La massima
1. In tema di esame testimoniale, il divieto di formulare domande suggestive opera per tutti i soggetti che intervengono nell’esame, essendo applicabile ai sensi dell’art. 499 c.p.p., comma 2, a tutti il divieto di porre domande che possono nuocere alla sincerità della risposta e dovendo anche dal giudice o dal suo ausiliare essere assicurata in ogni caso la genuinità delle risposte ai sensi del medesimo articolo, comma 6.
2. La violazione delle regole poste a presidio dell’esame testimoniale di cui agli artt. 498 – 499 c.p.p. rende la prova acquisita non genuina e poco attendibile e, come tale, censurabile in sede di valutazione della prova, trattandosi di prove assunte con modalità diverse da quelle prescritte ed essendo la sanzione di inutilizzabilità di cui all’art. 191 c.p.p. riferita alla prova vietata nel suo complesso.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III PENALE
SENTENZA 24 febbraio 2012, n.7373
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con la gravata sentenza la Corte di Appello di Venezia, in accoglimento delle impugnazioni del P.M. e delle parti civili, in riforma di quella del Tribunale di Vicenza in data 7.3.2006, ha affermato la colpevolezza di B.P. in ordine al reato di cui all’art. 81 cpv. c.p. e art. 609 quater c.p., u.c. condannandolo alla pena precisata in epigrafe, oltre al risarcimento dei danni in favore delle parti civili.
Il B. era stato tratto a giudizio per rispondere del reato continuato di cui all’art. 609 bis c.p., commi 1 e 2, art. 609 quaterc.p., commi 1 e 4, art. 609 quinquiesc.p., art. 61 c.p., n. 11, a lui ascritto per avere, abusando delle condizioni di inferiorità fisica e psichica in cui si trovava la propria figlia B. V., in ragione della sua età e del rapporto di parentela, costretto la stessa a subire e compiere atti sessuali consistiti, in particolare e tra l’altro, in palpeggiamenti reciproci, nonchè per avere compiuto in presenza della predetta figlia ed al fine di farla assistere atti sessuali consistiti nel masturbarsi, il tutto quando la stessa non aveva compiuto gli anni dieci.
Il Tribunale di Vicenza aveva assolto il B. da tale imputazione con la formula perchè il fatto non sussiste.
Nel riportare le argomentazioni della pronuncia di primo grado la sentenza impugnata da atto che la vicenda processuale si inserisce in un quadro complesso e problematico dei rapporti familiari e personali intercorrenti tra l’imputato e la moglie, D.M.A., caratterizzati da foltissima conflittualità anche a seguito dell’adesione della D.M. al credo dei testimoni di Geova.
A partire da pochi mesi dopo la nascita della figlia, la D.M., aveva iniziato a nutrire sospetti che il marito provasse un’attrazione morbosa nei confronti della bambina; sospetti sfociati negli anni successivi in una denuncia ai C.C. che fu oggetto di archiviazione su richiesta del P.M.. In sintesi, i fatti di cui all’imputazione si riferiscono al periodo successivo alla separazione dei coniugi e sarebbero stati posti in essere dal padre nei periodi in cui la bambina gli era affidata. Secondo la D.M. la bambina, quando tornava a casa dopo aver passato la notte dal padre, era sempre molto agitata e di notte aveva incubi. La stessa inoltre manifestava vari segni di erotizzazione. Nel 1997 la madre aveva chiesto ad una psicologa, dott.sa C., di seguire la figlia per consentirle di superare le problematicità derivanti dalla separazione, particolarmente conflittuale, dei genitori. Secondo quanto dichiarato dalla predetta psicologa l’atteggiamento della bambina nei confronti del padre, caratterizzato da attaccamento morboso, era mutato a partire dal (OMISSIS). La piccola, avvicinandosi le vacanze estive del (OMISSIS) le aveva detto di non volere andare più dal padre. In tali circostanze la bambina aveva narrato per la prima volta che il padre le faceva fare un gioco che consisteva nel farle mettere la testa tra le sue gambe e toccarla sul sedere. In una successiva occasione la bambina aveva confidato che il papà le legava mani e piedi mentre era sul letto e che egli dormiva nudo vicino a lei e ‘un certo punto le faceva la pipì addosso’.
In altra occasione la bambina aveva riferito che il padre ‘di mattina la svegliava e le si metteva davanti, le diceva di toccarsi la sua vagina, mentre lui si toccava il suo pene. ‘E’ da precisare che nel corso delle indagini preliminari, a seguito della denunzia della D. M., veniva espletato un incidente probatorio per l’audizione della minore, cui presenziava la dott.sa C., svoltosi in due fasi, nel corso del quale la minore aveva sostanzialmente confermato quanto già dichiarato a proposito del fiuto che il padre la legava mentre era a letto e che durante la notte si accorgeva che il padre aveva fatto la pipì sotto le coperte; aveva inoltre riferito di toccamenti della vagina al di sopra dei vestiti.
La sentenza di primo grado aveva svalutato le dichiarazioni della dott.sa C. in considerazione del giudizio negativo sulla metodologia e Unica da lei seguita espresso dalla stessa consulente del P.M., nonchè ritenuto inattendibili le risultanze dell’incidente probatorio in considerazione delle suggestioni che la bambina aveva in precedenza subito ad opera della madre e delle improprie modalità di assunzione della prova.
La Corte territoriale ha ribaltato tale giudizio, osservando che il giudice di primo grado era incorso in errore in ordine all’opinione espressa sulla metodologia della dott.sa C., poichè si era confuso il giudizio negativo del consulente della difesa con quello diverso del consulente del P.M.; quest’ultima inoltre aveva sostanzialmente affermato la capacità di testimoniare della minore.
Con riferimento all’incidente probatorio si è osservato nella sentenza impugnata che il divieto di domande suggestive ex art. 499 c.p.p., comma 3, è imposto solo alle parti. E’ stato, poi, riportato in larga parte la stessa vernalizzazione dell’incidente probatorio per inferirne un giudizio di attendibilità di quanto dichiarato dalla persona offesa, il cui narrato è stato inquadrato nella sola fattispecie di cui all’art. 609 quater c.p..
Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore dell’imputato, che la denuncia per violazione di legge e vizi di motivazione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo mezzo di annullamento il ricorrente denuncia la violazione ed errata applicazione dell’art. 499 c.p.p., commi 2 e 3, nonchè vizi di motivazione della sentenza ed il travisamento delle emergenze processuali.
Si osserva che la sentenza ha omesso di valutare le critiche formulate dalla consulente della difesa a proposito delle modalità con le quali si è proceduto all’esame della minore, scientificamente non corrette, limitandosi a sostenere che il divieto di formulare domande suggestive ex art. 499 c.p.p., comma 3, non opera per il giudice e per l’ausiliario di questi.
Si deduce, quindi, sul punto che le domande formulate nei confronti della minore nel corso dell’incidente probatorio sono connotate da un alto ‘tasso di implicatività, per la presupposizione di precedenti rivelazioni di cui l’esaminante sarebbe stata a conoscenza, per la presenza della terapeuta a cui quelle dichiarazioni sarebbero state già rese in regime di compliance e per l’inclusione, già nella formulazione delle domande stesse, dell’unica risposta possibile’.
Tali domande si configurano come nocive e, perciò, vietate dall’art. 499 c.p.p., comma 2, e le relative risposte sono del tutto inutilizzabili ex art. 191 c.p.p..
Si denuncia contradditorietà della motivazione per avere la sentenza affermato l’importanza di alcune garanzie a presidio della genuinità delle dichiarazioni del minore, per poi disattendere tali principi nella valutazione delle dichiarazioni della persona offesa. Vengono riportati stralci dell’esame della minore per evidenziare il carattere non solo suggestivo di alcune domande, ma addirittura conclusivo dell’esistenza dell’abuso; l’influenza negativa sulla genuinità della prova esercitata dalla presenza della dott.sa C., cui la bambina spesso si rivolgeva prima di dare le risposte.
Elementi negativi della attendibilità delle risultanze dell’incidente probatorio apoditticamente e irragionevolmente svalutati dalla sentenza.
Si deduce che il narrato della minore appare frutto di una ‘contaminazione fantasmatica, di una evidente e personale affabulazione costruita nel tempo attraverso il clima di certezza da parte della madre sui comportamenti seduti ivi del padre verso di lei fin dai primissimi mesi di vita, di pressioni a fornire una risposta compiacente alla terapeuta, di sollecitazioni a ricordare le cose brutte fatte dal padre’. A tal proposito si evidenziano gli elementi irrealistici del narrato della bambina ed il travisamento delle sue dichiarazioni da parte della Corte territoriale, tra l’altro, per avere interpretato l’orina di cui parla la minore come sperma.
Si denuncia, infine, la sentenza per non aver tenuto conto delle osservazioni critiche formulate dal Tribunale di Vicenza su tali punti.
Con il secondo mezzo di annullamento si denunciano vizi di motivazione e violazione dell’art. 533, comma 1, relativamente alla applicazione della regola secondo la quale l’accertamento della colpevolezza deve escludere ogni ragionevole dubbio.
In sintesi, si deduce che a tutta la vicenda poteva essere data una diversa chiave di lettura, che trova la sua giustificazione nelle modalità suggestive con le quali sono state formulate. Le domande nei confronti della minore e nelle deposizioni di numerosi testi, che erano intervenuti a seguito di pregresse denunce della D.M. ed avevano escluso la presenza nella minore di elementi sintomatici di un eventuale abuso; deposizioni di cui la Corte di appello ha omesso qualsiasi analisi.
Con l’ultimo mezzo di annullamento si denunciano vizi di motivazione della sentenza e violazione dell’art. 609 quater c.p., comma 4.
Sì deduce che l’attenuante del fatto di minore gravità è compatibile con l’aggravante dell’età infradecennale della persona offesa.
La Corte territoriale ha omesso di valutare la possibilità di inquadrare il fatto nell’ipotesi di minore gravità, configurabile in considerazione della condotta che sarebbe stata posta in essere dall’imputato, assolutamente non invasiva e non connotata da atteggiamenti di prevaricazione nei confronti della vittima.
Con memoria depositata il 20.12.2011 il difensore delle parti civili ha contestato le argomentazioni di cui al ricorso, ribadendo sostanzialmente che le linee guida della Carta di Noto non hanno valore normativo e che il divieto di domande suggestive è circoscritto a quelle formulate dalla parte, concludendo per l’inammissibilità o il rigetto del ricorso.
I ricorso è fondato.
Rileva il Collegio che a proposito delle modalità con le quali si deve procedere all’esame dei testimoni in genere e dei minori in particolare si è di recente determinato un contrasto nell’indirizzo interpretativo di questa Corte.
Secondo l’interpretazione fino ad ora consolidata, che trova riscontro nel dato testuale dell’art. 499 c.p.p., comma 3, ‘il divieto di porre al testimone domande suggestive non opera nè per i giudice nè per l’ausiliario di cui il giudice si avvalga nella conduzione dell’esame testimoniale del minorenne’.
(sez. 3, 28.10.2009 n. 9157 del 2010, C, RV 246205; sez. 3, 20.5.2008 n. 27068, B, RV 240261; sez. 3, 12.12.2007 n. 4721 del 2008, Muselli, RV 238794).
Una più recente sentenza di questa Corte ha, invece, affermato che ‘Il giudice che procede all’esame diretto del testimone minorenne non può formulare domande suggestive.’ (sez. 3, 11.5.2011 n. 25712, M, RV. 250615).
Orbene, se si procede all’esame dell’art. 499 c.p.p. nella sua interezza si perviene necessariamente alla conclusione che il divieto di porre domande suggestive, nel significato che il termine assume nel linguaggio giudiziario di domande che tendono a suggerire la risposta al teste, opera per tutti i soggetti che partecipano al processo.
L’art. 499 c.p.p., come è esplicitamente indicato nella sua intestazione, detta le ‘Regole per l’esame del testimone’, indica cioè i criteri cui il giudice deve attenersi dell’ammettere o vietare le domande delle parti.
Il giudice, pertanto, deve vietare in modo assoluto le domande che possono nuocere alla sincerità delle risposte (comma 2); vietare alla parte che addotto il teste o che ha un interesse comune con lo stesso di formulare (e domande in modo da suggerirgli le risposte (comma 3); assicurare durante l’esame del teste la pertinenza delle domande, la genuinità delle risposte, la lealtà dell’esame e la correttezza delle contestazioni (comma 6).
E’ evidente che il divieto di formulare domande suggestive è espressamente previsto con riferimento alla parte che ha chiesto la citazione del teste, in quanto tale parte è ritenuta dal legislatore interessata a suggerire al teste risposte utili per la sua difesa.
E’ altresì evidente, però, che detto divieto deve applicarsi comunque a tutti i soggetti che intervengono nell’esame testimoniale, operando ai sensi dell’art. 499 c.p.p., comma 2, per tutti il divieto di porre domande che possono nuocere alla sincerità della risposta e dovendo anche dal giudice o dal suo ausiliare essere assicurata in ogni caso la genuinità delle risposte ai sensi del medesimo articolo, comma 6.
A maggior ragione tali divieti e precauzioni devono essere osservati allorchè il giudice procede all’esame diretto di un testimone che sia minore, ai sensi dell’art. 498 c.p.p., comma 4, in sede dibattimentale, ovvero in sede di incidente probatorio ai sensi dell’art. 398 c.p.p., comma 5 bis, ove devono osservarsi nell’esame del teste le forme stabilite per il dibattimento per il richiamo contenuto nell’art. 401 c.p.p., comma 5.
E’ stato, infatti, opportunamente sottolineato dalla citata pronuncia di questa Corte (sez. 3, 11.5.2011 n. 25712) che nell’esame dei minori devono osservarsi particolari cautele, soprattutto se si tratta di soggetti più piccoli, poichè se da un lato si può affermare che i bambini non tendono a mentire consapevolmente, dall’altro deve tenersi conto che gli stessi presentano modalità relazionali orientate in senso imitativo e adesivo e risultano, perciò, influenzatoli dalle suggestioni che possono essere insite nelle domande degli adulti e tendono a formulare risposte che ne assecondino le richieste.
Ciò precisato, la Corte ritiene di non doversi discostare dall’indirizzo interpretativo assolutamente consolidato, secondo il quale la violazione delle regole da osservarsi nell’esame dei testimoni non è sanzionata dal codice di rito, riferendosi il divieto di utilizzazione della prova ex art. 191 c.p.p. alla prova vietata dalla legge nel suo complesso e non alla regolarità dell’assunzione di quelle consentite, e non determinando la violazione delle regole dettate in materia di assunzione della prova la sua nullità, stante il principio di tassatività. (cfr. sez. 3, 25.6.2008 n. 35910, Ouertatani, RV 241090; sez. 1, 14.7.2005 n. 39996, Grancini e altri, RV 232941; sez. 2, 8.7.2002 n. 35445, Natakrtto, RV 227360).
E’ evidente, però, che l’inosservanza delle regole stabilite dal codice di rito per assicurare la sincerità e genuinità delle risposte del teste e, trattandosi di minori, anche delle linee guida dettate dalla Carta di Noto, rende la prova non genuina e poco attendibile.
In tal caso, perciò, il giudice di merito, di fronte a puntuali contestazioni riguardanti la violazione delle regole dettate dal codice di rito per assicurare la sincerità e genuinità delle risposte e delle raccomandazioni degli esperti relative all’esame dei minori, nel valutare la prova già assunta da altri, non può trincerarsi dietro la generica affermazione della validità del mezzo istruttorio, ma deve tener particolarmente conto degli elementi che possono averne inficiato la genuinità da qualsiasi causa tale risultato sia stato determinato.
Altro consolidato principio di diritto da osservarsi nel caso in esame, ai fini della valutazione della tenuta logica della motivazione della sentenza impugnata, è quello dettato per l’ipotesi in cui il giudice di appello riformi totalmente la pronuncia di primo grado.
Il giudice del gravame, in tale ipotesi, ha l’obbligo, non solo di precisare dettagliatamente le ragioni che giustificano la propria decisione, ma altresì di confutare specificamente gli argomenti posti dal giudice di primo grado a fondamento della diversa soluzione adottata, dando conto delle ragioni della incompletezza ed incocrenza della motivazione che supporta detta decisione, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato (cfr. sez. un. 200533748, Mannino, RV 231679; conf. sez. un. 200345276, Andreotti ed altri, RV 226093). Orbene, la sentenza impugnata non si è uniformata ai citati principi di diritto. Tutti i rilievi contenuti nella sentenza di primo grado in ordine alla irregolarità delle modalità di conduzione dell’esame della bambina, per la presenza della psicoterapeuta che la aveva avuta in cura, le modalità assillanti e suggestive con le quali sono state poste le domande ‘non di rado in forma chiusa e con implicazioni della risposta’, sono superate da quella di appello mediante il rilievo afferente alla validità del mezzo istruttorio e l’affermazione della sua complessiva attendibilità, senza tener conto degli elementi di scarsa verosimiglianza che emergono dalle risposte della bambina riportate nella stessa sentenza.
Sicchè la motivazione della sentenza non soddisfa il requisito della specifica confutazione delle argomentazioni poste dal giudice di primo grado a fondamento della diversa decisione, nè soddisfa l’obbligo di motivazione relativo alle ragioni per le quali le dichiarazioni della bambina sono ritenute attendibili, malgrado le modalità suggestive con le quali è stata esaminata, puntualmente rilevate nella sentenza di primo grado, e l’irregolarità in genere della conduzione del mezzo istruttorio.
In particolare non viene spiegato perchè il narrato della bambina, allorchè ha affermato che il papa, quasi sempre, quando lei dormiva, la legava sul letto matrimoniale con cordicine, dalle quali ella riusciva facilmente a slegarsi quando si svegliava la mattina e andava a fare colazione, è riconducibile a fatti realmente accaduti e con quali modalità ovvero, se non credibile, le ragioni per le quali il restante narrato è stato ritenuto credibile.
Non viene spiegato perchè si esclude che la bambina possa avere subito l’influenza della madre, pur riconoscendosi che l’uso di termini appropriati come ‘la vagina’ e ‘pene’ le sono stati insegnati da costei.
La motivazione, infine, contiene un salto logico tra la descrizione dei ratti da parte della minore riportata nella stessa sentenza e la ricostruzione degli abusi sessuali, non essendo esplicitate le ragioni per le quali i giudici di merito hanno desunto dai pochi e generici elementi di fatto narrati dalla bambina la articolata descrizione di una serie di abusi sessuali commessi dal padre.
La sentenza impugnata deve essere, pertanto, annullata con rinvio per un nuovo esame che tenga conto dei principi di diritto e rilievi esposti.
P.Q.M.
La Corte annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Venezia, altra sezione.
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