Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 17 luglio 2017, n. 3467

Le sentenze che pronunciano sulla sola giurisdizione non acquisiscono efficacia di giudicato esterno (o panprocessuale), riconosciuta ex art. 2909 c.c. alle sentenze che, al contrario, pronunciano anche sul merito

Consiglio di Stato

sezione IV

sentenza 17 luglio 2017, n. 3467

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Quarta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8991 del 2015, proposto dalla società Gi. s.r.l,. in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Lu. Di. Fe., Si. Fe., Da. Tu., con domicilio eletto presso lo studio Ig. Tu. in Roma, viale (…);

contro

Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Gi. Be., con domicilio eletto presso lo studio Ca. Mi. in Roma, corso (…);

Azienda Ausl di Reggio Emilia, regione Emilia Romagna, in persona dei rispettivi legali rappresentanti in carica rappresentati e difesi dall’avvocato Ma. Ro. Ru. Va., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, piazza (…);

Gestione liquidatoria dell’ex Usl n. 11 di (omissis), in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Ma. Ro. Ru. Va., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, piazza (…);

per la revocazione della sentenza del Consiglio di Stato – Sezione IV n. 4193/2015, resa tra le parti, concernente tutela restitutoria ovvero risarcitoria discendente dall’occupazione/detenzione dell’immobile.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del comune di (omissis) dell’Azienda Ausl di Reggio Emilia della Gestione liquidatoria dell’ex Usl n. 11 di (omissis) e della Regione Emilia Romagna;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 6 luglio 2017 il consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti gli avvocati Fe. Si., Tu., Be. e Ru. Va.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Con la decisione impugnata per revocazione n. 4193 dell’8 settembre 2015 questa Quarta Sezione del Consiglio di Stato ha accolto in parte nei sensi di cui in motivazione l’appello n. 10606 del 2014 proposto dal Comune di (omissis), volto ad ottenere la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia Romagna, sezione staccata di Parma, n. 402 del 2014.

2. La complessa vicenda sottesa al giudizio sfociato nella revocanda sentenza può essere così ricostruita:

a) la società Gi. S.r.l., con sede in (omissis), era proprietaria di un immobile ubicato in (omissis) alla via (omissis), costituito da fabbricato, area cortilizia e suolo circostante, di complessiva estensione di mq. 9.902, occupato in forza della deliberazione di Consiglio comunale di (omissis) n. 174 del 20 dicembre 1993 (di approvazione del progetto di ampliamento e ristrutturazione dell’Ospedale Sa. Se. di (omissis), con declaratoria di pubblica utilità e di indifferibilità ed urgenza e autorizzazione all’occupazione temporanea);

b) a seguito di impugnativa giurisdizionale e di ordinanza di sospensione n. 134 del 26 aprile 1994, limitata al solo fabbricato, il comune aveva riconsegnato alla società il fabbricato (distinto in catasto al mappale n. (omissis)) che con deliberazione consiliare n. 213 del 28 novembre 1995 era poi stralciato dal piano particellare di esproprio; con la sentenza n. 293 del 14 maggio 1999 il Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia Romagna, sezione staccata di Parma in accoglimento del ricorso, annullava la deliberazione consiliare n. 174/1993, ritenuta illegittima perché carente dell’indicazione di inizio e ultimazione dei lavori e delle espropriazioni (sentenza confermata con la decisione del Consiglio di Stato n. 1498 del 20 marzo 2000, che ha respinto l’appello proposto dal Comune di (omissis) e dall’Azienda U.S.L. di Reggio Emilia);

c) medio tempore, era stato emanato il decreto di esproprio in data 26 novembre 1997 e con decreto del Presidente della Giunta Regionale n. 353 del 28 giugno 1996 l’Ospedale Sa. Se. era trasferito al patrimonio indisponibile del comune di (omissis). La società Gi. S.r.l. aveva proposto quindi un ulteriore ricorso giurisdizionale per il risarcimento dei danni subiti a seguito dell’illegittima occupazione e della trasformazione del suolo; esso però venne dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione amministrativa con sentenza del T.a.r. per l’Emilia Romagna, Sezione staccata di Parma, n. 662 del 10 aprile 2004, in relazione alla intervenuta declaratoria d’incostituzionalità dell’art. 34 comma 1 del d.Lgs. n. 80/1998 (e con decisione del Consiglio di Stato n. 5742 del 2 ottobre 2006 l’appello avverso la detta sentenza, proposto dalla Gestione liquidatoria dell’U.S.L. 11 di (omissis), venne dichiarato inammissibile);

d) la società Gi. s.r.l. aveva riproposto la domanda risarcitoria dinanzi al Tribunale di Reggio Emilia che con sentenza n. 1757 del 29 febbraio 2008 aveva declinato, a sua volta, la propria giurisdizione e con ricorso iscritto al n. 166/2008 R.G. la società Gi. S.r.l. aveva nuovamente adito il T.a.r. di Parma riproponendo la domanda risarcitoria (in forma specifica e/o per equivalente);

e) con la sentenza n. 86 del 30 marzo 2011, il predetto T.a.r. di Parma, ha dichiarato l’inammissibilità del detto ricorso, sul rilievo della preclusione derivante dal giudicato negativo sulla giurisdizione, di cui alla sentenza n. 662/2004, e della correlata proponibilità, a fronte dell’altra sentenza civile, essa pure trascorsa in giudicato, egualmente declinatoria della giurisdizione, di ricorso per Cassazione ex art. 362 comma 2 n. 1 c.p.c. per la risoluzione del conflitto negativo reale di giurisdizione. Con la sentenza n. 6529 del 26 novembre 2013 la Sez. IV del Consiglio di Stato, in accoglimento dell’appello proposto dalla società Gi. s.r.l., ha annullato la sentenza da ultimo citata, con rinvio al primo giudice ai sensi dell’art. 105 c.p.a.;

f) in particolare, con tale sentenza n. 6529 del 26 novembre 2013 il Consiglio di Stato ha affermato:

