L’accessione si verifica ipso iure, al termine del periodo di concessione, per le opere non amovibili, costruite su zona demaniale; con la conseguenza che il successivo atto amministrativo, avente il nomen iuris di “incameramento” o altro equivalente, ha natura meramente ricognitiva e di accertamento
Consiglio di Stato
sezione VI
sentenza 17 febbraio 2017, n. 729
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1782 del 2010, proposto da:
Società Gr. Me. Cr. di Ma. e Lu. S.n. c., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Ca. An. Ge., Ma. Be. Pi., con domicilio eletto presso lo studio Gi. Ma. Studio Gr. in Roma, corso (…);
contro
Ministero dell’Economia e delle Finanze, Agenzia del Demanio, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale Dello Stato, domiciliata in Roma, via (…);
Comune di (omissis), non costituito in giudizio;
per la riforma della sentenza del T.A.R. TOSCANA- FIRENZE, SEZIONE III, n. 04152/2008, resa tra le parti, concernente pertinenza demaniali marittime e canone concessorio;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell’Economia e delle Finanze e della Agenzia del Demanio;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 gennaio 2017 il Cons. Francesco Mele e uditi per le parti gli avvocati Pi. e dello Stato Pi. Ma.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con sentenza n. 4152/2008 del 19-12-2008 il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana rigettava i ricorsi n. 1472/1998 e n. 2051/2007 R.G. proposti dalla Società Gr. Me.Cr.di Ma. e Lu. s.n. c., intesi ad ottenere l’annullamento dei seguenti atti: nota prot. n. 28676/7 Sez. Demanio della Capitaneria di Porto di Viareggio del 31-12-1997, con la quale, dichiarata la decadenza della concessione demaniale marittima rilasciata alla società ricorrente, è stato disposto l’incameramento delle opere erette nell’ambito della predetta concessione tra le pertinenze demaniali marittime; concessione demaniale marittima della Capitaneria di Porto di Viareggio n. 246 del 5 maggio 2005 nella parte in cui ha previsto che “in aderenza a quanto disposto dal Ministero della Marina Mercantile con il DSP n. 5172129/L5 del 25-3-1993, alla scadenza della presente licenza le opere di difficile rimozione erette nell’ambito delle concessioni saranno acquisite allo Stato senza che il concessionario abbia diritto ad alcun indennizzo; ordine di introito n. 126/07 del 4-10-2007, a firma del Dirigente dell’Ufficio Demanio Marittimo di (omissis), mediante il quale il Comune di (omissis) ha ingiunto il pagamento del canone di euro 70.101,20 per la concessione demaniale marittima rilasciata alla ricorrente; concessione demaniale marittima n. 002/2006 dell’1-2-2006, nella parte in cui individua l’oggetto della concessione demaniale non solo nella zona demaniale marittima della superficie totale di mq.390 ma anche in un manufatto di proprietà dello Stato facente parte del più vasto complesso denominato Cr. ad uso commerciale ed include, tra le condizioni speciali, che con la sottoscrizione della presente licenza il concessionario assume l’impegno a corrispondere gli eventuali conguagli che dovessero essergli richiesti in dipendenza dell’adozione di provvedimenti legislativi.
La prefata sentenza esponeva in fatto quanto segue.
“La Società Gr. Me.Cr. espone di essere titolare di un esercizio commerciale inserito nel complesso ex cinema Cr., insistente, unitamente ad uno stabilimento balneare, su area demaniale già concessa in uso dalla Capitaneria di Porto di Viareggio alla dante causa della ricorrente (sig.ra It. Li.). Con licenza demaniale n. 246 del 5 maggio 2005 la Capitaneria di Porto succitata concedeva in uso alla Società Gr. Me.Cr. per il periodo 1994/1997 l’area demaniale in questione e alla scadenza della concessione con nota prot. n. 286/7 Sezione Demanio del dicembre 1997 comunicava alla società ricorrente che “in armonia dell’esplicita clausola contrattuale contenuta nella licenza stessa, le opere erette nell’ambito della predetta concessione devono essere incamerate tra le pertinenze demaniali marittime con decorrenza 1 gennaio 1998 ed all’uopo deve essere redatto il prescritto verbale di incameramento ed il relativo testimoniale di stato corredato dalle planimetrie e disegni della concessione”. La Società interessata ha impugnato, con il ricorso rubricato al n. 1472/98 tale nota nonché la concessione demaniale n. 246/95, in parte qua già evidenziata in epigrafe, deducendone l’illegittimità…..Successivamente con ordine di introito n. 126/2007 del 4-10-2007, trasmesso mediante nota n. 53.409/07, l’Ufficio Demanio Marittimo del Comune di (omissis) (Ente cui sono state devolute le funzioni amministrative ex art. 105 comma 2 lett. L) del d.lgs. 31-3-1998 n. 112, in materia di concessioni demaniali marittime) ha ingiunto alla società il pagamento della somma di euro 70.101, 20 quale canone demaniale relativo all’anno 2007 per la concessione demaniale marittima rilasciata alla stessa Società (n. 102/2006)…”.
Avverso la sentenza di rigetto del Tribunale Amministrativo Regionale la Società Gr. Me.Cr.di Ma. e Lu. s.n. c. ha proposto appello dinanzi a questo Consiglio di Stato, deducendone l’erroneità e chiedendone l’annullamento e/o la riforma.
