È illegittimo il diniego del rinnovo del permesso di soggiorno stabilito da un extracomunitario perché era stato condannato per violenza sessuale e lesioni personali
Consiglio di Stato
sezione III
sentenza 20 ottobre 2016, n. 4401
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3422 del 2012, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato An. Ma. (C.F. (omissis)), con domicilio eletto presso il signor Ar. Sa. in Roma, viale (…);
contro
La Questura di Ravenna ed Ministero dell’Interno, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per Emilia Romagna, Sede di Bologna, Sez. II, n. 131/2012, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 13 ottobre 2016 il pres. Luigi Maruotti;
Nessuno presente per le parti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con decreto n. 252 del 7 ottobre 2011, il Questore della Provincia di Ravenna ha respinto l’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno presentata il 15 novembre 2010 dall’appellante, cittadino senegalese titolare di un permesso di soggiorno per motivi di lavoro dal 2004, rinnovato due volte, l’ultima con scadenza l’11 novembre 2010.
Il diniego è stato emanato sul rilievo che a carico dell’istante era stata emessa, con rito abbreviato, una sentenza di condanna alla pena di due anni e quattro mesi di reclusione per i delitti di violenza sessuale ex art. 609 bis c.p. e di lesione personale ex art. 582 c.p. (commessi il 25 novembre 2007).
2. Con il ricorso n. 25 del 2012 (proposto al Tar per l’Emilia Romagna, Sede di Bologna), l’interessato ha impugnato tale diniego, chiedendone l’annullamento.
Il Tar, con la sentenza n. 131 del 21 febbraio 2012, resa ai sensi dell’art. 60 c.p.a., ha respinto il ricorso, con condanna alle spese di giudizio della parte soccombente, sul rilievo che la condanna, sebbene non definitiva, per violenza sessuale costituisce ex lege una idonea ragione di diniego di rilascio o di rinnovo del permesso di soggiorno.
3. Con l’appello in esame, notificato il 12 aprile 2012 e depositato il successivo 9 maggio, l’interessato ha chiesto che, in riforma della sentenza impugnata, il ricorso di primo grado sia accolto, deducendo l’erroneità della sentenza sul rilievo che è stato considerato agli effetti del giudizio di pericolosità sociale un solo precedente, non accertato con sentenza passata in giudicato, senza valutare che soggiorna in Italia da molto tempo, é titolare di un contratto di lavoro a tempo indeterminato e quindi ha una fonte di reddito certa e lecita, ed è sposato con una connazionale regolarmente soggiornante in Italia.
4. Si sono costituiti il giudizio la Questura della Provincia di Ravenna ed il Ministero dell’Interno.
5. Con l’ordinanza n. 2035 del 25 maggio 2012, la Sezione ha respinto l’istanza di sospensione cautelare della esecutività della sentenza appellata.
6. Alla pubblica udienza del 13 ottobre 2016, la causa è stata trattenuta per la decisione.
7. Ritiene la Sezione che l’appello è fondato e va accolto.
E’ costante l’orientamento della Sezione (22 aprile 2015, n. 2033; 16 gennaio 2015, n. 112) secondo cui le ipotesi dell’art. 4, comma 3, t.u. 25 luglio 1998, n. 286, precludono tassativamente il rilascio, come il rinnovo, del permesso di soggiorno in favore del cittadino extracomunitario, mentre il solo elemento di cui si può eventualmente tenere conto è il provvedimento che elimini la rilevanza della causa ostativa stessa, quale una sentenza di appello o di cassazione, ovvero di revisione e che faccia venire meno la condanna (sez. III, 4 luglio 2011, n. 3996).
L’automatismo delle cause ostative viene però meno e dà luogo, al suo posto, ad una valutazione discrezionale nei casi previsti dall’art. 5, comma 5, del citato testo unico, come modificato dal d.lgs. 8 gennaio 2007, n. 5, per come è stato inciso dal dispositivo della sentenza della Corte Costituzionale 18 luglio 2013, n. 202.
L’ultima parte del comma 5 dell’art. 5 dispone infatti che “nell’adottare il provvedimento di rifiuto del rilascio, di revoca o di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare ovvero del familiare ricongiunto, ai sensi dell’art. 29, si tiene anche conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato e dell’esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese d’origine, nonché, per lo straniero già presente sul territorio nazionale, anche della durata del suo soggiorno nel medesimo territorio nazionale”.
Osserva il Collegio, richiamando un proprio recente precedente in termini (22 aprile 2015, n. 2033), che la tutela prevista dal comma 5 dell’art. 5 del d.lgs. n. 286 del 1998 riguarda lo straniero che abbia attivato una procedura di ricongiungimento familiare o il familiare ricongiunto ai sensi dell’art. 29 del d.lgs. n. 286 del 1998.
Con la sentenza della Corte Costituzionale n. 202 del 2013, tale disposizione è stata dichiarata costituzionalmente illegittima, nella parte in cui prevedeva che la valutazione discrezionale in esso stabilita si applicasse solo allo straniero che avesse esercitato il diritto al ricongiungimento familiare o al familiare ricongiunto, e non anche allo straniero che avesse legami familiari nel territorio dello Stato.
In particolare la Corte Costituzionale si è riferita a coloro che, pur avendone i requisiti, non abbiano formalmente esercitato il loro diritto al ricongiungimento familiare ed ha chiarito che “l’impossibilità di annoverare tra i beneficiari di tale tutela rafforzata tutti coloro che vivono in Italia con una famiglia, indipendentemente dal tipo di permesso di soggiorno di cui dispongono, determina, come prospettato dal giudice rimettente, una irragionevole disparità di trattamento di situazioni consimili, con una illegittima compromissione di diritti fondamentali legati alla tutela della famiglia e dei minori”.
Nel caso sottoposto all’esame del Collegio, l’appellante ha tempestivamente rappresentato di avere un regolare rapporto di lavoro a tempo indeterminato, nonché un legame familiare derivante da un matrimonio con una connazionale con regolare premesso soggiorno.
Applicando i principi sopra enunciati alla controversia in esame, il Questore avrebbe dovuto valutare la sussistenza di tale rapporto matrimoniale, effettuando una comparazione tra la gravità della condanna comminata all’interessato e, dunque, la sua pericolosità sociale, e il suo interesse all’unità del nucleo familiare.
8. Non rileva, in contrario, il fatto che l’appellante non ha lamentato l’incostituzionalità della disposizione del testo unico n. 286 del 1998, nella parte in cui prevedeva l’automatismo del diniego di rilascio del permesso di soggiorno, conseguente alle condanne comminate per determinati reati, valutate ex ante dal legislatore di tale gravità da non consentire la permanenza nel territorio dello Stato.
Per l’art. 136 della Costituzione e l’art. 30 della legge 11 marzo 1953, n. 87, la dichiarazione di illegittimità costituzionale di una disposizione di legge determina la cessazione della sua efficacia erga omnes e, sotto il profilo temporale, impedisce, dopo la pubblicazione della sentenza, che la medesima disposizione sia applicata ai rapporti pendenti in relazione ai quali essa risulti comunque rilevante.
La disposizione oggetto della dichiarazione di incostituzionalità non è più applicabile, indipendentemente dalla circostanza che la fattispecie sia sorta in epoca anteriore alla pubblicazione della sentenza della Corte Costituzionale (Cass. civ., sez. I, 20 novembre 2012, n. 1320; id., sez. III, 6 maggio 2010, n. 10958; Cons. St., sez. VI, 27 luglio 2011, n. 4494).
Quanto ai provvedimenti emanati sulla base di una disposizione dichiarata costituzionalmente illegittima nel corso del giudizio d’impugnazione, essi vanno conseguentemente annullati, pur se conformi alla legge alla data in cui furono emanati, poiché per l’art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, la declaratoria di incostituzionalità rileva per tutte le situazioni situazioni pendenti, tra le quali sono da comprendere i casi in cui gli atti non siano divenuti inoppugnabili.
Le sentenze che dichiarano l’incostituzionalità rilevano nel processo amministrativo anche indipendentemente dalla proposizione da parte del ricorrente di corrispondenti censure, quando l’applicazione delle norme censurate di incostituzionalità rientri tra le questioni sottoposte al giudice con i motivi di ricorso, potendo il giudice amministrativo rilevare d’ufficio la dichiarazione di incostituzionalità, totale o parziale, delle disposizioni applicate con il provvedimento impugnato (Cons. St., sez. IV, 25 giugno 2013, n. 3449; id. 18 giugno 2009, n. 4002).
In applicazione di tali principi, quindi, il diniego di rilascio del permesso di soggiorno deve essere annullato, in quanto applicativo di una disposizione dichiarata, in corso di causa, incostituzionale in parte qua.
9. Per le ragioni sopra esposte, l’appello deve essere accolto e la sentenza appellata deve essere riformata, con l’accoglimento del ricorso di primo grado e l’annullamento del provvedimento di diniego impugnato.
Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese e gli onorari del secondo grado del giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Terza) accoglie l’appello n. 3422 del 2012 e, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso in primo grado ed annulla il diniego emesso in data 7 ottobre 2011.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1, del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità, nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l’appellante.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, presso la sede del Consiglio di Stato, Palazzo Spada, nella camera di consiglio del giorno 13 ottobre 2016, con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti – Presidente, Estensore
Manfredo Atzeni – Consigliere
Massimiliano Noccelli – Consigliere
Stefania Santoleri – Consigliere
Raffaello Sestini – Consigliere
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