– da una parte, che le sentenze che pronunciano sulla sola giurisdizione non acquisiscono efficacia di giudicato esterno (o panprocessuale), riconosciuta ex art. 2909 c.c. alle sentenze che, al contrario, pronunciano anche sul merito, onde i loro effetti sono circoscritti all’ambito endoprocessuale, con la conseguenza che, nel caso di specie, il giudicato formatosi sulla sentenza del T.a.r. n. 662 del 10 aprile 2004 non può spiegare ex se effetto preclusivo con riferimento al ricorso successivamente proposto;

-dall’altra che, vertendo nel caso di specie il giudizio risarcitorio su attività materiale sicuramente riferibile all’esplicazione di una potestà pubblica connessa al procedimento espropriativo avviato e concluso con decreto di esproprio, ancorché quest’ultimo sia caducato a seguito della declaratoria d’illegittimità della dichiarazione di pubblica utilità per omessa fissazione dei termini di inizio e ultimazione dei lavori e delle espropriazioni, sussiste la giurisdizione amministrativa.

La società Gi. s.r.l. ha, pertanto, riassunto la causa con atto notificato in data 30 gennaio 2014 a tutte le parti costituite, riproponendo in via principale la domanda restitutoria del bene con contestuale risarcimento del danno da mancato godimento del bene, quantificato in € 1.648.110,00 oltre interessi e rivalutazione, ed in alternativa, per l’ipotesi in cui il bene fosse ritenuto non retrocedibile, ha chiesto la condanna di tutti gli enti intimati, in solido fra loro, al risarcimento del danno da perdita del bene, commisurato al valore venale stimato in € 1.496.600,00 alla data di inizio occupazione da attualizzarsi alla data del soddisfo, oltre al risarcimento del danno da mancato godimento del bene, quantificato in € 1.648.110,00 oltre interessi e rivalutazione; in ogni caso ha chiesto il risarcimento dell’ulteriore danno patrimoniale per deprezzamento del bene residuo, spese sostenute, perdita di chance nonché del danno non patrimoniale, il tutto quantificato in € 3.492.235,49, oltre interessi compensativi.

Il comune di (omissis) – soggetto espropriante su sollecitazione della USL n. 11 di (omissis) – al cui patrimonio indisponibile era stato acquisito l’Ospedale S. Sebastiano prima di essere trasferito alla AUSL di Reggio Emilia, aveva sostenuto di aver avuto nella vicenda un ruolo marginale, essendo stato il soggetto espropriante, a suo dire, per conto della USL n. 11 di (omissis) e non avendo tratto alcun beneficio dalla realizzazione dell’opera, transitata nel patrimonio della USL di Reggio Emilia e aveva pertanto eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva; ha altresì eccepito la prescrizione di qualunque pretesa risarcitoria. La Gestione liquidatoria della USL n. 11 di (omissis), costituitasi congiuntamente alla AUSL di Reggio Emilia al cui patrimonio indisponibile era stato trasferito l’Ospedale S. Sebastiano con il decreto di esproprio poi caducato e che utilizzava la struttura, nel confermare l’impossibilità di retrocessione del suolo su cui insiste l’Ospedale, aveva negato ogni responsabilità nella causazione dell’ipotetico danno, che sarebbe dipeso soltanto dal Comune di (omissis).

Il Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia Romagna, sezione staccata di Parma, con la sentenza n. 402 del 2014 aveva ritenuto fondate le censure proposte, sottolineando l’illegittimità dell’operato dell’espropriante comune di (omissis).

2.1. Quest’ultimo aveva proposto appello contestando l’esistenza stessa di un fatto illecito dell’amministrazione, la riconducibilità alla responsabilità del comune e la spettanza del risarcimento dovuto, come indicato dal primo Giudice; nel detto giudizio di appello, si era costituita la Gi. s.r.l., chiedendo di dichiarare inammissibile o, in via gradata, rigettare il ricorso e proponendo ricorso incidentale e si erano altresì costituite la AUSL di Reggio Emilia, la Gestione liquidatoria dell’ex ASL n. 11 di (omissis) e la regione Emilia Romagna al fine di veder confermata la statuizione favorevole del primo giudice nei loro confronti.

2.2. Con la sentenza impugnata per revocazione n. 4193 dell’8 settembre 2015 la Sezione ha:

a) richiamato il contenuto delle domande proposte al T.a.r con il ricorso iscritto al nrg. 166/2008 sfociato nella sentenza n. 402 del 2014 come riassunte nelle conclusioni, ed espresso il convincimento che da esse si evinceva che il tenore della domanda proposta non era di carattere meramente risarcitorio, ma aveva un principale obiettivo restitutorio, tanto che la sentenza di primo grado si era espressamente dovuta pronunciare su un provvedimento successivo emesso nel corso della procedura (il decreto di esproprio del 26 novembre 1997) che aveva dichiarato espressamente caducato;

b) ritenuto che di conseguenza la vicenda si collocasse pienamente nell’ambito della disciplina di cui all’art. 119, comma 1, lett., f) del codice del processo amministrativo;

c) rilevato che il T.a.r, nell’escludere la responsabilità in solido di altri Enti intimati (limitando il riconoscimento di responsabilità in capo al solo comune di (omissis) appellante principale) aveva leso la posizione della originaria ricorrente di primo grado (ed odierna ricorrente in revocazione) società Gi. s.r.l.;

d) rilevato che pertanto quest’ultima avrebbe dovuto impugnare la sentenza in via principale e che, invece, la società Gi. s.r.l. aveva notificato la sentenza in data 26 novembre 2014 (determinando la proposizione dell’appello principale da parte del comune di (omissis), in data 22 dicembre 2014) e che la predetta soltanto in data 9 gennaio 2015 aveva proposto appello incidentale (spedito per la notifica in data 9 gennaio 2015 e depositato in data 12 gennaio 2015);

e) che a fronte della sicura conoscenza della sentenza in capo alla società Gi. s.r.l. in data 26 novembre 2014 era tardiva la proposizione dell’appello incidentale in data 9 gennaio 2015 in quanto non osservante della regola della dimidiazione dei termini, e che pertanto era inammissibile la domanda di condanna in solido anche nei confronti degli altri soggetti pubblici, contenuta nell’appello incidentale, poiché tardivamente proposta.

