Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 3 febbraio 2017, n. 463

Ai fini della concessione del condono edilizio ricade sul privato l’onere della prova rigorosa in ordine alla ultimazione delle opere edilizie, dal momento che solo l’interessato può fornire inconfutabili atti, documenti ed elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione di un manufatto e, in difetto di tali prove, resta integro il potere dell’amministrazione di negare la sanatoria dell’abuso e il suo dovere di irrogare la sanzione demolitoria

Consiglio di Stato

sezione IV

sentenza 3 febbraio 2017, n. 463

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Quarta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 255 del 2009, proposto dal signor Ca. Gi. Ro., rappresentato e difeso dagli avvocati Lu. Co. e Ga. Pa., con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, (…), sc. (…) e, in riassunzione, dalle signore Fe. Ca. e altre, tutte nella qualità di eredi di Ca. Gi. Ro., rappresentate e difese dagli avvocati Ga. Pa. e Lu. Co., con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, viale (…);

contro

il Comune di (omissis), in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Ca. Di Gi. e Ma. Bo., con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, piazza (…);

la signora Va. Iv., rappresentata e difesa dagli avvocati Ro. Da. e Lu. Fe. Vi., con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via (…);

per la riforma

della sentenza del T.a.r. per la Liguria, sez. I, n. 1862 del 29 ottobre 2008, resa tra le parti e concernente diniego di condono edilizio per cambio destinazione d’uso di un immobile abusivo realizzato dall’appellante.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del comune di (omissis) e della signora Iv. Va.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 gennaio 2017 il Consigliere Carlo Schilardi e uditi per le parti l’avvocato Pa. e l’avvocato Ma. su delega dell’avvocato Di Gi.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1.- Il sig. Gi. Ro. Ca., in data 22 settembre 1999 presentava al Comune di (omissis) istanza per il rilascio di una concessione edilizia avente ad oggetto l’ampliamento di un fienile e la costruzione di una serra e di un magazzino, su un’area di sua proprietà, ricompresa nel P.R.G. in zona (omissis).

In data 10 settembre 2001 il Comune rilasciava la concessione edilizia n. 16813 e, a seguito della demolizione delle pareti che vennero ricostruite con una traslazione di pochi centimetri dell’area di sedime, rilasciava al sig. Ca., in data 2 ottobre 2002, una concessione parzialmente in sanatoria, confermando la qualificazione dell’intervento come ristrutturazione e l’originaria destinazione non abitativa dei manufatti.

Con istanza del 3 dicembre 2004, il sig. Gi. Ro. Ca. chiedeva il cambio di destinazione d’uso in abitativo dei manufatti realizzati (fienile, magazzino e serra), allegando una autodichiarazione ex art. 47 del D.P.R. n. 445/2000, con la quale attestava che le opere erano state tutte ultimate entro il 31 marzo 2003.

Il Comune di (omissis), ritenendo che il termine di ultimazione dei lavori dichiarato dal sig. Gi. Ro. Ca. non fosse attendibile in virtù di precedenti dichiarazioni e atti acquisiti nell’ambito del procedimento, chiedeva allo stesso, con nota del 2 marzo 2005, chiarimenti in merito.

Il sig. Ca. presentava, allora, un parere legale dell’avv. Co., con il quale veniva affermato che l’intervento in questione sarebbe dovuto essere qualificabile ab origine come “nuova costruzione”, in quanto il fienile era stato demolito e ricostruito con uno spostamento dell’area di sedime e, conseguentemente, ai sensi dell’art. 31 comma 2, della legge n. 47/1985, l’ultimazione delle nuove costruzioni sarebbe avvenuta con l’esecuzione del rustico e la realizzazione della copertura alla data del 31.3.2003.

