La circostanza aggravante della destrezza di cui all’art. 625, primo comma, n. 4, cod. pen., richiede un comportamento dell’agente, posto in essere prima o durante l’impossessamento del bene mobile altrui, caratterizzato da particolare abilità, astuzia o avvedutezza, idoneo a sorprendere, attenuare o eludere la sorveglianza sul bene stesso; sicché non sussiste detta aggravante nell’ipotesi di furto commesso da chi si limiti ad approfittare di situazioni, dallo stesso non provocate, di disattenzione o di momentaneo allontanamento del detentore dalla cosa
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE
SENTENZA 12 luglio 2017, n.34090
Ritenuto in fatto
In data 16 marzo 2012, all’interno di un esercizio commerciale, veniva asportato un computer portatile, prelevato dal bancone in un momento di distrazione della titolare e dei clienti presenti. All’individuazione del responsabile nella persona di Q.P. si perveniva mediante la visione delle immagini registrate dall’impianto di videosorveglianza, installato nell’esercizio, che avevano filmato costui nell’atto di scollegare i cavi di alimentazione del dispositivo, collocarlo in una borsa ed allontanarsi dal locale, il tutto con gesti rapidi e circospetti. Il Q. , tratto a giudizio per rispondere del delitto di furto aggravato dall’aver commesso il fatto con destrezza, nel corso del giudizio ammetteva la propria responsabilità.
Il Tribunale di Torino, con sentenza in data 14 aprile 2016, resa all’esito di giudizio abbreviato, ravvisava tutti gli elementi costitutivi della fattispecie contestata, compresa l’aggravante di cui all’art. 625, primo comma, n. 4, cod. pen. e condannava l’imputato alla pena di giustizia.
La Corte di appello di Torino, investita del gravame dello stesso Q. , con sentenza resa in data 17 maggio 2016, confermava la pronuncia di primo grado.
Avverso detta decisione ricorre l’imputato per il tramite del difensore, per chiederne l’annullamento sulla base di un unico motivo, col quale deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 546 e 605 cod. proc. pen. ed all’art. 625, primo comma, n. 4, cod. pen. quanto alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante dell’aver agito con destrezza.
Si assume che l’imputato non aveva compiuto alcuna azione per creare condizioni favorenti la sottrazione del bene, non enunciate nemmeno nell’imputazione, essendosi egli limitato ad approfittare della distrazione, non provocata, della proprietaria del bene asportato; e si segnala il contrasto giurisprudenziale emerso in merito ai presupposti applicativi della circostanza aggravante della destrezza a ragione della duplicità riscontrabile di orientamenti interpretativi. Pertanto, ai sensi dell’art. 618 cod. proc. pen., si chiede rimettersi la decisione alle Sezioni Unite.
La Quarta Sezione penale, rilevato che la doglianza sollecitava la soluzione di una questione sulla quale si era formato un contrasto interpretativo nella giurisprudenza di legittimità, con ordinanza in data 21 dicembre 2016-17 febbraio 2017, ha rimesso la decisione del ricorso alle Sezioni Unite.
Con decreto in data 21 febbraio 2017, il Primo Presidente ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite, fissando per la trattazione l’odierna udienza pubblica.
Con memoria depositata in data 11 aprile 2017, l’Avvocato generale ha illustrato le proprie conclusioni, chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, manifestando adesione alla linea interpretativa più restrittiva, che per poter ravvisare la circostanza di cui all’art. 625, primo comma, n. 4, cod. pen., esige il compimento di una condotta rivelatrice di particolare capacità fisica o abilità mentale, idonea a eludere il controllo della persona offesa.
Considerato in diritto
Le Sezioni Unite sono chiamate a risolvere la questione di diritto ‘se, nel delitto di furto, la circostanza aggravante della destrezza, prevista dall’art. 625, primo comma, n. 4, cod. pen., sia configurabile quando il soggetto agente si limiti ad approfittare di una situazione di temporanea distrazione della persona offesa’.
Sul tema è emerso e si è acuito in tempi recenti un contrasto interpretativo nell’ambito della giurisprudenza di legittimità.
