Mentre piano urbanistico attuativo e schema di convenzione formano oggetto di un unico atto di approvazione (di competenza del Consiglio comunale), la convenzione propriamente detta (cioè il contratto ad oggetto pubblico successivamente stipulato) costituisce un atto negoziale autonomo (nel senso di essere giuridicamente distinto dal provvedimento – atto unilaterale di approvazione), la cui sottoscrizione deve essere effettuata dal dirigente del Comune, ex art. 107, co. 3, lett. c) T.U. enti locali; questi ben può verificare la legittimità di quanto dalla stessa previsto e, laddove ritenga che le clausole contrattuali in sé considerate, ovvero lo stesso piano urbanistico attuativo contrastino con disposizioni di legge, ben può rimettere le sue osservazioni all’organo competente, onde sollecitarne una ulteriore valutazione; in ogni caso, l’amministrazione non è tenuta alla stipula della convenzione (/pur avendone in precedenza approvato lo schema), laddove non sussistano i dovuti presupposti di legittimità ovvero, nelle more, siano venuti meno presupposti o condizioni che avevano determinato l’approvazione del piano e/o del predetto schema di convenzione
Consiglio di Stato
sezione IV
sentenza 3 gennaio 2017, n. 4
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 692 del 2014, proposto da:
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato St. Ol., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, v.le (…);
contro
Pa. Be., rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Eg. Za. e Ro. Za., con domicilio eletto presso Gi. Eg. Za. in Roma, viale (…);
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO, SEZ. II bis n. 09893/2013, resa tra le parti, concernente mancata stipula convenzione per esecuzione piano di utilizzazione aziendale – ris. danni
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Pa. Be.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 13 ottobre 2016 il Cons. Oberdan Forlenza e uditi per le parti gli avvocati avv. St. Ol. e G. E. Za.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con l’appello in esame, il Comune di (omissis) impugna la sentenza 19 novembre 2013 n. 9893, con la quale il TAR per il Lazio, sez. II-bis, in accoglimento del ricorso proposto dalla signora Pa. Be., ha annullato la determinazione del dirigente dell’area tecnica del Comune di (omissis) 4 maggio 2011 n. 5405.
Con tale provvedimento, il dirigente, delegato dal Consiglio comunale con delibera n. 73/2010 alla stipula di apposita convenzione esecutiva di un PUA (piano di utilizzazione aziendale), approvato con la medesima delibera e volto alla trasformazione, previe opportune opere edili, di alcuni fabbricati rurali da destinare ad attività agrituristica, ha disposto l’interruzione del relativo procedimento nelle more di verifiche.
Nel corso del giudizio di I grado, previa acquisizione di un parere legale pro veritate, è stata argomentata “l’impossibilità giuridica a rilasciare i permessi, e quindi a sottoscrivere la convenzione, sia perché la ricorrente non ha provato di essere titolare di impresa agricola, sia perché il progetto principale e la sua variante superano i limiti di superficie previsti dall’art. 55, co. 7, l. reg. n. 38/1999”; ed inoltre mancherebbe un PUA.
Secondo la sentenza impugnata, “la convenzione per l’esecuzione del PUA, già definita nelle sue modalità dal Consiglio comunale, con onere di stipula imputato al responsabile dell’area tecnica… e i controlli dei presupposti per le autorizzazioni necessarie all’avvio dell’azienda agrituristica e per il rilascio del permesso di costruire” costituiscono “due attività concettualmente e temporalmente distinte”.
In definitiva – secondo la sentenza – il PUA (ed il progetto di ristrutturazione degli immobili e la sua variante) “non possono essere ridiscussi dai competenti uffici comunali ai quali è dato mandato di attuare il deliberato consiliare previa stipula della convenzione secondo lo schema tipo approvato”.
Tanto precisato, è stata accolta anche la domanda di risarcimento del danno per l’ingiustificato ritardo nella stipula della convenzione, quantificando la somma dovuta in euro 50.000,00 “a causa dell’aumento dei costi di manodopera e materiali”.