Ha dedotto plurimi motivi, quanto al ricorso di primo grado n. 1472/1998 R.G., in ordine: 1) alla automaticità del rinnovo della concessione demaniale marittima n. 246/1995 e alla non intervenuta scadenza della medesima, 2) alla incompetenza della Capitaneria di Porto di Viareggio, 3) alla violazione dei principi di correttezza e buona fede, dei principi del procedimento amministrativo e della legge n. 241/1990; quanto al ricorso di primo grado n. 2051/2007 R.G., in ordine: 1) alla erroneità del calcolo effettuato dall’Amministrazione nel determinare il canone demaniale, 2) alla violazione del principio comunitario di affidamento ed alla inapplicabilità nella specie della disciplina di cui all’articolo 1, comma 251, della legge n. 296/2006.
Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia del Demanio, deducendo l’infondatezza dell’appello e chiedendone il rigetto.
Con ordinanza n. 4874 del 23-10-2015 la Sezione ha disposto incombenti istruttori.
La Società ha prodotto memorie illustrative.
La causa è stata discussa e trattenuta per la decisione all’udienza del 26-1-2017.
DIRITTO
Con il primo motivo la società appellante censura la sentenza di primo grado nella parte in cui non ha ritenuto che la concessione demaniale n. 246/1995 fosse ancora in corso, in tal modo escludendosi la possibilità di incameramento del manufatto.
Rileva che per effetto del decreto dirigenziale regionale n. 8483 del 29-12-1997 (“il rinnovo delle concessioni demaniali scadenti il 31-12-1997 è fatto senza l’espletamento di attività istruttoria e consta solo del rinnovato titolo senza l’ulteriore formalità dell’atto di approvazione regionale”) tale concessione era stata automaticamente rinnovata e non era mai scaduta.
Deduce che non è in primo luogo condivisibile l’assunto del Tribunale secondo cui tale atto sarebbe un mero atto a contenuto programmatico e di direttiva senza effetti dispositivi, con la sola finalità di dettare modalità e criteri per i rinnovi. Difatti, dal quadro normativo di riferimento emerge che l’unico titolare delle funzioni è la Regione, che nella convenzione con le Capitanerie è stabilito che gli atti di disciplina del rapporto debbano essere adottati dalle Capitanerie previa approvazione della Regione. Di conseguenza, la prescrizione che non deve essere svolta attività istruttoria e che non occorre l’approvazione regionale non può che essere intesa nel senso della proroga automatica; altrimenti opinando la Regione si sarebbe privata di ogni potere in materia.
La censura, così come proposta, non è meritevole di favorevole considerazione.
La gravata sentenza così motiva sul punto.
“La nota che dispone l’incameramento costituisce l’attuazione della clausola specificatamente inserita tra le condizioni speciali apposte alla concessione demaniale marittima n. 246 del 5 maggio 1995, secondo cui, in aderenza a quanto già previsto dall’Autorità concedente in data 25-3-1995, alla scadenza della presente licenza le opere di difficile rimozione erette nell’ambito delle concessioni saranno acquisite allo Stato senza indennizzo, compenso, risarcimento o rimborso di sorta. Ebbene, da un attento esame della documentazione di causa non è dato rilevare che tale concessione demaniale sia stata automaticamente rinnovata, se è vero che l’atto regionale invocato dalla ricorrente a sostegno della tesi dell’avvenuto rinnovo (il decreto dirigenziale n. 08483 del 29-12-1997) in realtà si limita a dettare le modalità e i criteri per i rinnovi delle concessioni demaniali in scadenza, ma non dispone in concreto la proroga automatica delle stesse. In particolare, avuto riguardo al fatto che alle Regioni sono state trasferite le funzioni amministrative relative alle aree demaniali marittime ad utilizzazione turistico-ricreativa in attuazione dell’art. 59 del DPR n. 616/77, la competente struttura della Regione Toscana ha diramato una vera e propria direttiva con cui ha avuto cura espressamente di “stabilire criteri metodologici e procedurali per consentire il tempestivo rinnovo delle concessioni che vanno a naturale scadenza il 12-12-1997″; è stato allora emanato un atto a contenuto generale, senza alcun effetto dispositivo, al quale conformarsi successivamente in sede di eventuale concreto rinnovo delle singole concessioni demaniali. Se così è, la concessione n. 246/95 non può considerarsi automaticamente rinnovata per il 1998 e rendendosi così operativa la clausola che prevede l’acquisizione al pubblico demanio marittimo delle opere di difficile rimozione allo scadere appunto, del titolo”.
La Sezione condivide la determinazione reiettiva del Tribunale per le ragioni che di seguito si espongono.
La concessione demaniale n. 246/1995 stabilisce espressamente la durata di mesi 48, dall’1-1-1994 al 31-12-1997, prevedendo ulteriormente “salvo che questa non consenta di rinnovare la presente licenza su una nuova domanda del concessionario”.
Essa contiene, inoltre, una “condizione speciale” del seguente tenore: “In aderenza a quanto disposto dal Ministero della Marina Mercantile con DSP n. 5172129/L.5 in data 25-3-1993, alla scadenza della presente licenza le opere di difficile rimozione erette nell’ambito delle concessioni saranno acquisite allo Stato senza che il concessionario abbia diritto ad alcun indennizzo, risarcimento o rimborso di sorta”.
Il provvedimento, di conseguenza, dispone una durata temporalmente limitata della concessione e subordina la prosecuzione del rapporto ad un successivo atto di rinnovo, da adottarsi a seguito di nuova domanda del concessionario.
Contiene, poi, una espressa e peculiare disposizione di incameramento alla scadenza dello specifico atto concessorio, in tal modo escludendo, con determinazione provvedimentale, rilevanza in proposito ad un eventuale rinnovo della stessa.
Ciò posto, la disposizione regionale invocata non può essere interpretata nel senso di un rinnovo automatico disposto dalla Regione e da essa direttamente derivante.