La disposizione di cui all’art. 625, primo comma, n. 4, cod. pen., considera il furto aggravato, perché commesso ‘con destrezza’, ma non offre indicazioni esplicite e tale carenza definitoria è all’origine del dissenso di opinioni, che ha richiesto l’intervento delle Sezioni Unite e che si registra in riferimento alla possibilità di ravvisarla quando l’agente si limiti ad approfittare di una situazione di distrazione del possessore del bene non intenzionalmente provocata. Il quesito interpretativo non assume valore soltanto sul piano dogmatico, ma riveste rilievo concreto perché la soluzione prescelta incide sul regime di procedibilità dell’azione penale, essendo l’autore del furto aggravato, e non di quello semplice, perseguibile d’ufficio e dipendendo dal riconoscimento della fattispecie aggravata, col conseguente innalzamento dei limiti sanzionatori, la possibilità di applicazione della causa di non punibilità della speciale tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis cod. pen..
2.1. Un primo indirizzo di risalente formazione riconosce la circostanza aggravante in esame in ogni situazione in cui l’agente colga l’occasione favorente la realizzazione dell’impossessamento, inclusa la momentanea sospensione da parte della persona offesa del controllo sul bene, perché poco attenta, oppure per essere impegnata, nello stesso luogo di detenzione della cosa o in luogo immediatamente prossimo, a svolgere le proprie attività di vita o di lavoro.
La soluzione così riassunta s’innesta su un orientamento consolidato da numerose pronunce di tenore conforme, ribadito anche da altre successive (tra le tante, Sez. 5, n. 20954 del 18/02/2015, Marcelli, Rv. 265291; Sez. 5, n. 3807 del 16/06/2016, dep. 2017, Pagano, Rv. 268993; Sez. 5, n. 26749 del 11/04/2016, Ouerghi, Rv. 267266; Sez. 5, n. 6213 del 24/11/2015, dep. 2016, Stepich, Rv. 266096; Sez. 2, n. 18682 del 15/01/2015, Bono, Rv. 263517; Sez. 5, n. 7314 del 17/12/2014, H, Rv. 262745; Sez. 5, n. 640 del 30/10/2013, dep. 2014, Rainart, Rv. 257948; Sez. 6, n. 23108 del 07/06/2012, Antenucci, Rv. 252886), per le quali, poiché la disposizione di cui all’art. 625, primo comma, n. 4, cod. pen., non pretende necessariamente l’impiego di doti eccezionali applicate nella sottrazione e tali da impedire al derubato di averne contezza, ricorre l’aggravante della destrezza e l’abilità operativa dell’autore del furto nella condotta di chi sottrae beni da un’autovettura lasciata in sosta sulla pubblica via priva di chiusura, oppure da uno studio medico, da una stanza di degenza ospedaliera, da un negozio o da un cantiere edile, estrinsecandosi tale fattispecie nell’approfittamento della condizione disattenta del soggetto passivo, distratto da altre occupazioni o comunque poco concentrato nella sorveglianza dei propri averi.
2.2. A tale linea interpretativa si oppone altro orientamento, il quale esclude la destrezza nella condotta di chi si avvalga di un momento di distrazione o del temporaneo allontanamento dal bene del suo detentore, in entrambi i casi non provocato dall’attività dell’autore del furto, perché l’azione non presenta alcun tratto di abilità esecutiva o di scaltrezza nell’elusione del controllo dell’avente diritto, ma al più l’audacia e la temerarietà di sfidare il rischio di essere sorpresi (Sez. 4, n. 46977 del 10/11/2015, Cammareri, Rv. 265051; Sez. 2, n. 9374 del 18/02/2015, Di Battista, Rv. 263235; Sez. 5, n. 12473 del 18/02/2014, Rapposelli, Rv. 259877; Sez. 5, n. 19344 del 11/02/2013, T.E.M., Rv. 255380; Sez. 5, n. 11079 del 22/12/2009, dep. 2010, Bonucci, Rv. 246888; Sez. 4, n. 14992 del 17/02/2009, Scalise, Rv. 243207; Sez. 4, n. 42672 del 10/05/2007 Aspa, Rv. 238296).