Avverso tale decisione vengono proposti i seguenti motivi di impugnazione (come desumibili dalle pagg. 3 – 16 dell’appello):
a) error in iudicando, poiché il Consiglio comunale, attese le prescrizioni di cui alla delibera n. 73/2010, “ha inteso evidentemente delegare al responsabile dell’area tecnica una verifica globale del procedimento, finalizzato per l’appunto all’acquisizione di tutte le autorizzazioni del caso, alla firma della convenzione e, solo dopo il compimento di tali attività, al rilascio del permesso di costruire”. L’attività di verifica intrapresa dal dirigente, quindi, “non è di per sé illegittima né si pone in contrasto con la richiamata deliberazione del consiglio comunale”, della quale costituisce “importante momento esecutivo”. Peraltro, proprio dalle verifiche disposte, è risultato che la realtà di quanto realizzato “evidentemente senza titolo ed a rischio e pericolo della ricorrente stessa”, costituisce “una realtà che è oggettivamente difforme da quanto progettato e dichiarato dalla ricorrente, e quindi in ultima analisi una vera e propria edificazione sine titulo” (v., in particolare, pagg. 4 – 6 app.). In definitiva, si è “di fronte ad una pratica edilizia che mirava a conseguire risultati non consentiti dalla legge”;
b) error in iudicando, poiché si è riconosciuto un diritto al risarcimento del danno “che, oltre ad essere insussistente nell’an, appare anche apoditticamente determinato nel quantum”; ciò in quanto il pregiudizio lamentato è stato “collegato alla impossibilità di realizzare la progettata trasformazione edilizia finalizzata alla realizzazione di una struttura agrituristica… (che) non consegue affatto alla semplice stipula della convenzione con il Comune, quanto al successivo rilascio del permesso di costruire; rilascio che, nella specie, non vi è mai stato né mai vi potrà essere”;
c) error in iudicando, con riguardo alla disposta condanna alle spese.
Si è costituita in giudizio la signora Pa. Be., che ha concluso per il rigetto dell’appello, stante la sua infondatezza.
Con ordinanza 6 giugno 2014 n. 2425, questa Sezione ha disposto la sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata.
All’udienza pubblica di trattazione, la causa è stata riservata in decisione.
DIRITTO
2. L’appello è fondato e deve essere, pertanto, accolto, con conseguente riforma della sentenza impugnata.
Questo Consiglio di Stato ha, anche di recente, ribadito alcuni principi in tema di pianificazione urbanistica di attuazione ed in tema di competenza degli organi in relazione alla adozione degli atti ad essa riconducibili, dai quali il Collegio non ha ragione di discostarsi.
Si è, in particolare, affermato:
– “il piano di lottizzazione (o altro strumento di pianificazione attuativa) e lo schema di convenzione ad esso allegato costituiscono atti distinti ma giuridicamente connessi, la cui approvazione non può che avvenire contestualmente da parte dell’unico organo al quale, nell’ambito dell’ente locale, è attribuito l’indirizzo politico-amministrativo in relazione alla pianificazione del territorio, e cioè da parte del Consiglio comunale” (Cons. Stato, sez. IV, 29 settembre 2016 n. 4027);
– “mentre piano urbanistico attuativo e schema di convenzione formano oggetto di un unico atto di approvazione (di competenza del Consiglio comunale), la convenzione propriamente detta (cioè il contratto ad oggetto pubblico successivamente stipulato) costituisce certamente… un atto negoziale autonomo (nel senso di essere giuridicamente distinto dal provvedimento – atto unilaterale di approvazione), la cui sottoscrizione deve essere effettuata dal dirigente del Comune, ex art. 107, co. 3, lett. c) T.U. enti locali”, il quale, se non ha “un potere di modifica e/o integrazione delle clausole, che inciderebbe sul contenuto stesso della potestà pianificatoria precedentemente esercitata dal Consiglio comunale”, tuttavia “laddove ritenga che le clausole contrattuali in sé considerate, ovvero lo stesso piano urbanistico attuativo contrastino con disposizioni di legge, ben può rimettere le sue osservazioni all’organo competente, onde sollecitarne una ulteriore valutazione ed, eventualmente, l’esercizio del potere di annullamento in autotutela, ai sensi dell’art. 21-nonies l. n. 241/1990” (sent. n. 4027/2016 cit.);
– “qualora tra approvazione del piano attuativo / schema di convenzione e momento di stipulazione della stessa, vengano meno i presupposti sui quali la stessa approvazione è stata fondata, l’amministrazione, la quale ben può verificare la persistenza di detti presupposti fino al momento della stipula (Cons. Stato, sez. IV, 26 luglio 2016 n. 3334), non può ritenersi obbligata alla stipulazione della convenzione, ma valuterà la sussistenza di ragioni di revoca dell’approvazione, ai sensi dell’art. 21-quinquies l. n. 241/1990”, ovvero di annullamento del piano già approvato, in esercizio del potere di autotutela (v. sent. n. 4027/2016 cit.).