Il Comune, con provvedimento n. 3755 del 6 marzo 2007, respingeva la domanda di condono, rilevando che la richiesta del sig. Ca. non aveva i requisiti per essere assentita, tenuto conto che la concessione della sanatoria era possibile soltanto per le opere abusive ultimate entro il 31.3.2003, mentre a tale data le opere avviate dal sig. Ca. non risultavano ancora ultimate; circostanza provata dalla dichiarazione di ultimazione lavori del 29 luglio 2003 e dalla documentazione del direttore dei lavori, della ditta esecutrice e dei tecnici abilitati che il Comune aveva acquisito nel corso dell’istruttoria.

1.1. Avverso il provvedimento comunale di rigetto dell’istanza di sanatoria, il sig. Gi. Ro. Ca. proponeva ricorso al T.A.R. per la Liguria.

A sostegno del ricorso il sig. Ca. lamentava l’omessa acquisizione da parte dell’amministrazione del parere della Commissione edilizia, l’errata qualificazione giuridica dell’intervento abusivo, inteso come nuovo edificio ultimato al rustico entro la data utile per fruire della sanatoria, e, in ultimo, l’adozione della sanzione della demolizione in luogo di quella pecuniaria.

Nelle more del giudizio il Comune avviava il procedimento sanzionatorio previsto dal D.P.R. n. 380/2001, che si concludeva con il provvedimento n. 147 del 31 dicembre 2007, con cui l’amministrazione ordinava al sig. Ca. di rimuovere l’abuso e di ripristinare la destinazione d’uso dei manufatti trasformati abusivamente in abitazione.

Anche tale provvedimento veniva impugnato dal sig. Ca. con motivi aggiunti al ricorso originario.

Si costituiva in giudizio il Comune di (omissis) ed interveniva ad opponendum la sig.ra Iv. Va., proprietaria di un complesso immobiliare confinante con l’area del sig. Gi. Ro. Ca..

1.2. Il T.a.r. per la Liguria, con sentenza n. 1862 del 29 ottobre 2008, ha rigettato il ricorso ritenendo infondate tutte le doglianze proposte, dopo aver osservato che l’acquisizione del parere della Commissione edilizia non era necessaria in assenza di un presupposto di fatto per l’ammissibilità della sanatoria (nel caso in esame i lavori erano stati ultimati oltre il termine perentorio del 31 marzo 2003) e la sanzione demolitoria irrogata era corretta, a termini del combinato disposto degli artt. 31 e 32, comma 1, lett. a) del D.P.R. n. 380/2001.

1.3. Avverso la sentenza del T.A.R. il sig. Gi. Ro. Ca. ha proposto appello.

1.4. Si è costituito in giudizio il Comune di (omissis) che ha chiesto di rigettare l’appello.

1.5. La sig.ra Iv. Va., inizialmente costituita in giudizio con atto del 14 gennaio 2009, ha dichiarato di rinunciare alla propria costituzione in data 22 febbraio 2011.

1.6. A seguito del decesso del sig. Gi. Ro. Ca., hanno depositato presso la segreteria di questa sezione, in data 19 gennaio 2016, atto di riassunzione dell’appello – regolarmente notificato al Comune di (omissis) appellato – le signore Fe. Ca. e altre, nella qualità di eredi del sig. Gi. Ro. Ca..

1.7. All’udienza pubblica del 26 gennaio 2017 la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

2.- Per motivi di organicità nella trattazione, il Collegio ritiene utile procedere prima ad esaminare il secondo, terzo e quarto motivo di appello.

2.1. Con il secondo motivo gli appellanti lamentano l’erroneità della sentenza del T.A.R., laddove il Tribunale ha ritenuto che non sia intervenuta, da parte dell’Amministrazione, alcuna violazione dell’art. 31, comma 2, della legge n. 47/1985.

Gli appellanti sostengono che il provvedimento del Comune sia illegittimo per non aver inteso qualificare l’intervento edilizio de quo, come “nuova costruzione residenziale” e ciò in considerazione del fatto che il fienile era stato abbattuto e ricostruito con la sua traslazione, sia pure di pochi centimetri, dall’originaria area di sedime.

2.2. – Con il terzo motivo di censura gli appellanti sostengono che le opere abusive dovevano ritenersi ultimate entro il 31.3.2003, atteso che l’art. 31, comma 2, della legge n. 47/1985, dispone che per ultimazione deve intendersi il “completamento funzionale” e cioè la definizione della struttura esterna e la predisposizione dei soli elementi essenziali interni e non anche il completamento finale di tutti i lavori.

2.3. – Gli appellanti lamentano, infine, l’illegittimità del diniego sulla richiesta di sanatoria, per omessa istruttoria, non essendo stata accertata la reale e sostanziale situazione dello stato dei lavori al 31 marzo 2003.

3. Tutte le riportate censure sono infondate.

3.1. Correttamente i giudici di prima istanza hanno ritenuto che in ordine alla “definizione” dell’intervento, non poteva essere presa in considerazione che quella risultante dall’istanza di condono e sulla base di essa il provvedimento del Comune risultava immune dal vizio dedotto.

L’istanza di condono circoscrive i fatti su cui l’amministrazione è chiamata a pronunciarsi, con la conseguenza che l’istante non poteva mutare la prospettazione dei fatti per indurre il Comune al rilascio della sanatoria.

Il sig. Gi. Ro. Ca., invero, dapprima ha presentato un’istanza per “ristrutturazione edilizia” e cambio di destinazione d’uso in abitativo dei manufatti e solo successivamente l’intervento in questione è stato da lui qualificato come “nuova costruzione”.

La stessa concessione in sanatoria del 2.10.2002, rilasciata per sanare la demolizione abusiva del fienile, autorizzava il “completamento delle opere di ampliamento del fienile e la costruzione di una piccola serra”, ma sempre nell’ambito della ristrutturazione edilizia già consentita, sussumendo che lo spostamento di pochi centimetri di sedime non rendeva necessario modificare l’autorizzazione alla ristrutturazione già rilasciata, in permesso di nuova costruzione.

Il sig. Gi. Ro. Ca., inoltre, nell’autodichiarazione resa ex art. 47 del D.P.R. n. 445/2000, allegata alla domanda di condono, ha dichiarato di aver effettuato una ristrutturazione con ampliamento.

E come precisato dal Comune, anche dopo il 31.3.2003 i manufatti in questione hanno conservato il carattere non abitativo, alla luce delle dichiarazioni rese dai direttori dei lavori geom. Pe. e ing. Pi. i quali, in data 29.7.2003, hanno comunicato la fine dei lavori riguardanti il fienile, il magazzino e la serra, alla data del 25.7.2003. In data 1.8.2003, essi hanno attestato, ancora, che le opere eseguite (fienile, magazzino e serra) erano conformi ai progetti presentati e ai titoli edilizi rilasciati, senza evidenziare il cambio della loro destinazione d’uso ad abitazione e in data 16.9.2003 davano atto che per il fienile e il locale serra sussisteva l’agibilità ed nel certificato di collaudo statico redatto dall’ing. Ca. in data 25.7.2003, le opere venivano espressamente descritte come fienile, magazzino e serra.

Nella richiesta di rilascio del certificato di agibilità presentata in data 29.7.2003, infine, il sig. Gi. Ro. Ca. descriveva le opere come fienile, magazzino e serra e, così, nel certificato di agibilità rilasciato dal Comune in data 8.9.2003 il riferimento è ad opere non abitative.

3.2. Tutta la menzionata documentazione prodotta dalla difesa del Comune, obbliga a concludere che l’intervento di ristrutturazione e ampliamento assentito è rimasto tale (quindi, non con finalità abitative) ben dopo il termine ultimo del 31.3.2003, in base al quale, per le opere abusive ultimate (e asseritamente modificate nella destinazione d’uso), gli appellanti avrebbero potuto beneficiare del condono edilizio.

Né il loro contenuto documentale può essere smentito dalle dichiarazioni rese successivamente al luglio 2003, con cui il direttore dei lavori e la ditta interessata attestano, ora per allora, che alla data del 31.3.2003, all’interno delle opere realizzate erano stati installati l’impianto elettrico e quello idrico, peraltro potenzialmente compatibili con qualunque destinazione d’uso dell’immobile.