2.2.1. Nella seconda parte della motivazione, la sentenza impugnata per revocazione n. 4193 dell’8 settembre 2015 ha scrutinato l’appello principale proposto dal comune di (omissis) e lo ha accolto parzialmente, riformando la sentenza nella parte in cui era stato addebitato alla predetta amministrazione comunale di (omissis) appellante principale allo stesso un obbligo restitutorio e una debenza risarcitoria.

3. Avverso la detta decisione n. 4193 dell’8 settembre 2015 la società Gi. s.r.l. (appellante incidentale ed originaria ricorrente parzialmente vittoriosa in primo grado) ha proposto la impugnazione revocatoria che viene all’esame del Collegio, con la quale ha sostenuto che la richiamata pronuncia è affetta da plurimi errori di fatto incidenti su punti decisivi della controversia e contraria a statuizioni regiudicate.

3.1. Dopo avere riepilogato il complesso andamento del contenzioso, la società odierna ricorrente in revocazione ha dedotto che:

a) la impugnata sentenza, nella parte in cui aveva giudicato inammissibile perché tardivo il ricorso incidentale proposto dalla medesima la società Gi. s.r.l., è contraria alle statuizioni contenute nella sentenza del medesimo Consiglio di Stato n. 5629/2013 (ricorso in appello n. 4102/2011) laddove era rimasto chiarito che trattavasi di mero giudizio risarcitorio e non era applicabile la dimidiazione dei termini processuali;

b) il vizio era censurabile ex art. 106 del c.p.a. ed ex art. 395 n. 5 c.p.c. e doveva essere rimeditato l’orientamento di recente patrocinato dal Consiglio di Stato in tema di non deducibilità del contrasto tra sentenze, laddove si tratti di sentenze rese nello stesso processo (c.d. “giudicato interno”): infatti detta tesi mutuava principi del rito civile, trascurando che le sentenze rese dal Giudice amministrativo non erano censurabili con il ricorso per cassazione per nullità: in via subordinata, si sarebbe dovuta sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 106 del c.p.a., nella parte in cui non si prevede che sia causa di revocazione anche la violazione del c.d. “giudicato interno”;

c) per altro verso, la sentenza è viziata in quanto per mero errore di fatto non aveva valutato le statuizioni contenute sul punto nella richiamata sentenza del medesimo Consiglio di Stato n. 5629/2013;

d) ulteriore errore di fatto riposa nell’avere obliato la qualificazione giuridica della domanda che era stata resa dal giudice di prime cure con la sentenza n. 402 del 2014: detta qualificazione del petitum era rimasta inimpugnata, e la Sezione, con la sentenza impugnata, se ne era discostata, e per di più ex officio;

e) nessuna delle parti aveva sollevato l’eccezione di tardività dell’appello incidentale, e, quindi, la Sezione lo aveva rilevato d’ufficio, e non aveva dato alcun avviso ex art. 73 comma III del c.p.a.;

f) per errore di fatto incidente sul contenuto della documentazione in atti è stato dichiarato che l’obbligo risarcitorio del comune era prescritto, mentre invece erano stati proposti numerosi atti aventi valenza interruttiva.

3.2. Nella seconda parte del gravame (pagg. 25 e segg. dell’atto di impugnazione) la società ricorrente in revocazione -in vista della fase rescissoria- ha richiamato tutte le deduzioni contenute nel ricorso introduttivo, nel ricorso in riassunzione e nell’appello incidentale riportandosi alle conclusioni ivi rassegnate.

4. In data 21.12 2015 si sono costituite, depositando atto di stile, la AUSL di Reggio Emilia, la Gestione liquidatoria dell’ex ASL n. 11 di (omissis) e la Regione Emilia Romagna.

5. In data 24.12.2015 il Comune di (omissis) ha depositato una articolata memoria chiedendo che il ricorso per revocazione venisse dichiarato inammissibile o comunque respinto, in quanto infondato, deducendo che:

a) il vizio revocatorio del contrasto di giudicati non era deducibile se non tra provvedimenti giurisdizionali pronunciati in processi separatati, mentre nel caso di specie veniva dedotto un supposto contrasto tra sentenze pronunciate nello stesso processo e comunque la sentenza n. 5269/2013 aveva pronunciato in rito e pertanto non era idonea a formare giudicato;

b) la revocanda decisione n. 4193 dell’8 settembre 2015 aveva espressamente richiamato la sentenza n. 5269/2013 ed aveva fatto presente che la stessa non integrava giudicato; era quindi evidente che la tematica era stata espressamente presa in esame e ciò contribuiva a chiarire che non si era al cospetto di alcun errore di fatto e che in ogni caso si trattava di “fatto controverso. Pertanto i primi due motivi revocatori erano inammissibili;

c) la tematica sollevata nel ricorso per revocazione integrava valutazione giuridica, e “punto controverso”: anche sotto tale angolo prospettico l’impugnazione straordinaria era inammissibile;

d) non vi era stata alcuna diversa qualificazione del petitum rispetto a quella contenuta nella sentenza di prime cure; ed in ogni caso il Giudice di appello possedeva il potere di imprimere ai fatti la qualificazione giuridica ritenuta confacente, senza risentire vincoli dalle affermazioni rese dal Ta.r.;

e) l’eccezione di irricevibilità dell’appello incidentale era stata proposta a pag. 23 della memoria depositata dal comune il 20.5.2015 nell’ambito del ricorso in appello n. 10606/2014 e riproposta in sede di discussione orale dell’incidente cautelare e del merito, il che escludeva qualsivoglia violazione ex art. 73 c.III del c.pa.;

f) il quinto motivo di censura era generico ed infondato.