Alla luce dei principi giurisprudenziali ora riaffermati, appare evidente che la competenza alla stipulazione della convenzione inerente uno strumento urbanistico attuativo è del dirigente; che questi ben può verificare la legittimità di quanto dalla stessa previsto e che, in ogni caso, l’amministrazione non è tenuta alla stipula della convenzione (/pur avendone in precedenza approvato lo schema), laddove non sussistano i dovuti presupposti di legittimità ovvero, nelle more, siano venuti meno presupposti o condizioni che avevano determinato l’approvazione del piano e/o del predetto schema di convenzione.
Ciò comporta, con riferimento al caso di specie, che il dirigente “competente” alla stipulazione (e non solo meramente “delegato” alla stessa), nutrendo perplessità sulla legittimità complessiva della operazione urbanistico-edilizia, ben poteva svolgere una propria verifica tecnico-amministrativo in ordine all’oggetto del piano e dello schema di convenzione, anche con riferimento alle autorizzazioni ed ai titoli edilizi successivamente da emanarsi
E ciò a maggior ragione nel caso di specie, posto che la delibera n. 73/2010 del Consiglio comunale di Tarquinia, nel “delegare” al dirigente la stipula della convenzione, subordinava (né avrebbe potuto essere altrimenti) il rilascio del permesso di costruire ad essa inerente alla acquisizione di tutte le autorizzazioni.
Alla luce di quanto sinora esposto, e contrariamente a quanto sostenuto dall’appellata (v. pagg. 3 – 4 memoria di costituzione), il fondamento della facoltà di verifica della sussistenza delle condizioni di legittimità di quanto oggetto della stipulanda convenzione non è da rinvenirsi nella “delega” eventualmente in tal senso effettuata dal Consiglio comunale al dirigente, bensì nelle attribuzioni proprie del dirigente che, qualora rinvenga motivi ostativi (come è emerso nel caso di specie), non solo non è tenuto alla stipulazione, ma deve rimettere le proprie considerazioni al competente Consiglio comunale.
Pertanto, ed in accoglimento del primo motivo di appello (sub a) dell’esposizione in fatto), appare del tutto legittimo l’impugnato provvedimento adottato dal dirigente dell’area tecnica del Comune di (omissis).
Ed è appena il caso di osservare (e ciò a prescindere da ogni valutazione sugli atti emanandi, estranea al presente giudizio), che, come risulta dalla documentazione depositata in data 3 settembre 2016, proprio in esito alla verifica tecnico-amministrativa, il Comune di (omissis) ha adottato comunicazione di avvio del procedimento di revoca/annullamento in autotutela della delibera del Consiglio comunale n. 73/2010 e di ulteriori titoli edilizi in precedenza adottati.
3. La riscontrata legittimità dell’atto impugnato con il ricorso instaurativo del giudizio di I grado già sorregge, di per sé, l’accoglimento del secondo motivo di appello (sub lett. b) dell’esposizione in fatto), con il quale si contesta la disposta condanna del Comune di (omissis) al risarcimento del danno; e determina altresì l’assorbimento del terzo motivo (sub lett. c), relativo alla condanna alle spese del giudizio di I grado, stante la nuova regolazione conseguente all’accoglimento dell’impugnazione.
Pertanto, l’appello deve essere accolto, e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, deve essere rigettato il ricorso instaurativo del giudizio di I grado.
Stante la natura e complessità delle questioni trattate, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti spese ed onorari del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
definitivamente pronunciando sull’appello proposto dal Comune di (omissis) (n. 692/2014 r.g.), lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, rigetta il ricorso instaurativo del giudizio di I grado.
Compensa tra le parti spese ed onorari del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 ottobre 2016 con l’intervento dei magistrati:
Antonino Anastasi – Presidente
Fabio Taormina – Consigliere
Silvestro Maria Russo – Consigliere
Oberdan Forlenza – Consigliere, Estensore
Leonardo Spagnoletti –
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