Invero, il decreto dirigenziale regionale n. 8483 del 29 dicembre 1997 stabilisce “criteri metodologici e procedurali per consentirne il tempestivo rinnovo” per “predisporre in via transitoria una organizzazione delle procedure e dei rapporti con le Capitanerie che consenta di assicurare la continuità del servizio con tempestività e snellezza” ed, inoltre, che “il rinnovo è fatto senza l’espletamento di attività istruttoria e consta solo del rinnovato titolo senza la ulteriore formalità dell’atto di approvazione regionale”.
Orbene, il tenore della disposizione (“il rinnovo è fatto… consta solo del rinnovato titolo”) depone non per la statuizione di un rinnovo direttamente operato dalla Regione, ma lascia ferma la necessità della adozione dell’atto da parte dell’amministrazione. Ciò è confermato dall’ulteriore contenuto della determina laddove precisa (punto 5) che “copia del rinnovato titolo è trasmesso alla Regione…”, in tal modo lasciando chiaramente intendere che il rinnovo non è da essa disposto direttamente ma che occorre un provvedimento specifico di rinnovo.
Il motivo di appello, così come formulato (nel senso di ritenere cioè che la concessione del 1995 fosse stata rinnovata per effetto del sopra indicato decreto dirigenziale), risulta, di conseguenza, infondato.
Il Collegio ritiene, peraltro, di svolgere comunque ulteriori considerazioni in ordine alle argomentazioni non presenti nel motivo di appello, ma introdotte dalla società unicamente in successive memorie difensive, le quali operano riferimento ad alcune sentenze della Sezione in ordine alla possibilità di incameramento quando la concessione scaduta sia stata rinnovata.
Osserva il Collegio in fatto che dalla espletata istruttoria risultano rilasciate, dopo la concessione scaduta il 1997, licenza n. 691/1998 rep. 692 in data 10 dicembre 1998, concessione n. 472/1999, su domanda di rinnovo; successiva concessione n. 141/2006.
Le circostanze sopra evidenziate escludono, a giudizio della Sezione, l’applicazione nel caso di specie dei principi, invocati da parte appellante, affermati dalle sentenze della Sezione n. 3196/2013 (secondo cui è solo con la cessazione del rapporto nascente dalla concessione che si verifica, con l’accessione al demanio, l’espansione dell’impianto sovrastante della natura pubblica del suolo e, perciò, viene a sussistere il presupposto per la sua qualificazione funzionale come pertinenza demaniale), n. 3348/2010 (il principio dell’accessione gratuita di cui al ricordato art. 49 Cod.nav. non trova applicazione quando il titolo concessorio è stato oggetto di rinnovo automatico prima della data di naturale scadenza della concessione, tanto da configurare il rinnovo stesso, al di là del nomen iuris, come una piena proroga dell’originario rapporto e senza soluzione di continuità), n. 3308/2013 (solo con la cessazione del rapporto nascente dalla concessione si verifica, con l’accessione al demanio, l’espansione all’impianto sovrastante della natura pubblica del suolo e perciò viene a sussistere il presupposto per la sua qualificazione funzionale come pertinenza demaniale).
Invero, la richiamata pronuncia n. 3348 del 26-5-2010 si riferisce ad ipotesi in cui “la concessione sia stata rinnovata più volte con istanza – e anche pagamento del canone – prima della relativa scadenza”, affermando “l’inapplicabilità del principio dell’accessione gratuita – fortemente penalizzante per il diritto dei superficiari e per gli investimenti, che potrebbero contribuire alla valorizzazione del demanio marittimo – anche quando il titolo concessorio preveda, come nel caso di specie, forme di rinnovo automatico e preordinato in antecedenza, rispetto alla data di naturale scadenza della concessione”.
Orbene, nella vicenda in esame il titolo concessorio del 5 maggio 1995 prevede espressamente, come sopra visto, tra le “condizioni speciali” che “in aderenza a quanto disposto dal Ministero della Marina Mercantile con DSP. N. 5172129/L.5 in data 25-3-1993, alla scadenza della presente licenza le opere di difficile rimozione erette nell’ambito delle concessioni saranno acquisite al concessionario senza che il concessionario abbia diritto ad alcun indennizzo, compenso, risarcimento o rimborso di sorta”.
Vi è, dunque, una specifica determinazione provvedimentale che collega espressamente l’acquisizione del bene alla scadenza dell’atto e non anche del rapporto.
E’ ben vero che tale clausola risulta essere stata oggetto di impugnativa nel ricorso di primo grado, ma detta impugnazione risulta in primo luogo tardiva, risalendo il ricorso di prime cure all’anno 1998.
Va, poi, evidenziato che l’atto di concessione n. 246 del 5 maggio 1995, contenente la prefata clausola, risulta sottoscritto per accettazione dai privati (in esso è riportato che “la presente licenza viene firmata in segno della più ampia e completa accettazione delle condizioni ed obblighi qui sopra espressi dal concessionario”).
In presenza dei suddetti elementi (in particolare, di una espressa clausola provvedimentale di incameramento) ed in assenza di un rinnovo automatico, anche ex lege, come sopra visto, i rilievi di parte appellante non possono trovare accoglimento, evidenziandosi pure che la espressa presenza della clausola, accettata dal privato, toglie rilevanza alla previsione (e, dunque, alla eventuale preordinazione) di un rinnovo della concessione medesima, utile ad escludere la possibilità di incameramento.
Con il secondo motivo di appello la società censura la sentenza impugnata nella parte in cui essa ha riconosciuto la competenza della Capitaneria di Porto ad adottare il provvedimento di incameramento, in quanto afferente al regime di proprietà dei manufatti ed estraneo alle funzioni di utilizzazione dei beni spettanti alla Regione.