6. In data 22.5.2017 la impugnante società Gi. s.r.l. ha depositato documenti relativi ai fatti di causa.

7. In data 30.5.2017 la impugnante la società Gi. s.r.l. ha depositato una memoria puntualizzando e ribadendo le proprie tesi e chiedendo, in via subordinata, di essere rimessa in termini per proporre l’appello incidentale dichiarato tardivo.

8. In data 5.6.2017 il comune di (omissis) ha depositato una memoria conclusionale chiedendo che il ricorso per revocazione venisse dichiarato inammissibile, ovvero respinto nel merito in quanto infondato.

9.In data 5.6.2017 l’Azienda Usl di Reggio Emilia, Gestione liquidatoria della Usl n. 11 di (omissis) si è costituita depositando una memoria e chiedendo che il ricorso per revocazione venga dichiarato inammissibile o sia respinto nel merito in quanto infondato.

10. In data 14.6.2017 il comune di (omissis) ha depositato una memoria di replica puntualizzando e ribadendo le proprie difese.

11. In data 15.6.2017 la impugnante società Gi. s.r.l. ha depositato una memoria di replica puntualizzando e ribadendo le proprie difese.

12. In data 15.6.2017 l’Azienda Usl di Reggio Emilia, Gestione liquidatoria della Usl n. 11 di (omissis) ha depositato una memoria di replica puntualizzando e ribadendo le proprie difese.

13. Alla pubblica udienza del 6 luglio 2017 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Il ricorso per revocazione sarebbe inammissibile -nel suo complesso, avuto riguardo all’atto di gravame intrinsecamente considerato- ed è comunque inammissibile ed infondato quanto alle censure ivi contenute.

1.1. L’odierna impugnazione revocatoria sarebbe anzitutto inammissibile per ragioni formali, in quanto il ricorso è privo dei motivi di censura -specificamente indicati -relativi alla eventuale fase rescissoria.

2.1. Per risalente quanto condivisa giurisprudenza civile ed amministrativa, infatti il giudizio per la revocazione (Cass., sez. un., 12 novembre 1997, n. 11148; Consiglio di Stato, sez. IV, 15/09/2015, n. 4294) prevede una fase rescindente ed una rescissoria che hanno incidenza su una precedente sentenza e va deciso con un atto analogo. Non è quindi possibile configurare un differente provvedimento per la conclusione del processo, per cui la relativa domanda deve contenere tutti i requisiti necessari per mettere il giudice nella condizione di adottare la pronuncia definitiva.

Nel caso di specie l’interessata ha allegato dei motivi a sostegno della domanda con cui intende conseguire la revocazione della precedente sentenza pronunciata da questa Sezione del Consiglio di Stato, ma non ha proposto alcun motivo afferente la conclusione del c.d. giudizio rescissorio: sotto tale profilo il ricorso evidenzia soltanto la domanda per la revocazione, ma nulla è detto a proposito dell’eventuale fase successiva all’annullamento della sentenza, laddove si è unicamente richiamata -senza riprodurne il contenuto- ai motivi già prospettati ed ha poi proposto le “richieste”, appunto senza dedurre le doglianze già in passato prospettate.

Il Collegio non potrebbe neppure rifarsi alla domanda proposta nel processo da cui derivò la sentenza gravata, posto che (Cass., sez. I, 3 maggio 2000, n. 5513) sussiste autonomia tra le istanze in esame e quelle avanzate nel giudizio che si concluse con la decisione viziata per il dedotto errore di fatto.

In conclusione la ricorrente non trarrebbe alcun vantaggio dall’eventuale accoglimento della domanda di revocazione, atteso che il giudice non potrebbe adottare una pronuncia capace di farle conseguire il cosiddetto bene della vita perseguito.

La giurisprudenza civile (Cassazione civile, sez. III, 14/11/2006, n. 24203) e quella amministrativa (Consiglio di Stato, sez. V, 29/05/2006, n. 3242):

a) concordano nel ritenere inammissibile il ricorso che contenga solo la domanda di revocazione della sentenza, ma non quella di decisione sull’originario ricorso attraverso la riproposizione degli argomenti in esso riportati, non essendo siffatto ricorso idoneo ad attivare la eventuale, successiva fase rescissoria;

b) impongono che i motivi d’impugnazione debbano essere formulati, nel testo del ricorso per revocazione di una sentenza amministrativa, in modo rigoroso, non limitandosi alla mera richiesta di revocazione (iudicium rescindens), ma formulando specifiche richieste in ordine alla decisione di merito della controversia (iudicium rescissorium);

c) evidenziano la necessità di una intellegibile indicazione (Cons. giust. amm. Sicilia, sez. giurisd., 06/03/2008, n. 143 “è inammissibile il ricorso per revocazione in difetto di riproposizione di ogni domanda rescissoria, né per sommi capi, né per comprensibile relatio.”).

2.2. Nel caso di specie, tale onere non è stato rispettato: non tale può dirsi, infatti, il generico richiamo a tutte le “le deduzioni contenute nel ricorso introduttivo, nel ricorso in riassunzione e nell’appello incidentale” per cui il proposto ricorso dovrebbe essere dichiarato inammissibile.

3. In ogni caso, anche a volere superare tale preclusione formale, il proposto ricorso in revocazione (che quanto alle prime tre censure proposte sarebbe stato in sé e per sé ed in via astratta ammissibile) dovrebbe essere dichiarato in parte inammissibile ed in parte infondato, per le ragioni che di seguito si elencano.