Le Sezioni Unite ritengono di aderire al secondo indirizzo giurisprudenziale.
3.1. La questione interpretativa prospettata è alimentata dall’assenza, nel parametro normativo di riferimento (art. 625, primo comma, n. 4, cod. pen.), di esplicite definizioni del concetto di ‘destrezza’ e di indicazioni esemplificative.
Appare allora opportuno iniziare la presente disamina da qualche cenno storico, che può contribuire ad agevolare la comprensione del tema.
L’art. 403, primo comma, n. 4, del codice Zanardelli, recependo indicazioni analoghe dei codici preunitari, stabiliva l’aggravamento della pena per il delitto di furto qualora il fatto fosse stato commesso ‘con destrezza sulla persona in luogo pubblico o aperto al pubblico’. Pur nell’assenza di una nozione espressa, era dunque testuale la previsione del duplice requisito dell’applicazione della destrezza nei confronti del soggetto passivo e del compimento dell’azione in luogo accessibile senza limitazioni, nel quale questi non potesse avvalersi di specifici mezzi di protezione dei propri averi, esposti all’altrui aggressione. Il successivo art. 404 prevedeva un aggravamento di pena ancora più marcato per i casi di frode, che dettagliava in un’elencazione di situazioni riguardanti tutte specifiche modalità della condotta.
Il codice Rocco, equiparato il trattamento punitivo con eliminazione della graduazione di crescente severità di sanzione, già stabilita dai previgenti artt. 403 e 404 del codice Zanardelli, ne ha replicato, pur con numerazione più contenuta, l’approccio empirico e la tecnica dell’elencazione casistica; ha mantenuto la individuazione della destrezza quale situazione tipica costituente aggravante, di cui ha ampliato l’ambito applicativo con la soppressione del requisito personale e spaziale; e ha sintetizzato in un’unica fattispecie le categorie della frode, consistente nell’avvalersi ‘di qualsiasi mezzo fraudolento’ (art. 625, primo comma, n. 2).
È la considerazione della destrezza quale elemento normativo elastico, che, per l’assenza nella disposizione di legge che la prevede di contenuti definitori e per i margini di ambiguità che presenta, rimette all’interprete il delicato compito di precisarne il significato e la portata applicativa.
La formulazione testuale dell’art. 625 cod. pen. e la funzione di aggravamento del trattamento punitivo autorizzano l’affermazione che, se commesso con destrezza, il fatto di reato è qualificato da una o da talune modalità dell’azione che trascendono l’attività di impossessamento, necessaria per la consumazione del delitto. A fronte della configurazione legale tipica del furto semplice, che postula già di per sé, anche secondo la comune accezione e nella dimensione etimologica del termine, un comportamento predatorio nascosto, celato, non evidente, attuato in modo da evitarne la scoperta, il furto con destrezza si caratterizza per l’esecuzione dell’azione in modo tale da superare quella configurazione, sicché la modalità destra della condotta realizza un quid pluris rispetto all’ordinaria materialità del fatto di reato.
L’elaborazione giurisprudenziale e dottrinale, partendo dal significato di destrezza, che nel linguaggio comune individua l’accortezza, la rapidità, l’agilità e la prestanza nel compiere una determinata azione, ma anche la qualità psichica del saper superare le difficoltà e raggiungere l’obiettivo prefissatosi, e riferendo tali concetti al contesto giuridico ed al furto, ha individuato nella destrezza un elemento specializzante della fattispecie base e vi ha attribuito il significato di abilità motoria e sveltezza intese in senso fisico, oppure di avvedutezza e scaltrezza, quali doti intellettive, in entrambi i casi applicate e manifestate nel compiere l’impossessamento del bene altrui in modo tale da eludere, sviare, impedire la sorveglianza da parte del possessore e da rendere più insidiosa ed efficace la condotta.
3.2. La Suprema Corte, sin dai suoi arresti più risalenti, ha assegnato alla destrezza il significato di abilità o sveltezza personale dell’attività esplicata dall’agente prima o durante l’impossessamento, talvolta definite particolari, speciali, straordinarie, ma comunque connotate dall’idoneità ad eludere la normale vigilanza dell’uomo medio sul bene. L’analisi delle situazioni concrete, oggetto di pronunciamento, fa emergere che la capacità operativa, tale da integrare la destrezza, è stata riconosciuta in condotte tipicamente improvvise e repentine, come nel comportamento chiamato per prassi borseggio, nel quale l’agente riesce con gesto rapido ed accorto a porre in essere tutte le cautele necessarie per evitare che la persona offesa si renda conto dell’asportazione in atto dalla sua persona o dai suoi accessori (Sez. 2, n. 946 del 16/04/1969, Reibaldi, Rv. 112022; Sez. 2, n. 6728 del 17/03/1975, Principessa, Rv. 130813), ma anche quando la modalità esecutiva sia astuta, avveduta e circospetta, presenti un connotato più psicologico che fisico, sempre che sia in grado in astratto di superare il controllo e la vigilanza esercitata dalla persona offesa (Sez. 2, n. 6027 del 23/01/1974, Cardini, Rv. 127987).
Alla formulazione di tale orientamento hanno contribuito sollecitazioni dottrinali ed il dato storico della già ricordata eliminazione dal testo dell’art. 625, primo comma, n. 4, cod. pen., della specificazione, presente nella simmetrica disposizione contenuta nell’art. 403, primo comma, n. 4, del codice Zanardelli, che l’uso della destrezza deve rivolgersi contro la persona. Da tali premesse si è dedotta l’irrilevanza, per la definizione normativa della fattispecie aggravata in esame, della direzione della destrezza e si è ammesso che la condotta destra possa investire tanto la persona del derubato, come nel caso del borseggio, quanto direttamente il bene sottratto se non si trovi sul soggetto passivo ma sia alla sua portata e questi eserciti la vigilanza sullo stesso, anche se non a stretto contatto fisico (Sez. 2, n. 2016 del 15/11/1972, Fracassi, Rv. 124003; Sez. 2, n. 4781 del 21/02/1972, Bianco, Rv. 121503).
Nella riflessione esegetica sviluppatasi dai citati arresti la destrezza ha dunque perduto la connotazione puramente fisica per assumere una dimensione psicologica, che pone al servizio dell’attività criminosa doti di avvedutezza, accortezza, attenzione ed astuzia, capaci con ancor maggiore insidiosità di sorprendere la vigilanza sul bene. È comunque stata avvertita l’esistenza di un nesso di interdipendenza tra abilità dell’agente, di qualunque natura essa sia, e sorveglianza della persona offesa sulla res, postulando l’aggravante entrambi i requisiti, che restano privi di rilevanza se isolatamente considerati: l’abilità rileva non quale particolare capacità operativa in sé del soggettivo attivo ma perché idonea ad evitare o attenuare la vigilanza della persona offesa ed in grado di minorarne ed attenuarne la difesa del patrimonio; il controllo sul bene da parte del possessore non è di per sé qualificante, perché elemento costitutivo della fattispecie, comune anche ad altre circostanze aggravanti del furto, come per l’uso del mezzo fraudolento o nell’uso della violenza, e va riferito ad un livello di normalità parametrato sull’uomo medio, quindi valutabile in astratto, sicché per poter configurare l’aggravante non è richiesto che l’agente riesca a superarla, conseguendo il risultato di non destare l’attenzione della persona offesa.
Inoltre, per configurare la circostanza aggravante in esame si è ritenuto che la norma di riferimento non esiga un’abilità eccezionale o straordinaria, né la sicura e dimostrata efficienza del gesto esecutivo, che potrebbe anche essere percepito dalla parte lesa o da terzi, né il conseguimento di un risultato appropriativo concreto, dipendente dalla manovra qualificabile come destra, in modo tale da riconoscere la circostanza quando dalle modalità agili o astute di commissione discenda il compimento del furto con successo, e da negarla quando il derubato, nonostante l’abilità operativa dell’agente, si sia accorto dell’azione criminosa nell’atto della sua perpetrazione. L’atteggiamento soggettivo della vittima e la sua eventuale percezione del reato in corso di realizzazione sono dunque privi di rilievo, potendo al più far arrestare l’azione al livello esecutivo del tentativo (Sez. 2, n. 445 del 08/06/1973, dep. 1974, Buonanno, Rv. 125990).
Le puntualizzazioni concettuali richiamate danno conto della ratio della circostanza aggravante: il fatto criminoso presenta più marcato disvalore perché l’altrui patrimonio è oggetto di aggressione compiuta con modalità più efficaci in quanto rapide, agili, oppure scaltre ed avvedute, dimostrative di incrementata pericolosità sociale ed in grado di menomare la difesa delle cose. Il rilievo, se da un lato illumina sul contenuto di antigiuridicità dell’aggravante, dall’altro non scioglie il nodo interpretativo che pongono le situazioni in cui l’agente non determini la disattenzione della persona offesa, frutto di causa diversa ed autonoma dal suo operato.
Va premesso che nel panorama delle decisioni di legittimità ha ricevuto concorde soluzione il caso in cui la distrazione della vittima è provocata dall’agente o da suoi complici, anche se non imputabili, come nel caso di minori in giovane età, che creino azioni di disturbo, oppure impegnino l’attenzione della persona offesa, concentrandola in un punto o in comportamento specifico per distoglierla dalla vigilanza sul proprio bene. Si è riconosciuta la destrezza per l’approfittamento di una condizione favorevole appositamente creata per allentare la sorveglianza e neutralizzarne gli effetti (Sez. 2, n. 658 del 17/03/1970, De Silvio, Rv. 117339; Sez. 3, n. 35872 del 08/05/2007, Alia, Rv. 237285; Sez. 4, n. 13074 del 17/03/2009, Alafleur, Rv. 243876; Sez. 5, n. 10144 del 02/12/2010, Bobovicz, Rv. 249831; Sez. 5, n. 640 del 30/10/2013, dep. 2014, Rainart, Rv. 257948).
Tali situazioni presentano l’unico tema problematico della distinzione della circostanza aggravante della destrezza da quella dell’uso del mezzo fraudolento: in contrasto con quanto affermato da alcune autorevoli voci dottrinali, e con l’avvertenza che le soluzioni prescelte erano condizionate dalle caratteristiche del caso concreto, come ricostruito in sede di merito, si è affermata (Sez. 4, n. 21299 del 12/04/2013, Gabrieli, Rv. 255294; Sez. 5, n. 10144 del 02/12/2010, dep. 2011, Bobovicz, Rv. 249831; Sez. 2, n. 8071 del 20/03/1973, Valverde, Rv. 125454), la loro piena compatibilità. Esse descrivono, infatti, modelli di agente prossimi, ma non coincidenti, dal momento che la prima circostanza si caratterizza per la rapidità dell’azione nell’impossessamento, non potuto percepire dalla persona offesa appositamente distratta, la seconda per la particolare scaltrezza nell’attività preparatoria, concertata ed attuata mediante qualche comportamento richiedente la presenza del possessore, idonea ad eluderne la vigilanza ed i mezzi approntati a difesa dei suoi beni.
Ben diversa è la situazione concreta che si presenta quando l’agente non operi per creare le condizioni favorevoli alla sottrazione, ma si limiti a percepirle nella realtà fenomenologica a lui esterna ed a volgerle a proprio favore, inserendovi la propria azione appropriativa del bene altrui.
L’opinione favorevole a qualificare come destra siffatta condotta fa leva sulla ricostruzione dell’istituto come non richiedente nel soggetto attivo un’abilità eccezionale e straordinaria, per effetto della quale il derubato non abbia modo di accorgersi della sottrazione (Sez. 2, n. 1022 del 11/10/1978, Montariello, Rv. 140954) e, nell’assenza di puntuali definizioni normative, ritiene l’aggravante integrata dall’impiego di qualsiasi modalità idonea ad eludere l’attenzione del soggetto passivo sulla commissione del reato. L’indeterminatezza dell’idoneità dell’azione autorizza a ravvisare la destrezza anche nell’approfittamento in sé di una momentanea distrazione del derubato o nel suo temporaneo allontanamento dal bene, senza che alcuna importanza possa attribuirsi all’essere essi stati causati dall’agente, poiché rileva solo lo ‘stato di tempo e di luogo tale da attenuare la logica attenzione della parte lesa nel mantenere il dominio ed il possesso sulla cosa’ (Sez. 2, n. 7416 del 28/01/1977, Iorio, Rv. 136169; Sez. 2, n. 335 del 04/07/1986, dep. 1987, Di Renzo, Rv. 174825; Sez. 5, n. 20954 del 18/02/2015, Marcelli, Rv. 265291). Si valorizza dunque la capacità dell’agente di comprendere il contesto fattuale in cui interviene e le dinamiche delle azioni altrui, nonché di sfruttare, con prontezza di reazione e di decisione, le opportunità favorevoli a superare la normale vigilanza dell’uomo medio ed a realizzare l’impossessamento, perché tale condotta è compiuta grazie all’approfittamento delle vantaggiose opportunità del momento, anche se non provocate, e rivela la maggiore pericolosità del reo.
5.1. Siffatta impostazione non convince per una pluralità di concorrenti ragioni.
Le Sezioni Unite ritengono che, non offrendo soluzioni immediate il criterio prioritario dell’interpretazione letterale della norma, si debba fare ricorso al canone ermeneutico logico e sistematico e quindi a quello teleologico, che integrano il senso delle espressioni linguistiche mediante la considerazione coordinata del testo della previsione normativa nell’ambito del sistema normativo in cui esso è collocato e della sua ratio.
La concretizzazione del concetto di destrezza può ricavarsi in primo luogo dal raffronto sistematico con la fattispecie basilare del furto non aggravato come delineata dal legislatore all’art. 624 cod. pen.. Se effettivamente la disposizione dell’art. 625 cod. pen. non pretende perché si configuri la destrezza che l’autore del furto faccia ricorso a doti di eccezionale o straordinaria abilità, che la dottrina definisce ‘virtuosismo criminale’, ciò nonostante la modalità della condotta destra deve esprimersi in un quid pluris rispetto all’ordinaria materialità del fatto di reato, che si aggiunga a quanto ordinariamente richiesto per porre in essere la condotta furtiva, consistente nella sottrazione della cosa e nel conseguente suo impossessamento, che identificano l’essenza della fattispecie di asportazione unilaterale e qualificano il suo disvalore. In altri termini, la modalità esecutiva, per dare luogo all’aggravante, deve potersi distinguere dal fatto tipico, che realizza il furto semplice, deve rivelare un tratto specializzante ed aggiuntivo rispetto agli elementi costitutivi della fattispecie basilare, costituito dall’abilità esecutiva dell’autore nell’appropriarsi della cosa altrui, che sorprenda o neutralizzi la sorveglianza sulla stessa esercitata e disveli la sua maggiore capacità criminale e la più efficace attitudine a ledere il bene giuridico protetto.
Considerato in base a tale criterio, il mero prelievo di un oggetto dal luogo ove si trova – sia esso un’abitazione privata, un esercizio di vendita o ambiente di lavoro, un ufficio pubblico, un veicolo in sosta privo di chiusure e protezioni attuato in un momento di altrui disattenzione, che offre l’occasione favorevole all’apprensione per la possibilità di avvicinamento e di asportazione nella mancata e diretta percezione da parte del possessore, non in grado di interdire l’azione perché altrimenti impegnato o assente, non integra la fattispecie circostanziata in esame perché non richiede nulla di più e di diverso da quanto necessario per consumare il furto. In tali situazioni, per conseguire il risultato appropriativo l’agente non deve fare ricorso a particolare abilità, né intesa quale agilità o rapidità motoria né quale sforzo psichico nell’applicazione di astuzia o avvedutezza nello studio dei luoghi e del derubato e nel distoglierne il controllo sulla cosa. Compresi il contesto fattuale e la distrazione della vittima grazie alle ordinarie facoltà intellettive, che consentono di avere consapevolezza degli ordinari accadimenti della vita quotidiana, la condotta si esaurisce nel gesto necessario, in quelle condizioni, a realizzare l’impossessamento senza esplicare un particolare impegno esecutivo, né agire sull’attenzione altrui.
Ne discende che il furto di un bene perpetrato da chi colga a proprio vantaggio l’occasione propizia offerta dall’altrui disattenzione, non artatamente e preventivamente cagionata, non presenta i caratteri della destrezza, ossia dell’elemento strutturale della fattispecie di furto circostanziato, tipizzato dall’art. 625, primo comma, n. 4, cod. pen., configurabile soltanto quanto il soggetto attivo si avvalga di una particolare capacità operativa, superiore a quella da impiegare per perpetrare il furto, nel distogliere o allentare la vigilanza sui propri beni, esercitata dal detentore.
5.2. Sempre sul piano sistematico ritengono le Sezioni Unite che utili argomenti per la soluzione del quesito giuridico siano rinvenibili nella disposizione contenuta nell’art. 625, primo comma, n. 6, cod. pen., che qualifica come ulteriore circostanza aggravante l’essere stato il furto ‘commesso sul bagaglio dei viaggiatori in ogni specie di veicoli, nelle stazioni, negli scali o banchine, negli alberghi o in altri esercizi ove si somministrano cibi o bevande’. La norma prende in considerazione la particolare condizione del soggetto passivo quando si sposti dalla dimora o residenza abituale verso altra località e debba affrontare la difficoltà di portare con sé degli oggetti, a servizio delle proprie necessità, comodità o utilità personali, anche inerenti all’attività lavorativa o alle finalità del viaggio, costituenti il bagaglio che ha l’esigenza di trasportare mediante un qualsiasi mezzo di locomozione in luoghi ove si concentra una moltitudine di altre persone. Il legislatore ha inteso assegnare uno specifico rilievo nella considerazione dell’incrementata gravità della condotta spoliativa al suo compimento in situazioni di affollamento, confusione ed estraneità del luogo, che nella vittima possono provocare disorientamento ed il possibile allentamento dell’usuale livello di controllo su quanto condotto con sé come bagaglio, con la conseguente più difficoltosa e meno efficace sua sorveglianza, che ne agevola l’asportazione da parte di chi, trovatosi sul mezzo di trasporto o nel punto di sosta, approfitti dell’opportunità favorevole per perpetrare il furto.
Con l’assegnazione al delitto commesso in danno di viaggiatori di un autonomo rilievo quale elemento accidentale il legislatore ha inteso valorizzare i contesti concreti che nella realtà degli accadimenti quotidiani facilitano la distrazione del detentore, perché concentrato sulle implicazioni del viaggio, e l’asportazione dei suoi beni ad opera di chi, senza avere provocato la condizione di attenuata difesa del patrimonio, volga quello stato di fatto a proprio vantaggio per appropriarsi del bagaglio.
La conseguenza che deve trarsene è che, nelle valutazioni del legislatore, lo stato di disattenzione della vittima, autonomamente insorto, e l’approfittamento dello stesso quale condizione favorente l’aggressione al suo patrimonio sono stati già considerati elementi strutturali della fattispecie tipica di furto aggravato ai sensi del n. 6 del primo comma dell’art. 625 cod. pen. e non possono dar luogo, in differente contesto fattuale, all’autonoma e diversa circostanza aggravante dell’aver agito con destrezza.
5.3. Alle medesime conclusioni si perviene se si esamina l’aggravante in riferimento al bene giuridico protetto ed alla sua offesa, che costituisce il fondamento giustificativo dell’incriminazione. Perché si realizzi la fattispecie circostanziale il fatto di reato deve presentare una modalità attuativa caratterizzata da un’incrementata capacità di ledere il bene protetto, che dia conto delle ragioni dell’aggravamento della punizione del suo autore.
Sul punto si ritiene di dare seguito alla linea interpretativa già espressa dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 40354 del 18/07/2013, Sciuscio, Rv. 255974, in riferimento alla circostanza aggravante dell’uso del mezzo fraudolento, di cui all’art. 625, primo comma, n. 2, cod. pen., che presenta significative assonanze con la destrezza, implicando anch’essa un grado più intenso di capacità appropriativa, rivelata dalle specifiche modalità dell’azione di aggressione dell’altrui patrimonio. In quella autorevole sede si è condotta la disamina della norma incriminatrice in base al principio di offensività, nel quale si riassume l’esigenza dell’ordinamento che il comportamento umano che infrange il precetto penale realizzi un evento naturalistico, ma anche una lesione al bene della vita tutelato dal comando violato.
Assume rilievo, per le ricadute sulla soluzione del quesito all’esame, l’estensione del principio di offensività alle circostanze del reato, che ha già trovato avallo nella giurisprudenza costituzionale (Corte cost., sent. n. 249 del 2010, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 61, primo comma, n. 11-bis, cod. pen., e sent. n. 251 del 2012, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 69, quarto comma, cod. pen., nella parte in cui vieta la prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, sulla recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen.), ossia a quegli elementi accidentali che si aggiungono al fatto di reato tipico di base e ne accrescono il disvalore, per tale ragione soggetto a punizione più severa.
Riferendo i medesimi criteri al furto con destrezza, qualificato da una condotta spoliativa attuata con particolare ingegno, astuzia e scaltrezza e da una risposta punitiva gravosa, che sanziona più seriamente le condizioni di minorata difesa delle cose di fronte all’abilità dell’agente, deve concludersi che, per ravvisare l’aggravante, è necessario che l’agire non si limiti alla mera sottrazione del bene, pur facilitata dall’altrui disattenzione o dalla momentanea assenza, ma riveli connotati di capacità ed efficienza offensiva che incrementino le possibilità di portarlo a compimento ed offendano più seriamente il patrimonio.
Se il furto si realizza a fronte della distrazione del detentore, o dell’abbandono incustodito del bene, anche se per un breve lasso di tempo, che non siano preordinati e cagionati dall’autore, né accompagnati da altre modalità insidiose e abili che ne divergono l’attenzione dalla cosa, il fatto manifesta la sola ordinaria modalità furtiva, inidonea a ledere più intensamente e gravemente il bene tutelato ed è privo dell’ulteriore disvalore preteso per realizzare la circostanza aggravante e per giustificare punizione più seria.
Merita dunque condivisione l’orientamento che propugna una nozione più restrittiva di destrezza.
Assegnare valore qualificante alla sola prontezza nell’avvalersi della situazione favorevole comunque creatasi significherebbe valorizzare la componente soggettiva del reato e la pericolosità individuale, ponendo in secondo piano la materialità del fatto come concretamente offensivo del bene giuridico, in contrasto col principio di cui all’art. 25, secondo comma, Cost., che, menzionando il fatto commesso, esclude che il reato possa essere considerato in termini di sola rimproverabilità soggettiva e con la stessa natura oggettiva della circostanza.
All’esito della disamina dell’istituto, compiuta con criterio storico-sistematico e teleologico, può dunque formularsi il seguente principio di diritto:
‘La circostanza aggravante della destrezza di cui all’art. 625, primo comma, n. 4, cod. pen., richiede un comportamento dell’agente, posto in essere prima o durante l’impossessamento del bene mobile altrui, caratterizzato da particolare abilità, astuzia o avvedutezza, idoneo a sorprendere, attenuare o eludere la sorveglianza sul bene stesso; sicché non sussiste detta aggravante nell’ipotesi di furto commesso da chi si limiti ad approfittare di situazioni, dallo stesso non provocate, di disattenzione o di momentaneo allontanamento del detentore dalla cosa’.
I rilievi sopra svolti inducono ad escludere che nella condotta del Q. , esauritasi nel prelievo del computer portatile dal bancone del locale ove era collocato in un momento in cui la proprietaria era impegnata a servire altri clienti, siano ravvisabili gli estremi della destrezza nell’accezione sopra enunciata.
Ne consegue che, trattandosi dell’unica circostanza aggravante ascritta al Q. e non essendo stata proposta querela, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio perché l’azione penale non doveva essere iniziata per difetto della suddetta condizione di procedibilità.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché, esclusa l’aggravante della destrezza, l’azione penale non doveva essere iniziata per mancanza di querela.
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