Il Tribunale non avrebbe tenuto conto del fatto che il provvedimento di incameramento è stato adottato nell’ambito del procedimento di scadenza della concessione ed è stato preannunciato all’interno della concessione demaniale n. 246/1995. In buona sostanza la Capitaneria si sarebbe avvalsa dello strumento concessorio, di competenza regionale, per procedere all’incameramento. Avrebbe, dunque, dovuto chiedere l’approvazione alla Regione.
La censura non è meritevole di favorevole considerazione.
La sentenza del Tribunale così motiva sul punto.
“Il titolo concessorio relativo all’area demaniale marittima su cui insiste il complesso Cr. già rilasciato alla dante causa della ricorrente Società, la signora It., e successivamente alla Gr. Me.Cr. attiene alla utilizzazione del bene stesso e per gli aspetti all’uso dell’area e dei relativi manufatti ivi insistenti è indubbia la competenza della regione Toscana nell’esercizio delle relative funzioni amministrative, così come trasferite all’ente in virtù della legge n. 424/94; ma nella specie viene in rilievo il diverso rapporto giuridico di acquisizione dell’area alle pertinenze demaniali, che non incide sull’utilizzazione dei beni, ma attiene al regime di proprietà dei manufatti, sicché a disporre in ordine all’incameramento in questione non poteva non essere l’Amministrazione (la Marina Mercantile) titolare dell’originario diritto dominicale sull’area demaniale in questione”.
La Sezione condivide la determinazione reiettiva del giudice di primo grado per le ragioni che di seguito si espongono.
L’articolo 59 del D.P.R. n. 616/1977 dispone che “Sono delegate alle regioni le funzioni amministrative sul litorale marittimo, sulle aree demaniali immediatamente prospicienti, sulle aree del demanio lacuale e fluviale, quando la utilizzazione prevista abbia finalità turistiche e ricreative”.
L’articolo 6 del d.l. n. 400/1993 prevede che “Ove, entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, il Governo non abbia provveduto agli adempimenti necessari a rendere effettiva la delega delle funzioni amministrative alle regioni, ai sensi dell’articolo 59 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, queste sono comunque delegate alle regioni. Da tale termine le regioni provvedono al rilascio ed al rinnovo delle concessioni demaniali marittime, nei limiti e per le finalità di cui al citato articolo 59, applicando i canoni determinati ai sensi dell’art. 4 del presente decreto”.
Osserva la Sezione che dalla normativa sopra citata emerge la delega alle Regioni delle funzioni amministrative sul litorale marittimo e sulle aree demaniali immediatamente prospicienti quando la utilizzazione prevista abbia finalità turistico e ricettiva.
Orbene, la lettura delle sopra indicate disposizioni prevede l’attribuzione delle funzioni amministrative concernente l’uso dei predetti beni demaniali, ma non anche una attribuzione di competenza con riferimento alle questioni relative alla proprietà dei beni medesimi.
Nella specie l’atto di incameramento è fattispecie che rientra nell’esercizio del diritto dominicale, il quale non risulta oggetto di attribuzione alle Regioni, né risulta ricavabile dalla normativa invocata da parte ricorrente la necessità del coinvolgimento della Regione in vicende propriamente relative alla proprietà dei beni demaniali, le quali risultano appartenere alla competenza dello Stato, in quanto proprietario del bene oggetto di concessione.
Deve, di conseguenza, essere condivisa l’affermazione del giudice di primo grado, secondo il quale si è di fronte ad una fattispecie di acquisizione (e non di mero utilizzo) del manufatto, in relazione alla quale l’esercizio del potere provvedimentale era di esclusiva competenza dell’amministrazione titolare dell’originario diritto dominicale sull’area demaniale.
Non si tratta, invero, di questione relativa alla utilizzazione del bene, ma di vicenda diversa, attinente l’acquisizione del manufatto al demanio.
Né, a giudizio del Collegio, risulta corretto affermare che illegittimamente la Capitaneria di Porto si è avvalsa dello strumento concessorio.
Invero, questo è stato utilizzato in quanto art. 49 del codice della navigazione ricollega l’acquisizione alla scadenza della concessione.
Di conseguenza, correttamente l’incameramento è stato disposto con riferimento alla scadenza della concessione e la relativa espressa previsione è stata inserita nell’atto di concessione del 1995.
Con il terzo motivo l’appellante lamenta l’erroneità della sentenza del TAR per non avere positivamente valutato le censure con le quali era stata denunciata la violazione dei principi di correttezza e di buona fede, dei principi in materia di procedimento amministrativo e delle disposizioni della legge n. 241/1990.
Rileva in primo luogo che, ai sensi degli artt. 36 e 49 del Codice della Navigazione e degli articoli 8 e 9 del regolamento attuativo, le opere classificate di “difficile sgombero” devono essere disciplinate con atti formali, mentre le opere “facilmente amovibili” devono essere regolate con licenza.
Aggiunge che il trasferimento de iure delle opere erette dal concessionario marittimo alla Stato non può avvenire automaticamente, essendo necessarie, ex art. 49 del Codice, tre condizioni: che i manufatti siano non amovibili; che l’Autorità non si avvalga della facoltà di ordinare la demolizione delle opere; che la concessione non venga rinnovata.
Quanto al primo elemento, deduce che la valutazione circa l’amovibilità o meno deve essere operata all’esito di una verifica puntuale, che tenga conto di natura e caratteristiche dell’opera; nella specie non si ha notizia della eventuale perizia redatta dall’amministrazione: o non esiste o non se ne ha notizia.
