Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 4 luglio 2016, n. 2959

Lo stato di degrado di un’area sottoposta a tutela può legittimare le autorità competenti a promuovere la revisione dello strumento pianificatorio, di rango superiore ai piani urbanistici, ormai non più corrispondente all’effettivo stato dei luoghi, non giustificandosene la disapplicazione, mediante provvedimenti di sanatoria concernenti sporadici interventi abusivi commessi da singoli individui, per cui l’avvenuta parziale compromissione di un’area vincolata avrebbe dovuto impedire il rilascio di provvedimenti atti a comportarne l’ulteriore degrado, esigendo, semmai, una maggiore attenzione da parte degli enti preposti alla tutela del vincolo, al di là di una non ravvisabile disparità di trattamento, configurabile solo in casi macroscopici e di assoluta identità delle situazioni poste a confronto

Consiglio di Stato

sezione VI

sentenza 4 luglio 2016, n. 2959

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1835 del 2012, proposto da:
Gi. To. , rappresentato e difeso dall’avv. Ad. Ca., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale (…);
contro
Ministero per i beni e le attività culturali, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione II quater n. 7226/2011, resa tra le parti, concernente parere favorevole alla sanatoria di manufatto ricadente in zona sottoposta a vincolo paesaggistico.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero per i beni e le attività culturali;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza del giorno 10 novembre 2015 il consigliere Andrea Pannone e uditi per le parti l’avvocato Ca., e l’avvocato dello Stato D’A.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 

FATTO e DIRITTO

 
1. L’odierno appellante è proprietario di un manufatto ad uso deposito realizzato abusivamente nel Comune di (omissis) , via (omissis) , ricadente nella fascia di rispetto del (omissis) , oggetto di domanda di condono ai sensi della legge n. 724 del 1994. Con istanza del 16 giugno 2000 chiedeva al Comune di (omissis) il rilascio del parere ex art. 32 della legge n. 47 del 1985.
Con determinazione n. 2 del 9 gennaio 2003, il Comune di (omissis) rendeva parere favorevole ritenendo che non sussistessero motivi di contrasto tra il corpo di fabbrica interessato dal condono ed il contesto paesistico e panoramico vincolato, tale da impedire la sanatoria dell’opera realizzata.
Detto provvedimento veniva annullato dall’Amministrazione statale con il decreto della Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio e per il patrimonio storico, artistico e demoetnoantropologico per il Lazio del 15 marzo 2003, perché il manufatto ricadeva nella fascia di rispetto di m.150 del (omissis) iscritto nell’elenco delle acque pubbliche di cui al T.U. n. 1775 del 1933, da cui dista m. 71.
Avverso detto provvedimento l’appellante deduceva, in primo grado la violazione dell’art. 32 della L. 47/85. Violazione degli artt. 146 e 151 del d.lgs. n. 490 del 1999; l’eccesso di potere per difetto ed erroneità dei presupposti, travisamento, difetto di istruttoria, illogicità; sviamento.
2. La sentenza qui impugnata ha rilevato preliminarmente che il manufatto ricade in zona sottoposta a vincolo paesaggistico ai sensi dell’art. 146, lett. c), del d.lgs. n. 490 del 1999, mentre dal punto di vista urbanistico ricade in zona E, sottozona E3 – agricola non compromessa; il fabbricato abusivo si trova a ridosso della zona B nella quale sono stati realizzati molti altri manufatti, alcuni dei quali si trovano anche a distanza più ravvicinata rispetto al fiume.
La sentenza ha rigettato il ricorso sulla base delle seguenti considerazioni.
Dalla lettura del provvedimento impugnato emerge chiaramente che l’annullamento è intervenuto per motivi di legittimità e non di merito, in quanto la Soprintendenza ha disposto l’annullamento del nulla osta paesaggistico per il suo evidente contrasto con la normativa recata dal P.T.P.
Il manufatto abusivo, infatti, realizzato nel 1987 – quindi in data posteriore rispetto all’introduzione del vincolo – ricade nella fascia di rispetto del (omissis) iscritto nell’elenco delle acque pubbliche e dunque soggetto al vincolo ex art. 146, lett. c), del d.lgs. n. 490 del 1999; secondo l’art. 8 comma 6 delle N.T.A. del P.T.P. Ambito n. 14 in detta zona non sono ammesse costruzioni in quanto “i corsi d’acqua e le relative fasce di rispetto debbono essere mantenuti integri e inedificati per una profondità di metri 150 per parte”.
Appare evidente come secondo il P.T.P. la zona sia soggetta a vincolo di inedificabilità assoluta.
Del tutto irrilevante è l’affermata compatibilità del manufatto con le prescrizioni recate dal P.R.G di (omissis) – compatibilità peraltro affermata, ma non dimostrata, atteso che si tratta di un manufatto realizzato in zona E3 per la quale il P.R.G. consente taluni interventi edificatori con stringenti prescrizioni, tra le quali quelle relative al lotto minimo – tenuto conto comunque che in caso di contrasto tra il P.R.G. ed il P.T.P. la normativa paesaggistica prevale su quella urbanistica comunale.
Il parere comunale, quindi, si pone chiaramente in contrasto con la normativa paesaggistica di zona.
Né può attribuirsi rilievo all’esistenza di altri manufatti limitrofi, anche più vicini al (omissis) , atteso che lo stesso ricorrente ha dichiarato che detti fabbricati ricadono in zona B, e quindi non sono assoggettati al vincolo di cui all’art. 146 lett. c) del d.lgs. n. 490 del 1999 per espressa previsione dello stesso art. 8 comma 1 delle N.T.A. del P.T.P.: nel rendere il giudizio di compatibilità dell’intervento con la normativa paesaggistica l’Amministrazione è tenuta a dare applicazione alla sola normativa prevista per l’area nella quale ricade il manufatto, non potendo attribuire rilievo alla disciplina prevista per le aree limitrofe.
Peraltro, secondo la giurisprudenza della Sezione, il parziale degrado di un’area sottoposta a tutela piuttosto che autorizzare l’amministrazione a tollerare ulteriori abusi, rilasciando pareri favorevoli alla sanatoria di opere che comprometterebbero ancor più le aree rimaste integre, dovrebbe indurre questa ad adottare provvedimenti volti a salvaguardare il residuo valore paesistico delle zone ancora non del tutto compromesse, salva restando ovviamente la possibilità di attivare il procedimento per la rimozione del vincolo al fine di adeguare lo strumento di pianificazione paesistica, ormai divenuto obsoleto, alle modifiche ambientali sopravvenute, qualora l’effettivo stato dei luoghi sia, a giudizio degli organi competenti, irrimediabilmente compromesso (T.A.R. Lazio, sez. II quater, 6 marzo 2007, n. 2182).
3. Propone ricorso in appello l’interessato sostenendo la sufficienza della motivazione del provvedimento adottato dal Comune di (omissis) che ha ritenuto che “per il corpo di fabbrica interessato dal condono non sussistono motivi di contrasto con il contesto paesistico e panoramico vincolato, tali da impedire la sanatoria dell’opera realizzata”.
Lo stesso fabbricato si trova in prossimità del confine della zona B3 e, in linea d’aria, ben più distante dall’argine di altri fabbricati ricadenti in B3: esso è dunque pienamente ed oggettivamente compatibile, in concreto, con il contesto paesistico effettivamente esistente, considerato anche in relazione alla contiguità di aree edificate.
All’interno del comprensorio fra il (omissis) , la via (omissis) e la via comunale S. Onofrio sono presenti ben 10 costruzioni entro la fascia di 150 mt. dal fiume, di cui 3 sono oggi in corso di ultimazione; è ben visibile la presenza di opere di urbanizzazione quali strade, parcheggi, accessi privati, recinzioni e servizi di ogni genere; la superficie delle aree edificate (intese come fabbricati e costi annesse) è di gran lunga superiore a quella delle aree inedificate ed impropriamente individuate come agricole.
4. Il nucleo fondante della sentenza è rappresentato dall’affermazione secondo la quale: «L’avvenuta, parziale compromissione di un’area vincolata non giustifica il rilascio di provvedimenti, atti a comportare un ulteriore degrado, fermo restando l’obbligo di ripristinare lo stato dei luoghi “secundum ius”, ove materialmente possibile» (Cons. Stato, VI, 3 settembre 2013, n. 4390). «Lo stato di degrado di un’area sottoposta a tutela può legittimare le autorità competenti a promuovere la revisione dello strumento pianificatorio, di rango superiore ai piani urbanistici, ormai non più corrispondente all’effettivo stato dei luoghi, non giustificandosene la disapplicazione, mediante provvedimenti di sanatoria concernenti sporadici interventi abusivi commessi da singoli individui, per cui l’avvenuta parziale compromissione di un’area vincolata avrebbe dovuto impedire il rilascio di provvedimenti atti a comportarne l’ulteriore degrado, esigendo, semmai, una maggiore attenzione da parte degli enti preposti alla tutela del vincolo, al di là di una non ravvisabile disparità di trattamento, configurabile solo in casi macroscopici e di assoluta identità delle situazioni poste a confronto» (Cons. Stato, VI, 27 febbraio 2012, n. 1096).
Le censure svolte dall’appellante non sono idonee a smontare l’impianto della sentenza perché non si dimostra in alcun modo che l’immobile non sia ubicato in zona vincolata.
L’appellante chiede l’annullamento del provvedimento impugnato facendo leva su (presunti) comportamenti omissivi dell’amministrazione, che non avrebbe sanzionato analoghi abusi.
Ma una simile richiesta contrasta con i principi affermati dalla giurisprudenza della Sezione, appena richiamati e dai quali non v’è ragione di discostarsi.
5. L’appello va quindi respinto con compensazione delle spese per giusti motivi.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 novembre 2015 con l’intervento dei magistrati:
Stefano Baccarini – Presidente
Roberto Giovagnoli – Consigliere
Bernhard Lageder – Consigliere
Andrea Pannone – Consigliere, Estensore
Maddalena Filippi – Consigliere
Depositata in Segreteria il 04 luglio 2016.

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