3.1. Sebbene costituisca argomento come si vedrà, addirittura recessivo nell’ambito del presente processo, preme rilevare immediatamente che l’intera impostazione dell’impugnazione (quanto alla tematica relativa alla contestata dichiarazione di inammissibilità per tardività dell’appello incidentale contenuta nella revocanda decisione) ruota su presupposti che appaiono fallaci, in quanto, per consolidata giurisprudenza dalla quale il Collegio non intende decampare:

a) non integra giudicato una statuizione (meramente) processuale che si soffermi sul rito applicabile alla fattispecie;

b) non integrerebbe errore di fatto, ma -a tutto concedere- giuridico l’avere eventualmente misconosciuto la portata dell’asserito giudicato formatosi, una volta che la sentenza abbia dimostrato che era ben consapevole dell’asserito “giudicato” processuale formatosi;

c) a monte, e più radicalmente (si veda Cons. Stato n. 2855 dell’11 giugno 2015, ed ancora più di recente Adunanza Plenaria 6 aprile 2017 n. 1) “difetta, inoltre, in radice il presupposto del contrasto tra giudicati, che non può che riguardare giudicati tra loro “esterni” e non sentenze rese all’interno di un processo, funzionalmente unitario”;

d) tale assetto processuale che è stato a più riprese ribadito anche dalla Corte di Cassazione (Cass. Sez. II, 8 gennaio 2014 n. 155; Sez. III, 21 febbraio 1972, n. 515; Sez. Un., 14 febbraio 1994, n. 1431) non collide con alcun precetto costituzionale, per cui la proposta questione in via subordinata è manifestamente infondata;

e) la tesi secondo cui il Collegio della revocanda sentenza non avrebbe potuto qualificare la domanda in senso difforme dalla precedente sentenza oltre a non poggiare su alcun principio processuale, a tutto concedere è evidentemente tesa a denunciare un errore di diritto.

3.2. Ciò posto, va premesso che il gravame revocatorio contiene due doglianze certamente inammissibili e comunque inaccoglibili in quanto o certamente infondate in punto di fatto (la quarta censura) ovvero volte a denunciare “errori” giuridici (la quinta doglianza); e ciò in quanto:

a) la quarta doglianza è infondata in punto di fatto: non risponde al vero che la Sezione si è soffermata ex officio e senza dare l’avviso ex art. 73 comma III del c.p.a. in ordine alla tematica relativa alla ammissibilità dell’appello incidentale; invero il comune di (omissis), con la memoria depositata nell’ambito del ricorso in appello n. 10606/2014, ha sollevato la questione della inammissibilità dell’appello incidentale di Gi. (si vedano le pagg. 1 e 2 della detta memoria, ove si fa riferimento testuale all’appello incidentale di Gi. “notificato a mezzo del servizio postale il 14.1.2015, pur irritualmente, eppertanto inammissibilmente depositato in Cancelleria il 21.1.2015”, nonché la rubrica a pag. 23 del motivo n. 6 e le conclusioni a pag. 47) ed ha sostenuto che lo stesso fosse stato irritualmente depositato: la macrocensura relativa alla rituale proposizione del mezzo di impugnazione incidentale, pertanto, è stata prospettata dalla controparte, e ciò rendeva non necessario l’avviso ex art. 73 comma III del c.p.a;

b) anche il quinto motivo è infondato e comunque inammissibile: la genericità delle considerazioni ivi esposte non consente di comprendere quale atto versato nel fascicolo processuale dimostri che la impugnante società aveva interrotto la prescrizione dell’azione risarcitoria nei confronti del comune; neppure nell’odierno grado di giudizio tale elemento di fatto è rimasto chiarito; e comunque, il vero è che l’errore prospettato non sarebbe fattuale, ma giuridico, allorché la Sezione, asseritamente, non avrebbe valutato la portata interruttiva di atti posti in essere durante un torno di tempo in cui dominava la tesi della “pregiudiziale amministrativa ” e della irrisarcibilità degli interessi legittimi; la tematica in oggetto, tuttavia, esula del tutto dal perimetro del c.d. “errore di fatto” ed integra, al più errore giuridico, incensurabile in sede di revocazione, per cui, già in astratto il gravame sarebbe da dichiarare inammissibile.

3.2. Tornando adesso alle censure revocatorie incentrate sulla statuizione di inammissibilità del gravame incidentale condizionato proposto nel grado di appello da Gi. (le uniche in via teorica ammissibili, per quanto si è finora cercato di chiarire) oggetto delle prime tre censure revocatorie, si osserva che il detto atto si strutturava nel seguente modo:

a) le prime 5 pagg sono dedicate alla illustrazione della vicenda processuale, anche sotto il profilo cronologico;

b) le pagg. da 6 a metà della pag. 11 sono dedicate alla confutazione dell’appello principale proposto dal comune di (omissis),

c) alla fine della pag. 11 si rinviene una intestazione “appello incidentale condizionato” che così reca testualmente “per la denegata ipotesi di accoglimento, in tutto o in parte, dell’appello del Comune, propone appello incidentale condizionato instando affinché, in riforma in parte qua della sentenza impugnata, sia ritenuta la responsabilità, concorrente con quella del Comune di (omissis), delle intimate A.U.S.L. di Reggio Emilia, Gestione Liquidatoria ex USL N. 11 di (omissis) e Regione Emilia Romagna, e pertanto siano accolte anche nei loro confronti tutte le domande avanzate con i ricorsi introduttivo e in riassunzione, come da conclusioni che si rassegnano in calce”;

d) le successive pagine dell’appello incidentale condizionato (punto da 6 a seguire, pagg. 12 -16) sono dedicate alla confutazione delle “ulteriori deduzioni avanzate dal Comune” ed alla dimostrazione della insussistenza dei presupposti per la sospensione cautelare della esecutività della sentenza del T.a.r;

e) alla pag. 17 vengono rassegnate le conclusive richieste che, per quel che è d’interesse nel presente grado di giudizio, sono così formulate (e che per chiarezza espositiva si riportano testualmente):

“In via subordinata, per la denegata ipotesi di accoglimento totale o parziale dell’appello principale, accogliere, in riforma della sentenza in parte qua, l’appello incidentale condizionato proposto con il presente atto e, per l’effetto, le conclusioni rassegnate ab origine, che qui di seguito si ripropongono:

A) IN VIA PRINCIPALE alla restituzione nel possesso e piena disponibilità della proprietaria Gi. s.r.l. dell’immobile dell’estensione di mq. 8552, sito in (omissis) via Circondaria, censito alla partita n. (omissis), fg. (omissis), mapp. (omissis) (già parte del mapp. (omissis)), illegittimamente occupato per loro fatto e colpa; con condanna degli stessi al risarcimento dei danni subiti dalla ricorrente per mancata disponibilità del bene dalla data dell’occupazione fino alla riconsegna, nella misura di € 1.648.110,00, o altra che risulterà di giustizia.

B) IN VIA ALTERNATIVA, per l’ipotesi che l’immobile di cui sopra sia ritenuto non retrocedibile, condannare gli enti predetti alla corresponsione a Gi. s.r.l., a titolo di risarcimento dei danni subiti per la definitiva perdita del bene (comunque la si voglia qualificare), il valore venale dell’immobile ammontante ad € 1.496.600,00 alla data di inizio dell’occupazione, ovvero ad € 2.565.600,00 alla data odierna, oltre ad € 1.648.110,00 a titolo di risarcimento del danno sofferto per mancata disponibilità nel periodo di occupazione, o quelle diverse che risulteranno dovute.

C) IN VIA ULTERIORE condannare i predetti a corrispondere alla ricorrente per gli ulteriori danni patrimoniali, per deprezzamento del bene residuo, imposta ICI versata, perdite di reddito, perdita di chances, e non patrimoniali derivati dallo straordinario perdurare dell’illegittima occupazione dell’immobile a far tempo dal 28.02.1994, l’ulteriore importo risarcitorio/restitutorio di € 3.492.235,49, o quello diverso che risulterà di giustizia, se del caso con valutazione equitativa.

D) in ogni caso porre a carico dei resistenti l’importo compensativo della svalutazione e gli interessi, da calcolare sul capitale mensilmente rivalutato, sugli importi che risulteranno dovuti per i titoli risarcitori e restitutori di cui sopra, e ciò a far tempo dalle date di maturazione dei singoli crediti fino al saldo effettivo.

Con vittoria di spese, competenze ed onorari del presente giudizio.”.

3.2.1. Si è voluto riportare per esteso ed analiticamente l’appello incidentale condizionato, proposto dalla società Gi. odierna ricorrente in revocazione, per chiarire che esso si limitava a richiamare le deduzioni contenute in precedenti atti (e per di più in sede di formulazione delle conclusioni) in punto di corresponsabilità degli altri Enti nella procedura espropriativa.

A parte ciò, per correttezza si evidenzia che alle pagine 10 e 11 del predetto atto (ma al punto 5, dedicato alla confutazione dell’appello principale del comune, come prima chiarito) la memoria depositata dal Gi. così recita: “5) La deduzione da parte del Comune di erronea individuazione da parte della sentenza impugnata del soggetto tenuto ad operare la scelta tra la restituzione dell’area o l’acquisizione ex art. 42bis DPR n. 327/01 merita le seguenti riflessioni.

Gi. S.r.l. ha proposto l’azione restitutoria/risarcitoria nei confronti di tutti gli enti coinvolti, ritenendo sussistere con quella dell’espropriante Comune di (omissis) (cfr. supra sub 3), la concorrente responsabilità risarcitoria, in chiave di causalità materiale, della cessata USL n. 11 di (omissis) (e per essa Gestione Liquidatoria e Regione Emilia Romagna), prima beneficiaria, che ha richiesto al Comune l’avvio della procedura espropriativa e l’occupazione d’urgenza (docc. 6, 7, 8 Gi.), non ha esplicato i suoi poteri di verifica e di controllo sulla procedura, ha detenuto e utilizzato il terreno e ha commissionato l’esecuzione delle opere di ampliamento dell’Ospedale S. Sebastiano, e dell’Azienda USL di Reggio Emilia, ritenuta non mera beneficiaria finale ma partecipe della procedura illegittima, che ha continuato ad utilizzare abusivamente il terreno e ha perseverato nella prosecuzione dei lavori portandoli a compimento, inglobando materialmente il bene nel suo dominio anche mediante illegittime trascrizione e voltura catastale (docc. 33 e 34 Gi.), sia nella pendenza del giudizio di legittimità che dopo l’intervenuto annullamento giurisdizionale.

L’odierna appellata ritiene che tutti gli enti intimati versino in colpa per avere proceduto in assenza di valida declaratoria di pubblica utilità, quindi in violazione del buon andamento dell’azione amministrativa imposto dall’art. 97 Cost., all’occupazione dell’immobile, alla realizzazione dell’opera e alla tuttora perdurante utilizzazione del bene, pur essendo nelle condizioni di rendersi perfettamente conto fin dall’inizio della procedura espropriativa della sua illegittimità, dal momento che Gi. S.r.l. ha avanzato dalle prime fasi della procedura le sue contestazioni, ivi compresa l’eccezione di omessa indicazione dei termini, con le Osservazioni comunicate il 14.02.94 (come riportato alle pagg. 3-5 della delibera comunale n. 83/97 – doc.12 Gi.) e con il tempestivo ricorso per annullamento notificato il 12.03.94 (doc. 18 Comune).