Lamenta che sono stati violati inoltre tutti i principi in materia di procedimento in quanto il concessionario non è stato coinvolto nella classificazione dell’opera.
Mancherebbe, poi, un provvedimento volto a ritirare il precedente provvedimento di “licenza” concesso nel 1995, titolo previsto in presenza di opere facilmente amovibili; in tal modo ci sarebbe pure violazione dei principi di correttezza e buona fede, avendo l’amministrazione utilizzato lo schema della licenza per inserire una clausola (quella di acquisizione) che è incompatibile con tale modello provvedimentale.
Quanto al secondo presupposto, l’appellante rileva che l’incameramento non è automatico, ma presuppone la valutazione circa l’opportunità di demolire i fabbricati.
Quanto alla terza condizione deduce che la concessione non sarebbe scaduta, ma rinnovata.
Il motivo di appello non è meritevole di favorevole considerazione per le ragioni che di seguito si svolgono.
L’articolo 49 del Codice della Navigazione prevede che “Salvo che sia diversamente stabilito nell’atto di concessione, quando venga a cessare la concessione, le opere non amovibili, costruite sulla zona demaniale, restano acquisite allo Stato, senza alcun compenso o rimborso, salva la facoltà dell’autorità concedente di ordinarne la demolizione con la restituzione del bene demaniale nel pristino stato”.
Ciò posto, il Collegio aderisce all’orientamento giurisprudenziale (cfr. Cons. Stato, VI, 28-9-2012, n. 5123; sez. I, 24-1-2012, n. 3522; sez. VI, 14-10-2010) in base al quale l’articolo 49 citato va interpretato nel senso che l’accessione si verifica ipso iure, al termine del periodo di concessione, per le opere non amovibili, costruite su zona demaniale; con la conseguenza che il successivo atto amministrativo, avente il nomen iuris di “incameramento” o altro equivalente, ha natura meramente ricognitiva e di accertamento.
Esso, dunque, consente le ulteriori formalità anche di natura catastale per rendere ostensibili anche ai terzi le situazioni di fatto e di diritto venutesi a creare, ma non è assolutamente necessario affinché l’amministrazione possa essere considerata titolare delle opere costruite su area demaniale.
Da ciò consegue che le dedotte violazioni del principio del contraddittorio, anche ammesso che vi fossero, sarebbero irrilevanti in relazione all’effetto acquisitivo prodottosi ex lege.
Non può, d’altra parte, non ribadirsi che la predetta acquisizione è fatta oggetto, all’interno della concessione del 5 maggio 2005, di espressa clausola, onde era conosciuta dalla società appellante già all’atto della adozione della stessa; con la evidente conseguenza che l’incameramento costituiva effetto automatico, espressamente accettato dalla parte privata, dunque, sotto tale profilo, un atto vincolato, in relazione alla cui adozione alcuna incidenza avrebbe potuto avere la partecipazione del privato al relativo procedimento.
Né può rilevarsi nella specie violazione del principio di buona fede ovvero dell’affidamento, considerandosi l’esistenza della predetta clausola nell’atto di concessione, della quale i privati erano, pertanto, a conoscenza.
Dall’esame degli atti di causa, di poi, non emergono elementi per poter affermare che i signori Lu. e Ma. siano stati coartati alla sottoscrizione della concessione contenente la predetta clausola.
Rileva, inoltre, il Collegio, quanto al carattere di non amovibilità del manufatto, che lo stesso, per come emerge dalla disposta istruttoria, risulta essere già stato accertato da tempo.
Si vedano in proposito il verbale del Gruppo di Lavoro del 29-11-1975 (allegato 2 alla produzione istruttoria della Capitaneria di Porto di Viareggio) nel quale si specifica che il manufatto “Cr.” non può essere considerato “manufatto di non difficile rimozione”, in relazione a “caratteristiche tecniche, costruttive e di utilizzazione”, nonché il successivo verbale della Commissione di Lavoro del 26-10-1976 (allegato 3 alla medesima produzione), redatto a seguito degli esposti redatti anche dall’allora titolare del manufatto “Cr.”.
Da quanto sopra, pertanto, emerge che il carattere di “non amovibilità” fosse stato formalmente accertato e che gli esiti dell’accertamento fossero conosciuti dalla concessionaria del tempo (sig.ra It. Li.) che li aveva contestati senza esito positivo.
Orbene, è proprio tale accertamento che ha condotto l’autorità amministrativa all’inserimento della condizione speciale di cui si è detto all’interno dell’atto concessorio, non omettendosi, altresì, di evidenziare che nell’atto di acquisto di parte dell’immobile da parte dei signori Lu. e Ma. (con atto pubblico del 15-3-1994) viene espressamente precisato che “prende atto la parte acquirente che, così come precisato nella nota della Capitaneria di Porto di Viareggio in data 26 febbraio 1994 protocollo n. 4011, tutte le opere inamovibili costituenti l’intero complesso verranno acquisite dallo Stato allo scadere dei titoli concessori”.
Da quanto sopra emerge, pertanto, che l’incameramento posto in essere dall’amministrazione rivesta carattere di attività consequenziale, vincolata e dovuta, riveniente sia dalla norma di cui all’art. 49, sia dagli atti di accertamento pregressi, sia, in particolare, dallo specifico ed espresso contenuto della concessione.
Ritiene, infine, il Collegio – in disparte i contenuti degli accertamenti tecnici (sopra richiamati) operati dall’amministrazione – che in concreto l’opera di cui trattasi effettivamente non sia di facile amovibilità.
Va, in proposito, preliminarmente operato riferimento alla giurisprudenza della Sezione (sent. n. 3348/2010), la quale attribuisce rilevanza in proposito alla circolare dell’Agenzia del Demanio n. prot. 2007/71/62/DAO del 21-2-2007, la quale definisce “opere inamovibili o di difficile rimozione” “impianti, manufatti, opere aventi struttura stabile, in muratura di cemento armato” o realizzate con sistema misto, “con elementi di prefabbricazione di notevole peso, la cui rimozione comporti necessariamente la distruzione parziale o totale del manufatto e che non ne consente la recuperabilità”.
Ciò posto, si ritiene che il fabbricato per cui è causa rientri nella richiamata categoria.
Invero:
-il testimoniale di stato del 26 febbraio 1998 evidenzia che “Trattasi di un fabbricato in muratura ordinaria elevato su più piani, di cui uno soppalcato, con pavimentazione parte in pietra naturale, parte con mattonelle di gres e parte con moquette, il tutto corredato da ampie terrazze fronte mare”
-la stessa perizia di parte, depositata il 26-1-2016, precisa che “le strutture verticali sono costituite esternamente da murature con elementi di rinforzo ed internamente da colonne in cemento armato, murature e tramezzi in laterizio…”, riferendo pure della esistenza di “sottostanti fondazioni”.
Sulla base di tali elementi costruttivi e dei contenuti della circolare sopra richiamata, deve, pertanto, ritenersi che il manufatto non risulti opera di facile rimozione e, pertanto, rientri nella categoria prevista dall’articolo 49 del Codice della Navigazione.
La sua rimozione, invero, ne comporta, in relazione alle caratteristiche costruttive sopra evidenziate, la distruzione, senza consentirne la recuperabilità.
Né può ritenersi, a suffragio della tesi di parte appellante, il richiamo, operato nella citata perizia di parte, all’articolo 1 del Decreto del Presidente della Giunta Regionale 24-9-2013 n. 52/R, trattandosi di atto adottato in epoca ben successiva al disposto incameramento e, di conseguenza, non applicabile alla relativa vicenda.
Ritiene, inoltre, la Sezione, che non sia condivisibile la proposta censura di violazione del canone della buona fede per avere l’amministrazione utilizzato lo schema della licenza per introdurre una clausola tipica delle opere non amovibili (che richiedevano, invece, l’atto formale).
Si osserva in proposito che la clausola di acquisizione allo Stato, contenuta nel provvedimento abilitativo del 2005, risulta chiara ed intellegibile al destinatario, a prescindere dal modulo utilizzato, onde non vi è ragione per ritenere che lo stesso non ne abbia compreso il significato e la portata.
Né risulta dirimente il richiamo agli art. 36 del Codice della Navigazione e agli artt. 7 e 8 del Regolamento di attuazione, considerandosi che dalla loro lettura emerge che si è comunque di fronte ad un atto concessorio, disciplinandosene in maniera diversa solo la forma e la competenza.
Orbene, ritiene il Collegio che dall’utilizzo di un diverso modulo formale il privato non possa essere tratto in inganno quando, come nella specie, sia presente nel provvedimento una clausola di incameramento espressa e dal contenuto inequivocabile.
Quanto alla censura relativa all’invocato presupposto “che l’Autorità non si avvalga della facoltà di ordinare la demolizione dell’opera”, rileva il Collegio che la stessa non può essere oggetto di favorevole considerazione, evidenziandosi che, in base alla lettera dell’articolo 49 del Codice della Navigazione, questa è una facoltà riservata alla p.a. (non un obbligo della stessa), onde l’amministrazione può liberamente scegliere di non esercitarla ed il privato non ha alcun interesse o legittimazione a contestare le determinazioni assunte in proposito.
Quanto, invece, alla circostanza che la concessione era ancora in corso, valgono, ad evidenziarne l’irrilevanza nella vicenda in esame le considerazioni svolte nella disamina del primo motivo di appello, alle quali si rinvia.
Può a questo punto passarsi all’esame dell’appello con riferimento alla parte della gravata sentenza di primo grado che ha deciso il ricorso n. 2051 del 2007.
Con il primo motivo la società Gr. Me.Cr. censura la sentenza nella parte in cui non ha accolto il motivo di ricorso secondo cui l’immobile non poteva considerarsi pertinenza demaniale, sia in via derivata, per effetto delle censure sollevate con l’altro ricorso, sia per effetto della sospensiva accordata dal TAR.
Erroneamente il giudice di primo grado avrebbe rilevato, poi, che la concessione del 2006 non era stata impugnata tempestivamente, giacché essa non era lesiva per il concessionario ed era stata impugnata, per quanto possa occorrere, solo laddove individuava l’oggetto anche in un manufatto di proprietà dello Stato e dove riferiva dell’impegno a corrispondere eventuali conguagli che fossero dovuti in dipendenza dell’adozione di provvedimenti legislativi.
Rileva, quanto alla prima previsione, che il contenuto della concessione è meramente confermativo della precedente e, quanto al secondo, che la clausola non aveva contenuto precettivo ma solo eventuale.
Il motivo di appello non è meritevole di favorevole considerazione per le ragioni che di seguito si espongono.
Va in primo luogo evidenziato che la ritenuta infondatezza dell’appello in relazione al primo ricorso avverso la scadenza concessione e l’incameramento delle opere tra le pertinenze demaniali determina l’infondatezza anche della doglianza di illegittimità derivata.
Quanto alla avvenuta sospensiva concessa dal TAR, è vero, come afferma il giudice di primo grado, che la sospensiva riguardava il solo provvedimento di incameramento e non anche la concessione demaniale del 1995.
Ciò posto, non può sostenersi che la sospensione dell’atto di incameramento non avrebbe dovuto far ritenere l’opera pertinenza demaniale e non avrebbe, di conseguenza, potuto portare all’applicazione dell’aumento del canone proprio delle pertinenze demaniali.
Va, invero, osservato, che l’oggetto della concessione del 2006 è individuato anche nel “manufatto di proprietà dello Stato”, onde tale espresso oggetto determina, ai fini del computo del canone, la considerazione dell’opera in termini di pertinenza demaniale.
Sotto tale profilo, la concessione era immediatamente lesiva ed andava impugnata tempestivamente, facendo valere l’illegittimità del suo oggetto.
Pertanto, consolidatosi il provvedimento per mancata tempestiva impugnazione ed essendo lo stesso efficace, non potevano essere vagliate tali illegittimità e, di conseguenza, quelle relative all’entità del nuovo canone, le quali riposavano sull’oggetto della concessione del 2006 che la individuava in un immobile di proprietà dello Stato e, dunque, di una pertinenza demaniale.
Né poteva avere ingresso il ritenuto calcolo del canone avendo riguardo alla fattispecie degli “impianti di difficile rimozione”, risultando la concessione avere ad oggetto una “pertinenza demaniale”.
La statuizione reiettiva del giudice di primo grado deve, dunque, per le ragioni sopra svolte essere confermata.
Con il secondo motivo l’appellante ripropone le questioni relative alla violazione del principio comunitario dell’affidamento, alla inapplicabilità nel caso di specie della disciplina di cui all’art. 1, comma 251, della legge n. 296/2006 nonché alla irretroattività della medesima.
Deduce che tale nuova disciplina non può che applicarsi alle sole concessioni rilasciate o rinnovate successivamente alla sua entrata in vigore.
Tanto emergerebbe dall’analisi delle precedenti disposizioni adottate in materia di aumento dei canoni, dalla lettera della disposizione e dal fatto che il legislatore, quando ha voluto affermare la retroattività della nuova disciplina, lo ha fatto formulando apposita previsione normativa.
Evidenzia, dunque, che alla luce di un excursus sulla evoluzione della disciplina in materia di determinazione dell’importo dei canoni demaniali, emerge che la nuova normativa di volta in volta introdotta, non è stata riferita ai rapporti in essere al momento della relativa entrata in vigore.
Lamenta ancora che l’interpretazione della Finanziaria 2007 fatta propria dalla p.a. si pone in manifesto contrasto con i principi costituzionali di ragionevolezza e di affidamento, tenuto conto dello spropositato aumento del canone e delle spese sostenute, evidenziando che la società verrebbe così privata di ogni reddito.
La gravata sentenza così motiva sul punto.
“La determinazione del canone da parte del Comune costituisce atto dovuto, in applicazione delle disposizioni contenute nella cd. legge finanziaria per il 2007 (la legge n. 296/2006), avvenuta da parte dell’ente locale in conformità ai criteri adottati dall’Agenzia del Demanio, sicché, a fronte di atti applicativi di specifiche disposizioni legislative e/o normative le posizioni dei privati si rivelano del tutto recessive; inoltre, i pur considerevoli importi dei canoni da corrispondersi da parte dei concessionari demaniali, come derivanti dal nuovo calcolo “voluto” dal legislatore nazionale, in realtà vanno a compensare i casi di scarsa entità di canoni in precedenza stabiliti e pagati per l’utilizzazione di beni demaniali di non poca consistenza, per non dire poi che la previsione di una revisione dei canoni era già da tempo nota agli operatori del settore, per essere stata la stessa più volte rinviata. Con altre censure sussumibili sotto le figure della violazione e falsa applicazione delle disposizioni legislative recate dalla citata legge finanziaria del 2007 e di violazioni di canoni costituzionali di cui agli artt. 3, 41, 97, parte ricorrente lamenta l’illegittimità dell’atto nonché della norma a monte che lo regge (l’art. 1 della legge n. 296/2006) lì dove imprimono all’adeguamento del canone effetti retroattivi, non consentiti. Sulla questione qui sollevata la Sezione ha già avuto recentemente modo di prendere posizione (vedi sentenza n. 1442 del 13-3-2008) lì dove ha statuito che ai fini della commisurazione dei canoni introdotta dalla legge n. 296/2006 “il presupposto è costituito dall’esistenza alla data dell’1-1-2007 di pertinenze demaniali marittime, indipendentemente dal momento del rilascio della concessione, antecedente o successiva all’entrata in vigore della citata legge n. 296/2006″ e tale norma non pare sia affetta da vizi di irrazionalità, né viola i principi di uguaglianza e di imparzialità dell’azione amministrativa”.
La Sezione condivide la determinazione reiettiva del giudice di primo grado per le ragioni che di seguito si espongono.
L’applicabilità della disposizione della legge 296/2006 anche alle concessioni in corso e non solo a quelle rilasciate a partire dal 1° gennaio 2007 è stata già affermata dalla giurisprudenza di questo Consiglio (cfr. Cons. Stato, VI, n. 3196 del 10-6-2013; sez.I, 24-1-2012, n. 3522), orientamento dal quale il Collegio non ritiene di discostarsi.
E’ stato, invero, chiarito che l’articolo 1, comma 251 della citata legge prevede che i nuovi criteri di quantificazione dei canoni si applichino a partire dal 1° gennaio 2007, ma non prevede, né implica alcuna limitazione in relazione al momento di rilascio della concessione, limitazione che sarebbe, a ben vedere, ingiustificata sia rispetto al fine della norma, sia contraria alla parità di trattamento tra i concessionari. La disposizione ha, invero, incidenza anche sui rapporti in corso, in corrispondenza ad una lettura della norma rispondente al dato testuale e alla finalità di interesse pubblico sottese, tenuto conto dei poteri riconosciuti all’ente proprietario nei confronti dei concessionari, nonché dell’esigenza di trarre dall’uso dei beni pubblici proventi non irrisori, da porre a servizio della collettività.
In tal senso si è espressa pure la Corte costituzionale con sentenza n. 302 del 22-10-2010, della quale è utile riportare i contenuti a confutazione delle censure dedotte dall’appellante.
In essa si legge quanto segue.
“Innanzitutto si deve prendere in esame la censura basata sulla presunta lesione dell’affidamento dei cittadini nella sicurezza dei rapporti giuridici che deriverebbe dall’incidenza sui rapporti in corso dei nuovi criteri di determinazione dei canoni concessori. A tal proposito, giova ricordare come questa Corte abbia chiarito che “nel nostro sistema costituzionale non è affatto interdetto al legislatore di emanare disposizioni le quali vengano a modificare in senso sfavorevole per i beneficiari la disciplina dei rapporti di durata, anche se l’oggetto di questi sia costituito da diritti soggettivi perfetti….Unica condizione essenziale è che tali disposizioni non trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi precedenti, l’affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica, da intendersi quale elemento fondamentale dello stato di diritto”….Nel caso oggetto del presente giudizio, la variazione dei criteri di calcolo dei canoni dovuti dai concessionari di beni demaniali, in particolare di beni appartenenti al demanio marittimo, non è frutto di una decisione improvvisa ed arbitraria del legislatore, ma si inserisce in una precisa linea evolutiva della disciplina di utilizzazione dei beni demaniali. Alla vecchia concezione statica e legata ad una valutazione tabellare e astratta del valore del bene, si è progressivamente sostituita un’altra, tendente ad avvicinare i valori di tali beni a quelli di mercato, sulla base cioè delle potenzialità degli stessi di produrre reddito in un contesto specifico. Tale processo evolutivo è in corso da diversi decenni ed ha indotto questa Corte ad osservare che gli interventi legislativi, volti ad adeguare i canoni di godimento dei beni pubblici, hanno lo scopo, conforme agli artt. 3 e 97 Cost., di consentire allo Stato una maggiorazione delle entrate e di rendere i canoni più equilibrati rispetto a quelli pagati in favore di locatori privati (sentenza n. 88 del 1997). Del resto, un consistente aumento dei canoni in questione era già stato disposto dall’art. 32, commi 21, 22 e 23, del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269…, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 24 novembre 2003, n. 326. La concreta applicazione degli aumenti disposti dalle norme citate è stata successivamente rinviata sino a quando la legge finanziaria del 2007 (art. 1, comma 256) ha disposto la loro abrogazione, mentre contestualmente introduceva i nuovi criteri di calcolo. Questi ultimi hanno sostituito gli aumenti generalizzati dei canoni annui per concessioni demaniali marittime, disposti con il citato d.l. n. 269/2003, con un nuovo meccanismo che incide soprattutto sulle aree maggiormente produttive di reddito, cioè quelle su cui insistono pertinenze destinate ad attività commerciali, terziario-direzionali e di produzione di beni e servizi. Non si può, dire, pertanto, che l’aumento dei canoni, disposto dalla previsione legislativa censurata, sia giunto inaspettato, giacché esso si è sostituito ad un precedente aumento, di notevole entità, non applicato per effetto di successive proroghe, ma rimasto tuttavia in vigore sino ad essere rimosso, a favore di quello vigente, dalla norma oggetto di censura. Né l’incremento può essere considerato frutto di irragionevole arbitrio del legislatore, tale da indurre questa Corte a sindacare una scelta di indirizzo politico-economico, che sfugge, in via generale, ad una valutazione di legittimità costituzionale. Si tratta infatti di una linea di valorizzazione dei beni pubblici, che mira ad una loro maggiore redditività per lo Stato, vale a dire per la generalità dei cittadini, diminuendo proporzionalmente i vantaggi dei soggetti particolari che assumono la veste di concessionari. Si deve ricordare in proposito la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea, laddove sottolinea che una mutazione dei rapporti di durata deve ritenersi illegittima quando incide sugli stessi “in modo improvviso e imprevedibile”, senza che lo scopo perseguito dal legislatore ne imponesse l’intervento (sentenza 29 aprile 2004, in cause C-487/01 e C-7/02). Per i motivi illustrati sopra, l’intervento del legislatore non è stato né improvviso e imprevedibile, né ingiustificato rispetto allo scopo di assicurare maggiori entrate all’erario e di perequare le situazioni di soggetti che svolgono attività commerciali, avvalendosi di beni pubblici, e quelle di altri soggetti che svolgono le identiche attività, ma assoggettati ai prezzi di mercato relativi all’utilizzazione di beni di proprietà privata…..”.
Sulla base delle considerazioni tutte sopra svolte, dunque, il motivo di appello è infondato.
In conclusione, dunque, l’appello deve essere rigettato in quanto infondato.
Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
Le spese del grado seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo in favore del Ministero appellato e dell’Agenzia del Demanio, mentre nulla è dovuto al Comune di (omissis), attesa la sua mancata costituzione in giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta e, per l’effetto, conferma la sentenza di primo grado.
Condanna la società appellante al pagamento, in favore del Ministero dell’Economia e delle Finanze e dell’Agenzia del Demanio, delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano in complessivi euro 2500, oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 gennaio 2017 con l’intervento dei magistrati:
Sergio Santoro – Presidente
Bernhard Lageder – Consigliere
Vincenzo Lopilato – Consigliere
Francesco Mele – Consigliere, Estensore
Francesco Gambato Spisani –
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