Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 30 giugno 2017, n. 3178

Nelle procedure ad evidenza pubblica, preordinate all’affidamento di un appalto pubblico, l’omessa dichiarazione da parte del soggetto tenutovi, di tutte le condanne penali eventualmente riportate, anche se attinenti a reati diversi da quelli contemplati nell’art. 38, comma 1, lett. c), D.Lgs. 12/4/2006, n. 163, comporta l’esclusione dalla gara del concorrente a cui è riferibile la lacuna senza possibilità che questa possa essere sanata attraverso il soccorso istruttorio, il quale non può essere utilizzato per sopperire a dichiarazioni (riguardanti elementi essenziali) radicalmente mancanti, ma soltanto per chiarire o completare dichiarazioni o documenti già comunque acquisiti agli atti di gara.

Consiglio di Stato

sezione V

sentenza 30 giugno 2017, n. 3178

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Quinta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6341 del 2016, proposto da:

De. s.p.a. e Gi. Pu. & Figli s.r.l., in persona dei rispettivi rappresentanti legali in carica, ciascuna in proprio e quale mandataria la prima e mandante la seconda, della costituenda ATI fra le medesime, rappresentate e difese dagli avvocati An. Cl. e Ge. Ro. No., con domicilio eletto presso lo studio del primo, in Roma, via (…);

contro

Ac. Pu. s.p.a., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dall’avvocato Pi. Ba., con domicilio eletto presso lo studio Placidi, in Roma, via (…);

Commissario straordinario per la progettazione l’affidamento e la realizzazione dei lavori relativi al “Potenziamento dell’impianto di depurazione di Bari ovest” e Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona dei rispettivi rappresentanti legali in carica, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, sono legalmente domiciliati;

Regione Puglia, in persona del legale rappresentante in carica, non costituita in giudizio;

nei confronti di

Re. Co. St. So. Co. a r.l. (in proprio e quale mandataria della costituenda ATI con la At. s.p.a.) e CO. s.p.a. in persona dei rispettivi rappresentanti legali in carica, rappresentate e difese dagli avvocati Ar. Ca. e Fr. Va., con domicilio eletto presso lo studio del primo, in Roma, piazza (…);

Costruzioni Ba. s.p.a., HM. s.r.l., HM. Infrastrutture s.r.l. e Et. s.r.l., in persona dei rispettivi rappresentanti legali in carica, non costituite in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Puglia – Bari, Sezione III, n. 00891/2016, resa tra le parti, concernente l’affidamento della progettazione esecutiva e dei lavori relativi al potenziamento dell’impianto di depurazione di Bari ovest.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Ac. Pu. s.p.a., del Re. Co. St. So. Co. a r.l., della CO. s.p.a. del Commissario straordinario per la progettazione l’affidamento e la realizzazione dei lavori relativi al “Potenziamento dell’impianto di depurazione di Bari ovest” e della Presidenza del Consiglio dei Ministri;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 8 giugno 2017 il Cons. Alessandro Maggio e uditi per le parti gli avvocati Cl., Va., No. e Ba., nonché l’avvocato dello Stato Pa..

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

La Ac. Pu. s.p.a. ha indetto una procedura aperta per l’affidamento dell’appalto integrato concernente la progettazione esecutiva e la realizzazione dei lavori di potenziamento dell’impianto di depurazione a servizio dell’agglomerato di Bari ovest.

All’esito della procedura, la gara è stata aggiudicata al RTI con a capo la Co. St. Re. So. Co. a r.l..

La De. s.p.a. e la Gi. Pu. & Figli s.r.l., che avevano partecipato alla selezione in costituenda ATI fra loro, classificandosi al secondo posto, hanno ritenuto l’aggiudicazione illegittima per cui l’hanno impugnata davanti al TAR Puglia – Bari, il quale con sentenza 7/7/2016, n. 891, ha respinto il ricorso e conseguentemente dichiarato improcedibile l’impugnazione incidentale proposta dalla Co. St. Re. So. Co. a r.l. e dalla CO. s.p.a., impresa designata per l’esecuzione della commessa.

Avverso la sentenza hanno proposto appello la De. e la Gi. Pu. & Figli.

Per resistere al gravame si sono costituiti in giudizio la Ac. Pu., il Commissario straordinario per la progettazione l’affidamento e la realizzazione dei lavori relativi al “Potenziamento dell’impianto di depurazione di Bari ovest”, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, la

Co. St. Re. So. Co. e la CO..

Queste ultime hanno anche proposto appello incidentale col quale, dopo aver contestato l’appellata sentenza per aver dichiarato improcedibile il loro ricorso incidentale, hanno riproposto le censure non esaminate dal giudice di primo grado.

Con successive memorie tutte le parti hanno ulteriormente illustrato le rispettive tesi difensive.

Alla pubblica udienza del 8/6/2017, la causa è passata in decisione.

Ha carattere prioritario la trattazione dell’appello incidentale.

Col primo motivo si lamenta che il giudice di prime cure avrebbe fatto erronea applicazione del principio affermato dalla Corte di Giustizia U.E. – Grande Sezione, con la sentenza 5/4/2916 in causa C-689/13, Puligienica/Airgest s.p.a., laddove, in asserita osservanza alla detta pronuncia, ha esaminato prioritariamente il ricorso principale a scapito di quello incidentale col quale erano state dedotte censure escludenti idonee, se accolte, a privare le ricorrenti principali della legittimazione ad agire.

Difatti, nel caso di specie, diversamente da quello affrontato dal giudice eurounitario, la presenza di ulteriori concorrenti non investiti dalle censure prospettate col ricorso principale, non avrebbe consentito alla De. e alla Gi. Pu. & Figli di soddisfare l’interesse strumentale alla ripetizione della gara.

Il motivo è fondato.

Con recenti sentenze, dalle cui conclusioni il Collegio non ritiene di doversi discostare, questo Consiglio di Stato ha affrontato la complessa problematica dei rapporti tra ricorso principale e ricorso incidentale escludente in materia di gare finalizzate all’affidamento di una commessa pubblica, alla luce dei principi affermati dalla Corte di Giustizia UE con la sentenza 5 aprile 2016, C-689/13, Puligienica/Airgest s.p.a. (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 27/2/2017, n. 901; Sez. III, 26/8/2016, n. 3708).

Non resta, pertanto, che riprendere le motivazioni espresse nei menzionati precedenti.

“La disamina della questione processuale così sollevata esige una sintetica ricognizione delle regole cristallizzate dalla giurisprudenza nazionale ed europea in merito al problema dell’ordine di esame del ricorso principale e di quello incidentale nelle controversie relative all’aggiudicazione di appalti pubblici.

3.1- L’Adunanza Plenaria (con la sentenza n. 9 del 2014) aveva, in proposito, precisato, in coerenza con i principi affermati dalla Corte di Giustizia UE (con la sentenza Fastweb 4 luglio 2013, C-100/12), che l’obbligo di esaminare entrambi i ricorsi (principale e incidentale c.d. escludente) resta circoscritto alle (sole) situazioni processuali in cui si controverta del medesimo procedimento, gli operatori economici rimasti in gara siano solo due e il vizio che affligge le relative offerte attenga alla medesima fase procedimentale.

Solo nella fattispecie appena descritta, infatti, appare configurabile, in capo al ricorrente principale, un interesse strumentale alla rinnovazione della gara, che integra gli estremi della relativa condizione dell’azione, dovendo, al contrario, riconoscersi che, nelle residue ipotesi, il ricorso principale difetta del predetto titolo di ammissibilità (posto che dal suo eventuale accoglimento il ricorrente non ritrarrebbe alcuna apprezzabile utilità giuridica od economica).

Il criterio appena sintetizzato, che sembrava aver assunto il carattere della stabilità, è stato, tuttavia, recentemente ripensato, rivisto e modificato dalla Corte di Giustizia con la decisione sopra citata (Puligienica/Airgest).

La Corte di Lussemburgo, infatti, investita nuovamente della questione dal C.G.A.R.S. (ordinanza 17 ottobre 2013, n. 848), ha affermato il diverso principio secondo cui: “L’articolo 1, paragrafi 1, terzo comma, e 3, della direttiva 89/665/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1989, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata dalla direttiva 2007/66/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 dicembre 2007, deve essere interpretato nel senso che osta a che un ricorso principale proposto da un offerente, il quale abbia interesse a ottenere l’aggiudicazione di un determinato appalto e che sia stato o rischi di essere leso a causa di una presunta violazione del diritto dell’Unione in materia di appalti pubblici o delle norme che traspongono tale diritto, e diretto a ottenere l’esclusione di un altro offerente, sia dichiarato irricevibile in applicazione di norme processuali nazionali che prevedono l’esame prioritario del ricorso incidentale presentato dall’altro offerente”.

3.2- La Corte di Giustizia sembra, quindi, aver superato il principio, che si era prima cristallizzato, secondo cui il ricorso principale dev’essere esaminato nel merito solo nelle ipotesi in cui le imprese rimaste in gara siano solo due e le relative offerte siano affette da un vizio ascrivibile alla medesima fase procedimentale, e pare aver enunciato la diversa regola per cui il ricorso principale dev’essere comunque esaminato (anche, cioè, in seguito all’accoglimento di quello incidentale), a prescindere dal numero delle imprese che hanno partecipato alla procedura e dalla natura della violazione con esso dedotta.

Sennonché, il Collegio reputa necessario chiarire l’effettiva portata conformativa e applicativa del suddetto principio in esito al percorso argomentativo che segue.

3.3- Deve premettersi, quale canone ermeneutico, che l’esegesi del suddetto principio di diritto, per quanto formulato in termini generali e con un lessico che non sembra ammettere eccezioni, dev’essere condotta tenuto conto della fattispecie esaminata e, quindi, dei contenuti del quesito indirizzato ad essa dal C.G.A.R.S. (o comunque, senza ignorarli), posto che la regola iuris risulta concepita, elaborata e formalizzata dalla Corte di Lussemburgo proprio con riferimento alla situazione (di fatto e di diritto) che ha determinato l’interrogazione che le è stata rivolta.

Merita, allora, ricordare che, nella vicenda processuale che ha originato il rinvio operato dal C.G.A.R.S., alla gara avevano partecipato anche altre imprese e che, tuttavia, quelle rimaste estranee al giudizio erano state escluse con provvedimenti rimasti inoppugnati, con i corollari che i relativi effetti espulsivi avevano ormai consolidato i loro effetti giuridici, che le imprese rimaste in gara erano, quindi, sostanzialmente due e che, di conseguenza, l’eventuale accoglimento del ricorso principale avrebbe, in ogni caso, soddisfatto l’interesse strumentale alla rinnovazione della gara e, quindi, alla conservazione di una chance di aggiudicazione dell’appalto controverso.

A fronte della situazione appena descritta, il C.G.A.R.S. ha, quindi interrogato la Corte di Giustizia al fine di ottenere un chiarimento circa l’applicabilità alla fattispecie del principio già enunciato con la c.d. sentenza Fastweb (e che sembrava precludere l’esame anche del ricorso principale).

3.4- Così ricostruiti i termini della questione concreta che ha giustificato il rinvio pregiudiziale e che è stata esaminata e risolta dalla Corte di Giustizia con l’enunciazione del suddetto principio di diritto, appare agevole precisare i contenuti degli effetti vincolanti di quest’ultimo nel senso che segue.

3.5- Nell’ipotesi in cui l’applicazione rigorosa (e poco flessibile) della regola cristallizzata nelle sentenze Fastweb e nella n. 9 del 2014 dell’Adunanza Plenaria precluda, nel caso concreto, l’esame del ricorso principale, quando, tuttavia, dal suo accoglimento il ricorrente possa ricavare la soddisfazione dell’interesse strumentale alla rinnovazione della gara, le esigenze di effettività della tutela delle posizioni soggettive di derivazione europea impongono l’esame nel merito del ricorso principale.

E deve, al riguardo, precisarsi, in coerenza con l’argomentazione scolpita al paragrafo 28 della motivazione della sentenza della Corte di Lussemburgo, che il predetto interesse strumentale è configurabile non solo quando le imprese rimaste in gara sono solo due, ma anche nelle ipotesi in cui il vizio dedotto a carico di un’offerta sia comune anche ad altre offerte, ancorché presentate da imprese rimaste estranee al giudizio, posto che dal suo accertamento deriverebbe (o, comunque, potrebbe ragionevolmente derivare) l’esclusione anche di queste ultime, in via di autotutela, con la conseguente rinnovazione della procedura.

Deve, al contempo, escludersi, nondimeno, che la Corte di Giustizia abbia inteso prescrivere l’esame del ricorso principale anche nelle situazioni di fatto in cui dal suo accoglimento il ricorrente principale non ritrarrebbe alcun vantaggio, neanche in via strumentale (perché, ad esempio, i motivi dedotti con il gravame non sono in alcun modo riferibili ad offerte ammesse alla gara e presentate da imprese non evocate in giudizio).

3.6- Una interpretazione che ammettesse sempre l’obbligo dell’esame del ricorso principale, a prescindere da qualsivoglia scrutinio in concreto della sussistenza di un interesse (anche strumentale) alla sua decisione, dev’essere, in particolare, rifiutata perché si rivelerebbe del tutto incoerente sia con il richiamo, ivi operato, all’art. 1 della direttiva n. 89/665 CEE, quale norma che resterebbe violata da una regola che preludesse l’esame del ricorso principale, sia con il rispetto del principio generale, di ordine processuale, codificato dall’art. 100 c.p.c. (e da intendersi richiamato nel processo amministrativo dall’art. 39, comma 1, c.p.a.).

3.7- Quanto al primo profilo, è sufficiente osservare che la stessa previsione richiamata (e, segnatamente, l’art. 1, comma 3, dir. Cit.) riconnette espressamente e chiaramente il principio di effettività della tutela delle posizioni soggettive di derivazione europea in materia di appalti alla nozione di interesse, là dove impone agli Stati membri di apprestare un sistema di giustizia che garantisca un utile accesso a “chiunque abbia o abbia avuto interesse a ottenere l’aggiudicazione di un determinato appalto e sia stato o rischi di essere leso a causa di una presunta violazione”.

Come si vede, dunque, la stessa regola che la Corte di Lussemburgo ha inteso declinare e garantire con la sentenza c.d. Puligienica postula logicamente che l’operatore economico al quale dev’essere assicurato un sistema di giustizia effettivo abbia e conservi un interesse all’aggiudicazione dell’appalto.

Ora, per quanto possa estendersi la nozione di interesse processualmente rilevante fino a comprendervi l’accezione anche di un interesse strumentale alla rinnovazione della procedura, non possono certo ravvisarsi gli estremi della condizione dell’azione in questione in una situazione in cui dall’accoglimento del ricorso non derivi neanche il limitato effetto dell’indizione di una nuova procedura.

3.8- In ordine all’aspetto della compatibilità con il principio generale secondo cui “per proporre una domanda o per contraddire alla stessa essa è necessario avervi interesse” (art. 100 c.p.c.), si rileva che la sentenza europea non può certo essere decifrata come produttiva dell’effetto di scardinare il predetto canone, nella misura in cui risulta espressivo di una regola generale valida, per la sua intuitiva valenza logica e sistematica, in ogni ordinamento processuale.

3.9- Alle considerazioni che precedono consegue l’affermazione del principio, del tutto compatibile con la formulazione della regola contenuta nella sentenza c.d. Puligienica, per cui l’esame del ricorso principale (a fronte della proposizione di un ricorso incidentale “escludente”) è doverosa, a prescindere dal numero delle imprese che hanno partecipato alla gara, quando l’accoglimento dello stesso produce, come effetto conformativo, un vantaggio, anche mediato e strumentale, per il ricorrente principale, tale dovendosi intendere anche quello al successivo riesame, in via di autotutela, delle offerte affette dal medesimo vizio riscontrato con la sentenza di accoglimento, mentre resta compatibile con il diritto europeo sull’effettività della tutela in subiecta materia una regola nazionale che impedisce l’esame del ricorso principale nelle ipotesi in cui dal suo accoglimento il ricorrente principale non ricavi, con assoluta certezza, alcuna utilità (neanche in via mediata e strumentale) ” (cfr, in termini, anche Cons. Stato, III, 6 febbraio 2017, n. 517).

Alla luce delle illustrate regole e in considerazione dei principi di sinteticità ed economia processuale che dominano la materia degli appalti pubblici (art. 120, comma 6, cod. proc. amm.) l’adito TAR avrebbe dovuto preliminarmente esaminare il ricorso incidentale diretto a contestare la legittimazione ad agire delle ricorrenti principali.

In riforma del capo di sentenza gravato col motivo di cui sopra devono, quindi, essere affrontati i motivi di carattere escludente non esaminati in primo grado e riproposti con l’appello incidentale, al fine di verificare la sussistenza dell’interesse alla trattazione dell’appello principale.

Con la prima doglianza la Re. Co. St. So. Co. e la CO. deducono che la costituenda ATI fra la De. e la Gi. Pu. & Figli avrebbe dovuto essere esclusa dalla gara in quanto i legali rappresentanti della Su. It. s.p.a., e della So. – So. Fi. In. s.p.a., in liquidazione, uniche socie, rispettivamente, della De. e della Gi. Pu. & Figli, non avrebbero reso le dichiarazioni di cui all’art. 38, comma 1, lett. b) e c), del D. Lgs. 12/4/2016 n. 163.

La doglianza è fondata.

Con recente sentenza che il Collegio condivide, questa Sezione ha affermato che: “non è ragionevole ed anche priva di razionale giustificazioni la limitazione della verifica sui reati ex art. 38 del D. Lgs. n. 163 del 2006 solo con riguardo al socio unico persona fisica o al socio di maggioranza persona fisica per le società con meno di quattro soci, atteso che la garanzia di moralità del concorrente che partecipa a un appalto pubblico non può limitarsi al socio persona fisica, ma deve interessare anche il socio persona giuridica per il quale il controllo ha più ragione di essere, trattandosi di società collegate in cui potrebbero annidarsi fenomeni di irregolarità elusive degli obiettivi di trasparenza perseguiti.

Se lo spirito del Codice dei contratti pubblici è improntato ad assicurare legalità e trasparenza nei procedimenti degli appalti pubblici, occorre garantire l’integrità morale del concorrente sia se persona fisica che persona giuridica.

In caso contrario, verrebbe violato il principio della par condicio dei concorrenti in quanto una società concorrente con socio unico o socio di maggioranza che sia persona fisica sarebbe soggetto alla dichiarazione e non invece un concorrente che sia persona giuridica” (Cons. Stato, Sez. V, 23/6/2016, n. 2813).

Pertanto, il menzionato art. 38, laddove estende il novero dei soggetti delle società di capitali di cui occorre accertare la moralità professionale ai fini dell’ammissione alle gare pubbliche ricomprendendovi il “socio di maggioranza in caso di società con meno di quattro soci”, dev’essere interpretato in base alle seguenti direttrici ermeneutiche.

a) In assenza di specificazioni circa la natura giuridica del socio, l’espressione testuale vale tanto per la persona fisica, quanto per la persona giuridica, in conformità ad un approccio sostanzialistico alla normativa che attribuisce rilievo ai requisiti di moralità di tutti i soggetti che condizionano la volontà degli operatori che stipulano contratti con la pubblica amministrazione, a prescindere dalla circostanza che siano persone fisiche o giuridiche, in ossequio ai principi di lealtà, correttezza, trasparenza e buona amministrazione.

b) La medesima espressione indica solamente una soglia minima di partecipazione azionaria, nel senso che la dichiarazione è richiesta al socio, persona fisica o giuridica, che detenga almeno la maggioranza del pacchetto azionario. A fortiori, quindi, l’onere dichiarativo grava sul socio unico, rivestendo egli un ruolo decisionale e gestionale sulla società di carattere esclusivo e perciò più penetrante rispetto a quello del socio di maggioranza.

Da qui la necessità di verificare la sussistenza dei requisiti morali in capo ai soggetti muniti di poteri di rappresentanza e direzione tecnica in seno alla persona giuridica socio unico della società di capitali offerente.

Nel caso di specie, è incontroverso che rappresentanti legali e direttori tecnici della Su. It. s.p.a., e della So. – So. Fi. In. s.p.a., in liquidazione, non abbiano presentato la dichiarazione di cui all’art. 38, comma 1, lett. c), richiesta dal paragrafo 14.25, punto 3, del disciplinare di gara, ma, comunque, necessaria, per pacifica giurisprudenza, anche in caso di assenza di una specifica previsione in tal senso nella lex specialis della procedura, atteso che il comma 2 del medesimo articolo 38, introduce un vincolo dichiarativo ex lege che integra automaticamente eventuali carenze della disciplina di gara (Cons. Stato, A.P. 7/6/2012, n. 21; Sez. V, 12/10/2016, n. 4219).

Ne consegue che le appellanti principali avrebbero dovuto essere escluse dalla gara non essendo nemmeno possibile – diversamente da quanto dalle stesse affermato – sanare l’omessa dichiarazione mediante soccorso istruttorio.

Difatti, per consolidato orientamento giurisprudenziale, nelle procedure ad evidenza pubblica, preordinate all’affidamento di un appalto pubblico, l’omessa dichiarazione da parte del soggetto tenutovi, di tutte le condanne penali eventualmente riportate, anche se attinenti a reati diversi da quelli contemplati nell’art. 38, comma 1, lett. c), D.Lgs. 12/4/2006, n. 163, comporta l’esclusione dalla gara del concorrente a cui è riferibile la lacuna senza possibilità che questa possa essere sanata attraverso il soccorso istruttorio, il quale non può essere utilizzato per sopperire a dichiarazioni (riguardanti elementi essenziali) radicalmente mancanti, ma soltanto per chiarire o completare dichiarazioni o documenti già comunque acquisiti agli atti di gara (cfr. fra le tante, Cons. Stato, Sez. V, 27/7/2016, n. 3402).

L’appello incidentale va, dunque, accolto e ciò rende improcedibile per difetto di interesse l’appello principale.

Ed invero, nel caso che occupa, alla gara hanno partecipato, oltre al raggruppamento fra le appellanti principali e quello con a capo l’appellante incidentale, anche altri concorrenti la cui partecipazione alla procedura selettiva non risulta inficiata dai medesimi vizi dedotti dalle appellanti principali, cosicché non può riconoscersi a queste ultime neppure la titolarità di un interesse mediato e strumentale, quale quello al successivo riesame, in via di autotutela, delle offerte affette dai medesimi vizi eventualmente riscontrati dal giudice, con conseguente ripetizione della procedura ad evidenza pubblica.

Restano assorbiti tutti gli argomenti di doglianza, motivi od eccezioni non espressamente esaminati che il Collegio ha ritenuto non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

Spese e onorari di giudizio, liquidati come in dispositivo, seguono la soccombenza nei confronti delle appellanti incidentali, mentre possono essere compensate nei riguardi delle altre parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sugli appelli come in epigrafe proposti, accoglie l’appello incidentale e, per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, accoglie il ricorso incidentale di primo grado e dichiara improcedibile quello principale.

Dichiara improcedibile l’appello principale.

Condanna in solido le appellanti principali al pagamento delle spese processuali in favore della parte appellata costituita dalla Re. Co. St. So. Co. e dalla CO., liquidandole forfettariamente in complessivi € 10.000/00 (diecimila), oltre accessori di legge. Compensa le suddette spese nei confronti delle restanti parti appellate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 giugno 2017 con l’intervento dei magistrati:

Francesco Caringella – Presidente

Paolo Giovanni Nicolò Lotti – Consigliere

Fabio Franconiero – Consigliere

Raffaele Prosperi – Consigliere

Alessandro Maggio – Consigliere, Estensore

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