Ciò detto si osserva che, dopo l’entrata in vigore dell’art. 42bis DPR n. 327/01, la giurisprudenza pare ancora oscillante tra l’attribuzione della responsabilità risarcitoria in via solidale all’espropriante e ai beneficiari illegittimi occupanti (TAR Sicilia, Palermo, n. 334/2013, TAR Calabria, n. 569/2013, TAR Sardegna, n. 282/2012), ovvero esclusivamente all’ente cui andrà eventualmente intestata la proprietà dei beni, salva eventuale manleva di altri enti coinvolti (TAR Abruzzo n. 168/2012), ovvero al solo espropriante che ha posto in essere la procedura illegittima, talora ritenendosi corretta l’evocazione in giudizio dell’occupante per l’ipotesi di condanna alla restituzione (Cons. Stato, n. (omissis)4/2012, TAR Sicilia, Catania, n. 3138/2014), indirizzo, quest’ultimo, seguito dalla sentenza impugnata.

Pertanto l’odierna appellata, mentre insiste e confida in via principale per la conferma della sentenza resa dal TAR, che ha ritenuto il Comune di (omissis) unico responsabile e pertanto tenuto ad operare la valutazione di cui all’art. 42bis DPR n. 327/01 e a corrispondere i relativi indennizzi/risarcimenti, in via subordinata, cautelativamente, per la denegata ipotesi di accoglimento, in tutto o in parte, dell’appello del Comune, propone.”.

3.3. A questo punto va considerato che la sentenza del T.a.r. n. 402/2014 appellata in via principale dal comune di (omissis) (ed in via incidentale dalla odierna ricorrente in revocazione) aveva dedicato numerosi passaggi motivazionali alla illustrazione delle ragioni per le quali le altre amministrazioni intimate (ad eccezione quindi del comune di (omissis)) non potessero essere ritenute responsabili della vicenda espropriativa.

Per mera comodità di esposizione, il Collegio ritiene di riportare per esteso i capi da 4 a 5 della richiamata sentenza del T.a.r. n. 402/2014 che così dispongono, proprio a questo riguardo: “Si tratta, a questo punto, vertendosi in un giudizio restitutorio/risarcitorio, di individuare innanzitutto quale sia, fra le amministrazioni coinvolte nella vicenda, il soggetto espropriante e, in seconda battuta, su quali e quante di esse ricada la responsabilità aquiliana.

Non vi è dubbio che il soggetto espropriante sia il Comune di (omissis).

Il fatto che l’iniziativa e la richiesta siano partite dall’Amministratore Straordinario della ex USL n. 11 di (omissis) non vale, infatti, a traslare le funzioni di soggetto espropriante dal Comune a quest’ultima.

In proposito è sufficiente osservare che il Comune è intervenuto nella procedura, quale vero soggetto espropriante, secondo quanto stabilito dalla normativa regionale allora applicabile (art. 20 L.R. 24 marzo 1975, n. 18 e art. 1 L. 3 gennaio 1978, n. 1) in coerenza con le corrispondenti previsioni allora contenute nella legge di istituzione del Servizio sanitario nazionale.

Ciò vale a radicare, per quanto si dirà, anche la titolarità delle ulteriori incombenze e le relative responsabilità.

Non può essere, invero, condivisa la tesi della ricorrente secondo cui la corresponsabilità fra USL e Comune discenderebbe dall’omessa vigilanza della prima sugli atti del secondo.

Invero, nel caso di specie non si è al cospetto dell’utilizzo dell’istituto della delega, delineato dall’art. 60 della L. 22 ottobre 1971, n. 865, in cui “l’amministrazione è responsabile dell’operato del delegato (poiché la legge dispone che l’espropriazione si svolge non soltanto “in nome e per conto” del delegante, ma anche “d’intesa” con quest’ultimo), che conserva ogni potere di controllo e di stimolo, il cui mancato esercizio è fonte di corresponsabilità con il delegato per i danni da questi materialmente arrecati, senza che assuma rilievo – qualora sia, comunque, avvenuta la radicale trasformazione del fondo in difetto di tempestiva emanazione del decreto di esproprio – la natura del negozio intercorso tra delegante e delegato” (si veda: Cass. civ. Sez. I, 27 maggio 2011, n. 11800).

Né può configurarsi altrimenti, nel caso di specie, la responsabilità solidale fra i due Enti per ipotetico concorso nella determinazione dell’evento dannoso (Cass. civ. Sez. I, 17 ottobre 2008, n. 25369), mancando fra gli stessi altresì il rapporto tra ente espropriante – appaltante e appaltatore (cfr. arg. a contrario: Cons. Stato, sez. IV. 14 luglio 2014, n. 3655).

Né è pertinente, a parere del Collegio, il richiamo operato dalla ricorrente alla decisione del Consiglio di Stato, Ad Plen., 30 luglio 2007, n. 9.

Invero, sebbene anche nel caso portato all’esame dapprima del TAR Catania (12 luglio 2005, n. 1126) e successivamente dell’Adunanza Plenaria, gli Enti coinvolti (USL e Comune) contestassero, ovviamente in prospettive antitetiche, di essere tenuti in solido al risarcimento del danno, eccependo il Comune di aver operato quale mero delegato alla procedura mentre l’ente sanitario opponendo di esservi rimasto del tutto estraneo, nel caso di specie la situazione è diversa.

Infatti mentre in quel caso si è trattato di procedura espropriativa iniziata ma mai conclusa con l’adozione del decreto di esproprio, nel caso di specie si è in presenza di una procedura espropriativa iniziata e conclusa col decreto di esproprio, in cui entrambi gli enti coinvolti hanno adottato gli atti ad essi imposti dalla disciplina di legge, e pur tuttavia da ritenersi integralmente caducata a causa dell’annullamento del primo atto della procedura, posto in essere dal Comune.

Ciò porta ad escludere la sussistenza, in chiave di causalità materiale, di una concorrente responsabilità risarcitoria della USL n. 11 di (omissis), poi confluita nella AUSL di Reggio Emilia. “.

Sin qui la sentenza del T.a.r. n. 402/2014.

