I creditori cessionari, se la cessione ha avuto per oggetto solo alcune attività del debitore, non possono agire esecutivamente sulle altre attività prima di aver liquidate quelle cedute.

La cessione dei beni ai creditori, imprime, consensualmente, alle attività formanti oggetto del contratto, la natura  di patrimonio separato a scopo liquidativi, in quanto l’indisponibilità derivante dalla cessione produce i suoi effetti nei confronti dei creditori successivi, i quali sui beni della cessione  rimangono posposti e possono agire sul residuo, una volta che i cessionari siano stati soddisfatti.

Liberazione del debitore

 

art. 1984 c.c.  liberazione del debitore: se non vi è patto contrario il debitore è liberato verso i creditori solo dal giorno in cui essi ricevono la parte loro spettante sul ricavato della liquidazione e nei limiti di quanto hanno ricevuto.

Disposizione confermata dalla S.C.[5] con una lontana pronuncia secondo la quale nel concordato preventivo, salvo patto contrario, la cessione dei beni ai creditori di cui all’ art. 1977 cod. civ., non avendo alcun effetto traslativo della proprietà dei beni ceduti ma integrando un semplice mandato irrevocabile – conferito anche nell’interesse del mandatario – a gestire e liquidare detti beni, solo allora produce la liberazione del debitore, a norma dell’art. 1984 cod. civ., quando i creditori ricevano la somma loro spettante sul ricavato della liquidazione.

Il debitore e i sui creditori possono stabilire per patto, che la cessione abbia luogo pro soluto – cioè mediante il trasferimento immediato dei beni ai creditori – cessionari, i quali ne divengono comproprietari, in proporzione delle rispettive quote di credito e provvedono fra loro alla ripartizione del prezzo – anziché pro solvendo; con la duplice conseguenza:

1)   che il debitore resta immediatamente liberato, anche se i beni siano insufficienti;

2)   e che nulla gli spetta, se i beni si rivelino esuberanti, rispetto all’entità dei debiti da pagare

In tema secondo una pronuncia del Tribunale Milanese[6] nonostante la proposta concordataria, secondo l’attuale apertura dell’art. 160 L. Fall., possa conformarsi con modalità tali da consentire l’esdebitazione del debitore per effetto della cessio bonorum e senza garanzia di una determinata percentuale, è assorbente il principio che nel contratto di cessione dei beni ai creditori appare deducibile dall’art. 1984 c.c. (definita norma derogabile, ma nello stesso tempo norma imperativa), e conseguentemente l’unica chance di esdebitazione totale che può avere il debitore, il quale propone un concordato per cessione dei beni, può ricorrere solo laddove egli, utilizzando la cessione come strumento di attuazione (e non di sostituzione) dell’obbligazione di pagamento, comunque sottometta la proposta concordataria alla comune area della risoluzione per inadempimento, proponendo la trasformazione dell’originaria obbligazione di pagamento in una obbligazione comunque analoga, anche se di dimensione quantitativamente più ridotta.

Rapporti tra i creditori

art. 1979 c.c. poteri dei creditori cessionari: l’amministrazione dei beni ceduti spetta ai creditori cessionari. Questi possono esercitare tutte le azioni di carattere patrimoniale relative ai beni medesimi.

Inoltre per la Corte di Piazza Cavour[7] per effetto del negozio di cessione dei beni ai creditori (art. 1977 ss. cod. civ.), ai creditori cessionari spetta non solo l’amministrazione dei beni ceduti (art. 1979 cod. civ.), ma anche – sia pure nel quadro della liquidazione delle attività del cedente e del successivo riparto del ricavato – il potere di disporre, nel loro interesse, dei beni anzidetti.

Per una pronuncia[8] non molto recente poiché il contratto di cessione dei beni ai creditori si sostanzia nell’attribuzione ai cessionari di un potere di disposizione finalizzato alla liquidazione ed al riparto, il debitore cedente conserva la titolarità e l’esercizio diretto delle azioni relative alle attività cedute, che può espletare anche nei rapporti interni della cessione (quando ciò non implichi contrasto d’interessi con i cessionari), senza che l’esercizio di tali azioni comporti la necessità del litisconsorzio dei creditori cessionari.

Riguardo sempre alle azioni secondo la Suprema Corte[9] il principio, in forza del quale i creditori del danneggiato, ancorché siano assistiti da specifiche garanzie, non sono legittimati all’esperimento in via diretta dell’azione risarcitoria nei confronti del terzo responsabile (salva restando la legittimazione surrogatoria nel concorso delle condizioni richieste dall’art. 2900 c.c.), non trova di per sè deroga per il fatto che il danneggiato stesso abbia in precedenza ceduto i suoi beni ai creditori, a norma dell’art. 1977 c.c., atteso che tale cessione non priva il cedente del diritto di proprietà sui beni, ma implica soltanto un mandato ai creditori per la loro liquidazione al fine del soddisfacimento dei crediti. Peraltro, qualora, con espressa clausola, il cedente abbia attribuito ai cessionari la facoltà di esercitare tutte le azioni inerenti ai beni ceduti, il relativo patto, che non priva il cedente medesimo del potere di azione, resta privo di effetti con riguardo ai danni che tali beni abbiano subito proprio per fatto dei cessionari, con la conseguenza che per il ristoro di detti danni il cedente resta unico ed esclusivo legittimato ad agire.

Infine sempre per la medesima Corte[10] con il contratto di cessione dei beni ai creditori viene attribuito ai cessionari soltanto un potere di disposizione finalizzato alla liquidazione ed al riparto per cui il debitore cedente conserva la titolarità e l’esercizio diretto delle azioni relative alle attività cedute, che può espletare anche nei rapporti interni della cessione, senza che l’esercizio di tali azioni comporti la necessità del litisconsorzio dei creditori cessionari.

art. 1983 c.c. controllo del debitore: il debitore ha diritto di controllare la gestione e di averne il rendiconto alla fine della liquidazione, o alla fine di ogni anno se la gestione dura più di un anno.

Se è stato nominato un liquidatore, questi deve rendere il conto anche al debitore.

Per la Corte di Piazza Cavour[11] l’obbligo del rendiconto annuale della gestione della “cessio bonorum“, previsto dall’art 1983 c.c. non implica necessariamente l’applicabilità delle norme dettate in tema di rendimento dei conti dagli artt. 263 e seguenti c.p.c., per il caso di lite giudiziaria, atteso che, specie in presenza di accordi espressi o taciti fra le parti, può essere soddisfatto con modalità più semplici, purché ugualmente idonee a rendere edotto il debitore cedente circa lo svolgimento delle operazioni di liquidazione.

art. 1982 c.c. riparto: i creditori devono ripartire tra di loro le somme ricavate in proporzione dei rispettivi crediti, salve le cause di prelazione. Il residuo spetta al debitore.

Una dottrina che prevale nettamente (Ghidini – Salvi) ritiene ammissibile anche una distribuzione non proporzionale: si ammette, cioè, che, dopo una prima vendita, il prezzo ricavato sia devoluto a favore di uno solo o di alcuni soltanto dei creditori cessionari.

Per quanto riguarda la liquidazione dei beni[12], il liquidatore od i liquidatori, nominati dai creditori cessionari per lo svolgimento di detta attività, assumono la veste di sostituti del mandatario, o di submandatari, e, pertanto, non possono considerarsi come mandatari diretti del debitore cedente. Ne consegue che i crediti dei predetti liquidatori, derivanti dalla esecuzione dell’incarico loro conferito dai creditori cessionari, non sono assistiti dal privilegio speciale sui beni del debitore cedente, previsto dall’art. 2761, II comma, cc (nella specie, fatto valere in sede di fallimento del debitore stesso), atteso che tale privilegio ha ad oggetto esclusivamente i beni appartenenti al mandante.

Recesso e annullamento del contratto

 

art. 1985 c.c.  recesso dal contratto: il debitore può recedere dal contratto offrendo il pagamento del capitale e degli interessi a coloro con i quali ha contratto o che hanno aderito alla cessione. Il recesso ha effetto dal giorno del pagamento.

Il debitore è tenuto al rimborso delle spese di gestione.

art. 1986 c.c.  annullamento e risoluzione del contratto: la cessione può essere annullata se il debitore, avendo dichiarato di cedere tutti i suoi beni, ha dissimulato parte notevole di essi, ovvero se ha occultato passività o ha simulato passività inesistenti.

La cessione può essere risoluta per inadempimento secondo le regole generali.

Mentre[13] colui che ha stipulato la cessione di propri beni ai creditori non può invocare, ai fini della risoluzione per eccessiva onerosità di una vendita compiuta dal liquidatore di quei beni, il proprio stato di bisogno come conseguenza automatica della situazione di difficoltà in cui versa, atteso che la cessione dei beni ai creditori non postula di per sè, l’esistenza di uno stato di bisogno del cedente, potendo determinare il debitore alla cessione anche considerazioni opportunistiche o di calcolo, quale l’intento di ricavare dalla cessione dei beni un risultato più vantaggioso di quello correlato all’assoggettamento dello stesso a plurime azioni esecutive.

Fallimento e cessione dei beni ai creditori

La cessione dei beni ai creditori, definita dall’ art. 1977 c.c. è ben diversa[14] dalla cessione dei beni con cui può realizzarsi il concordato preventivo, in cui il debitore offre all’intera massa dei creditori le cessione di tutti i beni esistenti nel suo patrimonio. L’efficacia di detto contratto non può venire meno, pertanto, solo per il raggiungimento della finalità solutoria, ma anche per l’apposizione di un termine finale di efficacia, anche atteso che il contratto in questione è un contratto di durata, in quanto la sua esecuzione di protrae nel tempo, onde tale durata può essere preventivamente limitata dalle parti (senza che possa affermarsi che il termine finale, se inserito, debba essere inteso come condizione risolutiva dello stesso, avente effetto retroattivo).

Inoltre secondo altro provvedimento[15] è  bene precisare che la cessione dei beni proposta con la istanza di concordato preventivo non si perfeziona già con il deposito di essa o – quantomeno – con il decreto di ammissione assecondato dalla pubblicità prevista dall’art. 166 della legge fallimentare, e neppure con la sentenza di omologazione del concordato, dovendosi invece l’istituto in questione ricondurre, sia pure con le caratteristiche proprie di un procedimento complesso ed articolato, alla figura generale della cessione dei beni ai creditori prevista dall’art. 1977 c.c., la quale si sostanzia in un mandato irrevocabile a gestire e liquidare i beni del debitore, senza alcuna efficacia traslativa della proprietà, e con il quale si conferisce agli organi della procedura la legittimazione a disporre dei beni dell’imprenditore al fine di soddisfare il ceto creditorio.

Con altra sentenza[16] meno recente è stato stabilito che in tema di procedure concorsuali, la cessione dei beni ai creditori, quale particolare modo di attuazione del concordato preventivo, inquadrabile nell’ambito della “cessio bonorum” regolata dagli artt. 1977 e ss cod. civ. – sia che la si configuri come “pro solvendo“, con diritto del debitore all’eventuale sopravanzo, oppure come “pro soluto“, con diritto dei creditori all’eventuale ricavo superiore alla percentuale garantita – non comporta (salvo patto contrario) il trasferimento di proprietà dei beni ceduti, con la conseguente immediata liberazione del debitore, ma il trasferimento in favore degli organi della procedura concordataria della legittimazione a disporre dei beni ceduti (risolvendosi in un mandato irrevocabile, perchè conferito anche nell’interesse dei terzi, a gestire e a liquidare i beni ceduti), e produce la liberazione del debitore, a norma dell’art. 1984 cod. civ., soltanto quando i creditori conseguano sul ricavato della liquidazione le somme loro spettanti.

Per la S.C.[17] il concordato preventivo con cessione dei beni ai creditori deve essere risolto a norma dell’art. 186 l.f.., qualora emerga che esso sia venuto meno alla sua funzione, in quanto, secondo il prudente apprezzamento del giudice del merito, le somme ricavabili dalla liquidazione dei beni ceduti si rivelino insufficienti, in base ad una ragionevole previsione, a soddisfare, anche in minima parte, i creditori chirografari e, integralmente, i creditori privilegiati; la ragione della predetta risoluzione, inoltre, può anche consistere, come nella specie, nell’obiettiva impossibilità sopravvenuta di attuare le condizioni minime previste dalla legge fallimentare, senza che alcun rilievo assuma l’eventuale colpa del debitore che, in caso di consegna dei beni, ha esaurito la sua prestazione, ove non sia prevista la sua liberazione immediata ed invece operi il trasferimento in favore degli organi della procedura della legittimazione a disporre dei beni ceduti ex art. 1977 c.c.

Mentre la cessione dei beni di un terzo nell’interesse del debitore[18], quale mezzo di attuazione e di garanzia del concordato preventivo, ancorché riconducibile in linea di principio allo schema negoziale di cui all’art. 1977  cod. civ., presenta tuttavia caratteristiche peculiari che non consentono di ritenere applicabile, sic et simpliciter , le regole proprie del contratto, andando essa a collocarsi nel quadro di un complesso procedimento che si pare formalmente col decreto di cui all’art. 163 legge fallimentare e si conclude con la fase di esecuzione e di liquidazione.

Infine[19] la cessione dei beni ai creditori pattuita, ai sensi degli artt. 1977 e ss. c.c. non è di ostacolo alla successiva dichiarazione di fallimento del debitore, ove ne ricorrano le condizioni di legge, a nulla rilevando che la cessione medesima abbia avuto parziale esecuzione.


NOTE

[1] Capozzi

[2][2] Corte di Cassazione, Sezione I civile, sentenza 21 febbraio 1995, n. 1909

La cessione dei beni ai creditori, quale particolare modo di attuazione del concordato preventivo, non determina il trasferimento dei beni in favore dei creditori e la conseguente immediata liberazione del debitore, ma comporta soltanto il conferimento di un mandato agli organi della procedura, i quali, in tal modo, sono legittimati a disporre dei beni ceduti.

Ancora sul mandato secondo latra pronuncia, Corte di Cassazione, Sezione III civile, sentenza 16 dicembre 1988, n. 6853, il contratto di cessione dei beni ai sensi dell’art. 1977 cod. civ., il quale importa la perdita, da parte del debitore cedente, del potere di disporre dei beni ceduti (art. 1980 cod. civ.) ed il passaggio dei poteri di amministrazione di tali beni ai cessionari (art. 1978 cod. civ.), si configura, nei rapporti interni tra cedente e cessionari, come un mandato irrevocabile conferito anche nell’interesse dei mandatari e, nei rapporti esterni, come potere di rappresentanza sostanziale e processuale spettante ai cessionari nei confronti del cedente. Ne consegue il diritto dei cessionari di chiedere al giudice dell’esecuzione e di ottenere la consegna del residuo della somma ricavata dalla vendita forzata di uno dei beni ceduti ed assoggettato alla esecuzione da altri creditori, anteriori alla cessione e non partecipanti alla medesima (art. 1980, secondo comma, citato), al fine di destinarlo alla ripartizione in soddisfacimento delle loro ragioni (salvo l’obbligo del rendiconto ex art. 1983 cod.civ.). Infine per una sentenza datata, Corte di Cassazione, Sezione I civile, sentenza 22 gennaio 1970, n. 140, nel concordato preventivo, la cessione dei beni ai creditori di cui all’art. 1977 c.c., se omologata dal tribunale, non comporta alcun trasferimento ai creditori dei diritti reali di pertinenza del debitore, ma solo un mandato irrevocabile (con rappresentanza) a gestire e liquidare i beni ceduti, che sono quelli esistenti nel patrimonio del debitore alla data della proposta di concordato. Ne consegue, sul piano sostanziale, che i creditori cessionari hanno l’esercizio tanto dell’azione di recupero della disponibilità dei beni ceduti, quanto dell’azione derivante dal mandato ad alienare e, sul piano processuale, che il liquidatore e legittimato all’esercizio dell’una o dell’altra azione.

[3] Corte di Cassazione, Sezione III civile, sentenza 24 novembre 2003, n. 17850

[4] Corte di Cassazione, sezione III civile, sentenza 25 giugno 1981, n. 4135

[5] Corte di Cassazione, Sezione I civile, sentenza 5 gennaio 1972, n. 2

[6] Tribunale Milano, civile, sentenza 28 ottobre 2011

[7] Corte di Cassazione, Sezione Tributaria civile, sentenza 24 ottobre 2005, n. 20580. Ne consegue che, in tema di imposta sull’incremento di valore degli immobili (INVIM), il creditore cessionario che stipuli, in tale qualità, un atto di vendita di beni immobili, proprio perché partecipa all’atto anche nel suo interesse, viene ad assumere – a differenza del soggetto che intervenga unicamente quale rappresentante volontario del venditore – la veste non solo formale, ma anche sostanziale di parte dell’atto di trasferimento, rimanendo, come tale, solidalmente responsabile per il pagamento dell’imposta ai sensi dell’art. 26 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643.

[8] Corte di Cassazione, Sezione III civile, sentenza 23 giugno 1982, n. 3827

[9] Corte di Cassazione, Sezione III civile, sentenza 23 aprile 1982, n. 2534

[10] Corte di Cassazione, Sezione III civile, sentenza 2 giugno 1990, n. 5177

[11] Corte di Cassazione, Sezione I civile, sentenza 14 febbraio 1980, n. 1062

[12] Corte di Cassazione, Sezione I civile, sentenza 21 novembre 1978, n. 5403

[13] Corte di Cassazione, Sezione II civile, sentenza 29 gennaio 1990, n. 531

[14] Corte di Cassazione, Sezione III civile, sentenza 24 novembre 2003, n. 17850

[15] Corte di Cassazione, Sezione I civile, sentenza 1 giugno 1999, n. 5306

[16] Corte di Cassazione, Sezione I civile, sentenza 21 gennaio 1993, n. 709

[17] Corte di Cassazione, Sezione I civile, sentenza 20 giugno 2011, n. 13446

[18] Corte di Cassazione, Sezione I civile, sentenza 16 aprile 1996, n. 3588

[19] Corte di Cassazione, Sezione I civile, sentenza 20 febbraio 1978, n. 801

Avv. Renato D’Isa

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