Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 12 aprile 2017, n. 1706

Nell’ipotesi di pagamento parziale del debito da parte di una P.A., il versamento – in applicazione dell’art. 1194 c.c. e salvo in consenso del creditore a una diversa imputazione – va riferito agli interessi e non al debito capitale

Consiglio di Stato

sezione IV

sentenza 12 aprile 2017, n. 1706

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Quarta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2936 del 2016, proposto da Comune di (omissis), in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Na. Pa., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);

contro

Fa. Pr. (deceduto) e quindi gli eredi di questi St. Pr. e altri, nonché Gi. Ci. e altri, rappresentati e difesi dall’avvocato Co. Mo., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale (…);

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per il Lazio, sezione II bis, 23 febbraio 2016, n. 2472, resa tra le parti.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di St. Pr. e altri;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 6 aprile 2017 il consigliere Giuseppe Castiglia;

Uditi per le parti gli avvocati N. Pa. e D. To., su delega dell’avvocato C. Mo.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con delibera n. 166 del 1984, il Comune di (omissis) ha disposto l’occupazione d’urgenza di una vasta area, comprendente anche terreni dei signori Fa. e altri.

2. Con sentenza n. 10190 del 1991, il Tribunale di Roma ha condannato il Comune al risarcimento dei danni da occupazione illegittima nella misura di lire 818.600.000, oltre a interessi e rivalutazione.

3. Con sentenza n. 1704 del 1995, la Corte d’appello di Roma ha confermato la sentenza di primo grado.

4. Con sentenza n. 4599 del 1997, la Corte di cassazione ha dichiarato la legittimità dell’occupazione e della successiva espropriazione, cassando senza rinvio la sentenza impugnata.

5. Con sentenza 28 novembre 2005, n. 5111, passata in giudicato, la Corte d’appello di Roma, adita in sede di opposizione alla stima:

a) ha determinato l’indennità di esproprio in euro 255.646,20, oltre gli interessi legali dall’11 febbraio 1994 al saldo;

b) ha determinato l’indennità di occupazione legittima in euro 157.106,00, da versarsi con gli interessi legali anno per anno dal 16 febbraio 1985 al 10 febbraio 1994 e con gli interessi legali da tale data al saldo;

c) ha ordinato al Comune di depositare la differenza fra tali somme e quella di euro 368.305,00, con gli interessi legali dalla data dell’effettivo esborso al saldo, di spettanza del Comune espropriante, presso la Cassa depositi e prestiti, detratto quanto già eventualmente già versato per le ricordate indennità, a disposizione degli aventi diritto;

d) ha posto a carico del Comune le spese processuali, compensando fra le parti l’altra metà;

e) ha suddiviso tra le parti le spese della c.t.u.

6. In data 23 aprile 2010 i signori Pr. e Ci. hanno notificato al Comune un atto di precetto, chiedendo all’ente di depositare presso la Cassa depositi e prestiti le somme determinate dalla sentenza n. 5111/2005 della Corte d’appello di Roma.

7. Il Comune ha proposto opposizione al precetto innanzi al Tribunale di Velletri sostenendo l’erroneità dei calcoli effettuati dai privati.

8. In pendenza di tale giudizio di opposizione, questi hanno agito in via di ottemperanza per l’esecuzione della ricordata sentenza n. 5111/2005.

9. Con sentenza 23 febbraio 2016, n. 2472, il T.A.R. per il Lazio, sez. II bis, dopo avere disposto c.t.u. per addivenire alla quantificazione della somma dovuta:

a) ha condannato il Comune a pagare ai ricorrenti la somma complessiva di euro 176.629,45, oltre agli interessi legali dal 1° settembre 2015 al saldo e alle spese come determinate dalla sentenza passata in giudicato per un totale di euro 6.347,17, nel termine di trenta giorni;

b) ha condannato il Comune al pagamento del compenso al c.t.u. e delle spese di giudizio;

c) per l’ipotesi di inottemperanza dell’Amministrazione, ha nominato sin da allora commissario ad acta il Prefetto di Roma, con facoltà di delega.

10. Il Comune di (omissis) ha interposto appello avverso la sentenza n. 2472/2016 chiedendone la sospensione dell’efficacia esecutiva anche inaudita altera parte.

11. Con decreto 14 aprile 2016, n. 1259, il Presidente della Sezione ha accolto l’istanza, sospendendo la sentenza impugnata e fissando la camera di consiglio.

12. Con ordinanza 10 giugno 2016, n. 2187, la Sezione ha rigettato la domanda cautelare.

13. Nel merito, il Comune:

a) contesta i conteggi recepiti dal Tribunale territoriale;

b) rileva che il deposito dell’indennità avrebbe effetto liberatorio per l’ente espropriante, con la conseguenza che cesserebbe il decorso degli interessi;

c) contrappone propri calcoli, i quali tengono conto dei depositi successivamente compiuti presso la Cassa depositi e prestiti o presso il Ministero dell’economia e delle finanze, che andrebbero imputati al capitale e non agli interessi;

d) fatte le necessarie compensazioni, sostiene di essere debitore, alla data del 20 marzo 2016, dell’importo di euro 29.202,14 o, secondo un diverso calcolo degli interessi legali a partire dall’11 febbraio 1994, in euro 127.439,51.

14. Gli originari ricorrenti, e per uno di essi gli eredi, si sono costituiti in giudizio per resistere all’appello, informando che il giudizio civile si sarebbe estinto per inattività delle parti e, quanto alle censure mosse dall’ente ai calcoli del c.t.u. di primo grado, osservando che:

a) le somma depositate, prima alla Cassa dd. pp. e poi al M.E.F., non produrrebbero interessi, ma solo se il deposito sia estintivo dell’intero debito; nel caso di adempimenti parziali, gli interessi decorrerebbero sulla parte non versata;

b) i pagamenti parziali dovrebbero essere sempre imputati prima agli interessi e solo dopo al capitale.

15. I privati concludono per la conferma della sentenza impugnata e ritengono l’appello avversario improcedibile per carenza di interesse, avendo il Comune dato esecuzione – a loro dire spontaneamente – alla decisione di primo grado.

16. In seguito gli appellati hanno depositato – oltre a una dichiarazione di successione resa da uno degli eredi del signor Fa. Pr. – documentazione proveniente dal Comune, che attesta sia l’avvenuta costituzione presso il M.E.F. del deposito della somma dovuta in esecuzione della sentenza n. 2472/2016, sia il riconoscimento dell’ammontare relativo come debito fuori bilancio ai sensi dell’art. 194, comma 1, lett. a), del decreto legislativo n. 267 del 2000.

17. Alla camera di consiglio del 6 aprile 2017, quando l’appello è stato chiamato e trattenuto in decisione, la difesa del Comune ha confermato che il processo civile sarebbe estinto o comunque destinato a estinzione.

18. In via preliminare, il Collegio:

a) rileva che la ricostruzione in fatto, come sopra riportata e ripetitiva di quella operata dal giudice di prime cure, non è stata contestata dalle parti costituite ed è comunque acclarata dalla documentazione versata in atti. Di conseguenza, vigendo la preclusione posta dall’art. 64, comma 2, c.p.a., devono considerarsi assodati i fatti oggetto di giudizio;

b) respinge l’eccezione di improcedibilità dell’appello per carenza di interesse, in quanto il Comune ha eseguito il deposito e il riconoscimento del debito fuori bilancio solo in esecuzione della sentenza impugnata e “senza pregiudizio di un eventuale ricorso in appello avverso della sentenza” (si veda la deliberazione del Consiglio comunale n. 12 del 30 marzo 2016, in atti). Le iniziative adottate dall’ente non costituiscono espressione di un rinnovato apprezzamento della situazione (se così fosse, la tesi della carenza di interesse sarebbe fondata: cfr. Cons. Stato, sez. IV, 5 agosto 2014, n. 4164; sez. III, 19 dicembre 2014, n. 6174; sez. IV, 11 febbraio 2016, n. 596), ma – come appare anche dall’espressa riserva formulata – sono puramente esecutive della sentenza di primo grado, cosicché non sopravvivrebbero a un’eventuale riforma di questa per l’effetto caducante che ne seguirebbe (cfr. Cons. Stato, sez. V, 22 settembre 2015, n. 4431; sez. IV, 14 marzo 2016, n. 991; sez. IV, 28 marzo 2017, n. 1423).

19. Nel merito, l’appello è infondato.

20. Il Comune non ha risposto alle difese dei privati, nella parte in cui hanno ritenuto di individuare gli specifici errori che, secondo l’appello comunale, vizierebbero il conteggio operato dal c.t.u. in primo grado. Tali difese sono condivisibili nel senso che:

a) fermo restando che il deposito delle somme dovute ha effetto liberatorio per l’ente (cfr. Cass. civ., sez. I, 23 aprile 2002, n. 5909; Id., sez. I, 5 febbraio 2009, n. 2787; Cons. Stato, sez. IV, 10 agosto 2011, n. 4772) e da quel momento gli interessi relativi gravano sul soggetto depositario, ciò vale per gli importi effettivamente versati e non per quelli ancora dovuti (cfr. Cass. civ., n. 2787/2009, cit.)

b) nell’ipotesi di pagamento parziale del debito da parte di una P.A., il versamento – in applicazione dell’art. 1194 c.c. e salvo in consenso del creditore a una diversa imputazione – va riferito agli interessi e non al debito capitale (cfr. Cass. civ., sez. I, 20 maggio 2005, n. 10692; Id., sez. I, 9 ottobre 2012, n. 17197; Cons. Stato, sez. IV, 19 febbraio 2007, n. 892; Id., sez. V, 23 giugno 2014, n. 3131).

21. Dalle considerazioni che precedono discende che, l’appello – come anticipato – è infondato e va perciò respinto, con conferma della sentenza del Tribunale regionale e del provvedimento impugnato in primo grado.

22. Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante: fra le tante, per le affermazioni più risalenti, cfr. Cass. civ., sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260, e, per quelle più recenti, Cass. civ., sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663).

23. Le spese di giudizio seguono la regola della soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

(Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.

Condanna il Comune soccombente al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, che liquida nell’importo di euro 3.000,00 (tremila/00), oltre agli accessori di legge (15% a titolo di rimborso delle spese generali, I.V.A. e C.P.A.).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 aprile 2017 con l’intervento dei magistrati:

Antonino Anastasi – Presidente

Fabio Taormina – Consigliere

Luigi Massimiliano Tarantino – Consigliere

Giuseppe Castiglia – Consigliere, Estensore

Luca Lamberti – Consigliere

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