3.4. E’ agevole osservare che:

a) l’appello incidentale condizionato della società Gi. non censurava né direttamente né implicitamente i detti capi di sentenza;

b) esso si limitava (inammissibilmente) a richiamare le conclusioni contenute nei precedenti atti, e, a tutto concedere (ma in un capo della memoria dedicato invece alla confutazione dell’appello principale proposto dal comune) ad affermare genericamente la colpa degli altri Enti;

c) il detto appello incidentale condizionato era quindi inammissibile intrinsecamente (quanto alle doglianze incidentali condizionate) in linea con quella giurisprudenza secondo cui (tra le tante, Consiglio di Stato, sez. IV, 27/01/2017, n. 337) “nel giudizio amministrativo di appello costituisce specifico onere dell’appellante formulare una critica puntuale della motivazione della sentenza impugnata, posto che l’oggetto di tale giudizio è costituito da quest’ultima e non dal provvedimento gravato in primo grado: è quindi necessaria la deduzione di specifici motivi di contestazione della correttezza del percorso argomentativo che ha fondato la decisione appellata;

c) ed il detto vizio, pacificamente, avrebbe potuto e dovuto essere rilevato d’ufficio dal Collegio decidente (che ciò non ha fatto, all’evidenza, perché ha correttamente ritenuto pregiudiziale la declaratoria di irricevibilità per tardività).

3.5. Soffermandosi adesso sulle conseguenze di quanto si è finora rilevato, si deve rammentare che per la uniforme giurisprudenza amministrativa (tra le tante Consiglio di Stato, sez. V, 12/01/2017, n. 56) e civile (già in un remoto passato si veda Cassazione civile, sez. III, 03/03/1987, n. 2222) “la revocazione è un’impugnazione concessa per riparare gli errori verificatisi nel giudizio di merito e non più rimediabili mediante gli ordinari mezzi di impugnazione, che siano in relazione con i fatti tassativamente indicati nell’art. 395 c.p.c., ogni volta che tali fatti abbiano in concreto esplicato, sulla formazione della decisione, un’influenza decisiva, tale cioè che il giudizio avrebbe potuto avere esito diverso, qualora il giudice ne fosse stato a conoscenza o se essi non si fossero verificati. “.

3.6. Nel caso di specie, il presupposto è del tutto carente, in quanto, se anche si dovesse sostenere che il ricorso in appello incidentale condizionato non avrebbe potuto essere dichiarato tardivo, e se anche si dovesse sostenere che un tale “errore” non è giuridico ma fattuale (ma sinceramente, non vi vede in che modo) ovvero che vi sarebbe “contrasto di giudicati”, e se anche si dovesse obliare che il tema costituì punto controverso, tanto che la sentenza si sofferma espressamente sul punto, è assodato che il detto ricorso incidentale sarebbe stato in parte qua da dichiarare inammissibile, in quanto non contenente alcuna censura all’iter argomentativo della sentenza di primo grado in punto di non corresponsabilità degli altri enti coinvolti, e pertanto il “vizio” della revocanda sentenza non sarebbe decisivo, posto che l’esito sarebbe rimasto immutato.

4. A questo punto, la conclusione cui perviene il Collegio è la seguente:

a) l’atto con il quale è stata proposta la odierna impugnazione in revocazione sarebbe intrinsecamente inammissibile, per ragioni formali;

b) anche a superare tale preclusione, la disamina nel merito di tale atto consente di rilevare che:

I) la censura in punto di omessa valutazione di atti interruttivi della prescrizione è genericamente formulata ed inammissibile in quanto volta a stigmatizzare un “errore” che, a tutto concedere, sarebbe di diritto;

II) la censura di difetto di contraddittorio (art. 73 del c.p.a.) è errata in fatto;

III) tutte le doglianze che prospettano varie “tipologie” di vizio revocatorio, quanto alla statuizione di inammissibilità del ricorso incidentale contenuta nella revocanda decisione, si pongono in contrasto con principi giurisprudenziali consolidati che escludono tale evenienza;

IV) ma se anche -a tutto concedere- la revocazione fosse stata ammissibile, quanto all’ultimo profilo menzionato, il vizio denunciato non sarebbe risultato decisivo, in quanto il gravame incidentale proposto era inammissibile per difetto di specificità e di allegazione.

4.1. Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, tra le tante, per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

5. La declaratoria di inammissibilità del gravame revocatorio esaurisce il compito demandato al Collegio (ed ovviamente la stessa assorbe la domanda, subordinata, di rimessione in termini), dovendosi unicamente osservare, per incidens, che quanto sopra rilevato non preclude alla parte odierna impugnante la reiterazione del proprio ricorso, in quanto per consolidata giurisprudenza sino a che non venga sanato (con l’emissione di un decreto di esproprio, con un atto acquisitivo ex art. 42 bis, mercè un atto di natura negoziale) la condizione di illegittima occupazione, si versa in una fattispecie di illecito permanente, che legittima l’intrapresa di azioni giudiziarie tese a fare cessare tale condizione ed ottenere la restituzione del fondo medesimo, ovvero la corresponsione del valore dello stesso.

6. Il Collegio ritiene eccezionalmente che debbano essere integralmente compensate tra le parti le spese del presente grado di giudizio: ciò, per una ragione sostanziale che anche le parti vittoriose hanno lealmente rilevato nel corso della discussione in camera di consiglio, e che riposa nella circostanza che allo stato, seppur sia riconosciuto che il compendio immobiliare della parte odierna impugnante sia illegittimamente detenuto dall’Amministrazione, non è stata intrapresa da questa alcuna spontanea iniziativa per regolarizzazione di tale condizione e la odierna impugnante è stata -anzi- costretta ad esperire numerose azione giudiziali.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

(Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso in revocazione, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile nei sensi di cui alla motivazione.

Spese processuali compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 luglio 2017 con l’intervento dei magistrati:

Filippo Patroni Griffi – Presidente

Fabio Taormina – Consigliere, Estensore

Carlo Schilardi – Consigliere

Daniela Di Carlo – Consigliere

Giuseppa Carluccio – Consigliere

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *