Il giudizio previsto dall’art. 548 c.p.c. si conclude con una sentenza dal duplice contenuto di accertamento: l’uno, idoneo ad acquistare autorità di cosa giudicata sostanziale tra le parti del rapporto, avente ad oggetto il credito del debitore esecutato (che, pertanto, è litisconsorte necessario) nei confronti del terzo pignorato; l’altro, di rilevanza meramente processuale, attinente all’assoggettabilità del credito pignorato all’espropriazione forzata, efficace nei rapporti tra creditore procedente e terzo debitor debitoris e come tale rilevante ai soli fini dell’esecuzione in corso, secondo la forma dell’accertamento incidentale ex lege.
Le notificazioni del processo che si svolge in Italia dirette a convenuto non residente, né dimorante o domiciliato nel territorio dello Stato si eseguono, in prima battuta, in uno dei modi consentiti dalle convenzioni internazionali vigenti o dalle disposizioni interne regolanti la procedura diplomatica, di cui agli art. 30 e 75 d.P.R. 5 gennaio 1967, n. 200; mentre unicamente se non sia possibile eseguire la notificazione in uno dei modi predetti è ammesso, in seconda battuta, il ricorso alle modalità stabilite nei primi due commi dello stesso art. 142 c.p.c.. Il procedimento notificatorio di cui all’art. 142 c.p.c. costituisce, quindi, strumento residuale, operante soltanto laddove sia impossibile notificare nei modi stabiliti dalle convenzioni internazionali eventualmente applicabili od in base alla disciplina del d.P.R. 5 gennaio 1967, n. 200
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE I CIVILE
SENTENZA 7 settembre 2016, n.17682
Ritenuto in fatto
La Corte d’appello di Genova ha dichiarato la nullità del procedimento e della sentenza di primo grado, emessa dal Tribunale di Massa il 28 maggio 2004 – rimettendo la causa innanzi al primo giudice ex art. 354 c.p.c. – per mancata integrazione del contraddittorio nei confronti del litisconsorte necessario e debitore esecutato Ministero per la Pianificazione dell’Iraq, nell’ambito del giudizio traente origine dal pignoramento presso terzi per l’importo di 4.849.211,02, oltre interessi, effettuato dalla Server Plus Limited in danno del Ministero iracheno e nei confronti della Banca di Roma.
La corte territoriale ha ritenuto, per quanto ancora rileva, che la costituzione in appello del Ministero sia valida in forza della procura rilasciata dall’ambasciatore iracheno in Italia ed autenticata da notaio italiano, sebbene invece sia invalida la precedente procura autenticata dall’ambasciata italiana di Bagdad.
La corte, inoltre, ha reputato nulla la notificazione dell’atto di citazione del giudizio in primo grado al Ministero iracheno, eseguita ai sensi dell’art. 142 c.p.c. senza che ne sussistessero i presupposti, atteso che avrebbe dovuto invece essere compiuta in via consolare, ai sensi degli art. 30 e 75 d.P.R 5 gennaio 1967 n. 200, essendo stato accertato che, almeno dal 25 settembre 2003, esisteva un funzionario della delegazione speciale diplomatica italiana abilitato all’esercizio di tutte le funzioni consolari in Iraq; né vi è, inoltre, riscontro dell’effettivo inoltro e della ricezione da parte del destinatario dell’atto spedito ex art. 142 c.p.c..
Avverso questa sentenza Server Plus Limited propone ricorso per cassazione, sulla base di quattro motivi.
Resistono con controricorsi l’Unicredit s.p.a., successore di Banca di Roma s.p.a., ed il Ministero della Pianificazione dell’Iraq, il quale propone altresì ricorso incidentale condizionato per un motivo, cui resiste la ricorrente. Essi hanno depositato pure la memoria di cui all’art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
– La ricorrente principale propone quattro motivi di ricorso, che possono essere come di seguito riassunti:
1) violazione e falsa applicazione degli art. 100, 323 ss., 548 c.p.c., per non avere la corte del merito rilevato la carenza d’interesse ad impugnare del Ministero, debitore principale esecutato, posto che la sentenza di primo grado aveva accertato la sussistenza di un suo credito nei confronti della banca ed esso non aveva alcun interesse a negarne la sussistenza;
2) violazione e falsa applicazione degli art. 4 e 71 d.P.R. 5 gennaio 1967 n. 200, contenente disposizioni sulle funzioni e sui poteri consolari, oltre ad omessa o insufficiente motivazione, perché la delega al funzionario della delegazione speciale diplomatica italiana era inidonea a conferirgli i poteri in questione, non essendo stata disposta con decreto; inoltre, a tale delegazione speciale non erano stati conferiti i poteri consolari afferenti le notifiche, ai sensi dell’art. 35 del d.P.R. 5 gennaio 1967, n. 18, punto su cui la corte del merito nulla ha esposto;
3) violazione degli art. 142 e 143 c.p.c., oltre al vizio di motivazione contraddittoria, per avere la corte del merito ritenuto insussistente la prova dell’inoltro e ricezione della notificazione eseguita, posto che essa si perfeziona nel ventesimo giorno successivo al compimento delle formalità prescritte, senza necessità di provarne la ricezione;
4) violazione e falsa applicazione degli art. 83, 327, 343 c.p.c., degli art. 27 e 28 l. 16 febbraio 1913, n. 89 e dei principi sulla extraterritorialità della sede dell’ambasciata di Stato straniero, oltre motivazione omessa, per non avere la corte del merito rilevato la invalidità anche della seconda procura rilasciata dal Ministero nel costituirsi in appello, in ragione della carenza di poteri in capo al notaio italiano autenticante all’interno della sede dell’ambasciata; in ogni caso, essa non sarebbe idonea a sanare con effetto retroattivo la prima procura invalida.
Con l’unico motivo del ricorso incidentale condizionato, il Ministero lamenta la violazione dell’art. 83 c.p.c., in quanto anche la prima procura, rilasciata il 22 novembre 2004, è valida, essendovi autenticazione sia da parte della rappresentanza diplomatica italiana in Iraq, sia di notaio iracheno, e dovendo ritenersi i requisiti di validità quelli del luogo di emissione.
Il primo motivo del ricorso principale è infondato.
Esso, invero, contiene un errore prospettico, allorché non tiene conto dei peculiari caratteri del procedimento di espropriazione presso terzi.
Come questa Corte ha più volte chiarito, il pignoramento presso terzi costituisce una fattispecie complessa, la quale si perfeziona con la dichiarazione positiva del terzo o con l’accertamento giudiziale del credito di cui all’art. 549 c.p.c., da cui discendono per il giudice dell’esecuzione le informazioni necessarie per provvederne all’assegnazione al pignorante (Cass. 4 marzo 2015, n. 4380, in motivazione; e già Cass. 9 marzo 2011, n. 5529; 27 gennaio 2009, n. 1949; 15 luglio 1972, n. 2443).
La dichiarazione positiva del terzo, così come l’accertamento compiuto giudizialmente, completano dunque l’oggetto dell’espropriazione, che, ai fini esecutivi, è in tal modo definitivamente fissato: il pignoramento è l’atto con cui s’individuano e si conservano i diritti del debitore sottoposti ad espropriazione.
L’accertamento dell’appartenenza del credito si atteggia, poi, in modo peculiare, dal momento che – a differenza che di quella del bene nell’espropriazione mobiliare, che si trovi presso il debitore, e della trascrizione dell’immobile nei registri immobiliari – nella procedura esecutiva presso terzi altrettanti ‘sintomi di appartenenza’ immediati non sono riscontrabili: onde ‘soccorrono strumenti di verifica dell’appartenenza, che possono essere interni al processo esecutivo (come la dichiarazione con la quale il terzo specifica di quali cose o di quali somme è debitore o si trova in possesso, ex art. 547, primo Gomma, c.p.c.), o esterni ad esso, costituiti da un processo di cognizione volto all’accertamento di una convenzionale ed esteriore appartenenza del credito al debitore esecutato: artt. 548 e 549 del codice di rito’ (Cass. 6 novembre 2002, n. 15549).
Con l’assegnazione, quindi, atto conclusivo del procedimento, si determina il trasferimento del credito dal debitore esecutato al suo creditore (Cass. 26 agosto 1997, n. 8013; 12 ottobre 1995, n. 10626; 20 novembre 1990, n. 11195).
Quanto al terzo debitor debitoris, il provvedimento di assegnazione non vale a renderlo esecutato, potendo essere equiparato, negli effetti, ad una cessione negoziale del credito.
Le Sezioni unite di questa Corte hanno affermato (Cass., sez. un., 18 febbraio 2014, n. 3773; sez. un., 13 ottobre 2008, n. 25037) che il giudizio previsto dall’art. 548 c.p.c. si conclude con una sentenza dal duplice contenuto di accertamento: l’uno, idoneo ad acquistare autorità di cosa giudicata sostanziale tra le parti del rapporto, avente ad oggetto il credito del debitore esecutato (che, pertanto, è litisconsorte necessario) nei confronti del terzo pignorato; l’altro, di rilevanza meramente processuale, attinente all’assoggettabilità del credito pignorato all’espropriazione forzata, efficace nei rapporti tra creditore procedente e terzo debitor debitoris e come tale rilevante ai soli fini dell’esecuzione in corso, secondo la forma dell’accertamento incidentale ex lege.
Questo principio è sufficiente a smentire la tesi della ricorrente, posto che l’interesse del debitore esecutato a partecipare al giudizio in questione, il quale fonda la sua qualità di litisconsorte necessario, discende dagli stessi effetti relativi agli accertamenti simultanei del credito e della sua assoggettabilità ad espropriazione forzata. Il debitore nella procedura di pignoramento presso terzi non ha come interesse unico che il proprio debitore riconosca l’esistenza del debito, ma vanta un interesse autonomo alla legalità e alla regolarità della procedura, nonché a non subire indebiti depauperamenti del proprio patrimonio, ad esempio in presenza di un credito inespropriabile.
Né giova alla ricorrente richiamare quella giurisprudenza di legittimità, la quale – in applicazione del principio della ‘ragione più liquida’ – ammette la superfluità dell’integrazione del contraddittorio in sede di impugnazione, ove questa sia palesemente ed in ogni caso inammissibile o infondata, traducendosi quella, in tal caso, in una attività processuale del tutto ininfluente sull’esito del giudizio e lesiva del principio della ragionevole durata del processo (ex multis, Cass., sez. un., ord. 18 novembre 2015, n. 23542; 17 giugno 2013, n. 15106; sez. un., ord. 22 marzo 2010, n. 6826; 8 febbraio 2010, n. 2723), posta la differenza delle fattispecie, destinata l’una a concludersi in ogni caso in una pronuncia reiettiva e l’altra aperta ai più diversi esiti e, soprattutto, preliminare alla perdita del credito in virtù dell’assegnazione al creditore procedente.
3.- Il secondo motivo è infondato.
3.1. – Occorre ricordare che le notificazioni del processo che si svolge in Italia dirette a convenuto non residente, né dimorante o domiciliato nel territorio dello Stato sono regolate dall’art. 142 c.p.c.
È noto come in virtù della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’originario 3 comma dell’art. 143 c.p.c., nella parte in cui non prevede che, in ipotesi di notificazione diretta a persona non residente, né dimorante, né domiciliata nel territorio della Repubblica, la sua applicazione sia subordinata all’accertata impossibilità di eseguire nei modi consentiti dalle convenzioni internazionali e dal d.P.R. 5 gennaio 1967, n. 200 (Corte cost. n. 10 del 1978) – la quale ha privilegiato, rispetto al principio di conoscenza legale, le esigenze di conoscenza effettiva, attraverso il richiamo alla preliminare rilevanza della disciplina pattizia, generalmente improntata al principio dell’effettività della conoscenza – il legislatore, con la 1. 6 febbraio 1901, n. 42, di ratifica ed esecuzione della convenzione relativa alla notifica all’estero di atti giudiziari ed extragiudiziari in materia civile o commerciale adottata a l’Aja il 15 novembre 1965, ha modificato il testo degli art. 142 e 143 c.p.c..
Di conseguenza, il sistema prevede ora che le notificazioni si eseguono, in prima battuta, in uno dei modi consentiti dalle convenzioni internazionali vigenti o dalle disposizioni interne regolanti la procedura diplomatica, di cui agli art. 30 e 75 d.P.R. 5 gennaio 1967, n. 200; mentre unicamente se non sia possibile eseguire la notificazione in uno dei modi predetti è ammesso, in seconda battuta, il ricorso alle modalità stabilite nei primi due commi dello stesso art. 142 c.p.c..
Il procedimento notificatorio di cui all’art. 142 c.p.c. costituisce, quindi, strumento residuale, operante soltanto laddove sia impossibile notificare nei modi stabiliti dalle convenzioni internazionali eventualmente applicabili od in base alla disciplina del d.P.R. 5 gennaio 1967, n. 200.
Ne deriva che grava su colui che abbia eseguito la notificazione nelle forme del primo comma dell’art. 142 c.p.c. l’onere di provare, nel rispetto dell’ordine delle formalità come stabilito dalla norma, l’impossibilità di notificare in base alle convenzioni internazionali od ai sensi degli art. 30 e 75 d.P.R. 200 del 1967, in mancanza essendo la notificazione nulla (in tal senso, cfr. Cass. 12 dicembre 1988, n. 6756; 27 marzo 1982, n. 339 de/ 27/03/1982).
Inoltre, l’art. 35 del d.P.R. 5 gennaio 1967, n. 18 prevede l’istituzione e l’attribuzione di ‘compiti’ alle delegazioni diplomatiche speciali, con decreto del Ministro per gli affari esteri di concerto con il Ministro per il tesoro.
3.2. – Orbene, la deduzione della ricorrente circa l’impossibilità di notificazione per via consolare in ragione del mancato conferimento con decreto alla delegazione dei poteri notificatori è inammissibile in quanto risulta nuova: infatti, di ciò non è parola nella sentenza impugnata, né la ricorrente segnala il luogo ed il tempo in cui, nel giudizio di merito, avesse sollevato la relativa questione.
Con riguardo peraltro sia ad esso, sia al secondo profilo dedotto, afferente l’insussistenza in capo alla delegazione speciale, e dunque l’indelegabilità, dei poteri consolari per le notificazioni di atti giudiziari, la corte del merito ha ritenuto che sussistessero i presupposti di fatto per tale notificazione in via consolare.
Pur nella incontestata presenza della delegazione diplomatica in Iraq, l’odierna ricorrente si è limitata infatti e dedurre la carenza di poteri notificatori in capo alla delegazione stessa, ma non ha fornito prova dell’assunto. Invero, la corte territoriale ha dichiarato la nullità della notificazione in esame, effettuata nelle forme previste dal primo comma dell’art. 142 c.p.c., argomentando nel senso che – come è risultato dalle informazioni assunte ai sensi dell’art. 213 c.p.c. – almeno dal settembre 2003 esiste in loco un funzionario della delegazione speciale diplomatica italiana abilitato all’esercizio di tutte le funzioni e i poteri consolari in Iraq.
Così facendo, la corte del merito ha svolto un ragionamento ulteriore rispetto a quello sufficiente in detti casi, dal momento che essa avrebbe potuto, piuttosto che ricercare la prova positiva della possibilità di notificare secondo la legge consolare, limitarsi a constatare che la parte interessata non aveva fornito la prova richiesta dal 2 comma dell’art. 142 c.p.c. – dell’impossibilità d’effettuarla in uno dei modi consentiti dalle convenzioni internazionali e dagli art. 30 e 75 d.p.r. 5 gennaio 1967 n. 200, concernente le disposizioni sulle funzioni e sui poteri consolari. Mentre gli accertamenti accessori alle formalità notificatorie restano comunque riservati al giudice del merito (cfr. Cass. 15 novembre 2012, n. 20014, 18 settembre 2006, n. 20104, 20 giugno 2000, n. 8402, 17 marzo 1984, n. 1856, in tema di notificazione ai sensi dell’art. 145 c.p.c., quando al luogo di svolgimento continuativo dell’attività sociale di cui al 2 comma dell’art. 19 c.p.c.; Cass. 25 maggio 2004, n. 10038, in tema di decadenza del termine annuale dell’art. 327 c.p.c. e conoscenza di fatto del processo).
– Il terzo motivo è inammissibile.
Una volta respinto il motivo afferente una autonoma ratio decidendi esposta dalla sentenza impugnata (ossia: è nulla la notificazione ex art. 142 c.p.c. per non essere stata tentata la previa notificazione alla stregua della legge consolare), diviene invero inammissibile il motivo che attenga alla seconda ratio, la quale sostenga la medesima decisione.
Costituisce infatti principio consolidato (e multis, Cass. 16 novembre 2005, n. 23090; 30 giugno 2005, n. 13956) che, qualora la pronuncia impugnata sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, il rigetto delle doglianze relative ad una di tali ragioni rende inammissibile, per difetto di interesse, l’esame relativo alle altre, pure se tutte tempestivamente sollevate, in quanto il ricorrente non ha più ragione di avanzare censure che investono una ulteriore ratio decidendi giacché, ancorché esse fossero fondate, non potrebbero produrre in nessun caso l’annullamento della decisione anzidetta.
– Il quarto motivo è inammissibile.
La decisione circa la validità dell’una o dell’altra procura conferita al difensore dal Ministero iracheno, invero, non è stata pregiudiziale il rilievo della nullità del procedimento di primo grado per accertata nullità della notificazione a tale litisconsorte necessario, cui la corte territoriale era comunque tenuta d’ufficio.
Onde la questione, che il motivo propone, della asserita invalidità anche della seconda procura diviene irrilevante.
– Il ricorso incidentale condizionato è assorbito.
– Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale, assorbito l’incidentale; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore di ciascuna controricorrente, liquidate in Euro 8.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfetarie ed agli accessori di legge.
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