Delazione e l’apertura della successione

Delazione e l’apertura della successione

La DELAZIONE

Consiste nell’offerta di eredità

La delazione coincide temporalmente con  L’APERTURA DELLA SUCCESSIONE (la quale indica soltanto un momento temporale), che avviene automaticamente a prescindere dall’esistenza di attività patrimoniali al momento della morte, vera o presunta, dell’individuo.

            art. 456 c.c.    apertura della successione: al momento della morte si apre nel luogo dell’ultimo domicilio del defunto  la successione.

Da tale norma si evincono due determinazioni di particolare importanza:

1)     la determinazione temporale (momento d’inizio del fenomeno successorio);

2)     la determinazione spaziale (sede del fenomeno successorio).

Nota – per quanto riguarda la dichiarazione di morte presunta – L’apertura della successione si determina dall’eseguibilità della sentenza (dottrina prevalente per il principio previsto dall’art. 2935 e per analogia dell’art. 480 – dall’avveramento della condizione può essere accetta l’eredità) dichiarativa e non dalla data dalla quale risulta l’ultima notizia dello scomparso.

Nota – per quanto riguarda la commorienza – ai sensi dell’art. 4, quando un effetto giuridico  dipende dalla sopravvivenza di una persona ad un’altra e non consta quale di esse sia morta prima tutte si considerano morte nello stesso momento.

Prima di tale momento (la morte) aspettativa di fatto dell’eredità: il potenziale successore pur se sarà erede legittimario (e come tale erede necessario) non ha alcun diritto sul patrimonio del  de cuis  e non può quindi sindacare  il modo in cui questi gestisce il proprio patrimonio, purché non siano ravvisabili condizioni psico – fisiche tali da legittimare una sentenza di interdizione o di inabilitazione.

Nemmeno il legittimario potrà così esperire azioni surrogatorie o revocatorie o chiedere provvedimenti cautelari o agire in simulazione perché egli non è un creditore, né titolare di un’aspettativa di diritto ma solo di fatto non tutelata giudizialmente.

Solo con la delazione si individuano i chiamati all’eredità, i quali potranno far valere le proprie aspettative e i propri diritti, rispettivamente prima e dopo l’acquisto della qualità di erede.

Le vocazioni (in base al titolo) sono una subordinata all’altra, secondo quanto disposto dall’art. 457, e non possono essere contemporanee, essendo la delazione  unica e nondanno vita a due concorrenti delazioni, ma ad un’unica delazione complessa che ha per oggetto l’intera eredità

Definizione di eredità vacante: Successione dello stato

(Libro II delle successioni  – Titolo II  –  delle successioni legittime – Capo III –  della successione dello Stato – art. 586 )

si ha quando è stato accertato, in modo definitivo, che non vi siano più chiamati, non solo testamentari, ma neppure legittimi.

Ciò può avvenire o perché essi mancano in modo assoluto, o perché hanno perduto il diritto di accettare (per rinunzia, prescrizione, decadenza) e in questo caso l’acquisto dell’eredità da parte dello stato avviene in un secondo momento e non alla morte del de cuius.

Verificatasi la vacanza, poiché non è ammissibile nell’interesse dei terzi (creditori e legatari) che il patrimonio del de cuius resti senza titolare, succede lo Stato (art. 586).

art. 586 c.c.    acquisto dei beni da parte dello Stato: in mancanza di altri successibili (c.c.459, 572) l’eredità è devoluta allo Stato (c.c.473). L’acquisto si opera di diritto senza bisogno di accettazione e non può farsi luogo a rinunzia.

Lo Stato non risponde dei debiti ereditari e dei legati oltre il valore dei beni acquistati.

Si può affermare che la ragione della successione (intra vires hereditatis) dello stato è nella sua funzione pubblica, e questa funzione viene realizzata utilizzando un mezzo tecnico apprestato dal diritto privato, qual è la successione a titolo di erede.

 

DELAZIONE PATTIZIA  (NULLA)

Nel nostro ordinamento la delazione ereditaria è irrinunciabile e pertanto non può farsi luogo a pattuizioni, durante la vita, che mirino in qualsiasi modo ad incidere su di essa.

Si rileva nell’istituto in esame, il dissidio fondamentale tra la tradizione romanistica, alla quale si è attenuto rigorosamente anche il nostro codice, e la tradizione germanica che ammise ed ammette tuttora (entro certi limiti) la successione contrattuale.

art. 458 c.c.   divieto di patti successori: è nulla   ogni convenzione (c.c.1321) con cui taluno dispone della propria successione. E’ del pari nullo ogni atto col quale taluno dispone dei diritti che gli possono spettare su una successione non ancora aperta, o rinunzia ai medesimi (c.c.557-2, 679).

Da tale norma si evince il divieto della VOCAZIONE CONTRATTUALE.

Il fondamento giuridico secondo la dottrina (valevole solo per i patti istituivi) di tale divieto si basa:

A)                   Gangi – Bianca – Ferri: la ragione logica viene prevalentemente individuata nel principio dell’assoluta libertà testamentaria, vale a dire nell’esigenza di tutelare ed assicurare la libertà di disporre della propria successione fino all’estremo limite della vita del de cuius.

B)                   Magliulo – Caccavale – Rescigno: hanno ricondotto il divieto dei patti successori istitutivi al ruolo centrale che assume la volontà del testatore negli atti a causa di morte. In particolare si è affermato che, con tale divieto, il legislatore abbia voluto fare in modo che la volontà del de cuius sia l’unica cui aver riguardo per la disciplina del fenomeno successorio; l’unica pertanto a dover essere interpretata una volta apertasi la successione, con esclusione di ogni rilevanza della volontà di terzi soggetti.

ISTITUTIVI

Quando con contratto (che può essere a titolo oneroso o gratuito) si istituisce l’erede o il legatario o ci si obbliga a farlo con successivo testamento, pretendendosi così di creare, a fianco della vocazione testamentaria e quella legale, una sorta di vocazione contrattuale.

Esso  se fosse valido, produrrebbe, cioè, gli stessi effetti di un testamento con una fondamentale differenza che ne giustifica il divieto: l’irrevocabilità  per la sua natura contrattuale.

L’atto successivo  compiuto in adempimento di un obbligo assunto con il patto successorio  ad es. il testamento  : nullo per illiceità del motivo: il motivo illecito è rappresentato dal proposito di rispettare l’impegno consacrato nell’atto.

È il caso di precisare che, al fine di evitare l’invalidità del testamento successivo, sarà sufficiente non menzionare nel testamento stesso l’impegno assunto dal testatore, poiché in tal modo non sarà applicabile la sanzione di cui alla citata norma art. 626, la quale, come è noto, presuppone che il motivo sia determinante e che risulti dal testamento.

DISPOSITIVI  

Sono negozi giuridici inter vivos e non mortis causa, in quanto non regolano la devoluzione di una propria eredità o del proprio legato, ma dispongono di una eredità altrui non ancora aperta.

Quando si dispone di diritti che possono spettare su una successione futura.

Bisogna, però, osservare che non ogni atto dispositivo, il quale ha ad oggetto una futura eredità, è nullo per divieto dei patti successori.

Come ha anche affermato la Corte di Cassazione (18.4.1968, n.1165) e la dottrina maggioritaria (Ferri – Capozzi – Bianca), qualora l’oggetto del contratto non sia stato considerato dalle parti come entità di una futura successione, possiamo avere una vendita di cosa altrui.

Es. Tizio vende a Caio il fondo Tuscolano di Sempronio, con il quale egli ha già stipulato un contratto preliminare, e Sempronio, magari senza che Tizio se l’aspetti, muore nominandolo erede.

L’atto può essere a titolo oneroso o titolo gratuito.

L’atto successivo  compiuto in adempimento di un obbligo assunto con il patto successorio dispositivo: sarà annullabile per errore di diritto in base all’art.. 1429 n.4 trattandosi di atti inter vivos.

 RINUNCIATIVI  

Se si rinuncia ai diritti di una possibile successione prima dell’apertura della successione. Vi può essere una rinunzia contrattuale ( a titolo gratuito o oneroso). Anche questi atti sono inter vivos e non mortis causa

Così non è valida :

1)     l’assunzione dell’obbligo a testare in un certo modo,

2)     ovvero a non testare, per dar corso alla successione legittima;

3)     attribuzione indiretta mortis causa , ad es. nel caso di un contratto a

favore del terzo con riserva di designare, a mezzo di successivo testamento, il beneficiario: esempio – Tizio vuole stipulare con Caio un contratto con il quale quest’ultimo, dietro corrispettivo, si obbliga di trasferire, dopo la morte di Tizio, il proprio fondo Tuscolano alla persona che Tizio stesso designerà per testamento.

La Disciplina dei patti: ai patti successori devono, in linea di massima, essere applicate tutte le norme previste in tema di nullità.

1)     La nullità (assoluta) può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse;

2)     e può essere rilevata dal giudice (d’ufficio),

3)     l’azione è imprescrittibile; salvi gli effetti dell’usucapione e della trascrizione della domanda di nullità (2652, n.6 c.c.)

4)     non è ammesso l’istituto della sanatoria (art. 590).

5)     È possibile la convalida dell’atto esecutivo di un patto successorio dispositivo obbligatorio perché si tratta, come si è visto, non di un negozio nullo, ma di un negozio annullabile, per errore di diritto, per sua natura sanabile.

6)     La conversione

A)   La dottrina prevalente (Bonfillo – Mariconda – C.14/7/’83,n.4827 –  C. 29/11/’86,n.7064) non ammette la conversione del patto istitutivo nullo in un testamento valido, giustamente in linea di principio con l’inconvertibilità di ogni negozio illecito.

–   La conversione , infatti, non è consentita quando la nullità del negozio da convertire dipenda da illiceità per contrasto con norme imperative.

–   Pur ammettendo l’applicabilità della norma di cui all’art. 1424 anche in tema di negozi unilaterali in virtù del richiamo operato dall’art. 1324, ciò comporterebbe soltanto la possibilità della conversione di un negozio unilaterale nullo in un altro negozio unilaterale valido, non di un contratto nullo in un negozio unilaterale valido, dato che il citato art. 1424 prevede la convertibilità di un negozio in un altro di pari natura.

–   Ove si ammettesse la conversione, si realizzerebbe proprio lo scopo vietato nell’ordinamento; si vincolerebbe, cioè, la volontà del testatore al rispetto d’impegni, concernenti la propria successione, assunti con terzi.

–   Infine il nostro ordinamento prevedo soltanto due tipi di delazione ereditaria escludendo apriori un tertuim genus.

B)    Alcuni autori (Vignale – De Giorgi), invece, affermano che un patto successori nullo possa convertirsi in un testamento valido. Questi autori operano una distinzione nell’ambito dell’illiceità ai fini della conversione:

–             non è convertibile il negozio illecito in quanto (con esso si raggiunge uno scopo che l’oridinamento vieta, indipendentemente dagli strumenti negoziali attraverso i quali le parti cercano di conseguirlo (si pensi al patto leonino);

–             è invece convertibile il negozio nel quale l’illiceità non consiste nello scopo, ma nel mezzo adottato per perseguirlo. In questa seconda categoria rientrerebbe il patto successorio.

FIGURE CONTROVERSE DI PATTI SUCCESSORI 

  Il problema della donazione a causa di morte

Donazione revocabile, subordinata alla premorienza del donante al donatario in caso di pericolo di morte.

Una simile figura non potrebbe ammettersi nel nostro ordinamento, perché essa si risolverebbe in un patto successorio gratuito, nullo ai sensi dell’art. 458.

Si ritengono, invece, valide in dottrina le donazioni in cui la morte non rientra nel congegno causale dell’attribuzione, ma funge da termine o da condizione, vale  a dire:

1)     la donazione con termine iniziale dalla morte del donante (cum moriar)

2)     o sotto condizione sospensiva della premorienza del donante (si premoriar) – donazione sospensivamente condizionata al verificarsi di tale evento, la volontà del disponente non può influire in alcun modo sulla sorte dell’attribuzione, la quale dipende soltanto dal verificarsi della condizione, cioè la premorienza del donante.

In alcune sentenze della Corte di Cassazione, che presero spunto dalla dottrina minoritaria queste due ipotesi di donazioni furono dichiarate nulle per contrasto con il divieto dei patti successori, infatti secondo queste opinioni, in tali negozi, si ritrovano i caratteri tipici dei patti successori istitutivi, vale a dire:

a)     la disposizione dei propri beni per il tempo in cui si avrà cessato di vivere;

b)     l’irrevocabilità dell’attribuzione.

Ma con altra sentenza (9.7.1976, n.2619) sempre della Suprema Corte si ammetteva la validità di tali fattispecie, poiché non realizzano donationis mortis causa, ma donazione tra vivi delle quali hanno il tipico carattere dello spoglio.

Non sono altro, che delle normali donazioni a termine o a condizione nelle quali l’evento consiste nella morte del donante, evento che nessuna norma considera illecito.

Per un’autorevole dottrina (Santoro – Passarelli) la differenza con i patti successori è, quanto agli effetti la seguente:

1)     i patti successori, ove fossero validi, prima delle morte dell’ereditando, il  futuro erede avrebbe solo un’aspettativa di fatto;

2)     nelle donazioni qui considerate, invece, il donatario acquista immediatamente ciò che acquista ogni acquirente a termine iniziale o sotto condizione sospensiva, vale a dire l’aspettativa legalmente tutelata, che gli consente di compiere atti conservativi e di disporre del diritto condizionato.

Non vi è dubbio che non è sempre facile distinguere, in concreto, l’ipotesi della donazione da quella del patto successorio, ma ancora una volta si può ricorrere al principio d’interpretazione conservativa (art. 1367): pertanto nel dubbio, il negozio deve interpretarsi nel senso in cui possa avere qualche effetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebbe alcuno; deve, cioè, interpretarsi nel senso della donazione condizionata o a termine.

Il contratto a favore del terzo con effetti dalla morte dello stipulante

art 1412  c.c.  prestazione al terzo dopo la morte:  se la prestazione deve essere fatta al terzo dopo la morte dello  stipulante, questi può revocare il beneficio anche con una disposizione testamentaria e quantunque il terzo abbia dichiarato di volerne profittare, salvo che in quest’ultimo caso, lo stipulante abbia rinunciato per iscritto al potere di revoca.

La prestazione deve essere eseguita a favore degli eredi del terzo se questi premuore allo stipulante, purché il beneficio non sia stato revocato o lo stipulante non abbia disposto diversamente.

In dottrina (Betti – Ferri) è stato sostenuto che il contratto in esame avrebbe natura di atto mortis causa e sarebbe un’eccezione al divieto dei patti successori.

Ma la dottrina nettamente prevalente (Santoro – Passarelli) configura l’ipotesi in esame quale valido atto inter vivos.

La stipulazione, infatti, deve ritenersi immediatamente operante a favore del terzo come confermato dal fatto che la prestazione deve essere eseguita a favore degli eredi del terzo se questo premuore allo stipulante, ciò non potrebbe avvenire se il terzo acquistasse per successione dallo stipulante il diritto alla prestazione (solo chi ha già acquistato può trasmettere agli eredi).

art. 2284 c.c.    morte del socio: salvo contraria disposizione del contratto sociale, in caso di morte di uno dei soci, gli altri devono liquidare la quota agli eredi, a meno che preferiscano sciogliere la società ovvero continuarla con gli eredi stessi e questi vi acconsentano.

Verificandosi tale ipotesi si apre alla società una triplice alternativa:

a)     sciogliere il rapporto nei soli confronti degli eredi del socio defunto;

b)     sciogliere la società;

c)     continuare la società con gli eredi ove questi vi consentano.

La norma ha carattere meramente suppletivo: il contratto sociale può regolare le conseguenze della morte del socio.

 E di tale facoltà lasciata alla privata autonomia si fa largamente uso nei contratti costitutivi di società di persone, il più delle volte ponendo come obbligatoria una sola delle alternative proposte dall’art. 2284.

Le clausole di continuazione.

a)     facoltative [gli altri soci sono obbligati, mentre gli eredi (secondo alcuni si ha un forma di opzione, quale proposta irrevocabile da parte dei soci, secondo altri, preferibilmente come contratto a favore del terzo, che in questo caso sono gli eredi) possono o non continuare la società];

b)     obbligatorie (gli eredi sono obbligati a continuare la società, ma se non la continuano gli altri soci dovranno contentarsi del risarcimento danni);

c)     di successione o continuazione automatica (con cui si stabilisce che l’accettazione dell’eredità comporti automaticamente l’assunzione della qualità di socio).

Quest’ultime sono nulle perché non si può imporre ad un soggetto la qualità di socio illimitatamente responsabile.

In realtà questa affermazione non è così pacifica in dottrina e in giurisprudenza.

1)     si è infatti sostenuto (Venditti – Graziani – Cottino – Campobasso – e secondo alcune sentenze) che l’erede potrebbe limitare la sua responsabilità per le obbligazioni sociali accettando con beneficio d’inventario.

2)     Si è replicato (Ferri – Ferrara jr) che siffatte clausole contrastano sia con i principi del diritto successorio (vi è conflitto tra la tutela riconosciuta all’erede, che abbia accettato con il beneficio d’inventario e la regola posta dall’art. 2269 che estende al nuovo socio anche la responsabilità illimitata per le obbligazioni pregresse), sia con quelli del diritto societario (poiché non si può imporre ad un soggetto le qualità di socio illimitatamente responsabile.

Queste clausole non costituiscono patti successori perché non hanno natura di atti a causa di morte, ma piuttosto di convenzioni con effetti immediati, anche se sospensivamente condizionate alla premorienza dell’uno o dell’altro socio.

Le clausole di consolidazione

Si definiscono di consolidazione le clausole con cui si stabilisce che la quota del socio defunto resti senz’altro acquisita ai soci superstiti in proporzione delle rispettive quote.

1)     pure, non prevedono alcuna forma di remunerazione a favore dei successori testamentari o legittimi;

2)     al contrario quelle impure riconoscono loro un diritto di credito.

La dottrina prevalente (Bianca) e la giurisprudenza della Cassazione ritengono invalide le prime, poiché costituiscono un autentico patto successorio dispositivo. Infatti con tale clausola si viene ad attribuire inter vivos ai soci superstiti un diritto successorio quale è appunto il diritto acquisire senza liquidazione la quota del defunto.

Le clausole di continuazione della società con l’erede 

Il negozio condizionato alla nomina dell’erede

Devono senz’altro ritenersi validi i negozi giuridici, che non impegnando beni ereditari, sono condizionati alla devoluzione per testamento di una determinata eredità.

Ad esempio Tizio dona alla domestica della zia, se sarà nominata erede di quest’ultima, il mantenimento per tutta la vita oltre all’usufrutto di alcuni suoi beni (non ereditari), e remunerazione dei servizi resi. La convenzione è anche sottoscritta, per approvazione, dalla zia.

La decisione ha avuto il consenso della dottrina, perché la zia (futura testatrice) non assume alcun impegno e resta libera di testare come meglio crede; né vi è patto successorio dispositivo tra nipote e domestica, con l’adesione della zia, perché i beni oggetto della convenzione non appartengono all’eredità. Si è altresì osservato che la condizione < se erediterò > è perfettamente lecita, in quanto non si dispone certo in tal modo di diritti che possono pervenire da una futura successione.

 

L’inclusione nella divisione di  beni di una futura successione

La giurisprudenza ha, inoltre, considerato nullo per violazione del divieto dei patti successori, oltre che per difetto di causa, l’atto di divisione che abbia per oggetto anche un bene di proprietà di una persona vivente, considerato bene di una futura successione.

Si tratterebbe, in particolare, di un patto successorio dispositivo, perché i condividenti con l’atto di divisione, in realtà hanno disposto dei diritti che possono spettare loro su una successione non ancora aperta.

 

Il mandato post mortem

Si intende il negozio con cui un soggetto (mandante) conferisce ad altro soggetto (mandatario) un incarico da eseguirsi dopo la sua morte.

A) Il mandato post mortem exequendum

Definizione: ex art. 1703 –  quando le parti concludono un normale contratto di mandato in vita del mandante, ma stabiliscono che esso dovrà essere eseguito dopo la morte di quest’ultimo.

Purché l’incarico non abbia ad oggetto la vendita di beni dal mandante a  terzi.

Alcuni esempi: disposizioni per la propria sepoltura o per la pubblicazione di proprie opere ecc.

B) Il mandato post mortem con oggetto illecito

Definizione: quando il mandato, concluso in vita del mandante ha, in realtà, lo scopo di attuare un’attribuzione mortis causa.

Se Tizio, infatti, da  a Caio, che accetta, l’incarico di trasmettere, dopo la sua morte, a Sempronio, beni inerenti alla sua futura eredità, non fa altro che stipulare un patto successorio, vale a dire un’attribuzione mortis causa non per testamento, ma per contratto, e, precisamente, per contratto di mandato.

Sarà anche violato l’art. 587, che prevede come unico atto mortis causa il testamento

C) Il mandato post mortem in senso stretto

Definizione: quando il de cuius, conferisce, con atto unilaterale, ad un soggetto l’incarico di svolgere un’attività giuridica alla sua morte.

In questo caso non si configura un contratto (mandato) ma un atto unilaterale

1)     Se, poi, l’atto volesse considerarsi una proposta di mandato, al mandatario non sarebbe consentita l’accettazione dopo la morte del mandante per il principio dell’intrasmissibilità della proposta.

2)     Se, rispettata la forma, si volesse considerare un vero e proprio testamento, la sua validità sarebbe consentita nei limiti in cui non vi sia contrasto con il principio della personalità  dell’atto mortis causa. ES:

A)   la nomina del terzo arbitratore,

la nomina dell’esecutore testamentario, la designazione del terzo incaricato di redigere il progetto di divisione testamentaria.

DELAZIONE    SUCCESSIVA – INDIRETTA – CONDIZIONATA

Presupposti:

a)     il chiamato non vuole accettare (rinunzia ex art 519 – perdita del diritto ex art 481 e 487 3 co – si discute, prescrizione ex art 480) ;

b)     il chiamato non può accettarla; (incapacità ex art 598 ss. – indegnità, assenza ex art 70 – premorienza, anche presunta del de cuis e diseredazione);

Difetto dei presupposti soggettivi:

affinché questi tipi di devoluzione operino bisogna distinguere

Successione testamentaria                                                           Successione legittima

A)  SOSTIUZIONE ORDINARIA                                                B)  RAPPRESENTAZIONE

C) LA SOSTITUZIONE FEDECOMMISSARIA

Se la successione è testamentaria                                             Se la successione è legittima


LA SOSTITUZIONE ORDINARIA  (o volgare) –  detta anche delazione  condizionata


(Libro II delle successioni  – Titolo II    delle successioni legittime  – Capo VI

  delle sostituzioni – sez. I  della sostituzione ordinaria   –  688 – 691)


art. 688 c.c.
   casi di sostituzione ordinaria:    il testatore    può sostituire all’erede istituito altra persona per il caso che il primo   non possa  (1° gruppo – premorienza – commorienza –  dichiarazione di morte presunta – l’incapacità a succedere  – nel caso di nullità della disposizione a favore del istituito –il non verificarsi della condizione – il verificarsi della condizione risolutiva– l’assenza)  o   non voglia  (2° gruppo  – rinunzia – prescrizione o decadenza) accettare l’eredità (c.c.70, 72, 463, 523).

(Presunzione relativa di volontà) Se il testatore ha disposto per uno solo di questi casi (non possa o non voglia), si presume che egli si sia voluto riferire anche a quello non espresso, salvo che consti una sua diversa volontà.

Il sostituito è pertanto erede diretto  del de cuis  e nessun rapporto di nessun genere  si  instaura con l’istituito, cioè con la persona del primo chiamato.

Es. – istituisco erede Tizio, se egli non può o non vuole accettare gli sostituisco Caio.

Il fondamento: è stato ritrovato nella tutela della  volontà del testatore – di evitare l’applicazione delle norme della successione legittima anche nelle ipotesi in cui il chiamato non acquisti l’eredità per ragioni dipendenti o non dal suo volere.

Natura giuridica –

relativamente alla disposizione

 

Tesi della condicio iuris – Barbero – Cariota Ferrara

Nel senso che la mancata accettazione del primo costituirebbe un presupposto o un antecedente logico previsto dall’ordinamento.In contrario è stato osservato (Luminoso) che, per potersi parlare di condizione legale, non basta che la legge disciplini espressamente, come in tale ipotesi, un dato congegno, bensì che la subordinazione dell’efficacia della fattispecie negoziale, all’avvenimento futuro e incerto, avvenga non ad opera delle parti, ma ad opera della legge.

Tesi della condictio facti – Amati – Azzariti – Gangi – preferibile – Capozzi

Secondo la quale la sostituzione ordinaria realizza una vera e propria ipotesi di disposizione condizionata, perché è il testatore che con il suo atto di volontà, subordina l’efficacia della sostituzione al verificarsi di un determinato evento.

 

A)   relativamente al fenomeno

bisogna distinguere la successione dell’istituito da quella del sostituito –

1)     la prima non presenta problemi, perché trattasi di una delazione immediata ed incondizionata.

2)     È discussa, invece la posizione del sostituito –

A)   taluni (Ferrari) sostanzialmente parlano di vocazione  indiretta

B)    altri (Niccolò – Cicu)  parlano di delazione condizionale –preferibilmente Capozzi – quest’ultima tesi seguita anche dalla Cassazione, poiché, la vocazione è sempre attuale (si ha, cioè, in ogni caso al momento dell’apertura della successione) mentre la delazione può anche essere differita nel tempo.

Nota bene –  Bisogna chiarire che, in alcuni casi, nella sostituzione ordinaria si ha una sola delazione immediata.

Ciò si verifica quando il presupposto della sostituzione precede l’apertura della successione, vale a dire qualora l’istituito premuoia al testatore.

Inoltre da questa costruzione giuridica deriva che il termine prescrizionale per  l’accettazione del sostituito decorre non dal giorno dell’apertura della successione, ma ai sensi dell’art. 480, 2 co dal giorno n cui si verifica la condizione.

La posizione giuridica  del istituito e  del sostituito –

L’istituito è immediatamente delato all’eredità; a lui, pertanto, spetteranno i poteri previsti dall’art. 460 e, se muore prima dell’accettazione, il dirito di accettare si trasmette ai suoi eredi.

Se poi l’istituzione è sotto condizione sospensiva , l’amministrazione spetterà, dunque, durante la pendenza della condizione al sostituito.

Al sostitutito spettano i poteri già analizzati In caso di cattiva amministrazione dell’istituito, che non abbia ancora accettato, il sostituito, potrà chiedere la nomina di un curatore dell’eredità giacente e potrà esercitare l’actio interrogatoria

È discusso in dottrina se la norma art. 688 2 co trovi applicazione nell’ipotesi in cui il testatore abbia fatto riferimento non a tutti i casi previsti in uno dei due gruppi dell’art. 688 (ossia tutti i casi del < non possa > ovvero a tutti i casi del < non voglia >), ma soltanto ad alcuni di essi.

Se ad esempio, il testatore, istituendo erede Mevio, abbia disposto la sua sostituzione con Filano solo per il caso d’indegnità di Mevio, ci si chiede se la sostituzione valga anche negli altri casi in cui Mevio non possa o non voglia accettare.

Tesi restrittiva – Azzariti – Terzi

La sostituzione ordinaria opera nel caso in cui il testatore faccia riferimento genericamente a tutti i casi in cui l’erede non può o non vuole accettare, non quando faccia specifico riferimento a casi particolari dell’uno e dell’altro ordine.

Tesi estensiva – Gangi – Palazzo – preferibile – Capozzi

La sostituzione ordinaria opera anche qualora il testatore abbia contemplato soltanto uno specifico caso e non tutte le ipotesi.

Questo per il fondamento giuridico dell’istituto che si basa sulla tutela della volontà del testatore.

Se, dunque, nell’esempio sopra riporatato Mevio dovesse rinunciare all’eredità, questa sarà devoluta a Filano, sostituito di Mevio

Rapporti con altri isituti successori –

Trasmissione della delazione –

La dottrina prevalente è orientata nel senso che la trasmissione della delazione, prevista dall’art. 479, prevalga sulla sostituzione.

La tesi contraria si fonda soprattutto sulla prevalenza da dare alla volontà espressa dal testatore nella sostituzione su quella presunta che è alla base della trasmissione. Ma è stato giustamente osservato che la delazione non cade con la morte dell’istituito e, quindi, manca il presupposto indispensabile perché la sostituzione possa operare.

Diversa questione è se il testatore possa modificare questa situazione giuridica e far prevalere con un atto di volontà la sostituzione sulla trasmissione.

È preferibile la tesi positiva, ma in questo caso si avranno una delazione a favore dell’istituito sottoposta alla condizione risolutiva che egli non accetti personalmente l’eredità e, nello stesso tempo, una sostituzione ordinaria che si realizza, qualora si verifichi la predetta condizione risolutiva.

Rappresentazione

I dubbi sono ora superati dall’espressa previsione dell’art. 467 2 co che stabilisce la prevalenza della sostituzione sulla rappresentazione.
Accrescimento –  

La prevalenza della volontà espressa (sostituzione) sulla volontà presunta (accrescimento) fa ritenere unanimemente alla dottrina che la sostituzione ordinaria prevalga sull’accrescimento.

Particolare affinità, invece, presentano la sostituzione reciproca (tra coeredi) e l’accrescimento volontario  par.fo B 3, ammesso dalla dottrina volontaria.

Così se Tizio nomina eredi Primo e Secondo in parti disuguali, espressamente disponendo l’accrescimento, si applicherà la normativa di quest’ultimo istituto.

Non vi è dubbio, che esse, in concreto, risultati analoghi ma esse, si distinguono sia per la natura giuridica che per gli effetti.

1)     riguardo alla natura giuridica – nella sostituzione ordinaria si hanno 2 delazioni una semplice el’altra condizionata – mentre nell’accrescimento l’istituzione è una soltanto e semplice;

2)     quanto agli effetti – l’accrescimento ancorchè volontario, ha luogo ipso iure e necessariamente, mentre nella sostituzione reciproca il sostituito può rinunziare alla quota dell’istituito.

art. 689 c.c.      sostituzione plurima – sostituzione reciproca: possono sostituirsi più persone   a una sola (riassunzione in un’unica mano del compendio ereditario) e una sola  a più  (in parti uguali – ma in questo caso si ha una semplice sostituzione ordinaria).

La sostituzione può anche essere reciproca  tra i coeredi istituiti. Se essi sono stati istituiti in parti disuguali, la proporzione fra le quote fissate nella prima istituzione si presume ripetuta anche nella sostituzione. Se nella sostituzione insieme con gli istituiti è chiamata un’altra persona, la quota vacante viene divisa in parti uguali tra tutti i sostituiti.

Nel caso di sostituzione plurima –

A)   La sostituzione plurima si ha unicamente quando ad una sola persona sono sostituite più persone, mentre,

B)    Nel caso di sostituzione a più persone di una sola persona, si ha, in realtà, una sostituzione semplice.

Nella prima ipotesi (sostituzione di una persona a più chiamati) nasce il problema relativo al rapporto con l’accrescimento par.fo B 3.

Si chiede, cioè, se la quota del mancante si accresca agli istituiti, ovvero sia attribuita al sostituito.

È preferibile (Capozzi) la tesi autrorevolmente sostenuta (Gangi e Talamanca) rispetto a quella che fa prevalere la rappresentanza (Eula – D’Amelio e Finzi), in quanto è conforme alla presumibile volontà del testatore ritenere, che la sostituzione, non escluda l’accrescimento e che il sostituito, o si sostituiti, quindi, non possano essere chiamati a succedere se non quando manchino tutti gli istituiti.

Nel caso di sostituzione reciproca tra i coeredi –

Esempio per comprendere la seconda parte del 2 co.

Caio – ½ –Tizio – ¼ –Mevio – ¼ –
Qualora uno qualsiasi dei 3 eredi (nel caso Tizio) non possa o non vogli accettare la sua quota
questa sarà divisa in parti uguali tra  Caio – Mevio – Sempronio (altra persona)

La presenza di quest’ultimo impedisce che Caio, a differenza della disposizione della prima parte del 2 co, anche se beneficiario di una quota maggiore, possa pretendere nella ripartizione una porzione maggiore di quella spettante agli altri.

art. 690 c.c.       obblighi dei sostituiti: i sostituiti devono adempiere gli obblighi imposti agli istituiti, a meno che una diversa volontà sia stata espressa dal testatore o si tratti di obblighi di carattere personale (c.c.676, 677).

Gravano, perciò, in caso di mancanza dell’istituto, sul sostituito sia i legati obbligatori (non i legati ad effetti reali che gravano direttamente sull’eredità) che l’obbligazione nascente da onere.

Nota – nella dicitura < obblighi > non rientra la condizione risolutiva, nel senso che, la  disposizione istitutiva condizionata non manterrà tale efficacia in caso di sostituzione (es. Tizio istituisce erede Caio a condizione che non scoppi la guerra entro un certo Termine, e qualora Caio non voglia o non possa accettare, gli sostituisce Sempronio, in caso di premorienza di Caio l’eredità andrà a Sempronio incondizionatamente).

Qualche dubbio potrebbe sorgere per la condizione potestativa fungibile, il cui evento può essere realizzato da qualsiasi soggetto: es., nomino Tizio erede, a condizione che faccia pubblicare i miei iscritti inediti; in caso di premorienza gli sostituisco Caio.

Ma anche in questa ipotesi la soluzione è la stessa, perché manca la caratteristica tipica dell’obbligatorietà che distingue la condizione dal modo; mentre, infatti, quest’ultimo, com’è noto vincola il destinatario della disposizione senza sospendere l’efficacia  del negozio, la condizione (sospensiva) sospende l’efficacia del negozio senza vincolare.

art. 691 c.c.     sostituzione ordinaria nei legati: le norme stabilite in questa sezione si applicano anche ai legati.

LA RAPPRSENTAZIONE   –  detta anche delazione indiretta


(Libro II delle successioni  – Titolo I    disposizioni generali sulle successioni  – Capo IV –  della rappresentazione   –  467 – 469)

Definizione: come il fenomeno in base al quale un soggetto (c.d. rappresentante), verificatisi determinati eventi che impediscono al suo ascendente (c.d. rappresentato), di succedere, subentra in luogo di quest’ultimo nella successione ereditaria o nell’acquisto del legato.

Il fondamento: è stato ritrovato nella presunta volontà del testatore e nella tutela della famiglia legittima nella sua concezione moderna (figli legittimi e figli naturali).

Natura giuridica ed I presupposti

Si avrà non solo nel caso di morte naturale, ma anche nel caso di morte presunta in epoca precedente all’apertura della successione.

Indegnità del rappresentato (delazione indiretta differita)

L’indegnità non si estende al c.d. rappresentante il quale succede iure proprio.

Assenza del rappresentante 

art. 70 c.c.     successione alla quale sarebbe chiamata la persona di cui si ignora l’esistenza: quando s’apre una successione alla quale sarebbe chiamata in tutto o in parte una persona di cui s’ignora l’esistenza, la successione e devoluta a coloro ai quali sarebbe spettata in mancanza della detta persona, salvo il diritto di rappresentazione (467 e seguenti). Coloro ai quali e devoluta la successione devono innanzi tutto procedere all’inventario dei beni (Cod. Proc. Civ. 769 e seguenti) e devono dare cauzione (1179; Cod. Proc. Civ. 50, 725).ntato (delazione indiretta immediata)

Perdita del diritto di accettare l’eredità del rappresentato (delazione indiretta differita)

Se il primo chiamato perde il diritto di accettare l’eredità per prescrizione (art. 480) o per decadenza (actio interrogatoria: art. 481) gli subentrerà il rappresentante.

Rinunzia del rappresentato (delazione indiretta differita)

Principio introdotto dal codice del 1942

Nullità  della disposizione a favore del rappresentato (delazione indiretta differita)

 

 

Successione iure proprio:

art. 467 c.c.    nozione: la rappresentazione fa subentrare i discendenti legittimi o naturali nel luogo e nel grado del loro ascendente, in tutti i casi in cui questi non può o non vuole  accettare l’eredità o il legato.

Si ha rappresentazione nella successione testamentaria  quando  il testatore non ha provveduto per il caso in cui l’istituito non possa o non voglia accettare l’eredità o il legato, e sempre che non si tratti di legato di usufrutto o di altro diritto di natura personale.

Nota: la rappresentazione ha luogo non solo quando il c.d. rappresentato è erede legittimo, ma anche quando è erede testamentario, se il de cuius non ha previsto alcuna sostituzione ordinaria, deve verificarsi la possibilità di applicare il meccanismo della rappresentazione.

I Soggetti della successione per rappresentazione

) La categoria dei cosiddetti rappresentanti

1)     discendenti legittimi e legittimati:

2)     discendenti naturali;

3)     quanto ai discendenti adottivi bisogna distinguere:

A)    adottivi maggiorenni, i quali non possono succedere per rappresentazione, non essendo previsti dal legislatore

B)     ed adozione con effetti legittimanti, per la quale è prevista la rappresentanza.

B ) La categoria dei c.d. rappresentati

1)     in linea retta:
a)     i figli legittimi, legittimati, adottivi e naturali;
2)     in linea collaterale i fratelli e le sorelle del defunto;
3)     la dottrina prevalente (Trabucchi – Mengoni – Ferri – Cicu ) e la giurisprudenza della cassazione non prevedono la successione per rappresentanza dei fratelli naturali.

 C ) Momento dei requisiti di capacità del c.d. rappresentante

(Messineo) ha affermato che: 

1)     chi succede in via diretta deve avere la capacità di succedere al momento di apertura della successione,

2)     mentre chi succede  in via indiretta, come il c.d. rappresentante, basta che sia capace al momento in cui il precedente chiamato non possa o non voglia accettare l’eredità.

(Ferri) in contrario, ha giustamente osservato che l’efficacia retroattiva dell’accettazione rappresenta una conseguenza del modo di operare della successione ereditaria, la quale richiede necessariamente una coincidenza fra il momento in cui il soggetto viene meno e quello in cui il nuovo soggetto subentra giuridicamente, al fine di evitare un’interruzione della continuità dei rapporti giuridici.

È perciò che i requisiti della capacità giuridica devono esistere al momento dell’apertura della successione.

art. 468 c.c.   soggetti:  la rappresentazione ha luogo, nella linea retta (c.c.75) a favore dei discendenti dei figli legittimi (c.c. 23 e seguenti), legittimati (280 e seguenti) e adottivi (c.c.291 e seguenti), nonché dei discendenti dei figli naturali (c.c.250 e seguenti) del defunto, e, nella linea collaterale (c.c.75), a favore dei discendenti dei fratelli e delle sorelle del defunto.

I discendenti (c.c.467) possono succedere per rappresentazione  anche se hanno rinunziato (c.c.519 e seguenti) all’eredità della persona in luogo della quale subentrano, o sono incapaci o indegni  di succedere rispetto a questa.

Gli effetti della rappresentazione

art. 469 c.c.    estensione del diritto di rappresentazione –  Divisione: la rappresentazione ha luogo in infinito, siano uguali o disuguali il grado dei discendenti e il loro numero in ciascuna stirpe.

La rappresentazione ha luogo anche nel caso di unicità di stirpe (c.c.564-3).

Quando vi e rappresentazione la divisione si fa per stirpi (c.c.726-2).

Se uno stipite ha prodotto più rami, la suddivisione avviene per stirpi anche in ciascun ramo, e per capi tra i membri del medesimo ramo.

 A) Successione all’infinito

In mancanza di limiti (per i rappresentanti) posti dal legislatore, l’estensione deve intendersi riferita sia alla linea retta sia alla linea collaterale.

 B) Successione per stirpi e non per capi

E non per capi, si faccia questo esempio:  il de cuius lascia  due figli, Primo e Secondo, i quali a loro volta hanno due figli ciascuno.

Se Primo e Secondo rinunziano all’eredità, si avrà delazione per rappresentazione a favore dei figli. Se anche uno dei figli di Primo rinunzia all’eredità, la sua quota si accresce solo a favore dell’altro figlio di Primo, non anche a favore dei due figli di Secondo, come invece si avrebbe se i quattro succedessero (per rappresentazione) per capi e non per stirpi.

B – 1 ) Unicità di  stirpi

A )  Sostituzione ordinaria (prevale sulla rapp.)

“quando  il testatore non ha provveduto per il caso in cui l’istituito non possa o non voglia accettare l’eredità o il legato” il legislatore vuole appunto riferirsi all’ipotesi della sostituzione ordinaria, stabilendo che essa prevale sulla rappresentazione.

 B )  Sostituzione fedecommissaria (sono istituti diversi)

In realtà nessun rapporto può esistere tra la rappresentazione e la sostituzione fedecommissoria: il primo istituto realizza un’ipotesi di delazione indiretta, mentre il secondo realizza l’unico caso di delazione successiva.

C )  Trasmissione del diritto di accettazione (sono istituti diversi)

Quanto alla struttura:

1)     nella trasmissione la vocazione è indiretta (il secondo chiamato utilizza la vocazione del trasmittente);

2)     nella rappresentazione la vocazione è diretta e solo la delazione è indiretta.

In quanto all’origini:

1)     presupposto della trasmissione è la morte del chiamato in epoca successiva all’apertura della successione, ma prima, dell’accettazione dell’eredità;

2)     nella rappresentazione, invece, la morte del primo chiamato deve avvenire prima dell’apertura della successione.

Quanto alla capacità:

1)     il rappresentante deve essere capace e degno nei confronti del de cuius e può succedere  a questi anche se abbia rinunziato all’eredità del rappresentato;

2)     nella trasmissione invece il secondo chiamato deve essere capace e degno di succedere nei confronti del trasmittente e non può rinunziare all’eredità di quest’ultimo e accettare solo quella a costui devoluta.

 D ) Diritto  di accrescimento (non prevale sulla rapp.)

La stessa legge stabilisce che la rappresentazione prevale sull’accrescimento e ribadisce tale regola negli artt 522/3

par.fo B 3

La rilevanza si riscontra nell’ipotesi di successione di legittimari sia per determinare la quota di riserva che patta ai rappresentati e sia ai fini dell’imputazione quale condizione per l’esercizio dell’azione di riduzione.

 B – 2 ) Divisione  per stirpi

Valga il seguente esempio: alla morte di Tizio i suoi due figli, Caio e Sempronio, sono entrambi premorti, lasciando rispettivamente Caio  tre figli (Primo – Secondo – Terzo) e Sempronio  quattro figli (Quarto – Quinto – Sesto – Settimo e Ottavo); quest’ultimi sono viventi e raccolgono la metà dell’asse ereditario dividendolo, poi, per capi in quattro parti uguali.

I figli di Caio invece sono morti e hanno lasciato rispettivamente, due, quattro, e tre figli. Della metà del patrimonio (di Tizio) spettante a Caio si faranno tre parti uguali, una delle quali va i figli di Primo (1/2 ciascuno) un’altra andrà ai figli di Secondo (1/4 ciascuno) e l’ultima parte andrà ai figli di Terzo (1/3 ciascuno).

 L’obbligo della Collazione

art. 740 c.c.    donazioni fatte all’ascendente dell’erede: il discendente che succede per rappresentazione (c.c.467) deve conferire ciò che è stato donato all’ascendente anche nel caso in cui abbia rinunziato all’eredità di questo.

Le ragioni di questa norma sono due:

1)     riguarda i coeredi, i quali non devono evidentemente, subire alcun pregiudizio per il fatto che in luogo del donatario, partecipino alla successione i suoi rappresentanti. Ove, infatti, anche nei confronti dei rappresentanti vigesse la regola generale, secondo la quale il discendente è tenuto a conferire soltanto le donazioni a lui fatte (art. 739), i coeredi del rappresentato vedrebbero alterata la loro posizione giuridica, perché perderebbero il diritto alla collazione delle donazioni fatte ala rappresentato medesimo non venendo questi alla successione.

2)     Riguarda il rappresentante, poiché lo scopo della norma è quello di conservagli l’identica posizione successoria del rappresentato con la conseguenza che egli da un lato dovrà conferire, come risulta dal citato art. 740, le donazioni fatte al rappresentato e dall’altro lato non dovrà conferire le donazioni fatte direttamente a lui.

LA SOSTITUZIONE FEDECOMMISSARIA  detta anche delazione successiva

(Libro II delle successioni  – Titolo II    delle successioni legittime  – Capo VI

  delle sostituzioni – sez. II  della sostituzione fedecommissaria   –  692 – 699)

S’inserisce con proprie peculiarità nel quadro del fenomeno della delazione successiva.

Storicamente la sostituzione fedecommissaria trova la sua fonte romanistica nella c.d. substitutio pupillaris, per la quale il testatore poteva nominare un sostituto al figlio impubere che, diventando suo erede, morisse prima della pubertà.

Il codice del 1942, al fine di favorire la continuità e l’integrità del patrimonio domestico, ammise l’istituto in limiti peraltro ben ristretti, prevedendo, soltanto 2 forme:

1)     il fedecommesso familiare (istituiti potevano essere un figlio o un fratello del testatore, sostituiti tutti indistintamente i figli nati o nascituri dell’istituito) e

2)     il fedecommesso di beneficenza (istituiti, sempre e unicamente il figlio o il fratello, sostituito un ente pubblico).

La sostituzione fedocommissaria attualmente, in generale, dopo la riforma apportata dall’art. 197 della  L. 19 maggio 1975 sul nuovo diritto di famiglia, assolve una funzione meramente assistenziale in favore degli interdetti.

Nota bene : figura tipica del contratto fiduciario.

L’unica differenza dal normale negozio fiduciario consiste nel fatto che l’obbligo nascente dal pactum fiduciae non è coercibile, essendo rimesso al libero e spontaneo adempimento del fiduciario.

Trattasi di una sostituzione prevista dal de cuius, ma non già per il caso in cui l’istituito non possa o non voglia succedere (vedi  par.fo B – 2 – A), quanto piuttosto per il momento della morte di costui, dopo quindi che egli ha accettato la delazione.

In sostanza (1)  il testatore ad es. istituisce erede   (2)  Tizio (fedecommesso) con l’obbligo di conservare il patrimonio, che andrà, alla morte di Tizio  ? (3) a Caio (fedecommissario), a prescindere da qualsivoglia manifestazione, positiva o contraria.

Non vi è dunque un obbligo a carico di Tizio (istituito) di fare testamento a vantaggio di Caio (sostituito), perché Caio succederà direttamente (poiché vi è una duplice delazione) al de cuius originario che ha disposto la sostituzione fidecommissoria.

art. 692 c.c.      sostituzione fedecommissaria: ciascuno dei genitori  o degli altri ascendenti in linea retta o il coniuge  dell’interdetto  possono istituire rispettivamente il figlio,  il discendente, o il coniuge  con l’obbligo di conservare e restituire alla sua morte i beni anche costituenti la legittima  (c.c.737), a favore della persona o degli enti che, sotto la vigilanza del tutore, hanno avuto cura dell’interdetto medesimo.

La stessa disposizione si applica nel caso del minore di età, se trovasi nelle condizioni di abituale infermità di mente tali da far presumere che nel termine indicato dall’art. 416 interverrà la pronuncia di interdizione.

Nel caso di pluralità di persone o enti di cui al primo comma i beni sono attribuiti proporzionalmente al tempo durante il quale gli stessi hanno avuto cura dell’interdetto.

La sostituzione è priva di effetto nel caso in cui l’interdizione sia negata o il relativo procedimento non sia iniziato entro due anni dal raggiungimento della maggiore età del minore abitualmente infermo di mente. E’ anche priva di effetto nel caso di revoca dell’interdizione o rispetto alle persone o agli enti che abbiano violato gli obblighi di assistenza.

In ogni altro caso la sostituzione è nulla.

E’ una fattispecie complessa, poiché l’effetto sostitutivo non più determinato soltanto dalla volontà del testatore ma si è aggiunto un ulteriore elemento: la cura effettiva dell’interdetto protratta nel tempo.

Il fondamento giuridico : ha carattere esclusivamente assistenziale: assicurare, in concreto, incentivandola, la cura dell’interdetto.


LA NATURA GIURIDICA

A)    Istituito = UsufruttuarioJannuzzi – Lorefice

Indubbiamente l’istituito acquista la qualità di erede, e quindi, non si può contestare che egli sia titolare dei beni costituenti il patrimonio ereditario e che gli competono i poteri inerenti a tale qualità; ma l’obbligo di conservare e di restituire importa una rilevante limitazione a tali poteri, specialmente a quello della disponibilità dei beni.

Tutto ciò ha indotto a qualificare l’istituto come un usufruttuario (in base all’art. 693) , in quanto a lui spetta bensì il godimento  dei beni ma deve conservarne l’integrità patrimoniale.

In contrario è stato rilevato (Talamanca) che

1)     a differenza dell’usufruttuario l’istituito può compiere tutte le innovazioni dirette ad una migliore utilizzazione dei beni,

2)      inoltre, seppure con l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria, l’istituito può compiere atti di disposizione dei beni, ciò che non è assolutamente consentito all’usufruttuario.

B)    Teoria della proprietà fiduciaria –  Ambrosini – Gian Turco

Questa teoria ritrova nella posizione giuridica dell’istituito una proprietà fiduciaria, basandosi soprattutto sulla considerazione che il primo chiamato, aveva l’obbligo, di natura fiduciaria, di conservare i beni e restituirli allo stesso.

Si osserva, in contrario – Barbero – che manca nel fedecommesso moderno quel rapporto strettamente fiduciario, tipico del diritto romano per il quale, il testatore si limitava a rivolgersi alla fides dell’istituito e lo pregava (rogabat) di trasmettere i beni al sostituito, perché nella figura attuale,  l’istutuito ha un preciso obbligo giuridico.

Inoltre è stato giustamente rilevato (Talamanca – Ricca) che non esiste nemmeno un vero obbligo di ritrasmettere, perché la devoluzione dei beni al sostitutito non necessità di alcun comportamento da parte degli eredi dell’istituito, ma segue automaticamente.

C) Teoria della proprietà temporanea –  Gangi – Messineo – Barbero

Secondo la quale l’istituito è titolare di una proprietà temporanea in quanto, si afferma, è la legge stessa ad apporre un termine finale per la prima istituzione, iniziale per la seconda.

Questa teoria, che suppone positivamente risolto il problema sull’ammissibilità di una proprietà temporanea, è

1)     innanzitutto costretta a ritrovare nella posizione giuridica dell’istituito un’eccezione al principio fondamentale semele eres sempre eres (art. 637) –

2)     in secondo luogo contrasta con il diritto positivo, perché il diritto dell’istituito non cessa sicuramente ed automaticamente alla sua morte, ma solo a determinate condizioni.

D) Teoria della proprietà risolubile:  Pelosi – Benedetti – Talamanca – Ricca – Caramazza – PREFERIBILE –  Capozzi:

l’istituito è erede e quindi titolare dei beni ereditari, sembra esatto ravvisare nelle specie un’ipotesi di proprietà risolubile, in quanto destinata a cessare alla morte dell’istituito, se il sostituito gli sopravvive.

L’istituzione (dell’istituito) risulta sottoposta a condizione risolutiva, per cui l’acquisto del sostituito diviene definitivo e ha luogo la sostituzione;

1)     in caso di  premorienza dell’istituito al sostituito;

2)     ed il rispetto da parte del sostituito degli obblighi di assistenza in favore dell’interdetto.

In altri termini, vi sono delle ipotesi in cui la condizione risolutiva non si verifica e l’acquisto dell’istituito si consolida; ciò avviene altresì:

A)   se il sostituito premuore all’istituito;

B)    ovvero non vengono rispettati gli obblighi di assistenza.

In poche parole, si tratta di una condicio iuris non retroattiva: il sostituito, infatti, è delato non alla morte del de cuius, ma alla morte dell’istituito.

L’ istituito, che è un minore o un interdetto, dovrà, in quanto tale, accettare l’eredità con il beneficio d’inventario.

 

 I diritti e i doveri  dell’istituito:

ISTITUITO – secondo l’art. 692 deve appartenere al testatore soltanto in queste tre qualità oltre a quella di essere interedetto:

1.    figlio – legittimato, adottivo, naturale riconosciuto

2.    altro discendente –

3.    coniuge –

A)   I POTERI PRIMA DELL’ACCETTAZIONE – Prima di tutto l’istituito  essendo un delato avrà i poteri previsti dall’art. 460 c.c.  e il diritto di accettare l’eredità.

Nota bene: se tra i beni oggetto del fidecommesso trovasi un’azienda, l’istituito, previa autorizzazione, essendo interdetto – provvederà alla sua continuazione; come invece, potrà affittarla o alienarla.

B)    I POTERI  DOPO L’ACCETTAZIONE

NOTA – quanto all’obbligo di conservare –  è inesatta l’espressione letterale < dell’obbligo >  Capozzi – poiché la legge non ha utilizzato lo strumento obbligatorio  (che si avrebbe, come nel caso della disciplina del contratto fiduciario, nel caso d’inadempimento, con il conseguente risarcimento del danno da parte dell’istituito verso il sostituito), ma lo strumento reale perché ha limitato i poteri di disposizione dell’istituito, creando una situazione di oggettiva indisponibilità dei beni destinati al sostituito. Se, infatti, l’istituito aliena i beni senza rispettare le prescrizioni di legge, l’alienazione è invalida (art. 694).

Oltre che gli atti di ordinaria amministrazione, l’istituito può compiere, con l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria, atti di alienazione dei beni che formano oggetto della sostituzione solo in caso di utilità evidente, e può anche essere autorizzato a costituire ipoteca sui beni medesimi a garanzia dei crediti destinati a miglioramenti ed a trasformazioni fondiarie.

art. 693 c.c.      diritti e obblighi dell’istituito: l’istituito ha il godimento e la libera amministrazione dei beni   [questa amministrazione dà luogo ad un ufficio di diritto privato, del quale l’istituito è titolare, come il curatore dell’eredità giacente   a differenza del chiamato]  che formano oggetto della sostituzione, e può stare in giudizio per tutte le azioni relative ai beni medesimi. Egli può altresì compiere tutte le innovazioni dirette ad una migliore utilizzazione dei beni.

All’istituito sono comuni, in quanto applicabili, le norme concernenti l’usufruttuario (c.c.981 e seguenti).


art. 694 c.c.
     alienazione dei beni: l’autorità giudiziaria (procedimento ex art. 747 c.p.c., tribunale in composizione collegiale, senza distinguere tra beni immobili e beni mobili e deve essere sentito in ogni caso, il giudice tutelare, poiché il sostituito è un interedetto o un minore) può consentire l’alienazione dei beni che formano oggetto della sostituzione in caso di utilità evidente, disponendo il reimpiego delle somme ricavate. Può anche essere consentita, con le necessarie cautele, la costituzione d’ipoteche sui beni medesimi a garanzia di crediti destinati a miglioramenti e trasformazioni fondiarie.

Nota bene: L’istituito deve prendere possesso dei beni e redigere l’inventario, il cui scopo è quello di fissare l’ammontare e lo stato dei beni oggetto della sostituzione al fine di garantire l’adempimento dell’obbligo di conservazione e restituzione.

Il godimento: l’istituito ha la proprietà dei frutti naturali separati, o di quelli civili maturati prima del venir meno del fedecommesso, conseguentemente di essi può disporre liberamente e facendolo acquista la piena proprietà dei beni ricevuti con il loro impiego.

A differenza dell’usufruttuario, l’istituito può compiere tutte le innovazioni dirette ad una migliore utilizzazione dei beni.

Venuta meno l’attribuzione in suo favore, a lui o ai suoi eredi spetta l’indennità per i miglioramenti e le addizioni ex art. 1152 c.c., essendo la sua posizione assimilabile al possessore di buona fede.

Nota bene: il complesso dei beni che formano oggetto della sostituzione costituisce un patrimonio separato rispetto a quello personale dell’istituito.

Gli obblighi: il legislatore non ha espressamente previsto gli obblighi che gravano sull’istituito, ma ha genericamente rinviato alle norme relative all’usufrutto.

art. 1001 c.c.   obbligo di restituzione: misura della diligenza: l`usufruttuario deve restituire le cose che formano oggetto del suo diritto, al termine dell`usufrutto, salvo quanto è disposto dall`art. 995 (2930).

Nel godimento della cosa egli deve usare la diligenza del buon padre di famiglia (1176).

art. 1002 c.c.    inventario e garanzia: l’usufruttuario prende le cose nello stato in cui si trovano (982).

Egli è tenuto a fare a sue spese l`inventario dei beni, previo avviso al proprietario (Cod. Proc. Civ. 769). Quando l`usufruttuario è dispensato dal fare l`inventario, questo può essere richiesto dal proprietario a sue spese.

L`usufruttuario deve inoltre dare idonea garanzia (1179). Dalla prestazione della garanzia sono dispensati i genitori che hanno l`usufrutto legale sui beni dei loro figli minori (324). Sono anche dispensati il venditore e il donante con riserva d`usufrutto (796); ma, qualora questi cedano l`usufrutto, il cessionario è tenuto a prestare garanzia.

L`usufruttuario non può conseguire il possesso dei beni (982) prima di aver adempiuto gli obblighi su indicati.

art. 1004 c.c.   spese a carico dell`usufruttuario: le spese e, in genere, gli oneri relativi alla custodia, amministrazione e manutenzione ordinaria della cosa sono a carico dell`usufruttuario.

Sono pure a suo carico le riparazioni straordinarie rese necessarie dall`inadempimento degli obblighi di ordinaria manutenzione.

art. 1005 c.c.   riparazioni straordinarie: le riparazioni straordinarie sono a carico del proprietario.

Riparazioni straordinarie sono quelle necessarie ad assicurare la stabilità dei muri maestri e delle volte, la sostituzione delle travi, il rinnovamento, per intero o per una parte notevole, dei tetti, solai, scale, argini, acquedotti, muri di sostegno o di cinta.

L`usufruttuario deve corrispondere al proprietario, durante l`usufrutto, l`interesse (1284) delle somme spese per le riparazioni straordinarie

art. 695 c.c.      diritti dei creditori personali dell’istituito: i creditori personali dell’istituito possono agire  soltanto sui frutti  dei beni che formano oggetto della sostituzione

La figura giuridica del sostituito:

Nota – l’ente non deve necessariamente essere pubblico, come prescriveva l’art. 692, 1 co, prima della riforma: può essere una persona giuridica privata o anche ente di fatto.

È discusso se possa essere sostituito anche il tutore dell’istituito perché egli, in tal caso, diventerebbe nello stesso tempo controllore e controllato, essendo a lui affidata la vigilanza relativa alla cura dell’interdetto.

La tesi positiva, seguita dalla dottrina prevalente, può accettarsi, non perché le funzioni di cura e di vigilanza possono coincidere nella stessa persona, ma perché la seconda funzione sarà esercitata in base al 1 co dell’art. 360, dal protutore) che rappresenta l’incapace nei casi in cui l’interesse di questi è in opposizione con l’interesse del tutore.

Altro problema di notevole importanza pratica riguarda il modo di designazione del sostituito –

A)    secondo alcuni (Talamanca) la designazione non avviene ad opera del testatore, come nel caso previsto dall’art. 692 (se fatta dovrebbe considerarsi non apposta, per il divieto d’instituire un’incertam personam), ma in virtù di una relatio operata dalla legge aposteriori nella persona  o ente che, in concreto, ha avuto cura dell’interdetto;

B)    è preferibile (Capozzi) la tesi prevalente (Benedetti – Finocchiaro – Amato) che riconosce al testatore la possibilità il potere di designazione consentendogli, nello stesso tempo, sia di dichiarae una persona determinata, sia di designare il sostituito in incertam personam, vale a dire genericamente nella persona/e che si prenderà cura dell’incapace.

Nella fase che precede la morte dell’istituito, se si accetta la teoria dell’istituzione sottoposta alla condizione risolutiva, il sostituito ha sull’asse ereditario una vera e propria aspettativa giuridica.

Egli, invero, in questa fase transitoria, riceve tutela

1)     sia attraverso l’autorità giudiziaria, che deve accertare l’utilità evidente per l’alienazione da parte dell’istituito dei beni tendenzialmente destinati al sostituito (art.694), e

2)     sia attraverso l’istituto della rimozione del tutore (art. 384 ? vedi cap. X sulla giurisdizione volontaria– par.fo 15 – B – punto 4 pag. 101), il quale non dia affidamento per la gestione dei beni fidecommessi.

Inoltre tale aspettativa durante la pendenza non può essere alienata poiché configurerebbe un vero e proprio patto successorio dispositivo (p.fo B – 1 – B), in quanto egli dissonerebbe di una successione non ancora aperta.

L’OBBLIGO DEL SOSTITUITO

La cura dell’istituito – interdetto, che deve essere svolta sotto la vigilanza del tutore.

A)   assistenza materiale (vitto, alloggio, cure mediche, ecc.);

B)    assistenza morale e spirituale (quest’ultima assistenza deve essere necessariamente svolta dal sostituito, mentre quella precedente anche delegata ad altre persone – come nel caso di cliniche private o case di cura).

LA DEVOLUZIONE

art. 696 c.c.   devoluzione al sostituito: l’eredità si devolve al sostituito al momento della morte dell’istituito (doppia delazione successiva, come teorizzato dalla dottrina prevalente e non doppia delazione successiva contestuale).

Se le persone o gli enti che hanno avuto cura dell’incapace muoiono o si estinguono prima della morte di lui (questa norma va intesa in senso lato nel senso che rientrano in tali ipotesi anche i casi d’incapacità a succedere, o a ricevere per testamento, scomparsa, assenza, morte presunta, indegnità, rinunzia la fusione con altri enti – ma si tratta comunque di una disciplina suppletiva, subordinata agli istituti, prevalentei della sostituzione ordinaria, della rappresentazione e dell’accrescimento), i beni o la porzione dei beni che spetterebbe loro è devoluta ai successori legittimi dell’incapace  .

La devoluzione al sostituito  determina un singolare fenomeno di sdoppiamento tra erede e successore: il sostituito fedecommissario è, cioè, erede del testatore e successore dell’istituito.

 Al momento della morte del sostituito diventa attuale la delazione a favore del sostituito ed è a questo momento che gli competeranno i tipici poteri di delato, vale a dire quelli previsti dall’art. 460 e il diritto di accettare l’eredità, i cui termini prescrizionali cominceranno a decorrere.

Compiuto l’atto di accettazione, il sostituito diventerà erede definitivo e incondizionato dei beni fedecommessi e avrà il diritto di chiedere la loro consegna, l’equivalente delle cose alienate, oltre al risarcimento per eventuali danni imputabili all’istituito.

La sostituzione non avviene nei seguenti casi: ma vi sarà o concentrazione dei beni oggetto dell’eredità in capo all’istituito o successivamente alla morte dell’istituito: sostituzione, rappresentazione, accrescimento  e infine   successione legittima degli eredi dell’istituito.

1) premorienza del sostituito6) indegnità del sostituito
2) scomparsa del sostituito7) rinunzia del sostituito
3) assenza del sostituito8) incapacità a succedere del sostituito
4) morte presunta del sostituito9) mancata assistenza in favore dell’interdetto
5) estinzione dell’ente sostituito

 La sostituzione fedecommissaria nei legati:

art. 697 c.c.     sostituzione fedecommissaria nei legati: le norme stabilite in questa sezione sono applicabili anche ai legati.

La duplice delazione può comprendere

1)     due legati in ordine successivo (lego il fondo Tuscolano a mio figlio Caio, interdetto, con l’obbligo di conservarlo e restituirlo alla sua morte a favore di chi avrà avuto curo di lui),

2)     ovvero un’istituzione di erede e, successivamente un legato (istituisco erede mio figlio, interdetto, con l’obbligo di conservare e restituire, a titolo di legato, il fondo Tuscolano compreso nell’eredità, a favore di chi avrà avuto cura di lui.

Ammissibilità del legato a termine coincidente con la morte del primo chiamato come figura di fedecommesso

(es. nomino erede Tizio e lego a Caio il fondo Tuscolano con decorrenza dal giorno della morte di Tizio) –

 poiché giustamente si ritiene (dottrina prevalente) che in sostanza la sostituzione fedecommissoria nient’altro è se non una duplice disposizione, rispettivamente a termine iniziale e finale, coincidente con la morte del primo chiamato, a titolo di erede o a titolo di legatario. (Talamanca) L’importante è però, che ci sia sempre quel particolare aspetto che contraddistingue tale istituto da ipotesi similari, cioè, la previsione dell’obbligo di conservare, disciplinato dall’art. 692.

Il fedecommesso de residuo:

Consiste nella disposizione con cui il testatore non impone l’obbligo di conservare, ma solo di restituire al sostituito ciò che resta dei beni ereditari al momento della sua morte.

(nomino erede Tizio, il quale potrà disporre come vuole dei beni ereditari, col solo obbligo di restituire a Caio quanto resterà di essi al momento della sua morte)

In  generale, è previsto il divieto del fedecommesso de residuo, perché ricade sotto la generale sanzione prevista dal 5 co dell’art 692, secondo il quale è nulla ogni sostituzione fedecommissaria al di fuori di quella consentita.

Soprattutto perché verrebbe meno il fondamento basato sull’assistenza, non prevedendo l’obbligo della conservazione.

ECCEZIONALE AMMISSIBILITA’ –

È possibile nei ristretti limiti nei quali è ammessa la sostituzione fedecommissaria perché, rispetto alla normale figura, quella in esame rappresenta un minus.

Ad es. il testatore potrà nominare erede universale l’unico figlio interdetto Caio con l’obbligo di restituire tutti i beni ereditari, ma solo quelli dei quali Caio non avrà (debitamente rappresentato ed autorizzato) disposto in vita, a quel determinato istituto religioso che avrà avuto cura di lui.

 La sostituzione compendiosa (o sostituzione ordinaria implicita):

Al di fuori dei casi espressamente e tassativamente previsti dalla legge la sostituzione fedecommissaria è nulla (art. 692 u.c.) La dottrina e la giurisprudenza prevalenti, non dubitano che, in questo caso, la nullità della sostituzione non comporti anche quella dell’istituzione, la quale perciò rimarrà valida ed efficace. Più discussa, invece, è la possibilità di convertire la sostituzione fedecommissaria nulla in una sostituzione ordinaria valida.

Tizio istituisce erde Caio, non interdetto, e gli sostituisce per il tempo in cui avrà cessato di vivere Sempronio, bisogna chiedersi se tale sostituzione sia irrimediabilmente nulla o possa produrre qualche effetto nel caso, in cui, Caio muoia prima dell’apertura della successione di Tizio.

La dottrina prevalente e la giurisprudenza della Cassazione, argomentando dal fatto che ogni sostituzione fedecommissaria è comunque ricompresa quella ordinaria, ritengono che nel caso in esame, all’apertura della successione opererà una sostituzione ordinaria.  La ratio di tale modo di operare andrebbe ritrovata nella presunta volontà del testatore che, comunque, avrebbe voluto che quei beni fossero attribuiti al sostituito.

La clausola si sine liberis decesserit:

questa clausola molto discussa in dottrina e in giurisprudenza, si ha quando il testatore fa una doppia istituzione –

1)     la prima sottoposta alla condizione risolutiva  che l’istituito muoia senza figli;

2)     la seconda (a favore di altro soggetto) sospensivamente condizionata all’avverarsi dello stesso evento.

Tale clausola è in linea di massima valida a meno che non sia impiegata per eludere il divieto del fedecommesso.E allora la disposizione sarà nulla perché in frode alla legge.

 

Teoria negatrice – Cicu – Benedetti – Luminoso

Sostiene la nullità della disposizione, osservando che essa, sostanzialmente, viola il divieto dell’ultimo comma dell’art. 692, secondo il quale la sostituzione fedcommissaria è nulla in ogni caso diverso da quello espressamente previsto.

Teoria positiva – Giannattasio – Barassi – Gangi e giurisprudenze costante della Cassazione – preferibile – Capozzi

Affermano in linea di principio la validità di tale disposizione, osservando che essa non dà luogo ad una duplice e successiva istituzione come nel fedecommesso, ma ad una istituzione unica, perché, verificatasi la condizione risolutiva, il primo istituito viene considerato come mai chiamato, data l’efficacia retroattiva della condizione, espressamente affermata dall’art. 646, e attenuata, ma non eliminata, relativamente ai frutti.

 

Attribuzione separata dell’usufrutto e della nuda proprietà–

un’altra figura giuridica che potrebbe raggiungere un risultato non lontano da quello vietato è l’attribuzione separata dell’usufrutto e della nuda proprietà a 2 soggetti diversi.

Se, in altri termini, Tizio vuole che la sua eredità sia goduta in vita da Caio e alla morte di questi da Sempronio, attribuirà al primo l’usufrutto di tutti i beni ereditari (usufrutto universale) e al secondo la nuda proprietà degli stessi beni.

Dopo la riforma, invece, le differenza fra le due figure sono notevolissime:

1)      perché solo il fedecommesso comporta l’obbligo della cura dell’istituito – interdetto e

2)       può avere ad oggetto non solo i beni costituenti la disponibile, ma anche quelli costituenti la legittima.

3)      Inoltre i chiamati non succedono uno all’altro ma ambedue dal testatore originario.

4)      Infine la consolidazione dell’usufrutto con la nuda proprietà costituisce un effetto non della successione, ma della vis espansiva della proprietà.

Il divieto del legato di usufrutto successivo

Si ha usufrutto successivo quando il costituente attribuisce il diritto di usufrutto ad una determinata persona e, successivamente, alla morte di questa ad altre persone e così via.

L’usufrutto successivo, ha dunque, una struttura nettamente diversa da quello congiuntivo (contemporaneamente a più persone) in questo si ha un solo usufrutto contemporaneo (o contitolarità dello stesso usufrutto); nell’usufrutto successivo, invece, abbiamo più usufrutti, uno dopo l’altro.

L’usufrutto successivo negli atti mortis causa è assolutamente vietato.

La collocazione del legato di usufrutto  successivo nella stessa sezione della sostituzione fedecommissaria spiega una somiglianza formale dei due istituti ma in realtà, l’art. 698 vieta una fattispecie strutturalmente diversa, perché nell’usufrutto successivo, a differenza del fedecommesso, manca l’obbligo di conservare e restituire essendo l’usufrutto un diritto che si estingue alla morte del suo titolare.

art. 698 c.c.   usufrutto successivo: la disposizione, con la quale è lasciato a più persone successivamente l’usufrutto, una rendita o un’annualità, ha valore soltanto a favore di quelli che alla morte del testatore si trovano primi chiamati a goderne (c.c.796).

Es. – Tizio ha legato l’usufrutto del fondo Tuscolano a Caio e successivamente, a Mevio e, successivamente, a Sempronio, l’unico legato di usufrutto valido sarà quello a favore di Caio.

Ammissibilità del legato di usufrutto a termine

È discusso se il divieto dell’usufrutto successivo riguardi anche l’ipotesi di usufrutto a termine: Tizio lega un usufrutto a favore di Primo, Secono e Terzo in modo che primo ne goda per 10 anni, Secono per i successivi 10 e Terzo per gli altri 10.

È preferibile (Capozzi) la tesi (Talamanca – Gangi – Ricca – Azzariti)  della validità perché, in questa ipotesi la durata dell’usufrutto non supera termini certi, mentre l’usufrutto successivo fa riferimenti a termini incerti e, precisamente alla morte degli usufruttuari che si susseguono.

Premi di nuzialità, opere di assistenza e simili

La norma viene in gener considerata un’eccezione al divieto generale contenuto nell’art. 698 ma, in realtà, l’eccezione si può verificare solo nelle rare ipotesi in cui la prestazione periodica debba realizzarsi a favore di più beneficiari in ordine successivo, a far tempo dalla morte di ciascuno di essi.

Essa rappresenta una deroga alla disciplina sulla capacità di succedere, in quanto ammette la possibilità dell’attribuzione del diritto anche a favore di soggetti incapaci di succedere al testatore perché non esistenti al momento dell’apertura della successione

art. 699 c.c.      premi di nuzialità, opere di assistenza e simili: è valida la disposizione testamentaria avente per oggetto l’erogazione periodica, in perpetuo o a tempo, di somme determinate per premi di nuzialità o di natalità, sussidi per l’avviamento a una professione o un’arte, opere di assistenza, o per altri fini di pubblica utilità, a favore di persone da scegliersi entro una determinata categoria o tra i discendenti di determinate famiglie. Tali annualità possono riscattarsi secondo le norme dettate in materia di rendita (1865 e seguenti).

ACCRESCIMENTO  o detta anche delazione solidale


(Libro II delle successioni  – Titolo III –  delle successioni testamentarie – Capo V –  della istituzione di erede – sez IV  del diritto di accrescimento  –  674 – 678)

Se nemmeno le regole della sostituzione  e della rappresentazione sono applicabili, si passa a quelle dettate in materia di accrescimento.

L’accrescimento, in linea generale, può definirsi come quel fenomeno giuridico relativo alla contitolarità di diritti soggettivi, che produce l’effetto di espandere la quota degli altri contitolari qualora venga meno la titolarità di alcuni di esssi. Il fenomeno trova la sua principale applicazione nella successione testamentaria.

art. 674 c.c.      accrescimento tra coeredi: quando più eredi sono stati istituiti con uno stesso testamento nell’universalità dei beni (558), senza determinazione di parti o in parti uguali, anche se determinate, qualora uno di essi non possa o non voglia accettare (c.c.70, 72, 463, 523), la sua parte si accresce agli altri.

Se più eredi sono stati istituiti in una stessa quota, l’accrescimento ha luogo a favore degli altri istituti nella quota medesima.

L’accrescimento non ha luogo quando dal testamento risulta una diversa volontà del testatore (c.c.688).

E’ salvo in ogni caso il diritto di rappresentazione (c.c.467 e seguenti).

IL FONDAMENTO

 

A) la teoria oggettiva – Cicu e Messineo

Il fondamento risiede nella vocazione solidale: ciascuno è chiamato per l’intero, ma il suo diritto è compresso per il concorso degli altri titolari; quando questo concorso cessa, il diritto si espande secondo la sua naturale estensione.

 

La conferma di questa teoria sarebbe data sia dall’automaticità e irrinunziabilità dell’acquisto sia dalla retroattività degli effetti.
B) la teoria soggettiva – prevalente – Gangi –  Pugliatti – BiancaConfermata anche dalla relazione al codice la quale sostiene che la ragione dell’istituto debba rinvenirsi nella presunta volontà del disponente.

La conferma di questa teoria sarebbe data dal terzo comma dell’art. 674.
C) la teoria eclettica – preferibile (Capozzi)Scognamiglio Pur dovendosi riconoscere il fondamento nella presunta volontà del testatore, non si può prescindere dalla tesi della vocazione solidale, la sola che spiega l’automaticità dell’acquisto e la retroattività degli effetti.

LA NATURA GIURIDICA– diritto all’eredità

È preferibile la teoria tradizionale – Gazzarra – Palazzo (invece della teoria dell’autonomiaScognamiglio, la quale sostiene che il diritto di accrescere consisterebbe in un diritto al diritto) secondo la quale il diritto all’accrescimento si tratta dell’originario identico diritto all’eredità che, libero dalla limitazione del concorso degli altri chiamati, si espande senza necessità di un nuovo acquisto e senza bisogno di una nuova e specifica accettazione da parte di colui a favore del quale si verifica l’accrescimento.

I PRESUPPOSTI

1) istituzione in uno stesso testamento

Non avrà luogo accrescimento in questo caso: Tizio istituisce erede Caio in primo testamento per la metà dei suoi beni e, in un successivo e autonomo (poiché se fosse richiamata e confermata la prima istituzione si avrebbe un unico testamento), istituisce Sempronio erede per l’altra metà dei suoi beni.
2) istituzione in parti uguali

Questo presupposto ricorre sia:

1) nel caso in cui il testatore non determini le quote; (nomino miei eredi i miei nipoti Primo e Secondo)

2) sia che espressamente istituisca gli eredi in parti uguali.
3) mancato acquisto da parte di un coeredeA)   per  cause di ordina naturale;

1)     premorienza;

2)     commorienza;

3)     assenza; dichiarazione di morte presunta;
B)    per cause di ordine giuridico;

1)   incapacità;

2)   indegnità;

3)     invalidità della disposizione testamentaria che non tocca la validità dell’altra disposizione a favore dei coeredi;

4)     mancato verificarsi della condizione sospensiva o verificarsi di quella risolutiva;

5)     rinunzia;

6)     decadenza del diritto di accettare

7)     revoca della designazione

EFFETTI DELL’ACCRESCIMENTO

1) Acquisto di diritto

art. 676 c.c. effetti dell’accrescimento: l’acquisto per accrescimento ha luogo di diritto.

I coeredi o i legatari, a favore dei quali si verifica l’accrescimento, subentrano negli obblighi a cui era sottoposto l’erede o il legatario mancante, salvo che si tratti di obblighi di carattere personale.

La norma è in perfetta coerenza con la dottrina tradizionale per quanto riguarda la natura giuridica dell’accrescimento.
2) Retroattività dell’acquisto
Dal momento dell’apertura della successione, perché, esso è espansione dell’originario diritto acquistato dall’erede al momento della morte del testatore.
3) Irrinunziabilità dell’accrescimento
a)     Per gli autori che sostengono l’autonomia del diritto (Scognamiglio) ammettono la rinunzia all’accrescimento;

b)     La dottrina prevalente (Gangi –  Pugliatti – Caramazza) sostiene, che una volta accetata l’eredità, l’accrescimento avviene non soltanto senza la volontà del coerede, ma anche contro la sua volontà.
4) Vendita di coeredità
È discusso se, in caso di vendita di coeredità, l’eventuale accrescimento, successivo alla conclusione del contratto, abbia luogo a favore del venditore o a favore del compratore.

Sembra preferibile (Capozzi) l’opinione (Fedele – Gazzarra) la quale ritiene che l’accrescimento giovi all’acquirente, in quanto deve ritenersi oggetto del contratto, se non vi è volontà contraria, l’intera posizione ereditaria del coerede venditore.

5) Il passaggio degli oneri

art. 676 c.c.      effetti dell’accrescimento: l’acquisto per accrescimento ha luogo di diritto.

I coeredi o i legatari, a favore dei quali si verifica l’accrescimento, subentrano negli obblighi a cui era sottoposto l’erede o il legatario mancante, salvo che si tratti di obblighi di carattere personale.

IL PROBLEMA DELL’ACCRESCIMENTO VOLONTARIO–
È discusso in dottrina e giurisprudenza se sia consentito al testatore derogare alle norme sull’accrescimento, in particolare disponendo con apposita clausola l’accrescimento in quote disuguali.

La tesi negativa – Cass. – Barbero – Messineo

Si afferma solo al legislatore è permesso stabilire i presupposti dell’accrescimento.

La tesi positiva – preferibile (Capozzi) – Gangi – Gazzarra – Scognamiglio

Se questi presupposti sono stabiliti dalla volontà del testatore danno luogo, in concreto, o ad una sostituzione fedecommissaria (se si tratta di coeredità) ovvero ad un usufrutto successivo (se si tratta di legato di usufrutto) fuori dai casi consentiti dalla legge.
La quale si fonda soprattutto sul testo legislativo ove espressamente è data rilevanza, in tema di accrescimento, alla volontà del testatore – art. 647 3 co.

L’ACCRESCIMENTO NELLE SUCCESSIONI LEGITTIME–

art. 522 c.c.   devoluzione nelle successioni legittime: nelle successioni legittime la parte di colui che rinunzia si accresce a coloro che avrebbero concorso col rinunziante, salvo il diritto di rappresentazione (c.c.467 e segg.) e salvo il disposto dell’ultimo comma dell’art. 571. Se il rinunziante e solo, l’eredità si devolve a coloro ai quali spetterebbe nel caso che egli mancasse.

La teoria positiva –– Gangi – Barassi – Messineo

Tradizionalmente si ritiene che il fenomeno previsto dall’art. 522 sia un autentico accrescimento, uguale a quello della successione testamentaria (art. 674). Si è osservato in particolare che, in entrambi i casi di successione, si ha la vocazione solidale di più persone in un unico oggetto con la conseguenza che, verificatasi la vacanza, il diritto dei superstiti si dilata.

La teoria negativa – preferibile (Capozzi) –– Gazzarra – Scognamiglio – Cariota Ferrara

Solo per approssimazione si può prlare di accrescimento perché nella successione legittima l’espansione delle quote non è in realtà dovuta alla vocazione solidale, se è vero che si verifica anche quando la chiamata è per quote disuguali. Per la successione legittima non si riscontra una vocazione solidale a favore di un gruppo di persone alle quali unitariamente venga attribuita l’eredità o la quota.

La teoria restrittiva –– Scognamiglio Mengoni –Messineo

L’art. 522 viene applicato alla sola ipotesi di vocazione solidale nella stessa quota, non anche nell’ipotesi in cui vi è concorso, ma non nella stessa quota.

La teoria estensiva – preferibile (Capozzi) –– Ferrari –– Terzi – Rescigno


Si pensi all’art. 581 – concorso coniuge con i figli, tutti costoro concorrono tra loro, ma soltanto i figli concorrono nella medesima quota pari a 2/3.

Se ad esempio al de cuius succedono il coniuge e 3 figli e uno di essi rinunzia, la quota vacante si accresce agli altri 2 figli che accettano, non anche al coniuge la cui quota rimane indifferente.

Nel caso in cui tutti e 3 rinunziassero, non troverebbe più applicazione l’art. 522, ma l’art. 521 e quindi l’eredità sarà devoluta al coniuge in concorso con ascendenti o fratelli o sorelle del defunto.L’art. 522 va interpretato nel senso che la rinunzia di un chiamato opera in un primo momento a favore dei componenti del gruppo chiamato solidalmente nella stessa quota ma, ove i componenti di questo gruppo non ci siano, opera a favore di colui che concorreva nel medesimo grado pur se in un gruppo diverso.

Se ad esempio al de cuius succedono il coniuge e 3 figli e  2 fratelli e i 3 figli rinunziano, l’intera eredità si devolverà al solo coniuge in quanto questo anche se non appartiene allo stesso gruppo, è pur sempre concorrente insieme ai figli in base all’art. 581.

L’ACCRESCIMENTO NELLA SUCCESSIONE NECESSARI

La teoria positiva –– Barbero

Ha sostenuto che il fenomeno dell’accrescimento esisterebbe anche per la successione necessaria.

La teoria negativa – preferibile (Capozzi) –– Santoro Passarelli

La legittima non si determina dai successori, ma piuttosto dai chiamati; se poi qualcuno viene meno prima di aver accettato e non ha luogo la rappresentazione, opera l’accrescimentoNella successione necessaria la mancanza di uno dei chiamati non da luogo ad un accrescimento in senso tecnico, ma solo un incremento della partecipazione ereditaria degli altri chiamati.

L’ACCRESCIMENTO TRA COLLEGATARI– necessari gli stessi presupposti dell’accrescimento tra coeredi.

La porzione del legatario mancante va a profitto dell’onerato.

art. 675 c.c.       accrescimento tra collegatari: l’accrescimento ha luogo anche tra più legatari ai quali è stato legato uno stesso oggetto, salvo che dal testamento risulti una diversa volontà e salvo sempre il diritto di rappresentazione (c.c.467).

Il problema dell’unicità del testamento –

È oggetto di controversia se sia necessaria anche la coniunctio verbis, vale a dire la necessità che la chiamata congiuntiva risulti dallo stesso testamento.

È preferibile (Capozzi) la tesi meno rigorosa seguita dalla dottrina nettamente prevalente (Pugliatti – Scognamiglio – Gazzarra – Barbero) e dalla stessa relazione al codice, la quale si basa soprattutto su un argomento letterale: l’art. 675 si riferisce, solo alla coniuctio re (“legatari ai quali è stato legato uno stesso oggetto”) e non anche alla coniuctio verbis richiesta invece nell’accrescimento far i coeredi (“quando più eredi sono stati istituiti con uno stesso testamento”).

Occorre naturalmente che il testamento posteriore non abbia revocato il precedente.

Per quanto riguarda la tecnica redazionale e affinché non si abbia revocazione della disposizione testamentaria precedente, bisognerà scrivere, ad esempio, lego il fondo tuscolono anche a Caio, in quanto nel precedente testamento era stato legato solo a Tizio, mentre, al contrario,  il legato successivo renderà  revocabile quello designato precedemente, la dove si userà l’eespresione, lego il fondo tuscolano a Caio.

Nel caso di testamenti contemporanei –

È da accogliere la soluzione seguita dalla Cassazione e da parte della dottrina (Gangi), secondo la quale, non potendosi stabilire quale testamento posteriore  revochi quello precedente, non si avrà accrescimento, ma le due disposizioni si elimineranno a vicenda ed il bene legato andrà a beneficio dell’onerato.

EFFETTI DELLA MANCANZA DI ACCRESCIMENTO

art. 677 c.c.     mancanza di accrescimento: se non ha luogo l’accrescimento, la porzione dell’erede mancante si devolve  agli eredi legittimi (c.c.565), e la porzione del legatario mancante va a profitto dell’onerato.

Gli eredi legittimi e l’onerato subentrano negli obblighi che gravavano sull’erede o sul legatario mancante, salvo che si tratti di obblighi di carattere personale.

Le disposizioni precedenti si applicano anche nel caso di risoluzione di disposizioni testamentarie per inadempimento dell’onere (c.c.648).

L’ACCRESCIMENTO NEL LEGATO D’USUFRUTTO

art. 678 c.c.      accrescimento nel legato di usufrutto: quando a più persone è legato un usufrutto (c.c.978) in modo che tra di loro vi sia il diritto di accrescimento, l’accrescimento ha luogo anche quando una di esse viene a mancare dopo conseguito il possesso della cosa su cui cade l’usufrutto .

Se non vi è diritto di accrescimento, la porzione del legatario mancante si consolida con la proprietà.

Questo articolo serve per distinguere questa fattispecie dal legato successivo di usufrutto, vietato nel nostro ordinamento.

Es. : Tizio laga l’usufrutto del fondo Tusculano  a Caio ed a Sempronio ed entrambi accettano il legato e godono dell’usufrutto, alla morte di Caio l’usufrutto di costui non si consoliderà alla nuda proprietà, ma si accrescerà a favore di Sempronio che godrà l’intero usufrutto.

Le ipotesi tipiche di mancato acquisto:

A)   è la morte del collegatario di usufrutto;

B)    la rinunzia da parte del collegatario;

C)    la prescrizione estintiva;

D)   la scadenza del termine;

E)    la condizione risolutiva apposta alla quota di uno dei collegatari;

F)    anche nel caso in cui il collegatario abusi del proprio diritto, pur se in

questo caso vi sono ipotesi contrastanti in dottrina – è preferibile (Capozzi) quella favorevole – sia perché il diritto del proprietario non può, in conseguenza dell’abuso, acquistare nuova forza e così prevalere su quello di accrescimento, sia perché il nudo proprietario è sufficientemente garantito con l’esclusione di colui che abusa della compagine degli usufruttuari.

Questo accrescimento (ex lege per i legati e convenzionale per gli atti inter vivos) viene giustificato considerando che l’usufrutto (a differenza della proprietà) è un diritto temporaneo che si estingue con la fine del suo titolare. Di conseguenza, essendo a ciascun cousufruttuario attribuito (per il principio della comunione) il diritto all’intero, sia pure limitato dal diritto degli altri, nessun ostacolo si oppone, a differenza che per la proprietà, per un accrescimento posteriore all’acquisto, figura quest’ultima, oltre tutto, espressamente prevista per la rendita vitalizia.

Collegato di usufrutto e di proprietà

È anche possibile che il godimento spetti in comune ad un usufruttuario pro quota ed a un pieno proprietario pro quota.

Bisogna distinguere due ipotesi (Capozzi), a seconda che esista o non un’espressa volontà del testatore.

A)    “lego a Tizio la proprietà del fondo Tuscolano e a Caio l’usufrutto” – tale ipotesi viene interpretata nel senso che Tizio è legatario della sola nuda proprietà e Caio di tutto l’usufrutto e non vi è, ovviamente, possibilità di accrescimento;

B)    Es. – Tizio lega a Primo la proprietà e a Secondo l’usufrutto del fondo Tuscolano, espressamente disponendo che entrambi i legatari dovranno usare e godere il bene legato. Alla morte di Primo l’usufrutto si accrescerà a Secondo ovvero si consoliderà per la metà a favore degli eredi di Primo?

Alla teoria formalistica, la quale nega l’accrescimento perché si tratterrebbe di oggetti diversi (da un lato la proprietà e dall’altro l’usufrutto – diritti diseuguali dal punto di vista quantitativo, ma omogenei dal punto di vista qualitativo), viene autorevolmente (Pugliese – Vassalli) opposto che, ammessa la comunione di godimento (di conseguenza i rapporti tra proprietario ed usufruttuario, per quanto riguarda il godimento, possono considerarsi regolati dalle stesse norme applicabili alla comunione dei diritti reali), non si può escludere che la vocazione dell’usufrutto sia potenzialmente solidale (Capozzi).  Si avrà perciò accrescimento a favore di Secondo.

Istituto applicabile

1)        Al legato d’uso e di abitazione – anche se la dottrina positiva

contesta innanzitutto l’indivisibilità del diritto, ritiene che è ben possibile un godimento parziale  e afferma che l’accrescimento deve essere comunque limitato ai bisogni dei titolari e delle loro famiglie.

2)        Il legato di prestazioni periodiche – legato di rendita vitalizia – è preferibile la tesi positiva (Capozzi) che applica non per analogia l’art.678, ma l’art. 1874, secondo il quale se la rendita vitalizia è costituita a favore di più persone, la parte spettante al vitaliziato premorto si accresce a favore degli altri, salvo patto contrario.

Avv. Renato D’Isa