Come evidenziato dal T.A.R., quanto dichiarato dal sig. Gi. Ro. Ca. nell’istanza di condono ex art. 47 del D.P.R. n. 445/2000 “integra a tutti gli effetti la c.d. “contra se pronuntiatio” sull’entità effettiva delle opere realizzate, oggetto della sanatoria legale (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 5553/2012 che evidenzia anche l’irretrattabilità della dichiarazione resa in sede di condono).

Giova evidenziare, infatti, che ai fini della concessione del condono edilizio ricade sul privato l’onere della prova rigorosa in ordine alla ultimazione (con difforme destinazione d’uso) delle opere edilizie, dal momento che solo l’interessato può fornire inconfutabili atti, documenti ed elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione di un manufatto e, in difetto di tali prove, resta integro il potere dell’amministrazione di negare la sanatoria dell’abuso e il suo dovere di irrogare la sanzione demolitoria (Consiglio di Stato sez. IV, n. 3509 del 2016; 2911 del 2016; 29 maggio 2014 n. 2782).

3.3. In ogni caso, anche se si fosse trattato (e ciò non è) di nuova costruzione e non di ristrutturazione edilizia, è provato che alla data del 31.3.2003, non era ancora stata effettuata la copertura della serra, i cui lavori sono iniziati solo dopo il rilascio della concessione edilizia in variante n. 6644 del 22.5.2003 (cfr. in tema di completamento funzionale: Cons. Stato, sez. IV, n. 2911/2016 e n. 3509/2016 cit.).

3.4. Venuta meno la condonabilità dell’intervento edilizio, evidentemente infondato risulta il quarto motivo di censura, con cui gli appellanti lamentano che il T.A.R. avrebbe errato nel ritenere che il mutamento di destinazione d’uso da agricolo ad abitativo senza titolo “integra illecito edilizio di cui al combinato disposto degli artt. 31 e 32, comma 1, lett. a) del D.P.R. n. 380/2001, sanzionato con la misura ripristinatoria”.

Il Collegio osserva, infatti, che in giurisprudenza è stato evidenziato che l’applicazione della sanzione pecuniaria ha carattere residuale (cfr. Cons. Stato, sez. VI, n. 1793 del 2012; n. 4577 del 2013) e, ai fini della legittimità dell’ordine di demolizione che è finalizzato a ripristinare la legalità violata, l’amministrazione è tenuta al solo accertamento dell’abusività dell’opera, senza essere onerata di propedeutiche e complesse verifiche tecniche sulle eventuali difficoltà che possano sopravvenire durante la fase esecutiva della demolizione.

L’Amministrazione, pertanto, non può a priori applicare all’abuso l’art. 33 del D.P.R. n. 380/2001, atteso che solo laddove il ripristino dello stato dei luoghi non risulti oggettivamente possibile, è applicabile una sanzione pecuniaria (pari al doppio dell’aumento di valore dell’immobile).

4. Il Collegio può, quindi, procedere ad esaminare il motivo di censura residuo (articolato per primo), con il quale gli appellanti lamentano l’erroneità della sentenza del T.a.r. laddove ha ritenuto che l’Amministrazione non fosse tenuta ad acquisire il preventivo parere della Commissione edilizia.

Orbene, sulla base di quanto evidenziato, non può dubitarsi che nel caso di specie era assente un presupposto “obiettivo e conclamato” perché potesse essere accolta l’istanza di condono e cioè l’ultimazione dei lavori “abusivi” nel termine fissato dalla legge, alla luce della qualificazione data all’intervento edilizio e ai tempi di esecuzione e completamento dei lavori.

La specialità del procedimento di condono edilizio e l’assenza di una specifica previsione in ordine alla necessità di acquisire il parere della Commissione edilizia per il rilascio della relativa concessione in sanatoria (c.d. straordinaria o condono) ne escludono, inoltre, l’obbligatorietà, rendendone, tutt’al più, facoltativo il ricorso, nei casi in cui l’Amministrazione ritenga necessario acquisire informazioni e valutazioni con riguardo a particolari casi incerti e complessi. In assenza di ciò il rilascio della concessione in sanatoria è subordinato alla semplice verifica dei presupposti e delle condizioni espressamente e chiaramente fissati dal legislatore (Cons. Stato, sez. V, n. 2451 del 2014; sez. IV, 6 luglio 2012 n. 3969 e Tribunale Superiore Acque pubbliche n. 124 del 2015).

5. Conclusivamente l’appello è infondato e va respinto.

6. Le spese di giudizio seguono la regola della soccombenza e, tenuto conto dei parametri stabiliti dal regolamento 10 marzo 2014, n. 55 e dell’art. 26, co. 1, c.p.a., sono liquidate come da dispositivo.

7. Il Collegio rileva, inoltre, che la pronuncia di irricevibilità dell’appello si basa, come dianzi illustrato, su ragioni manifeste, e cioè sull’applicazione di norma da lungo tempo in vigore e certamente applicabile alla fattispecie esaminata, in modo da integrare i presupposti applicativi dell’art. 26, comma 1, cod. proc. amm. secondo l’interpretazione che ne è stata data dalla giurisprudenza di questo Consiglio (cfr. sez. IV, n. 2200 del 2016; sez. V, n. 5757 del 2014; cui si rinvia ai sensi degli artt. 74 e 88, comma 2, lettera d), cod. proc. amm. anche in ordine alle modalità applicative ed alla determinazione della misura indennitaria).

Le conclusioni cui è pervenuta la giurisprudenza del Consiglio di Stato sul punto in esame sono state, nella sostanza, recepite dalla novella recata all’art. 26 cod. proc. amm. dal decreto-legge 24 giugno 2014, nr. 90, e in particolare:

a) l’art. 26, comma 1, che rinviava (e rinvia) all’art. 96 cod. proc. civ., prevedeva la condanna, su istanza di parte, al risarcimento del danno se la parte ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave (art. 96, comma 1, cod. proc. civ.), nonché la condanna anche d’ufficio in favore dell’altra parte, di una somma equitativamente determinata;

b) il d.l. nr. 90 del 2014 ha inciso sia sull’art. 26, comma 1, cod. proc. amm., in termini generali applicabile per tutti i riti davanti al giudice amministrativo, sia sull’art. 26, comma 2, cod. proc. amm., in termini specifici applicabile solo per il rito in materia di appalti;

c) sebbene l’art. 26, comma 1, cod. proc. amm. continui a richiamare l’art. 96 cod. proc. civ. in tema di lite temeraria, esso detta ora una regola più specifica, stabilendo che in ogni caso il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, in favore della controparte, di una somma equitativamente determinata, comunque non superiore al doppio delle spese liquidate, in presenza di motivi manifestamente infondati.

8. La condanna dell’originaria parte ricorrente ai sensi dell’art. 26 c. p.a. rileva, infine, anche agli effetti di cui all’art. 2, comma 2-quinquies, lettere a) e d), della legge 24 marzo 2001, nr. 89, come da ultimo modificato dalla legge 28 dicembre 2015, nr. 208.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

(Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna l’appellante al pagamento, in favore del Comune di (omissis), di spese e onorari del presente grado di giudizio che liquida in € 5.000,00 (cinquemila) oltre agli accessori di legge (15% a titolo rimborso spese generali, I.V.A. e C.P.A.).

Condanna altresì l’appellante, ai sensi dell’art. 26, comma 1, cod. proc. amm., al pagamento in favore del Comune di (omissis) dell’ulteriore somma di € 1.000,00 (mille).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 gennaio 2017 con l’intervento dei magistrati:

Vito Poli – Presidente

Luigi Massimiliano Tarantino – Consigliere

Carlo Schilardi – Consigliere, Estensore

Leonardo Spagnoletti – Consigliere

Luca Lamberti – Consigliere

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *