La situazione di indigenza non è di per sé idonea ad integrare la scriminante dello stato di necessità per difetto degli elementi dell’attualità e dell’inevitabilità del pericolo, atteso che alle esigenze delle persone che versano in tale stato è possibile provvedere per mezzo degli istituti di assistenza sociale

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE IV PENALE

SENTENZA 13 febbraio 2017, n.6635

Ritenuto in fatto

La Corte di Appello di Torino, pronunciando nei confronti dell’odierna ricorrente S. J., con sentenza del 14/6/2016, confermava la sentenza del 2/10/2014 del Tribunale di Torino, in composizione monocratica, che, all’esito di giudizio abbreviato, l’aveva condannata per il reato di tentato furto aggravato ex art. 625 n. 2 cod. pen. – così qualificati i fatti originariamente contestati come furto consumato- di sei pezzi di parmigiano, sottratti al centro commerciale Auchan di c.so Romania, in Torino, il 30/9/2014, dopo avere divelto le placche antitaccheggio ed avere nascosto la merce in una borsa di stoffa mentre passava alle casse dove presentava altra merce per il pagamento.

Il compendio probatorio si basava sulle dichiarazioni del direttore dell’esercizio commerciale e dell’addetto alla sicurezza, che avevano notato la donna davanti agli scaffali prelevare i sei pezzi di formaggio e metterseli nella borsa; veniva poi vista consegnare alle casse una bottiglia di acqua, una di birra ed un succo di frutta per il pagamento. La stessa, una volta fermata, ammetteva di avere rubato il formaggio per poterlo rivendere e guadagnare denaro per affrontare le esigenze di vita. Sulla base di queste risultanze veniva affermata la penale colpevolezza dell’imputata e le veniva inflitta la pena di mesi due di reclusione ed Euro 400 di multa, con le circostanze attenuanti generiche bilanciate con l’aggravante ritenuta.

Avverso la sopraindicata pronuncia di secondo grado ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, la S., deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen..

Con un primo motivo deduce violazione di legge, per errata interpretazione dell’art. 54 cod. pen. chiedendo dichiararsi la nullità della sentenza, non avendo la Corte territoriale accolto il motivo di gravame con cui si chiedeva di riconoscere all’imputata di avere agito in stato di necessità in quanto indigente e non in grado di procurarsi altrimenti quanto necessario per sopravvivere.

A sostegno del proprio assunto la ricorrente si riporta all’arresto giurisprudenziale di cui alla sentenza 18248/2016 di questa Corte di legittimità.

Con un secondo motivo deduce vizio motivazionale in relazione al mancato riconoscimento della circostanza attenuante del danno lieve di cui all’art. 62 n. 4 cod. pen. sull’assunto che la gravità del danno andava interpretata avendo come riferimento la tipologia dell’esercizio commerciale in cui era avvenuta la sottrazione. E in ragione di ciò si sarebbe dovuto tenere conto che un importo di 82 Euro circa -tal era il valore commerciale della merce sottratta- costituisce ben poca cose per il supermercato vittima del furto.

Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.

Considerato in diritto

I motivi sopra illustrati appaiono manifestamente infondati e, pertanto, il proposto ricorso va dichiarato inammissibile.

L’odierno ricorso propone due temi ricorrenti nell’ambito dei delitti contro il patrimonio in generale, e nello specifico, dei furti di generi di prima necessità presso esercizi commerciali della grande distribuzione.

Il primo attiene a quei casi in cui si adduce che il furto sia stato commesso per procurarsi il necessario per il proprio minimo sostentamento di vita e si invoca la causa di giustificazione, codificata ex art. 54 cod. pen., dello stato di necessità.

Nel provvedimento impugnato si ricorda come sia pacifica l’intervenuta sottrazione delle sei confezioni di parmigiano di cui l’imputata disse di avere l’intenzione di fare commercio al fine di sopperire alle proprie esigenze di vita.

Ebbene, ad avviso del Collegio la Corte territoriale, con motivazione logica e congrua, ha ritenuto condivisibilmente incontestabile il fatto che non possa essere invocato lo stato di necessità, atteso che la situazione di indigenza non è idonea di per sé ad integrare tale scriminante in difetto degli altri necessari elementi dell’attualità e dell’inevitabilità del pericolo.

Ad una simile conclusione i giudici del gravame del merito sono pervenuti aderendo ad un consolidato orientamento di questa Corte di legittimità, che si ritiene condivisibile e va riaffermato, secondo cui la situazione di indigenza non è di per sé idonea ad integrare la scriminante dello stato di necessità per difetto degli elementi dell’attualità e dell’inevitabilità del pericolo, atteso che alle esigenze delle persone che versano in tale stato è possibile provvedere per mezzo degli istituti di assistenza sociale (così Sez. 5, n. 3967 del 13/07/2015 dep. il 2016, P., Rv. 265888 in una fattispecie in tema di furto con strappo di cui all’art. 624 bis cod. pen.).

Già in precedenza, peraltro, in altra condivisibile pronuncia di questa Corte di legittimità si era affermato che l’esimente dello stato di necessità postula il pericolo attuale di un danno grave alla persona, non scongiurabile se non attraverso l’atto penalmente illecito, e non può quindi applicarsi a reati asseritamente provocati da uno stato di bisogno economico, qualora ad esso possa comunque ovviarsi attraverso comportamenti non criminalmente rilevanti (Sez. 3, n. 35590 del 11/5/2016, M., Rv. 267640, relativamente ad un caso di detenzione e vendita di prodotti audiovisivi privi del contrassegno SIAE da parte di cittadino extracomunitario, nella quale la Corte ha negato la configurabilità dell’esimente, osservando che alle esigenze delle persone indigenti è possibile provvedere per mezzo degli istituti di assistenza sociale).

La ricorrente invoca il dictum di cui a Sez. 5 18248 del 7/1/2016, O., non mass..

In quel caso la Corte ebbe ad accogliere l’impugnazione e ad annullare senza rinvio la sentenza impugnata ritenendo che la Corte territoriale avesse travisato le risultanze processuali che, se correttamente interpretate, l’avrebbero portata a concludere per la sussistenza della scriminante di cui all’art.54 c.p. Il furto, nel caso esaminato, aveva avuto per oggetto due porzioni di formaggio ed una confezione di wurstel del valore complessivo di quattro Euro; l’imputato aveva pagato alle casse soltanto una confezione di grissini ed aveva nascosto gli altri generi alimentari sotto la giacca. Era risultato, altresì, dalla lettura delle sentenze di merito, che l’O. fosse soggetto privo di dimora e di occupazione. Ebbene, in quel caso, la Corte di legittimità opinò nel senso che la condizione dell’imputato e le circostanze in cui era avvenuto l’impossessamento della merce dimostrassero che egli aveva preso quel poco cibo per far fronte ad una immediata ed imprescindibile esigenza di alimentarsi, agendo quindi in stato di necessità.

Tale dictum, ad avviso del Collegio, non pare condivisibile, perché la brevissima motivazione della sentenza 18248/2016 non spiega come potessero ravvisarsi gli elementi dell’attualità e dell’inevitabilità del pericolo, laddove l’imputato ben avrebbe potuto soddisfare propri bisogni alimentari immediati rivolgendosi, ad esempio, alla CARITAS. In ogni caso, non sfugge la differenza con il caso che ci occupa. In quel caso venne prelevata merce per un valore di 4 Euro, in questo sei pezzi di parmigiano per un valore complessivo di 82 Euro. In quello verosimilmente beni da consumare nell’immediato, in questo beni, per esplicita ammissione dell’imputata, da rivendere per procurarsi del danaro.

Nel caso che ci occupa, le deduzioni della ricorrente si risolvono in mere affermazioni di principio, che vorrebbero fare discendere, automaticamente, l’impossibilità di provvedere ai bisogni della vita dalla semplice qualità di extracomunitaria priva di permesso di soggiorno e di una stabile dimora, disancorata da ogni riferimento a specifiche circostanze di fatto attinenti alla posizione dell’imputata stessa ed all’impossibilità da parte sua di ricorrere per il proprio sostentamento a soluzioni alternative lecite.

Va dunque qui riaffermato che l’esimente dello stato di necessita postula la immanenza di una situazione di pericolo grave alla persona, non scongiurabile altrimenti che con l’atto penalmente illecito, con la conseguenza che deve escludersene l’applicabilità se ai pericoli connessi con la penuria di mezzi economici è possibile ovviare senza ricorrere al reato (vedasi la costante giurisprudenza di questa Corte sin dalla risalente Sez. 6, n. 179 del 30/01/1967, F., Rv. 103819), sicché la possibilità di avvalersi dell’assistenza degli enti che la moderna organizzazione sociale ha predisposto per l’aiuto agli indigenti esclude la sussistenza della scriminante, in quanto fa venir meno proprio gli elementi dell’attualità e dell’inevitabilità del pericolo grave alla persona (così la già richiamata Sez. 5, n. 3967 del 13/07/2015, dep. il 2016, P., Rv. 265888).

Del resto -va qui aggiunto- dal 2015 il nostro ordinamento conosce altro istituto, che consente di ovviare a quei casi, qual era evidentemente quello di cui ebbe ad occuparsi la sopra ricordata sentenza 18248/2016, in cui la coscienza collettiva sente come ingiusto il ricorso alla sanzione penale. Si tratta della causa di esclusione della punibilità ex art. 131bis cod,. pen. introdotta dall’art. 1, comma 2, del D.Lgs. 16 marzo 2015, n. 28.

Va rilevato, peraltro, che tale causa di non punibilità difficilmente avrebbe potuto trovare ingresso, in ragione del valore della merce sottratta e delle modalità del fatto, in un caso come quello che ci occupa, in cui già molto benevolmente il giudice di primo grado ha concesso all’imputata le circostanze attenuanti generiche, valutate con giudizio di prevalenza sulle aggravanti ritenute, nonostante le 13 denunce per furto da cui la stessa, giunta in udienza in vinculis, perché detenuta per altra causa, era gravata. Le Sezioni Unite di questa Corte (Sez. Un. n. 13681 del 25/2/2016, T., rv. 266589) hanno chiarito, infatti, che, ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131 bis cod. pen., il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’art. 133, primo comma, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entità del danno o del pericolo (Sez. Un. , n. 13681 del 25/2/2016, T., rv. 266590).

Il secondo tema, invero assai suggestivo, introdotto con il ricorso che ci occupa è quello che la valutazione della lieve entità del danno atta a consentire la concessione della circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 4 cod. pen. (‘l’avere, nei delitti contro il patrimonio, o che comunque offendono il patrimonio, cagionato alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di speciale tenuità, ovvero, nei delitti determinati da motivi di lucro, l’avere agito per conseguire o l’avere comunque conseguito un lucro di speciale tenuità, quando anche l’evento dannoso o pericoloso sia di speciale tenuità) debba avere riguardo alla capacità di sopportare quel danno da parte del soggetto passivo.

Va detto, in via generale, che, pur essendo noto al Collegio un residuo e rimasto isolato pronunciamento in senso contrario (Sez. 2, n. 7034 del 29/1/2014, Coppola, Rv. 259246) si ritiene permanga condivisibile il dictum delle Sezioni Unite di questa Corte secondo cui nei reati contro il patrimonio, la circostanza attenuante comune del danno di speciale tenuità é applicabile anche al delitto tentato quando sia possibile desumere con certezza, dalle modalità del fatto e in base ad un preciso giudizio ipotetico che, se il reato fosse stato riportato al compimento, il danno patrimoniale per la persona offesa sarebbe stato di rilevanza minima (Sez. Un. n. 28243 del 28/3/2013, Z. S., Rv. 255528, in una fattispecie relativa al tentativo di furto di monete custodite in apposito cassetto di un distributore automatico di bevande; conf. Sez. 2, n. 22130 del 4/4/2014, M., Rv. 259980; Sez. 5, n. 42819 del 19/6/2014, L. ed altro, Rv. 261044).

Tuttavia non sfugge che, opinare nel senso di cui al ricorso, significherebbe dilatare la circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 4 in maniera direttamente proporzionale alla capacità del derubato di sopportare il danno economico del reato. E significherebbe interpretare la ‘speciale tenuità’ di cui alla norma nel senso di ‘sopportabilità economica’. Il che, evidentemente, non è la stessa cosa.

La Corte territoriale, correttamente, ha ritenuto che non fosse ravvisabile l’attenuante cui all’art. 62 n. 4 cod. pen., collocandosi nel solco del consolidato orientamento di questa Corte di legittimità, da ribadirsi, per cui tale circostanza presuppone necessariamente che il pregiudizio cagionato sia lievissimo, ossia di valore economico pressoché irrilevante.

E’ pur vero che, ai fini dell’accertamento della tenuità del danno – va qui riaffermato- è necessario considerare, oltre al valore in sé della cosa sottratta, anche il valore complessivo del pregiudizio arrecato con l’azione criminosa, valutando i danni ulteriori che la persona offesa abbia subito in conseguenza della sottrazione della ‘res’. (così Sez. 5, n. 24003 del 14/1/2014; L., Rv. 260201, relativamente ad una fattispecie in cui l’imputato si era impadronito della borsa della persona offesa contenente un cellulare e le chiavi di casa ed in cui questa Corte, confermando la decisione del giudice di appello, ha escluso l’applicabilità dell’attenuante in questione, ritenendo i beni sottratti, complessivamente valutati, di valore economico non irrilevante, anche tenuto conto degli ulteriori danni subiti dalla persona offesa, in relazione al furto delle chiavi della propria abitazione; conf. Sez. 6, n. 30177 del 4/6/2013, C. ed altro, Rv. 256643).

Ciò significa, tuttavia, esattamente il contrario di quanto si sostiene in ricorso.

La norma, in altri termini, a fronte di un danno economico che, come nel caso che ci occupa per le sei confezioni di parmigiano, non si palesi ictu oculi di particolare tenuità, appare immediatamente non applicabile. Tuttavia impone, anche a fronte di danni che apparentemente appaiano di portata economica irrilevante, di valutare, ai fini della configurabilità della circostanza attenuante, oltre al valore economico del danno, anche gli ulteriori effetti pregiudizievoli cagionati alla persona offesa dalla condotta delittuosa complessivamente valutata. Si deve trattare -come ebbero ad affermare le Sezioni Unite in una ancora attuale pronuncia del 2007 – del complesso dei danni patrimoniali oggettivamente cagionati alla persona offesa dal reato come conseguenza diretta del fatto illecito e perciò ad esso riconducibili, la cui consistenza va apprezzata in termini oggettivi e nella globalità degli effetti (così Sez. Un. n. 35535 del 12/7/2007, Ruggiero, Rv. 236914 relativamente ad un caso in cui fu esclusa la ricorrenza dell’attenuante in parola nella ricettazione di un blocchetto di assegni di conto corrente bancario, successivamente riempiti per un ammontare complessivo di circa quattro milioni di lire).

Va dunque ritenuto assolutamente superato l’orientamento espresso in un’unica pronuncia, ormai risalente nel tempo e rimasta isolata (Sez. 5, n. 6770 del 6/12/2005 dep. il 2006, Bertucci, Rv. 233998) in cui si ebbe ad affermare che, ai fini della configurabilità dell’attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità, la valutazione del pregiudizio economico subito dal soggetto passivo andasse fatta con riguardo alla diminuzione patrimoniale determinata dalla sottrazione, a nulla rilevando il maggior danno che potesse eventualmente verificarsi o si verifichi dopo il momento consumativo del reato (nella pronuncia richiamata la Corte ebbe ad escludere la rilevanza dei disagi che la persona offesa avrebbe dovuto subire per ottenere il rinnovo dei documenti sottratti).

Coerentemente con l’orientamento più recente sopra richiamato (e che è stato ben compendiato anche nelle pronunce Sez. 5, n. 7738 del 4/2/2015, G., Rv. 263434 e Sez. 4, n. 8530 del 13/2/2015, C., Rv. 262450)) -e peraltro ad abundantiam bastando ad escludere la sussistenza dell’invocata attenuante il valore economico delle sei confezioni di parmigiano che non poteva ritenersi di particolare tenuità – la Corte territoriale ha rilevato che nel caso di specie l’azione criminosa ha anche comportato il rallentamento dell’attività del supermercato, con il coinvolgimento del direttore del centro commerciale, distolto dalle sue occupazioni.

I motivi dedotti, dunque, non paiono idonei a scalfire l’impianto motivazionale della sentenza impugnata, in cui la Corte territoriale affronta con argomentazioni esaustive e logicamente plausibili le questioni propostele.

Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2000,00 in favore della cassa delle ammende

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