L’utilizzo di una tecnica redazionale riproduttiva di atti di indagine o della richiesta del P.M. non si traduce automaticamente nella mancanza di autonoma valutazione, laddove quest’ultima traspaia dal complesso del provvedimento
Suprema Corte di Cassazione
sezione I penale
sentenza 1 febbraio 2017, n. 4910
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BONITO Francesco M. S. – Presidente
Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere
Dott. ROCCHI Giacomo – Consigliere
Dott. BONI Monica – Consigliere
Dott. TALERICO Palma – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), N. IL (OMISSIS);
avverso l’ordinanza n. 1386/2016 TRIB. LIBERTA’ di CATANIA, del 07/07/2016;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PALMA TALERICO;
sentite le conclusioni del PG Dott. MARINELLI Felicetta, che ha chiesto l’inammissibilita’ del ricorso.
Udito il difensore avv. Cannata Salvatore.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 7 luglio 2016, il Tribunale di Catania, investito ex articolo 309 c.p.p. della richiesta di riesame proposta da (OMISSIS), confermava il provvedimento del giudice per le indagini preliminari di quel Tribunale in data 8 giugno 2016, con il quale era stata applicata nei confronti del predetto indagato la misura cautelare della custodia in carcere, in relazione ai delitti di cui all’articolo 416 bis c.p., comma 1, 2, 3, 4 e 6 (capo A), articoli 81 cpv, 110 e 353 c.p. (capo B), articoli 81 cpv. e 110 c.p., articolo 629 c.p., commi 1 e 2, in relazione all’articolo 628 c.p., comma 3, n. 1 e 3, e L. n. 203 del 1991, articolo 7, ai danni di (OMISSIS) e (OMISSIS), soci e gestori del ristorante pizzeria denominato “(OMISSIS)” (capo D); con la medesima ordinanza, annullava la pronuncia citata limitatamente all’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, articolo 7 della contestata in relazione al reato sub capo B della rubrica.
Secondo il suddetto Tribunale – respinta l’eccezione di nullita’ dell’ordinanza genetica ex articolo 309 c.p.p., comma 9, per violazione dell’articolo 292 c.p.p. andavano condivise le argomentazioni e le conclusioni del giudice della cautela in merito alla sussistenza della gravita’ indiziaria, risultante dalle cospicue emergenze investigative acquisite nell’ambito del procedimento denominato “(OMISSIS)”, consistenti in attivita’ di captazione telefonica e ambientale, riprese video e attivita’ di O.P.C., nonche’ dalle sommare informazioni rese dalle parti offese, dalle accertate e non contestate frequentazioni del (OMISSIS) con altri sodali.
Andavano, altresi’, condivise le argomentazioni del giudice della cautela in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari e alla scelta del presidio di contenimento, in considerazione della circostanza che per il delitto associativo di cui all’articolo 416 bis c.p. opera una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari correlata a una presunzione assoluta di adeguatezza della sola custodia cautelare in carcere e non risultando elementi prodotti dalla difesa ne’ altrimenti desumibili dagli atti idonei a incidere sulle predette esigenze svilendole o escludendole; peraltro, il pericolo di recidivanza appariva imponente in considerazione del fatto che almeno fino a (OMISSIS) l’estorsione in danno del ristorante “(OMISSIS)” era ancora in corso di esecuzione.
2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione l’indagato, per il tramite del suo difensore di fiducia, avvocato (OMISSIS).
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente ha denunciato inosservanza delle norme stabilite a pena di nullita’ ex articolo 309 c.p.p., comma 9, nonche’ vizio di motivazione sul punto.
Ha, in proposito, evidenziato che nessuna delle doglianze difensive e’ stata adeguatamente affrontata dal Tribunale di Catania che ha adottato un percorso motivazionale insufficiente e compromesso nella sua tenuta logica; che, in particolare, nessuna motivazione adeguata e sufficiente e’ stata fornita in merito alle ragioni che hanno indotto il Tribunale a ritenere che la condivisione “pedissequa” dell’impianto accusatorio e la trasposizione integrale delle fonti di prova denotino quella valutazione autonoma richiesta dall’articolo 292 c.p.p., non potendo a tale riguardo sopperire la richiamata “sintesi” operata dal GIP trattandosi soltanto di una mera elencazione delle vicende relative alle fonti di prova integralmente trascritte; che non e’ condivisibile l’illogico riferimento al rigetto operato dal GIP delle richieste cautelari inoltrate nei confronti di altri indagati perche’ l’obbligo valutativo deve riguardare ogni singolo indagato ed esso attiene non soltanto alle specifiche esigenze cautelari ma anche ai gravi indizi di colpevolezza.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente ha denunciato violazione dell’articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e) in relazione all’articolo 416 bis c.p..
Ha, in proposito, osservato che la partecipazione al delitto associativo richiede che l’agente abbia consapevolezza dei fini propri dell’associazione ed abbia la volonta’ di contribuire al raggiungimento degli stessi in quanto animato dalla determinazione di inserirsi organicamente nel gruppo; che, pur non potendosi escludere che tra l’ (OMISSIS) e il (OMISSIS) esista un lungo rapporto di amicizia, non e’ condivisibile quanto affermato in merito alla sussistenza di un atteggiamento del (OMISSIS) di piena e condivisa acquiescenza alle scelte dell’ (OMISSIS); che le frequentazioni del (OMISSIS) con altri soggetti hanno origine da pregresse conoscenze personali; che in nessun atto di indagine, fatta eccezione per due isolati controlli, era emersa la figura del (OMISSIS) e il contenuto della conversazione nella quale il (OMISSIS) aveva affermato di essere sfuggito ai controlli per la circospezione con cui era solito muoversi – riportata nell’ordinanza doveva ritenersi una mera millanteria; che il coinvolgimento del (OMISSIS) in tutte le vicende richiamate puo’ ricondursi nell’alveo della liceita’; che il Tribunale ha omesso qualunque valutazione approfondita riguardo alla vicenda dell’appalto dei lavori di rifacimento dell’ex macello di (OMISSIS) e a quella relativa ai contrasti con i fratelli (OMISSIS) del clan (OMISSIS) limitandosi ad affermare che il (OMISSIS), nonostante godesse di scarsa considerazione da parte dell’ (OMISSIS) e non avesse alcun ruolo decisionale, aveva aderito al progetto associativo; che i rapporti del (OMISSIS) sia con l’ (OMISSIS) che con gli altri soggetti che gravitano in ambienti mafiosi sono caratterizzati da una “connivenza” reciproca che non determina necessariamente un accordo criminoso; che il rapporto che emerge tra gli stessi e’ di tipo personale ed esclusivo.
2.3. Con il terzo motivo, il ricorrente ha denunciato inosservanza o erronea applicazione della legge penale nonche’ difetto di motivazione in relazione all’articolo 629 c.p., commi 1 e 3, e L. n. 203 del 1991, articolo 7.
Ha, al riguardo, osservato che la condotta del (OMISSIS) cosi’ come descritta non sembra rientrare nell’alveo del concorso nel delitto di estorsione; che stessa si colloca piuttosto in una zona “grigia” cioe’ al confine tra cio’ che puo’ qualificarsi come attivita’ lecita e cio’ che configura reato; che la qualificazione piu’ consona sarebbe stata quella di favoreggiamento; che il (OMISSIS), chiamato direttamente in causa dai due proprietari del ristorante “(OMISSIS)”, aveva svolto un ruolo di intermediazione in favore delle vittime, come si desume dal tenore di alcune conversazioni captate con la moglie.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ infondato e, pertanto, va rigettato per le ragioni di seguito esplicitate.
Quanto al primo motivo, giova premettere che la legge n. 47/2015 ha formalmente arricchito la disciplina del discorso giustificativo del provvedimento cautelare di una ulteriore regola, introducendo, nell’articolo 292 c.p.p., comma 2, lettera C), l’inedito obbligo di “autonoma valutazione” degli indizi e delle esigenze cautelari che legittimano l’intervento restrittivo.
Obiettivo della novella e’ quello di impedire al giudice che dispone la cautela di assolvere l’onere motivazionale impostogli dal citato articolo 292 c.p.p. limitandosi a richiamare o riprodurre gli atti d’indagine ovvero la richiesta del pubblico ministero.
La previsione di un obbligo di autonoma valutazione dei presupposti dell’intervento cautelare non si traduce, pero’, tout court nel divieto della motivazione per relationem o di riproduzione di atti probatori o anche di parti della richiesta del pubblico ministero, quanto, piuttosto e piu’ semplicemente, nel condizionamento della validita’ del provvedimento applicativo alla dimostrazione che il giudice, nel riportarsi al contenuto di un atto del procedimento ovvero nel riprodurlo nel corpo della motivazione, ne abbia non solo preso cognizione, ma altresi’ effettivamente soppesato la coerenza con la decisione assunta.
In tal senso, come gia’ e’ stato osservato (Sez. 6 n. 40978 del 5 settembre 2015, PM in proc. De Luca, RV. 264657; Sez. 6, n. 45934 del 22 ottobre 2015, Perricciolo, Rv. 265068; Sez. 5, n. 11922 del 02/12/2015, Belsito, RV. 266428), “il legislatore si e’ dunque limitato a ribadire in termini espliciti una delle condizioni gia’ individuate dalla giurisprudenza di questa Corte, sulla base del quadro normativo previgente, per legittimare nell’incidente cautelare il ricorso a tali modalita’ di redazione dell’ordinanza applicativa.
Ne’ potrebbe essere altrimenti, giacche’ tali modi di articolare la motivazione del provvedimento genetico non costituiscono un modo di argomentare il discorso giustificativo, bensi’ semplicemente una tecnica di redazione del testo linguistico in cui lo stesso si estrinseca” (cfr. Sez. 1, n. 8323 del 15/12/2015, Cosentino, RV. 265951; Sez. 3, n. 28979 del 11/05/2016, RV. 267350).
Cio’ che rileva, dunque, e’ solo se il giudice abbia o meno motivato in maniera logica ed esauriente la sua decisione, non tanto a quale tecnica sia stata affidata tale motivazione.
A fronte dell’eccepita nullita’ dell’ordinanza genetica per difetto di autonoma valutazione degli elementi posti alla base dell’intervento cautelare, il compito del giudice dell’impugnazione e’ quello di verificare in concreto se dalla motivazione del provvedimento impugnato, al di la’ delle tecniche redazionali eventualmente impegnate, emerga la prova della corrispondenza del processo decisionale al parametro legale imposto.
Cio’ posto, ritiene il Collegio che il Tribunale di Catania non sia venuto meno ai suoi doveri di verifica; e in vero, il provvedimento impugnato ha proceduto al vaglio della motivazione posta a fondamento dell’ordinanza genetica ed ha ampiamente illustrato le ragioni per cui ha ritenuto infondate le censure sulla sua incapacita’ di evidenziare l’autonoma valutazione compiuta dal G.i.p. del materiale indiziario prospettate con la richiesta cautelare.
In particolare, il Tribunale di Catania ha evidenziato che il giudice della cautela ha autonomamente e criticamente valutato il complessivo materiale investigativo per come desumibile dal rigetto parziale delle richieste del Pubblico Ministero con riferimento alla posizione di alcuni dei coindagati, nonche’ dall’autonomo richiamo ai principi di diritto sulla scorta dei quali ha sussunto i fatti accertati in specifiche ipotesi di reato; ha, inoltre, precisato che, con riguardo al delitto associativo, il giudice della cautela non si e’ limitato ad aderire acriticamente alla richiesta del Pubblico Ministero ma, dopo avere richiamato, gli elementi costitutivi della fattispecie di reato, nonche’ i consolidati principi di diritto in ordine alla valutazione di determinate fonti di prova, ha valutato il compendio indiziario offrendo una “sintesi” della propria autonoma valutazione sufficiente a superare la dedotta nullita’; e che, allo stesso modo, ha proceduto, con riguardo alle altre ipotesi di reato.
Inoltre, va rilevato che lo stesso Tribunale ha ritenuto non correttamente adempiuto l’obbligo valutativo del GIP con riguardo all’aggravante di cui al reato contestato al capo B) della rubrica, cosi’ dimostrando di avere correttamente adempiuto ai suoi doveri di verifica.
Le doglianze contenute nel presente ricorso, lungi dal denunciare vizi effettivamente esistenti nel percorso motivazionale dell’ordinanza impugnata, finiscono con riproporre questioni gia’ decise con congruo argomentare.
2. Anche i motivi di ricorso in punto di sufficienza di gravi indizi, in quanto tendenti a sottoporre al giudizio di legittimita’ aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto e all’apprezzamento del materiale probatorio rimessi alla esclusiva competenza del giudice di merito, sono infondati a fronte della esaustiva motivazione del Tribunale.
Nel caso in esame, i giudici del riesame hanno difatti ineccepibilmente osservato che la prova della condotta addebitata al ricorrente deriva:
– dalle cospicue emergenze investigative acquisite nell’ambito del procedimento denominato “(OMISSIS)”, consistenti in attivita’ di captazione telefonica e ambientale, riprese video e attivita’ di O.P.C.;
– dalle sommarie informazioni rese dalle parti offese, dalle quali era emerso che il (OMISSIS) aveva negli ultimi anni assunto un ruolo di rilievo nell’ambito del sodalizio mafioso denominato clan (OMISSIS), interagendo, in prima persona, con l’attuale reggente della cosca, (OMISSIS), e con gli uomini a lui piu’ vicini ( (OMISSIS) e (OMISSIS)) nella gestione di plurimi affari illeciti soprattutto in tema di controllo di attivita’ economiche presenti sul territorio mediante ricorso sistematico ad attivita’ di tipo estorsivo, attivita’ di “recupero crediti” e di aggiustamento di gare di appalto e aste fallimentari;
– dalle accertate (e non contestate) frequentazioni del (OMISSIS) con (OMISSIS) e con altri sodali, da valutare alla luce dei plurimi affari illeciti che l’indagato aveva gestito in nome e per conto di (OMISSIS) come risultanti dal compendio indiziario;
– da una serie di vicende di pregnante significativita’ quali:
a) la vicenda del parcheggio dell’ospedale (OMISSIS) (era risultato dal tenore delle captazioni che l’ (OMISSIS) aveva messo sotto estorsione la ditta che gestiva il suddetto parcheggio preferendo “percorrere una diversa strada” per trarre illeciti profitti, rispetto al proposito criminoso del (OMISSIS) – non valutabile come iniziativa personale – di “prendere in gestione” il parcheggio stesso);
b) la vicenda dell’appalto per i lavori di rifacimento dell’ex macello di (OMISSIS) (vicenda questa che confermava inequivocabilmente sia la rilevanza associativa della questione trattata, avendo (OMISSIS) fatto chiaro riferimento al “prestigio” dell’associazione, che il ruolo apicale di (OMISSIS), le cui decisioni, per quanto sbagliate od oggetto di critiche da parte del (OMISSIS), non consentivano a quest’ultimo di decidere diversamente);
c) la vicenda del pagamento dello “stipendio” alla moglie del detenuto (OMISSIS) e del favoreggiamento della sua latitanza (si trattava di attivita’ che non poteva essere ricondotta a meri rapporti di parentela, atteso che i soldi da consegnare alla donna venivano ogni volta consegnati al (OMISSIS) da altro pregiudicato; il che evidenziava la “provenienza associativa” dei versamenti; l’assistenza alla latitanza e quella economica pluriventennale fornita a uno dei massimi esponenti del clan (OMISSIS), unitamente al tenore di una conversazione captata nella quale era lo stesso (OMISSIS) a riferire della massima fiducia in lui riposta dalle famiglie dei carcerati, offrivano un quadro indiziario in ordine a uno specifico ruolo, tipicamente associativo);
d) la vicenda dei fratelli (OMISSIS) (episodio avvenuto nel (OMISSIS), ulteriormente esemplificativo del ruolo svolto dal (OMISSIS) di raccolta di denaro per i familiari dei detenuti, come si desumeva dal tenore di una delle telefonate dal quale risultava chiara la natura illecita della dazione e la sua destinazione);
e) la vicenda dei rapporti con gli imprenditori (OMISSIS) e (OMISSIS), con i quali l’indagato agiva in stretta sinergia e che avevano evidenziato plurime condotte di natura illecita e cioe’ la turbata liberta’ degli incanti (dalle conversazioni captate, dalla documentazione del fascicolo della curatela fallimentare della (OMISSIS) S.P.A., di cui (OMISSIS) era titolare, dall’attivita’ di O.P.C., dalle sommarie informazioni del curatore, del procuratore speciale della (OMISSIS) e dei soci di altra societa’ interessata all’acquisto di un lotto posto all’asta giudiziaria era emerso che l’indagato era intervenuto per fare andare deserta l’asta e per fare crollare l’originario prezzo d’asta); inoltre, la vicenda della gestione del parcheggio “(OMISSIS)” confermava l’esistenza di uno stretto legame tra gli imprenditori (OMISSIS) e il (OMISSIS) e dava, altresi’, contezza del fatto che il (OMISSIS), quale affiliato a Cosa Nostra Catanese, gestiva di fatto detto parcheggio e aveva continuato a farlo anche dopo l’estromissione dei (OMISSIS) al momento dell’ingresso nella societa’ di (OMISSIS); anche la vicenda del recupero del credito in favore della ditta (OMISSIS) s.r.l. documentava l’attivo impegno del (OMISSIS) quale intermediario tra (OMISSIS) e gli imprenditori (OMISSIS) (era, infatti, emerso che l’ (OMISSIS) gestiva, in modo illecito, avvalendosi della forza intimidatrice mafiosa derivante dal proprio nome e dall’omonimo clan, cospicue attivita’ di “recupero crediti” per conto di terzi, incaricando il (OMISSIS) di prendere contatti con i debitori e di organizzare gli incontri);
f) la vicenda del recupero del credito in favore di (OMISSIS) e dei contrasti con i fratelli (OMISSIS) del clan (OMISSIS) (si trattava di una complessa vicenda che aveva fatto emergere che (OMISSIS) e (OMISSIS) si erano intromessi per un “recupero crediti” in danno di tale (OMISSIS) che (OMISSIS) aveva inizialmente affidato ai fratelli (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), facenti parte del clan mafioso (OMISSIS), cosi’ generando alcuni contrasti tra i gruppi mafiosi antagonisti; l’intervento degli “uomini” di (OMISSIS) nel “recupero credito” aveva creato malcontento nei fratelli (OMISSIS), i quali si erano rivolti al (OMISSIS) per “intermediare” e procurare un incontro con il (OMISSIS), a cui ne seguivano altri, come si evinceva dal tenore di alcune conversazioni telefoniche; in particolare, una di queste costituiva una vera e propria “confessione di adesione” al clan mafioso da parte del (OMISSIS), preoccupato di mantenere il buon nome del clan nonche’ di evitare conflittualita’ con l’antagonista clan (OMISSIS)):
– dalle dichiarazioni rese dalle persone offese dell’episodio della tentata estorsione in danno del ristorante – pizzeria “(OMISSIS)” che aveva consentito l’arresto in flagranza di (OMISSIS), nonche’ dalle dichiarazioni di quest’ultimo che, iniziata la sua collaborazione con la giustizia, aveva chiarito i termini della suddetta vicenda precisando che la stessa era stata a lui “comandata” da (OMISSIS) su precise direttive di (OMISSIS); nelle conversazioni in seguito captate il (OMISSIS) esprimeva la sua contrarieta’ alla mancata reazione di (OMISSIS) contro le persone offese che avevano denunciato i fatti e rivendicava l’orgoglio dell’appartenenza al clan;
– dalle sommarie informazioni delle persone offese (OMISSIS) e (OMISSIS), soci del ristorante – pizzeria “(OMISSIS)”, il cui racconto veniva, altresi’, confermato dai risultati delle captazioni; elementi tutti che riconducevano l’estorsione subita dai predetti al volere di (OMISSIS) e attribuivano natura “mafiosa” alla condotta estorsiva, essendo chiaramente emerso come la somma estorta alle persone offese costituiva il “corrispettivo” dovuto per la “protezione” offerta al locale, i cui gestori erano stati “autorizzati” a spendere il nome di (OMISSIS) per non ricevere sgradite visite da parte di terzi soggetti; doveva essere escluso il ruolo di intermediario del (OMISSIS) in quanto questi aveva assunto un ruolo di primo piano nella coartazione delle vittime incassando personalmente anche la prima “rata” della richiesta estorsiva e adoperandosi per stabilire le modalita’ di pagamento delle rate successive.
Cio’ posto, ritiene il Collegio che l’apparato motivazionale dell’ordinanza impugnata e’ esaustivo e plausibile e dimostra che sono state considerate le obiezioni, le ricostruzioni alternative e le contestazioni prospettate dalla difesa.
Ne’ a diversa conclusione conducono le puntigliose indicazioni contenute nel ricorso sulla possibilita’ di leggere in modo difforme certuni risultati probatori, che non possono comunque essere considerate da questa Corte, alla cui funzione istituzionale e’ estranea la possibilita’ di sindacare direttamente la valutazione dei fatti compiuta dal giudice di merito. Anche perche’ non c’e’ elemento, per quanto determinante, che puo’ essere letto fuori dal contesto probatorio in cui e’ inserito e soltanto i giudici di merito hanno la possibilita’ di valutare complessivamente ed esaurientemente tale contesto.
Le osservazioni del ricorrente, dunque, non scalfiscono l’impostazione della motivazione e non fanno emergere profili di illogicita’ della stessa; nella sostanza, al di la’ dei vizi formalmente denunciati, esse svolgono, sul punto dell’accertamento del quadro indiziario, considerazioni in fatto, risultando intese a provocare un intervento in sovrapposizione di questa Corte rispetto ai contenuti della decisione adottata dal Giudice del merito.
3. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Va, inoltre disposta la trasmissione, a cura della Cancelleria, di copia del presente provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter
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