Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 21 aprile 2017, n. 1873

Risulta tuttora in vigore l’art. 22 comma 5 del comma 5 del r.d.l. n. 1578 del 1933, e quindi il principio della piena fungibilità fra membri effettivi e membri supplenti delle commissioni dell’esame di abilitazione all’esercizio della professione di avvocato, con la possibilità di sostituzione di ciascun componente da parte di altro componente, senza alcun riguardo alla qualifica professionale posseduta dai singoli componenti, considerato peraltro che essi non sono portatori di interessi settoriali, in relazione al preminente interesse pubblico alla più sollecita definizione della procedura abilitativa

Consiglio di Stato

sezione IV

sentenza 21 aprile 2017, n. 1873

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Quarta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2364 del 2016, proposto da:

Ministero della Giustizia, in persona del Ministro in carica;

Commissione per gli esami di abilitazione alla professione di avvocato – sessione 2013 presso la Corte d’Appello di Milano, in persona del Presidente pro-tempore;

Commissione per gli esami di abilitazione alla professione di avvocato – sessione 2013 presso la Corte d’Appello di Roma, in persona del Presidente pro-tempore;

tutti rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, e presso gli uffici della medesima domiciliati per legge in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;

contro

Pi. Fi. Ru., rappresentato e difeso dagli avv.ti Ma. Re. e Ar. Po., e presso lo studio di quest’ultimo elettivamente domiciliato in Roma, alla via (…), per mandato a margine dell’atto di costituzione nel giudizio d’appello;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per la Lombardia, Sede di Milano, Sezione 3^, n. 2705 del 18 dicembre 2015, resa tra le parti, con cui è stato accolto il ricorso in primo grado n. r. 2665/2014 proposto per l’annullamento del verbale della VII Sottocommissione per gli esami di abilitazione alla professione di avvocato presso la Corte di Appello di Roma, nella parte in cui ha assegnato all’interessato per il parere di diritto penale il voto di 25/30, con conseguente non ammissione all’orale, nonché dell’elenco dei candidati ammessi alla prova orale pubblicato il 29 giugno 2014

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Pi. Fi. Ru.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 30 marzo 2017 il Cons. Leonardo Spagnoletti e uditi l’avvocato dello Stato Ve. Fe. per il Ministero della Giustizia e l’avv. Ar. Po., in proprio e anche per delega dell’avv. Ma. Re., per Pi. Fi. Ru.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1.) Pi. Fi. Ru. ha partecipato alle prove relative all’esame di ammissione di abilitazione alla professione di avvocato, relative alla sessione 2013, conseguendo voti 30/50 per il parere di diritto civile, 32/50 per la redazione dell’atto giudiziario in materia penale e 25/30 per il parere di diritto penale, e quindi complessivi voti 87 insufficienti rispetto alla soglia minima (90) prescritta per l’ammissione all’orale.

Con il ricorso in primo grado n. r. 2665/2014 l’interessato ha dedotto, in sintesi, le seguenti censure:

1) Violazione e falsa applicazione dei principi di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa di cui all’articolo 97 della Costituzione – Violazione e falsa applicazione della circolare della Commissione centrale del 2 dicembre 2013 contenente i criteri da seguire per la valutazione delle prove scritte – Eccesso di potere nelle figure sintomatiche dello sviamento, travisamento della situazione di fatto, carenza di istruttoria, irragionevolezza, illogicità e ingiustizia grave e manifesta

Il parere svolto dall’interessato (vertente sull’elemento psicologico di fattispecie di omicidio stradale e danneggiamento di cose per effetto di guida in stato di ebbrezza e sotto l’effetto di sostanze stupefacenti) è stato trattato in modo ampio e corretto, evidenziando le differenze tra dolo intenzionale, dolo diretto e dolo eventuale, argomentando l’esclusione, nella fattispecie, della figura del dolo eventuale e soffermandosi sull’esame del rapporto tra le diverse fattispecie incriminatrici concorrenti.

Lo svolgimento, le argomentazioni e le conclusioni sono pressoché sovrapponibili a quelli reperibili su vari siti giuridici web, e risultano affatto sufficienti secondo quanto evidenziato in allegato parere di docente di chiara fama.

In definitiva il parere corrispondeva a tutti i criteri valutativi emanati dalla Commissione centrale con la circolare del 2 dicembre 2013.

2) Violazione e falsa applicazione dei principi di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa di cui all’articolo 97 della Costituzione – Violazione del principio di uguaglianza di cui all’articolo 3 della Costituzione – Eccesso di potere nelle figure sintomatiche dello sviamento, disparità di trattamento, ingiustizia grave e manifesta

Gli elaborati relativi ai pareri di diritto penale svolti da altri candidati e ottenuti a seguito di accesso, che hanno conseguito il voto minimo di sufficienza di 30/50, non evidenziano una maggiore qualità rispetto a quello dell’interessato, quando invece non si caratterizzino per scarsa originalità, risolvendosi anche nella giustapposizione di principi e massime giurisprudenziali, a volte testualmente riportati senza virgolette, e comunque risultando meno completi nello svolgimento.

In tal senso si denuncia la difformità del parametro valutativo adottato dalla commissione nel corso della correzione.

3) Violazione e falsa applicazione del principio di buon andamento dell’azione amministrativa di cui all’articolo 97 della Costituzione – Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990 – Eccesso di potere nelle figure sintomatiche di sviamento di potere, lacunosità, illogicità, contraddittorietà e irragionevolezza della motivazione, travisamento della situazione di fatto, difetto di istruttoria ed erroneità della stessa, ingiustizia grave e manifesta. Violazione dell’articolo 24 della Costituzione e per esso del principio di effettività della tutela giurisdizionale – Violazione dell’articolo 46, co. 5 della legge 31dicembre 2012, n. 247

L’assenza di segni di correzioni e annotazioni non consente, a fronte del mero voto numerico attribuito, di comprendere le ragioni sottese al giudizio di insufficienza, laddove l’art. 46 comma 5 della legge n. 247/2012 prescrive, al contrario, di annotare “le osservazioni positive o negative nei vari punti di ciascun elaborato, le quali costituiscono motivazione del voto che viene espresso con un numero pari alla somma dei voti espressi dai singoli componenti”.

Il successivo art. 49, nel tener ferme le norme previgenti per i primi due anni dalla data di entrata in vigore della legge, non riguarda la valutazione delle prove, e quindi l’obbligo di “motivazione discorsiva”, sebbene soltanto le prove scritte e orali e le modalità dell’esame, ossia il loro oggetto.

4) Violazione e falsa applicazione dei principi di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa di cui all’articolo 97 della Costituzione – Violazione e falsa applicazione degli articoli 47 della legge 31dicembre 2012, n. 247 nonché del d.m. 2 settembre 2013 e del 4 dicembre 2013, e, per essi, dei principi di uguaglianza e imparzialità nelle operazioni valutative poste in essere dagli organi collegiali – Incompetenza – Eccesso di potere nelle figure dello sviamento, disparità di trattamento, illogicità e irragionevolezza

Dal verbale della VII sottocommissione relativo alla tornata di correzione che ha interessato l’elaborato del ricorrente si evince che essa non era legittimamente composta, stante la presenza di quattro avvocati (tre componenti titolari e un supplente) e un magistrato in pensione (componente supplente), con assenza quindi della componente accademica (professore universitario o ricercatore in materie giuridiche).

La composizione delle commissioni e sottocommissioni, articolata attraverso la presenza “di membri appartenenti alle tre diverse realtà del mondo giuridico: quella forense, quella della magistratura e quella accademica”, si spiega e giustifica in relazione alla diversa sensibilità giuridica di cui ciascuna è portatrice tale da poter verosimilmente valutare in sede di “…differenti aspetti della trattazione, o. al contrario, a rilevare differenti carenze o omissioni nello sviluppo della trattazione medesima…”.

Nel giudizio si sono costituite le Autorità intimate che a loro volta hanno dedotto l’inammissibilità e infondatezza del ricorso.

2.) Con sentenza n. 2705 del 18 dicembre 2015, il T.A.R per la Lombardia ha accolto il ricorso, ritenendo fondato e assorbente il quarto motivo, relativo alla dedotta invalidità della commissione.

Il giudice amministrativo meneghino ha osservato che “…risulta applicabile alla vicenda la legge 31 dicembre 2012, n. 247… ed in particolare l’art. 47, rubricato Commissioni di esame…” mentre il successivo art. 49 “…in quanto facente eccezione al principio generale di applicabilità della normativa vigente, è norma di stretta interpretazione, e non può quindi essere ritenuta applicabile alle disposizioni circa la composizione delle commissioni, essendo espressamente riferita solo alle prove e modalità di esame”, tenuto conto altresì che lo stesso d.m. 4 dicembre 2014, recante la nomina delle sottocommissioni per la sessione abilitativa in oggetto, non solo richiama in premessa l’art. 47, bensì articola le medesime “…nella composizione prevista dalla nuova disciplina (tre avvocati, un magistrato ed un professore o ricercatore universitario), anziché in quella prevista dalla disciplina previgente”.

Né potrebbe opinarsi, secondo quanto sostenuto dall’Avvocatura dello Stato, l’ultrattività dell’art. 22 comma 5 del r.d. n. 1578/1933 (in tema di fungibilità dei componenti della commissione), perché l’invocato art. 65 comma 1 della legge n. 247/2012 tiene ferma l’applicazione delle disposizioni previgenti sino all’emanazione dei regolamenti previsti dalla stessa legge solo “…se necessario e in quanto compatibili le disposizioni vigenti non abrogate, anche se non richiamate”, mentre “La disciplina della composizione delle commissioni è stata interamente ed organicamente prevista dall’art. 47 della legge 247/2012, tanto che la disposizione appare in grado di assicurare in via autonoma l’operatività delle commissioni, le quali possono operare senza necessità di ulteriori norme; ne consegue che la disposizione di cui all’art. 22, comma 5, del RD 1578/1933, secondo il disposto di cui all’art. 65, comma 1, non sia applicabile in quanto non necessaria”.

3.) Con appello spedito per la notificazione a mezzo raccomandata a.r. il 14 marzo 2016, ricevuto dal difensore della parte appellata il 15 marzo 2016 e depositato il 24 marzo 2016, la predetta sentenza è stata impugnata, deducendo in sintesi, con unico motivo complesso:

Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 47, 49, 64 e 65 della legge 31 dicembre 2012, n, 247 e dell’art. 22 comma 5 del r.d. 27 novembre 1933, n. 1578 – Illogicità manifesta della sentenza del TAR

L’interpretazione accreditata nella sentenza gravata è erronea, poiché l’art. 65 comma 1 della legge n. 247/2012, nel far salve, sino all’adozione dei regolamenti previsti dalla legge, le disposizioni vigenti non abrogate, anche se non richiamate, non può che riferirsi anche all’art. 22 comma 5 del r.d. n. 1578/1933, non espressamente abrogato, poiché l’art. 47 ha modificato esclusivamente i commi 3, 4 e 6 dell’art. 22, rimanendo quindi fermo la disposizione che codifica il principio di fungibilità dei componenti della commissione, la cui ratio è nel più sollecito svolgimento del procedimento.

Peraltro i componenti delle commissioni per l’esame di abilitazione non sono portatori di interessi settoriali e quindi non può ontologicamente inferirsi la loro infungibilità.

Costituitosi in giudizio, l’appellato, con memorie difensive depositate in data 9 maggio 2016 e 27 febbraio 2017, nel riproporre i motivi di ricorso dichiarati assorbiti, ha controdedotto in modo diffuso al motivo unico di appello, rilevando che;

– l’art. 48 della legge n. 247/2012 ha riformulato e disciplinato ex novo la composizione delle commissioni, con abrogazione tacita della disciplina previgente e comunque senza riprodurre la disposizione sulla fungibilità dei membri;

– è fuorviante il richiamo all’art. 65 comma 1 che peraltro tiene ferme le sole disposizioni necessarie in relazione all’emanazione di regolamenti che riguardano ben altri oggetti (associazioni professionali multidisciplinari, titolo di avvocato specialista, tenuta e aggiornamento degli albi, elezioni dei componenti del consiglio dell’ordine, etc.);

– lo stesso Ministero della Giustizia con circolare del 21 marzo 2016 ha raccomandato l’osservanza della composizione di cui all’art. 47.

Con memoria depositata il 25 febbraio 2017, a sua volta, il Ministero appellante ha richiamato l’orientamento della giurisprudenza cautelare e di merito in ordine alla perdurante vigenza dell’art. 22 comma 5 del r.d. n. 1578/1933.

All’udienza pubblica del 30 marzo 2017 l’appello è stato discusso e riservato per la decisione.

4.) L’appello in epigrafe è fondato e deve essere accolto, onde, in riforma della sentenza gravata, va rigettato il ricorso proposto in primo grado.

4.1) La giurisprudenza di questa Sezione ha ormai chiarito come sia tuttora in vigore l’art. 22 comma 5 del comma 5 del r.d.l. n. 1578 del 1933, e quindi il principio della piena fungibilità fra membri effettivi e membri supplenti delle commissioni dell’esame di abilitazione all’esercizio della professione di avvocato, con la possibilità di sostituzione di ciascun componente da parte di altro componente, senza alcun riguardo alla qualifica professionale posseduta dai singoli componenti, considerato peraltro che essi non sono portatori di interessi settoriali, in relazione al preminente interesse pubblico alla più sollecita definizione della procedura abilitativa (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 8 febbraio 2017, n. 558; nello stesso senso e più diffusamente Sez. IV, 21 ottobre 2016, n. 4406 e 5 agosto 2005, n. 4165, nonché le ordinanze cautelari cfr. 14 ottobre 2016, n. 4556 e 6 maggio 2016, n. 1693; a tale orientamento hanno già aderito anche alcuni TT.AA.RR: vedi T.A.R. Calabria, Reggio, 23 dicembre 2016 n. 1354; T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. 4^, 1° aprile 2015, n. 926; T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. 1^, 17 aprile 2014 n. 1017).

4.2) Gli altri motivi di ricorso, riproposti dall’appellato in quanto dichiarati assorbiti e non esaminati dal primo giudice, sono infondati, secondo ormai pacifica giurisprudenza:

– in relazione alla piena sufficienza, ai fini della motivazione, del voto numerico, anche alla luce del noto arresto della giurisprudenza costituzionale (Corte Cost., 8 giugno 2011, n, 175) e alla sufficienza dei criteri generali relativi alla correzione degli elaborati, che quindi non richiedono da parte delle sottocommissioni alcuna ulteriore specificazione e/o “collegamento” con l’estrinsecazione strettamente docimologica della valutazione;

– in ragione dell’irrilevanza dell’assenza di segni di correzione, laddove al contrario solo se la commissione ritenga di apporre sottolineature o segni può ammettersi la valutazione della loro coerenza con affermazioni, concetti e principi espressi nell’elaborato;

– in funzione della piana interpretazione della disposizione dell’art. 46 comma 5 della legge 31 dicembre 2012, n. 247 in combinato disposto con il chiarissimo tenore del successivo art. 49, che tiene ferma l’applicabilità delle norme previgenti “…sia per quanto riguarda le prove scritte e le prove orali, sia per quanto riguarda le modalità di esame…” per i primi due anni successivi all’entrata in vigore della legge, anche in disparte la considerazione che il comma 6 dell’art. 46 demanda comunque ad apposito regolamento del Ministro della Giustizia, da emanare sentito il Consiglio Nazionale Forense, la definizione delle “…modalità e (le) procedure di svolgimento dell’esame di Stato e quelle di valutazione delle prove scritte ed orali”, sia pure sulla base dei criteri generali ivi enunciati;

– in relazione all’inconfigurabilità di una pretesa disparità di trattamento nella valutazione degli elaborati, in raffronto a quelli di altri candidati, che postula un sindacato intrusivo del merito tecnico, non emergendo profili di irragionevolezza e illogicità tali da consentire, nei limiti del sindacato sulla discrezionalità tecnica, l’annullamento delle valutazioni della commissione.

5.) Alla stregua dei rilievi che precedono, l’appello deve essere accolto, avendo il Collegio esaminato e toccato tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante: ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260, e, per quelle più recenti, Cass. civ., sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663), laddove gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a condurre a una conclusione di segno diverso.

6.) Il regolamento delle spese processuali del doppio grado di giudizio, liquidate come da dispositivo, segue la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

(Sezione Quarta), così provvede sull’appello in epigrafe n. r. 2364 del 2016:

1) accoglie l’appello, e per l’effetto, in riforma della sentenza del T.A.R. per la Lombardia, Sede di Milano, Sezione 3^, n. 2705 del 18 dicembre 2015, rigetta il ricorso proposto in primo grado;

2) condanna l’appellato al pagamento in favore dell’appellante delle spese del doppio grado del giudizio, liquidate in € 2.500,00 (duemilacinquecento/00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 marzo 2017 con l’intervento dei magistrati:

Filippo Patroni Griffi – Presidente

Oberdan Forlenza – Consigliere

Leonardo Spagnoletti – Consigliere, Estensore

Luca Lamberti – Consigliere

Nicola D’Angelo – Consigliere

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