Il requisito della attualità non può essere equiparato all’imminenza del pericolo di commissione di un ulteriore reato (o di fuga, o di inquinamento probatorio), ma sta invece ad indicare la continuità del periculum libertatis nella sua dimensione temporale, che va apprezzata sulla base della vicinanza ai fatti in cui si è manifestata la potenzialità criminale dell’indagato, ovvero della presenza di elementi indicativi recenti, idonei a dar conto della effettività del pericolo di concretizzazione dei rischi che la misura cautelare è chiamata a neutralizzare. Dunque, è proprio la considerazione sistematica delle norme – che prevedono i distinti concetti di “esigenze cautelari” (art. 274 c.p.p.), “eccezionali esigenze cautelari” (art. 309 c.p.p., comma 10), ed “esigenze cautelari di eccezionale rilevanza” (art. 275 c.p.p., commi 4, 4 bis e 4 ter, D.P.R. n. 309 del 1990, art. 89) – ad imporre una interpretazione che fornisca ‘linfa ermeneuticà alle diverse previsioni astratte, non essendo ipotizzabile una interpretatio abrogans delle stesse per l’eccessiva estensione semantica attribuita all’ipotesi base; i concetti giuridici, infatti, oltre alla vitalità concreta che assumono nel necessario intreccio con il fatto, sono dotati, nella dimensione astratta, anche di una duttilità ed elasticità legata agli spazi ermeneutici delimitati dalla presenza di una pluralità di fattispecie astratte previste per regolare le aree di confine. In tal senso, pertanto, l’attualità e la concretezza delle esigenze cautelari possono essere individuate, a livello interpretativo, nella “elevata probabilità”, intesa però non come “imminenza”, del pericolo, in una prognosi che abbia ad oggetto la commissione delle condotte che si intende prevenire (reiterazione di ulteriori reati, fuga, inquinamento probatorio).
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III PENALE
SENTENZA 28 luglio 2016, n.33051
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 16 ottobre 2015 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma emetteva ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti (tra gli altri) di B.F., C.R., C.G., Ci.Pi. e T.M., rinnovando la misura già disposta dai GIP territorialmente competenti, che, nel convalidare il fermo disposto dal P.M. della D.D.A. di Roma il 25/09/2015, avevano dichiarato la propria incompetenza.
Il titolo cautelare veniva emesso in ordine al reato di associazione per delinquere finalizzata al narcotraffico (capo A), e, limitatamente a Ci.Pi., a due ipotesi di importazione e trasporto di cocaina dall’Olanda (capi F, G).
Il procedimento riguardava la stabile organizzazione di un traffico di ingenti quantità di cocaina dall’Olanda, che si articolava mediante raccolta del denaro contante necessario per l’acquisto, e trasporto del denaro occultato all’interno di camion adibiti al trasporto di fiori, adoperati poi per la successiva importazione dello stupefacente acquistato in Olanda. L’attività di commercio dei fiori, mera copertura del traffico di stupefacenti, veniva dissimulata, in particolare, tramite due società, entrambe riferibili agli odierni ricorrenti: la Krupy s.r.l., con sede in (OMISSIS), ove venivano convogliate le somme di denaro raccolte, per il successivo trasporto in Olanda, e la Fresh, con sede in (OMISSIS), che fungeva da schermo per la ricezione delle somme.
1.2. Con ordinanza del 10/11/2015 il Tribunale di Roma, in funzione di riesame, confermava l’ordinanza cautelare nei confronti degli odierni ricorrenti, annullando il titolo cautelare limitatamente al capo G nei confronti di Ci.Pi..
2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 311 c.p.p., comma 1, B.F., per il tramite del proprio difensore, articolando quattro motivi di censura, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Con un primo motivo deduce l’inosservanza o erronea applicazione della legge processuale penale ex art. 606, lett. b) e c), in relazione all’art. 273 c.p.p., commi 1 e 1 bis, art. 292 c.p.p., comma 2, lett. c bis, la violazione di legge sostanziale, in relazione al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74: si censura, sotto il profilo della mancanza di gravi indizi di colpevolezza della partecipazione, l’angusto lasso temporale della condotta contestata al ricorrente, compreso tra il (OMISSIS); inoltre, essendo il B. titolare di una società esercente la vendita di fiori, intratteneva stabili rapporti con la società FRESH, dei Cr., ed in tal senso va spiegato il rinvenimento del suo nome nella lista di Tr.Gi., che fungeva da broker per l’acquisto di fiori dall’Olanda. Anche con riferimento ai rapporti con A.A., l’arresto di quest’ultimo, avvenuto il (OMISSIS), avrebbe impedito ogni proposito criminoso del B., e, del resto, il furgone sul quale veniva sequestrata la sostanza stupefacente era diretto a Latina, non a Napoli, e gli altri sequestri di droga sono tutti successivi a tale data. Gli incontri e le conversazioni, anche captate in ambientale, con altri associati non integrerebbero atti idonei neppure a configurare un tentativo. In assenza di contestazione di reati-fine, non emergono elementi significativi (captazioni telefoniche, ambientali, ecc.) dai quali desumere la partecipazione al reato associativo, al di fuori di un lecito rapporto commerciale con Cr. e Tr..
Sotto un diverso profilo, deduce la violazione di legge e l’omessa motivazione in ordine alla carenza di esigenze cautelari, in considerazione dello stato di incensuratezza, dell’assenza di contestazione di ulteriori condotte illecite successivamente al gennaio 2014, dell’assenza di pericolo di fuga, sancito anche dalla mancata convalida del fermo.
2.2. Con un secondo motivo deduce la violazione di legge processuale, essendosi l’ordinanza impugnata limitata a trascrivere l’ordinanza genetica.
2.3. Con un terzo motivo deduce la violazione di legge processuale in relazione all’art. 275 c.p.p., comma 3, per aver l’ordinanza omesso di motivare in ordine alla richiesta di applicazione degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico.
2.4. Con un quarto motivo deduce il vizio di motivazione, in quanto manifestamente illogica e contraddittoria: l’ordinanza impugnata, sul presupposto della complementarietà con l’ordinanza genetica, ha eluso la riforma del 2015, e l’esigenza di una autonoma valutazione degli indizi, delle esigenze cautelari e delle argomentazioni difensive.
3. Con unico atto di impugnazione ricorrono per cassazione C.G. e C.R., lamentando:
3.1. Violazione della legge processuale, in relazione alla mancata documentazione degli interrogatori degli indagati in stato di detenzione, ed alla concreta utilizzazione probatoria degli stessi.
3.2. Vizio di motivazione, in relazione alla sussistenza dell’associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, la cui affermazione sarebbe fondata soltanto sul conferimento di somme di denaro in contante da parte di imprenditori del settore florovivaistico ad una società di import/export, direttamente collegato, in assenza di elementi di riscontro, ad episodi di importazione di stupefacente.
3.3. Vizio di motivazione, in relazione alla partecipazione all’associazione: il compendio probatorio sarebbe mutuato esclusivamente dagli indizi gravanti su C.E., rispettivamente figlio e fratello degli odierni ricorrenti, e non già da elementi individualizzanti a carico dei predetti, che risultano titolari di una società nel settore florovivaistico, ed in tale ambito commerciale hanno versato somme in contanti alla Krupy s.r.l.; in tal senso, privo di significativo rilievo sarebbe il ricevimento di somme di denaro da parte di Be.Gi.Ca..
3.4. Mancanza di motivazione in ordine alle deduzioni difensive articolate dinanzi al Tribunale del riesame: 1) le somme in contanti erano recapitate alla Krupy in buste chiuse e firmate, e venivano altresì consegnati assegni provenienti dall’attività; 2) la somma in contanti sequestrata a Be. il 19.9.2013 non proveniva solo dai C., ma anche da altri due floricultori rimasti estranei; 3) i riferimenti criptici agli stupefacenti, contenuti nelle intercettazioni, sono spiegati in termini di commercio di fiori; 4) dai colloqui captati si fa riferimento alla ditta dei C. come ad una delle più produttive, e, del resto, il riferimento al “fratello di E.” non è univoco, in quanto questi aveva tra i suoi dipendenti un altro fratello.
3.5. Vizio di motivazione in ordine alle esigenze cautelari, all’adeguatezza della misura in carcere, ed alla inadeguatezza degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico.
4. Ricorre per cassazione Ci.Pi., deducendo violazione di legge sostanziale e vizio di motivazione in ordine ai gravi indizi di colpevolezza, in ordine alle esigenze cautelari, ed all’adeguatezza della misura.
4.1. Con memoria pervenuta il 04/03/2016 il ricorrente rinunciava al ricorso.
5. Ricorre per cassazione T.M., articolando due motivi di censura.
5.1. Violazione di legge processuale e vizio di motivazione, in relazione ai gravi indizi di colpevolezza, per carenza di una autonoma valutazione del quadro probatorio rispetto all’ordinanza genetica; lamenta che l’attività di raccolta del danaro sia stata collegata sul piano logico alla successiva importazione di droga, e che sia stata omessa ogni motivazione in ordine alla alternativa interpretazione del contenuto delle conversazioni intercettate, e valorizzate dall’ordinanza impugnata in termini di gravità indiziaria e di consapevolezza della partecipazione al sodalizio criminoso; in tal senso, è stata altresì travisata la circostanza che T., imprenditore del settore vivaistico, ammetteva di essersi adoperato nella raccolta di denaro da alcuni clienti dei Cr. e nel successivo trasporto presso la sede di Latina, ma esclusivamente per un rapporto di natura commerciale; del resto, non era al corrente delle date e degli orari di partenza per l’Olanda. Contraddittoria ed illogica è, altresì la valorizzazione del complesso di intercettazioni risalenti al luglio 2014, dalle quali non emerge la figura del T., e della sua partecipazione all’incontro a (OMISSIS) con presunti esponenti del clan Co., invece connotata da finalità diversa, di carattere imprenditoriale.
5.2. Vizio di motivazione in ordine alle esigenze cautelari, all’adeguatezza della misura in carcere, anche alla luce dello stato di incensuratezza del T. e del breve arco temporale delle condotte di partecipazione contestate (luglio – settembre 2013) ed alla inadeguatezza degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.I ricorsi sono manifestamente infondati e vanno dichiarati inammissibili.
2. Gravi indizi di colpevolezza.
Preliminarmente va valutata la doglianza relativa alla lamentata mancanza di autonoma valutazione dell’ordinanza impugnata rispetto all’ordinanza cautelare genetica, proposta in termini analoghi da B.F. con il primo, il secondo ed il quarto motivo di ricorso, e da T.M. con il primo motivo di ricorso.
Trattandosi di questioni di diritto analoghe, vanno poi valutati, altresì, il secondo, il terzo ed il quarto motivo di ricorso di C.G. e C.R..
Tutti i ricorrenti, sostanzialmente, deducono, sovrapponendo sovente i profili, il vizio di motivazione ed il vizio di violazione di legge in relazione alla ritenuta sussistenza del requisito dei gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato associativo ed alla partecipazione al traffico di stupefacenti.
2.1. Autonoma valutazione – ricorsi B. e T. In particolare, sotto un primo profilo i ricorrenti lamentano che il Tribunale del riesame si sia limitato ad una ripetizione e ad un acritico richiamo dell’ordinanza cautelare genetica, senza un ulteriore e adeguato vaglio critico, ed una autonoma valutazione in ordine alla gravità indiziaria e alle esigenze cautelari.
In tal senso, il fondamento probatorio dell’ordinanza sarebbe costituito dall’accertato costante flusso di denaro contante, convogliato presso la società Krupi s.r.l. degli odierni ricorrenti; tali somme sono state ritenute impiegate per l’acquisto di cocaina in Olanda, successivamente importata in Italia.
Tuttavia, si deduce, tale ricostruzione è l’acritica ripetizione dell’ipotesi accusatoria, e l’ordinanza impugnata non contiene una autonoma valutazione del quadro indiziario.
La censura è infondata: invero, secondo quanto emerge dal testo del provvedimento impugnato, la motivazione del Tribunale del riesame appare, al riguardo, immune da censure; l’ordinanza risulta, infatti, diffusamente motivata, e, in ogni caso, l’art. 309 c.p.p., comma 9, prevede l’annullamento del provvedimento cautelare impugnato soltanto in caso di mancanza di motivazione o di autonoma valutazione delle esigenze cautelari, degli indizi e degli elementi forniti dalla difesa.
In tal senso si è altresì espressa la giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale anche alla luce delle modifiche apportate all’art. 309 c.p.p., comma 9, dalla L. 16 aprile 2015, n. 47, il tribunale del riesame ha un potere-dovere di integrazione della motivazione del provvedimento impugnato, ma non può mai completare quella ordinanza cautelare, la cui motivazione non abbia un contenuto dimostrativo dell’effettivo esercizio di una autonoma valutazione da parte del giudicante (Sez. 6, n. 44605 del 01/10/2015, De Lucia, Rv. 265349).
La doglianza, peraltro, è generica, in quanto non indica in cosa consisterebbero i vuoti motivazionali dell’ordinanza impugnata.
Del resto, se la censura riguarda, come in realtà emerge dall’articolazione dei motivi di ricorso, il merito della valutazione del Tribunale del Riesame, e, dunque, l’asserita erroneità dell’affermazione di gravità indiziaria, la doglianza non può essere qualificata in termini di violazione di legge in relazione all’obbligo di autonoma valutazione, bensì in termini di vizio di motivazione, con i conseguenti limiti, di cui si dirà, al sindacato di legittimità.
Quanto alla pretesa mancanza di motivazione della stessa ordinanza del riesame, la censura è manifestamente infondata, in quanto essa opera una esposizione ed una diffusa valutazione degli elementi di prova, non soltanto con un richiamo per relationem all’ordinanza genetica ed al decreto di fermo, quanto all’esposizione delle fonti di prova, ma altresì con una motivazione (anche) stilisticamente autonoma, contenente valutazioni individualizzanti in ordine agli odierni ricorrenti, anche con l’indicazione delle intercettazioni attestanti il loro attivo coinvolgimento ed il ruolo svolto.
2.1.2. In particolare, la doglianza concernente l’assenza di una autonoma valutazione da parte del Tribunale del riesame, per essersi limitato a richiamare per relationem l’ordinanza genetica, o il decreto di fermo, non è meritevole di accoglimento per l’erronea lettura che si intende attribuire al requisito dell’ “autonoma valutazione”.
Al riguardo, la previsione della necessità di una “autonoma valutazione” del giudice sui gravi indizi, sulle esigenze cautelari e sugli elementi forniti dalla difesa operata dalla L. 16 aprile 2015, n. 47 che ha novellato l’art. 292 c.p.p., comma 2, lett. c e c bis, risponde alla finalità, espressa dal legislatore storico, di sottolineare la dimensione autonoma della decisione giudiziaria in materia cautelare personale rispetto alla richiesta del P.M.; l’esigenza di positivizzazione di un obbligo intrinseco alla stessa funzione giurisdizionale, peraltro, è stata riferita, nel corso dei lavori preparatori, alle prassi diffusesi, con l’uso e l’implementazione degli strumenti informatici, soprattutto nell’adozione di provvedimenti cautelari di dimensioni significative, per la presenza di una pluralità di indagati e/o di imputazioni; in tali ipotesi, le tecniche di redazione dei provvedimenti si sono progressivamente modificate, tanto che l’elaborazione, dottrinale e giurisprudenziale, formatasi sulla motivazione per relationem è stata mutuata per i nuovi modelli di motivazione “per incorporazione” (o, nel gergo giudiziario, con il c.d. “copia e incolla”).
In tal senso, soprattutto nel caso di ordinanze cautelari personali, il giudice richiama, sovente in maniera diretta (con l’utilizzo delle virgolette), altre in maniera indiretta (provvedendo ad una sostanziale parafrasi), l’esposizione delle fonti di prova proposta dal P.M., adoperando una tecnica di redazione che, seppur esteticamente non bella (secondo i canoni dell’estetica, appunto), può rivelarsi efficace, anche nell’ottica precipua del difensore, che ha la possibilità di esaminare direttamente, ad esempio, le intercettazioni poste a fondamento dell’affermazione di gravità indiziaria, senza dover necessariamente accedere ai brogliacci delle singole conversazioni solo sinteticamente richiamate.
Il richiamo delle fonti di prova, e, talvolta, la condivisione della stessa valutazione proposta dal P.M. in maniera argomentata, non può dunque inficiare in alcun modo l’essenza dell’autonomia decisionale.
Il problema si è posto, e si pone, allorquando la c.d. motivazione “per incorporazione” riproduca refusi, stilemi o improprietà terminologiche proprie della richiesta del P.M. (ad es., “ad avviso di questo P.M.”), che indiziano un controllo superficiale da parte dell’organo giudicante.
Questa la ratio del legislatore storico.
Tuttavia, secondo i canoni ermeneutici tradizionali, le norme di legge, una volta emanate, si distaccano dalla voluntas soggettiva del legislatore storico (la ratio legislatoris), per assumere una propria dimensione oggettiva nell’ordinamento giuridico.
In tal senso, concernendo l’adozione di un provvedimento giurisdizionale e la produzione di effetti giuridici, l’introduzione del requisito dell’autonoma valutazione deve essere inteso non già quale mero attributo “estetico”, o “stilistico”, trattandosi di profilo estraneo alla celebre ragion pratica, bensì in senso epistemologico: l’autonoma valutazione, in altri termini, deve consistere in una autonoma decisione, essendo il provvedimento giurisdizionale un atto d’autorità, non già un atto di scienza (come, ad es., un’opera letteraria).
Tuttavia, l’autonomia della valutazione, e quindi della decisione, non può ritenersi compromessa semplicemente dalla riproduzione, più o meno fedele, della richiesta del P.M. (ovvero, come nel caso in esame, stando ai ricorsi, dell’ordinanza cautelare genetica), in quanto ciò che rileva ai fini dell’integrità dell’autonomia del giudice è la conoscenza degli atti del procedimento e la volontà che sostiene il giudizio.
In altri termini, prescindendo dai profili estetici, o anche etici, della decisione, irrilevanti ai fini della produzione degli effetti giuridici e della legittimità dell’atto, sotto il profilo epistemologico il provvedimento che riproduca, più o meno fedelmente, o comunque richiami, la richiesta del P.M. (ma il discorso è analogo anche per altri atti) assume una propria oggettiva consistenza, e, in assenza di affidabili criteri di classificazione del pensiero autonomo, non può ritenersi per ciò solo indiziante una valutazione, e quindi una decisione, priva di autonomia, o, come pure si è detto, una cessione di imparzialità.
A prescindere dai casi in cui la c.d. motivazione “per incorporazione” riproduca refusi, stilemi o improprietà terminologiche proprie della richiesta del P.M. (ad es., “ad avviso di questo P.M.”), che indiziano un controllo superficiale da parte dell’organo giudicante, ed una valutazione non sufficientemente meditata, o comunque autonoma, la decisione cautelare che richiami, in maniera più o meno estesa, la richiesta del P.M., condividendo altresì le valutazioni in esse eventualmente proposte, deve ritenersi frutto di autonoma valutazione in quanto assunta da un diverso organo giudiziario, sulla base della conoscenza degli atti del procedimento e della formulazione di un giudizio autonomo.
L’alternativa sarebbe o una inammissibile (in quanto irrilevante per il diritto) pretesa di autonomia stilistica, che si risolverebbe in una mera, e solo dispendiosa, parafrasi del testo altrui, magari pienamente ed autonomamente condiviso, ovvero nella altrettanto inammissibile pretesa di una valutazione necessariamente diversa rispetto a quella proposta dal P.M. (o dal primo giudice): in tale seconda ipotesi, supponendo che la richiesta contenga una ricostruzione dei fatti del tutto aderente alle risultanze processuali, e proponga una valutazione degli stessi logica e conforme al diritto, il giudice sarebbe costretto o ad uno sforzo argomentativo in grado di formulare una valutazione conforme, ma diversa, ovvero a formulare una valutazione difforme, con il solo proposito di dimostrare una autonomia decisionale.
E’ evidente che una lettura ragionevole, ed epistemologicamente corretta, della nuova formulazione della norma impone di ritenere che valutazione autonoma non vuoi dire valutazione diversa o difforme.
L’autonoma valutazione, dunque, è compatibile con la tecnica di redazione “per incorporazione” allorquando dal contenuto complessivo del provvedimento emerga una conoscenza degli atti del procedimento e, ove necessario, una rielaborazione critica o un vaglio degli elementi sottoposti all’esame giurisdizionale, eventualmente anche sotto il profilo della graduazione delle misure o del rigetto parziale di alcune richieste; soprattutto nei casi di richiamo diretto (evidenziato dall’utilizzo delle virgolette), “per incorporazione”, della richiesta del P.M., e allorquando questa contenga prevalentemente, come sovente si registra, una esposizione delle fonti di prova, la cui valutazione è rimessa all’efficacia c.d. autoevidente, il controllo giurisdizionale del giudice della cautela deve consistere in una argomentata, per quanto succinta, valutazione in ordine alla connessione degli elementi probatori ed alla loro efficacia dimostrativa.
2.1.3. Nel medesimo senso si è espressa la giurisprudenza di questa Corte che ha affrontato la questione, affermando che la previsione della necessità di una “autonoma valutazione” del giudice sui gravi indizi, sulle esigenze cautelari e sugli elementi forniti dalla difesa operata dalla L. 16 aprile 2015, n. 47 che ha novellato l’art. 292c.p.p., comma 2, lett. c e c bis, non ha carattere innovativo, trattandosi della sottolineatura di un obbligo già sussistente per il giudice di manifestare all’esterno in modo percepibile il proprio convincimento, obbligo correlato ai principi di terzietà ed imparzialità che sovrintendono alla funzione giudicante (Sez. 1, n. 5787 del 21/10/2015, dep. 2016, Calandrino, Rv. 265983, che ha precisato che la necessità di un’autonoma valutazione è compatibile con una tecnica redazionale “per relationem”, sempre che dal contenuto complessivo del provvedimento emerga in modo chiaro che si sia presa cognizione dei contenuti dimostrativi dell’atto richiamato o incorporato e li si abbia autonomamente rapportati ai parametri normativi di riferimento).
Nello stesso senso si sono pronunciate altre decisioni di questa Corte: Sez. 6, n. 45934 del 22/10/2015, Perricciolo, Rv. 265068, che ha precisato che la necessità di un’autonoma valutazione è compatibile con il rinvio – “per relationem” o per incorporazione – alla richiesta del pubblico ministero, quanto alla esposizione dei presupposti di fatto, ma non anche quanto alle prospettazioni e valutazioni delle ragioni che giustificano l’applicazione della misura cautelare; Sez. 6, n. 47233 del 29/10/2015, Moffa Andrea, Rv. 265337, che ha precisato che la necessità di un’autonoma valutazione è compatibile con il rinvio – “per relationem” o per incorporazione – alla richiesta del pubblico ministero, salvo che l’ordinanza recepisca la richiesta del P.M. aggiungendovi mere clausole di stile senza una necessaria rielaborazione critica.
E’ stato, al riguardo, aggiunto che la prescrizione della necessaria autonoma valutazione delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza è osservata anche quando il giudice riporti nella propria ordinanza le acquisizioni e le considerazioni svolte dagli investigatori e dal pubblico ministero, anche mediante il rinvio per relationem al provvedimento di richiesta, purchè, per ciascuna contestazione e posizione, svolga un effettivo vaglio degli elementi di fatto ritenuti decisivi, senza il ricorso a formule stereotipate, spiegandone la rilevanza ai fini dell’affermazione dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari nel caso concreto (Sez. 3, n. 840 del 17/12/2015, dep. 2016, Tinnirello, Rv. 265645), ed è compatibile con un rinvio per relationem o per incorporazione della richiesta del PM che non si traduca in un mero recepimento del contenuto del provvedimento privo dell’imprescindibile rielaborazione critica (Sez. 2, n. 3289 del 14/12/2015, dep. 2016, Astolfi, Rv. 265807, che ha ritenuto immune da censure l’ordinanza del GIP che aveva richiamato la richiesta del PM ed aveva graduato, altresì, le misure cautelari applicate ai ricorrenti, così evidenziando una autonoma valutazione circa la rilevanza delle emergenze investigative e delle esigenze cautelari inerenti ciascun indagato).
Dunque, il requisito dell’autonoma valutazione delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza impone al giudice l’obbligo del vaglio critico delle risultanze investigative tramite un’attività ricostruttiva ed esplicativa, che, tuttavia, non implica, con riferimento all’esposizione della parte narrativa del provvedimento, la necessità di una riscrittura originale del testo della richiesta del P.M. (Sez. 3, n. 48962 del 01/12/2015, D R, Rv. 265611).
2.1.4. Tanto premesso, va osservato che sia l’ordinanza genetica, sia l’ordinanza impugnata, nel richiamare per relationem, rispettivamente, l’ordinanza costitutiva e lo stesso decreto di fermo (p. 5), quanto alla individuazione dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari, ha comunque formulato una valutazione autonoma rispetto alla richiesta del P.M. ed alle precedenti ordinanze cautelari, come già evidenziato infra 2.1..
Dunque, appare immune da vizi l’ordinanza del riesame che ha richiamato per relationem l’originaria ordinanza cautelare, che operava una diffusa ed ampia esposizione e valutazione delle fonti di prova, del contenuto delle intercettazioni, e della rete di legami propria del sodalizio criminale oggetto di contestazione, dai quali la posizione degli odierni ricorrenti non poteva essere enucleata mediante operazione di parcellizzazione narrativa e valutativa, che avrebbe compromesso la stessa comprensibilità e tenuta logica della decisione cautelare.
Peraltro, nel caso in esame, oltre ad aver formulato considerazioni anche stilisticamente autonome, il rinvio per relationem è operato non già (o non solo) alla richiesta di una parte processuale, bensì all’ordinanza genetica già emessa da un giudice, e contenente un autonomo vaglio critico e valutativo del compendio probatorio raccolto e sottoposto dal P.M..
Va inoltre aggiunto che l’obbligo di autonoma valutazione prescritto dall’art. 292 c.p.p. risulta osservato anche con riferimento alle dichiarazioni rese dall’indagato T.M. in sede di interrogatorio all’udienza di convalida, che, lungi dall’integrare gli “elementi forniti dalla difesa” (comma 2, lett. c bis), costituiscono, a quanto consta, una mera negazione della portata accusatoria delle fonti di prova, ed una lettura alternativa (il carattere lecito dell’attività di raccolta del denaro finalizzata al commercio dei fiori) del compendio probatorio (p. 23 dell’ordinanza impugnata).
Al riguardo, infatti, gli “elementi” richiamati dalla norma – che devono essere oggetto di autonoma valutazione di irrilevanza – devono consistere in elementi di fatto, o, comunque, su di essi fondati, non in mere deduzioni, o dichiarazioni che si limitino ad esporre ricostruzioni alternative, magari fantasiose o del tutto avulse dalle risultanze probatorie; chè, al contrario, l’onere motivazionale si disperderebbe in inutili e defatiganti considerazioni prive di riferimenti fattuali, costrette a confrontarsi, nell’ambito di una sterile dialettica declinata sulle supposizioni, con rilievi totalmente avulsi dalla realtà fenomenica oggetto di prova, e con pregiudizio per la stessa comprensibilità della motivazione, requisito necessario per il controllo logico-giuridico del percorso seguito dal giudice.
2.2. Gravità indiziaria – ricorsi B.F., T.M., C.G. e C.R..
Sotto altro profilo, con il primo motivo di ricorso, rispettivamente, di B.F. e di T.M., e con il secondo, il terzo ed il quarto motivo del ricorso di C.G. e C.R., viene dedotto il vizio di motivazione.
In particolare, si lamenta che l’ordinanza impugnata abbia formulato una valutazione del quadro indiziario in termini di gravità erroneo, in quanto: il flusso di denaro contante era legato all’attività di commercio dei fiori della quale anche B., T. e i fratelli C., come i fratelli Cr., si occupavano; non risultano intercettazioni telefoniche o ambientali che coinvolgano direttamente gli odierni ricorrenti nel contestato traffico di droga, e tutti gli elementi valorizzati sono suscettibili di una lettura alternativa lecita.
In questi termini, dunque, viene dedotto il vizio di violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta erroneità dell’affermazione di gravità indiziaria posta a fondamento della misura cautelare, lamentando l’insufficienza probatoria degli elementi richiamati (soprattutto le intercettazioni telefoniche ed i rapporti tra imprenditori del settore floro-vivaistico).
Le doglianze, sotto tale profilo, sono inammissibili, non soltanto perchè costituiscono mera riproposizione dei medesimi motivi proposti con la richiesta di riesame e motivatamente respinti dall’ordinanza impugnata, con la quale non propongono un reale e motivato confronto argomentativo, limitandosi a contestazioni avulse dal concreto tessuto motivazionale (ex plurimis, Sez. 3, Sentenza n. 31939 del 16/04/2015, Falasca Zamponi,Rv. 264185; Sez. 6, n. 13449 del 12/02/2014, Kasem, rv. 259456; Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, Cariolo, Rv. 260608), ma anche perchè sollecitano una non consentita rivalutazione del compendio probatorio.
Al riguardo, va rammentato che è inammissibile il ricorso per cassazione i cui motivi si limitino genericamente a lamentare l’omessa valutazione di una tesi alternativa a quella accolta dal provvedimento impugnato, senza indicare precise carenze od omissioni argomentative ovvero illogicità della motivazione di questa, idonee ad incidere negativamente sulla capacità dimostrativa del compendio indiziario posto a fondamento della decisione di merito (ex multis, Sez. 2, n. 30918 del 07/05/2015, Falbo, Rv. 264441), e che il sindacato di legittimità non può trascendere in una rivalutazione del quadro probatorio o in un diverso apprezzamento delle questioni di merito, dovendo essere limitato per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina,Rv. 214794).
Le doglianze, dunque, proponendo una diversa lettura del compendio probatorio – nel caso di T., addirittura esplicitamente, come evincibile a p. 7 del ricorso, laddove si sostiene che “i vizi denunciati appaiono palesi, in quanto la presenza di argomentazioni difensive alternative rispetto alla ipotesi accusatoria doveva indurre il Tribunale della Libertà ad eseguire con maggiore rigore critico il giudizio circa la complessiva tenuta del provvedimento impositivo della misura in esecuzione” -, e sollecitandone una rivalutazione, concernono, all’evidenza, esclusivamente profili di merito, oggetto di apprezzamento di fatto, di per sè insindacabile in sede di legittimità, al di fuori dei casi di contraddittorietà o manifesta illogicità.
Peraltro, l’ordinanza impugnata risulta avere adeguatamente valutato le fonti di prova, evidenziando, con riferimento all’esistenza dell’associazione per delinquere, che: il costante flusso di denaro contante convogliato presso la sede della Krupy a Latina era gestito, per conto dei fratelli Cr. (titolari della società), dalla segreteria, che intratteneva frequenti contatti telefonici con l’altro coindagato, M.V., in Olanda; tale raccolta di denaro esula da qualsiasi giustificazione riconducibile a pratiche commerciali corrette o solo usuali, nè sono emersi elementi concreti, al di là delle mere deduzioni difensive, dai quali desumere che la Krupy abbia operato come mandataria dei soggetti conferenti il denaro, al solo fine di acquistare all’estero materiale florovivaistico; l’argomentazione difensiva con la quale pure si è dedotta una mera finalità di elusione o evasione fiscale non è stata ritenuta attendibile, per l’assoluta eccentricità delle modalità di raccolta e di trasferimento del denaro; il collegamento tra la raccolta del denaro contante ed il traffico di stupefacenti si desume dalle successive operazioni di trasporto del denaro in Olanda, e di importazione della cocaina dall’Olanda, eseguite, tutte con le medesime modalità operative, con mezzi e conducenti ricollegabili, al di là della titolarità formale, alla Krupy, nonchè dal tenore del complesso di intercettazioni telefoniche ed ambientali, dalle quali emergeva in maniera evidente che l’attività florovivaistica rappresentava solo lo schermo operativo per il ben più lucroso traffico di cocaina (intercettazione del 19.7.2013 tra O.P. e C.E.; intercettazione ambientale del 27.1.2015 tra Tr.Gi. e un interlocutore che intendeva entrare nel traffico).
L’ordinanza, peraltro, motiva adeguatamente anche in merito agli elementi probatori emersi nei confronti degli odierni ricorrenti, sotto il profilo della partecipazione al sodalizio criminale, senza omettere di confrontarsi con la lettura alternativa proposta dalle difese.
In ordine a B.F., vengono richiamate le intercettazioni captate con M.V., Tr.Gi., e quelle che precedono il sequestro di una cospicua somma di denaro contante a Be., dalle quali si evince che l’odierno ricorrente era attivo nella raccolta e consegna delle provviste destinate all’acquisto dello stupefacente, e gli elementi che avvalorano l’assunzione di un ruolo di intermediazione, unitamente a T.M., tra i fratelli Cr., promotori del sodalizio, e A.V., elemento di vertice del clan camorristico dei ” Co.” (p. 20 dell’ordinanza impugnata).
In ordine a T.M., viene evidenziato che l’attività di raccolta del denaro è stata ammessa dallo stesso indagato nel corso dell’interrogatorio, e vengono richiamate le intercettazioni con Cr.Ro., Ca.Al. e Be., dalle quali si desume un suo attivo e consapevole coinvolgimento nel traffico illecito (p. 23 e 24 dell’ordinanza impugnata).
In ordine a C.G. e C.R., vengono richiamate le dichiarazioni dei due indagati, che hanno riferito di avere consegnato continuativamente denaro a C.E. (figlio di Giovanni), che provvedeva poi a portarlo presso la sede della Krupy, per l’acquisto di fiori in Olanda, e le intercettazioni telefoniche, che, oltre a confermare la ricostruzione, evidenziano che il denaro contante sequestrato il 19/09/2013 a Be.Gi.Ca. proveniva proprio dalla provvista degli odierni ricorrenti, e che C.E., che fa espliciti riferimenti alla cocaina, è il collettore delle somme dei congiunti, destinate all’acquisto della droga.
Senza indulgere in una valutazione parcellizzata ed atomistica delle fonti di prova, l’affermazione della gravità indiziaria risulta dunque fondata su molteplici conversazioni captate nel corso delle intercettazioni telefoniche ed ambientali, dal contenuto probatoriamente eloquente.
Sotto altro profilo, va rilevato che i motivi di ricorso, oltre a sollecitare una rivalutazione dei fatti non consentita in sede di legittimità, appaiono una inammissibile doglianza fondata su una selezione, parziale ed arbitraria, del compendio probatorio, e su una personale valutazione alternativa rispetto a quella espressa dall’ordinanza impugnata; viceversa, la valutazione delle prove deve rispondere a criteri di completezza, globalità e unitarietà dell’esame, che non può essere, al contrario, atomistico e parcellizzato (ex multis, Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231678; Sez. 1, n. 26455 del 26/03/2013, Knox, Rv. 255677).
In tal senso, è inammissibile il ricorso per cassazione i cui motivi si limitino genericamente a lamentare l’omessa valutazione di una tesi alternativa a quella accolta dalla sentenza di condanna (o ordinanza) impugnata, senza indicare precise carenze od omissioni argomentative ovvero illogicità della motivazione di questa, idonee ad incidere negativamente sulla capacità dimostrativa del compendio indiziario posto a fondamento della decisione di merito (Sez. 2, n. 30918 del 07/05/2015, Falbo, Rv. 264441).
Al riguardo, la difesa degli indagati ha lamentato un travisamento dei fatti, deducendo, sostanzialmente, la liceità dell’attività di raccolta del denaro, in quanto destinata all’acquisto di fiori, e l’inconsapevolezza degli indagati in ordine ai trasporti di cocaina effettuati.
Va, sul profilo del preteso travisamento, ricordato che, in seguito alle modifiche dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), ad opera della L. n. 46 del 2006, mentre non è consentito dedurre il “travisamento del fatto” (Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099), stante la preclusione per il giudice di legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, è, invece, consentita la deduzione del vizio di “travisamento della prova”, che ricorre nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, considerato che, in tal caso, non si tratta di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, ma di verificare se detti elementi sussistano (Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, Del Gaudio, Rv. 258774; Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499; Sez. 2, n. 23419 del 23/05/2007, Vignaroli, Rv. 236893; Sez. 4, n. 35683 del 10/07/2007, Servidei, Rv. 237652; Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, Casavola, Rv. 238215).
E’ inammissibile, dunque, il profilo dedotto dai ricorrenti, che, invocando un travisamento del fatto da parte del Tribunale del riesame, sollecitano una rilettura del materiale probatorio ed una rivalutazione dello stesso conforme alle dichiarazioni ed alla versione degli indagati.
In conclusione, l’ordinanza impugnata appare correttamente motivata, e immune da censure logiche o da contraddizioni.
Invero, alla stregua di comuni e condivise massime di esperienza, l’esistenza di un’attività lecita di commercio di fiori non può, di per sè, giustificare una raccolta di denaro contante, per importi significativi, e al di fuori dei consueti, e trasparenti, canali di finanziamento, al di fuori di qualsiasi rapporto contrattuale con i finanziatori degli acquisti, nè, tanto meno, l’anomalo trasporto del denaro, che obliteri il trasferimento, con i consueti canali bancari o comunque finanziari tracciabili, ai destinatari del versamento; l’asserita autonomia dei trasportatori nel trasporto della cocaina, peraltro, sarebbe contraddittoria con la raccolta del denaro, ammessa dai ricorrenti, destinato in Olanda, in quanto non spiegherebbe logicamente il motivo per il quale si provvede ad una raccolta non tracciabile di somme significative di denaro, asseritamente destinate all’acquisto di fiori anche per conto dei presunti cofinanziatori, per poi trasportarle in camion destinati al commercio dei fiori in Olanda, senza essere a conoscenza del successivo trasporto, all’interno dei medesimi veicoli, e unitamente ai fiori, delle ingenti partite di cocaina (in parte sequestrate).
Pertanto, correttamente l’ordinanza impugnata ha escluso che l’esistenza dell’attività lecita di commercio dei fiori rendesse di per sè lecita la raccolta ed il trasporto del denaro, indiziando una inconsapevolezza del carattere illecito delle operazioni finalizzate all’importazione di cocaina, proprio perchè l’attività lecita è risultata costituire solo lo schermo lecito e formale per il traffico illecito.
Al contrario, proprio le modalità, del tutto eccentriche rispetto ai canali leciti di trasferimento del denaro, ed invece consuete per le operazioni di carattere illecito, indiziano, secondo i consueti canoni della c.d. prova logica, corroborati da collaudate massime di esperienza, la consapevolezza della provenienza e della destinazione illecita delle somme raccolte e trasportate all’estero, quale segmento di una più ampia operazione illegale di narcotraffico internazionale.
3. Esigenze cautelari e adeguatezza della misura.
Il quarto motivo di ricorso di B.F., il secondo motivo del ricorso di T.M., ed il quinto motivo del ricorso di C.G. e C.R., meritano una valutazione congiunta, in quanto propongono le medesime questioni di diritto.
Le censure sono relative alla sussistenza delle esigenze cautelari, con riferimento alla mancanza di motivazione sull’attualità e concretezza del pericolo, ed all’omessa valutazione della disponibilità espressa dagli indagati alla prescrizione del c.d. braccialetto elettronico, in caso di concessione degli arresti domiciliari.
3.1. Va, al riguardo, osservato che, nell’interpretazione della nuova formulazione dell’art. 274 c.p.p., lett. b) e c), (come modificato dalla L. 16 aprile 2015, n. 47), sono emersi, nella giurisprudenza di legittimità, due orientamenti: l’uno ritiene che l’espressa previsione del requisito dell’attualità del pericolo di reiterazione del reato, in aggiunta a quello della concretezza, normativizza il principio giurisprudenziale, preesistente alla novella, secondo cui la nozione di attualità è insita in quella di concretezza ed entrambe costituiscono condizione necessaria per l’applicazione della misura cautelare (ex multis, Sez. 6, n. 44605 del 01/10/2015, De Lucia, Rv. 265350); il secondo orientamento, invece, ritiene che dalla previsione dell’attualità del pericolo derivi che non è più sufficiente ritenere – in termini di certezza o di alta probabilità – che l’imputato torni a delinquere qualora se ne presenti l’occasione, ma è anche necessario, anzitutto, prevedere – negli stessi termini di certezza o di alta probabilità – che all’imputato si presenti effettivamente un’occasione per compiere ulteriori delitti (Sez. 3, n. 37087 del 19/05/2015, Marino, Rv. 264688; Sez. 3, n. 43113 del 15/09/2015, K., Rv. 265653); pertanto, il requisito dell’attualità del pericolo di reiterazione del reato è individuabile nella riconosciuta esistenza di occasioni prossime favorevoli alla commissione di nuovi reati, non meramente ipotetiche ed astratte, ma probabili nel loro vicino verificarsi (Sez. 3, n. 49318 del 27/10/2015, Barone, Rv. 265623). Tuttavia, è stato condivisibilmente sostenuto che proprio perchè “il codice continua a distinguere tra “esigenze cautelari” ed “eccezionali esigenze cautelari”, a dimostrazione che l’attualità non è “nell’immediatezza”” (Sez. 6, n. 50027 del 29/10/2015, Aurisicchio), il requisito della attualità non può essere equiparato all’imminenza del pericolo di commissione di un ulteriore reato (o di fuga, o di inquinamento probatorio), ma sta invece ad indicare la continuità del periculum libertatis nella sua dimensione temporale, che va apprezzata sulla base della vicinanza ai fatti in cui si è manifestata la potenzialità criminale dell’indagato, ovvero della presenza di elementi indicativi recenti, idonei a dar conto della effettività del pericolo di concretizzazione dei rischi che la misura cautelare è chiamata a neutralizzare (Sez. 6, n. 3043 del 27/11/2015, dep. 2016, Esposito, Rv. 265619, non massimata sul punto). Dunque, è proprio la considerazione sistematica delle norme – che prevedono i distinti concetti di “esigenze cautelari” (art. 274 c.p.p.), “eccezionali esigenze cautelari” (art. 309 c.p.p., comma 10), ed “esigenze cautelari di eccezionale rilevanza” (art. 275 c.p.p., commi 4, 4 bis e 4 ter, D.P.R. n. 309 del 1990, art. 89) – ad imporre una interpretazione che fornisca ‘linfa ermeneuticà alle diverse previsioni astratte, non essendo ipotizzabile una interpretatio abrogans delle stesse per l’eccessiva estensione semantica attribuita all’ipotesi base; i concetti giuridici, infatti, oltre alla vitalità concreta che assumono nel necessario intreccio con il fatto, sono dotati, nella dimensione astratta, anche di una duttilità ed elasticità legata agli spazi ermeneutici delimitati dalla presenza di una pluralità di fattispecie astratte previste per regolare le aree di confine. In tal senso, pertanto, l’attualità e la concretezza delle esigenze cautelari possono essere individuate, a livello interpretativo, nella “elevata probabilità”, intesa però non come “imminenza”, del pericolo, in una prognosi che abbia ad oggetto la commissione delle condotte che si intende prevenire (reiterazione di ulteriori reati, fuga, inquinamento probatorio). 3.2. Va, inoltre, evidenziato che il titolo cautelare concerne altresì l’associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, peraltro aggravata dal numero di partecipi, dalla disponibilità di armi e dal carattere transnazionale; ebbene, in ordine a tale reato è sancita anche la doppia presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza, prevista dall’art. 275 c.p.p., comma 3, (ribadisce la duplice dimensione della presunzione Corte Cost., n. 231 del 22/07/2011, proprio a proposito dell’associazione finalizzata al narcotraffico, laddove parla, con riferimento alla disciplina precedente alla declaratoria di parziale illegittimità costituzionale pronunciata con la stessa sentenza, di “una duplice presunzione: relativa, quanto alla sussistenza delle esigenze cautelari; assoluta, quanto alla scelta della misura, reputando il legislatore adeguata, ove la presunzione relativa non risulti vinta, unicamente la custodia cautelare in carcere, senza alcuna possibile alternativa” (3.1.)). In tale ipotesi, dunque, è la stessa presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia in carcere, salvo prova contraria, sancita dall’art. 275 c.p.p., comma 3, a fondare un giudizio, formulato in astratto ed ex ante dal legislatore, di attualità e concretezza del pericolo; tale, cioè, da fondare una valutazione di costante ed invariabile pericolo cautelare, salvo prova contraria. L’antinomia tra l’art. 275, comma 3, e l’art. 274 c.p.p., non può essere risolta, interpretativamente, in favore della prevalenza della seconda norma, che è generale, laddove la prima norma, che sancisce la presunzione relativa, è speciale; secondo il tradizionale criterio interpretativo cronologico lex specialis derogat legi generali, lex posterior generalis non derogat priori speciali, dunque, la presunzione di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3, sia nella dimensione della sussistenza delle esigenze cautelari, sia nella dimensione della adeguatezza della custodia in carcere, deve ritenersi prevalente sulla norma di cui all’art. 274 c.p.p., nel senso che l'”attualità” e la “concretezza” delle esigenze cautelari deve intendersi, salvo prova contraria, insita proprio nel giudizio di astratta e costante pericolosità cautelare formulato ex ante dal legislatore. Di conseguenza, nel caso in cui il titolo cautelare riguardi i reati indicati nell’art. 275 c.p.p., comma 3, (tra i quali l’associazione per delinquere finalizzata al narcotraffico), la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari deve ritenersi, salvo prova contraria (recte, salvo che emergano elementi di segno contrario), integrare i caratteri di attualità e concretezza del pericolo. In tal senso, è stato affermato che in tema di custodia cautelare in carcere applicata nei confronti dell’indagato del delitto d’associazione di tipo mafioso, l’art. 275 c.p.p., comma 3, come novellato dalla L. n. 47 del 2015, pone una presunzione relativa di pericolosità sociale, che inverte gli ordinari poli del ragionamento giustificativo, nel senso che il giudice che applica o che conferma la misura cautelare non ha un obbligo di dimostrazione in positivo della ricorrenza dei “pericula libertatis”, ma soltanto di apprezzamento delle ragioni di esclusione, eventualmente evidenziate dalla parte o direttamente evincibili dagli atti, tali da smentire, nel caso concreto, l’effetto della presunzione. (Sez. 1, n. 45657 del 06/10/2015, Varzaru, Rv. 265419; Sez. 1, n. 5787 del 21/10/2015, dep. 2016, Calandrino). 3.3. Tanto premesso, in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari che hanno fondato la conferma della misura cautelare di maggior afflittività, l’ordinanza impugnata ha evidenziato l’estrema gravità dei fatti, desumibile dall’esistenza di una stabile organizzazione dedita all’importazione di ingenti quantitativi di cocaina dall’Olanda, con contatti e collegamenti con esponenti di vertice della criminalità organizzata campana e calabrese, il contesto criminale, la continuità dell’attività di finanziamento cui ha preso parte l’indagato, e delle successive operazioni di trasporto e importazione di cocaina, l’attuale operatività del sodalizio, in ragione dell’epoca recentissima delle condotte; tutti elementi ritenuti dimostrativi di un pericolo di reiterazione concreto ed attuale, anche alla luce dei precedenti penali attestati dal certificato pen
ale in riferimento a B.F. (tentato furto) ed a C.G. (condannato per associazione per delinquere di tipo mafioso, detenzione illegale di arma ed estorsione). Da tali elementi, dunque, è stato tratto il giudizio di adeguatezza della sola misura custodiale in carcere, che, escludendo in maniera assoluta la libertà di movimento e di contatto del soggetto, è in grado di evitare il concreto e attuale pericolo del ripetersi di condotte della stessa specie e di recidere i forti e intensi legami con il contesto criminale di appartenenza, con l’espressa valutazione di inadeguatezza degli arresti domiciliari, anche con la prescrizione del braccialetto elettronico. Alla luce degli elementi e delle valutazioni espresse, dunque, può ritenersi che l’ordinanza abbia legittimamente confermato la misura cautelare, con una diffusa motivazione su tutti i profili rilevanti per il giudizio cautelare, compresa l’inadeguatezza di misure meno afflittive. Peraltro, essendo il titolo cautelare costituito dalla partecipazione ad un’associazione armata finalizzata al narcotraffico, aggravata dal carattere transnazionale (D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, commi 3 e 4, e L. n. 146 del 2006, art. 4), opera la presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia in carcere, che integra l'”attualità” e la “concretezza” delle esigenze cautelari in ragione del giudizio, formulato in astratto ed ex ante, dal legislatore. Va nondimeno osservato che l’articolazione internazionale del sodalizio criminale, il dato ponderale dello stupefacente oggetto di illecito traffico, il contributo significativo fornito da B.F., T.M., C.G. e C.R. all’associazione, nella raccolta del denaro destinato all’acquisto della droga e nel trasporto delle sostanze stupefacenti, e l’inserimento nel circuito criminale del traffico internazione di cocaina, connotano in termini di elevata probabilità il pericolo che gli indagati, ove non sottoposti alla misura di maggior afflittività, reiterino concretamente reati della stessa specie, integrando tale inserimento, stabile e continuativo, nel contesto criminale del traffico internazionale di stupefacenti quelle altamente probabili, e non meramente astratte, occasioni prossime favorevoli alla commissione di nuovi reati. 4.Omessa registrazione interrogatori – ricorsi C.G. e C.R.. Il primo motivo di ricorso proposto da C.G. e C.R. è manifestamente infondato. I ricorrenti lamentano, infatti, che l’omessa registrazione degli interrogatori svolti in sede di udienza di convalida del fermo, che avrebbe determinato la nullità dell’ordinanza applicativa della misura cautelare. Al riguardo, va rammentato che già le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito, fin dal 1998, che “lo strumento documentativo normale degli atti del procedimento penale è quello della verbalizzazione a norma dell’art. 134 c.p.p. avendo la riproduzione audiovisiva funzione meramente aggiuntiva, limitata, peraltro, alla ipotesi in cui essa si appalesi come “assolutamente indispensabile”. Invertendo il canone di priorità dei mezzi di documentazione l’art. 141 bis c.p.p., introdotto dalla L. 8 agosto 1995, n. 332, prevede, come normale modalità documentati va dell’interrogatorio di persona in stato di detenzione, la riproduzione fonografica o audiovisiva essendo la verbalizzazione prevista solo in forma sommaria ed in ambito complementare. (…) Tale disposizione, dunque, trova applicazione negli interrogatori condotti dal GIP a norma degli art. 299 c.p.p., comma 3 ter, art. 301 c.p.p., comma 2 ter, art. 294 c.p.p., comma 1 nonchè in quelli effettuati dal P.M. a norma degli art. 363, 364 e 388 c.p.p.. E’ esplicitamente escluso che le formalità di cui trattasi debbano adottarsi anche in caso di interrogatorio reso in udienza, sicchè le particolari modalità di documentazione previste dall’art. 141 bis c.p.p. non riguardano l’atto compiuto nel corso dell’udienza di convalida dell’arresto o del fermo, del giudizio abbreviato o dell’udienza preliminare” (Sez. U, n. 9 del 25/03/1998, D’Abramo, Rv. 210803, 3, sul punto non massimata). Con riferimento alla lamentata omessa trasmissione della registrazione, in ogni caso, è stato ripetutamente affermato, nelle ipotesi, evidentemente, nelle quali la registrazione dell’interrogatorio era obbligatoria, in quanto espletato dal P.M., o dal Gip ma non in udienza, che non è inutilizzabile nell’incidente cautelare l’interrogatorio reso da persona detenuta, qualora il pubblico ministero abbia trasmesso al giudice delle indagini preliminari o a quello del riesame soltanto il verbale riassuntivo e non anche la registrazione fonografica, purchè quest’ultima sia stata effettivamente eseguita (Sez. 6, n. 39376 del 20/10/2010, Quatrosi, Rv. 248799; in senso analogo, Sez. 1, n. 8778 del 22/12/2000, dep. 2001, Tropea, Rv. 218187: “La mancata trasmissione, da parte del pubblico ministero, al giudice per le indagini preliminari o al tribunale del riesame, unitamente al verbale redatto in forma riassuntiva delle dichiarazioni rese da soggetto in stato di detenzione, anche della relativa registrazione fonografica o audiovisiva, non dà luogo a inutilizzabilità di dette dichiarazione, essendo prevista tale sanzione dall’art. 141 bis c.p.p. soltanto per l’ipotesi che la registrazione non venga effettuata”; Sez. 1, n. 16717 del 12/03/2013, Giardina, Rv. 256153). 5. Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna al pagamento delle spese processuali e la corresponsione di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende, somma che si ritiene equo determinare in Euro 1.000,00: infatti, l’art. 616 c.p.p. non distingue tra le varie cause di inammissibilità, con la conseguenza che la condanna al pagamento della sanzione pecuniaria in esso prevista deve essere inflitta sia nel caso di inammissibilità dichiarata ex art. 606 c.p.p., comma 3, sia nelle ipotesi di inammissibilità pronunciata ex art. 591 c.p.p.. 6. La rinuncia di Ci.Pi. determina l’inammissibilità del ricorso, ai sensi dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. d). Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali e la corresponsione di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende, somma che, in caso di rinuncia, si ritiene equo determinare in Euro 500,00: infatti, l’art. 616 c.p.p. non distingue tra le varie cause di inammissibilità, con la conseguenza che la condanna al pagamento della sanzione pecuniaria in esso prevista deve essere inflitta sia nel caso di inammissibilità dichiarata ex art. 606 c.p.p., comma 3, sia nelle ipotesi di inammissibilità pronunciata ex art. 591 c.p.p..
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi di B.F., C.G., C.R., T.M., che condanna al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso di Ci.Pi., che condanna al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 500,00 in favore della Cassa delle Ammende.
La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmessa al Direttore dell’Istituto Penitenziario competente a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
Così deciso in Roma, il 8 agosto 2016.
Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2016
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