In tema di licenziamento, la nozione di giusta causa è nozione legale e il giudice non è vincolato alle previsioni di condotte integranti giusta causa contenute nei contratti collettivi; tuttavia ciò non esclude che ben possa il giudice far riferimento ai contratti collettivi e alle valutazioni che le parti sociali compiono in ordine alla valutazione della gravità di determinati comportamenti rispondenti, in linea di principio, a canoni di normalità. D’altro canto, quale conseguenza delle valutazioni operate dalle parti in sede contrattuale circa la rilevanza dei predetti comportamenti, il datore di lavoro non può irrogare un licenziamento disciplinare quando questo costituisca una sanzione più grave di quella prevista dal CCNL in relazione ad una determinata infrazione

Suprema Corte di Cassazione

sezione lavoro

sentenza  7 giugno 2016, n. 11630

Svolgimento del processo

1. Il Tribunale di Verbania aveva respinto il ricorso, proposto da E.M. nei confronti del Comune di Stresa, volto alla dichiarazione di illegittimità del licenziamento intimato il 29.11.2008 ed alla pronunzia dei provvedimenti restitutori, reali ed economici, di cui all’art. 18 della legge n. 300 del 1970.
2. Con la sentenza in data 27.2.2014, la Corte di Appello di Torino, adita dall’E. , in riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento ed ha condannato il Comune alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, al risarcimento del danno, liquidandolo nella misura corrispondente alle retribuzioni non percepite nel periodo non lavorato, al versamento dei contributi previdenziali ed ha dichiarato l’integrale compensazione delle spese del giudizio.
3. Queste le argomentazioni motivazionali che sorreggono la decisione.
4. I fatti addebitati non erano riconducibili all’art. 25 c. 7 lett. i) del CCNL del 22.1.2004 per le Regioni e le Autonomie Locali e difettava il requisito di proporzionalità, perché detta disposizione consentiva il licenziamento nei casi di grave incapacità, anche dolosa nell’adempimento degli obblighi di servizio, di reiterati comportamenti ostativi all’attività ordinaria dell’Ente, di condanna passata in giudicato per delitto non attinente, in via diretta, al rapporto di lavoro.
5. Il comma 6 dell’art. 25 del CCNL non prevedeva la sanzione espulsiva per la timbratura irregolare, che risultava sanzionata con la sospensione dal servizio da 11 giorni a sei mesi, al pari di comportamenti ben più gravi di quelli addebitati all’E. (assenza arbitraria ed ingiustificata dal servizio per un numero di giorni superiore a 10 e sino 15; occultamento da parte del responsabile della custodia, del controllo e della vigilanza, di fatti e circostanze relativi ad illecito uso o manomissione, distrazione o sottrazione di somme o beni di pertinenza dell’Ente o ad esso affidati; insufficiente persistente rendimento; fatti, colposi o dolosi, attestanti grave incapacità ad adempiere adeguatamente agli obblighi di servizio; reiterati atti e comportamenti aggressivi, ostili e denigratori; violenza morale o persecuzione psicologica nei confronti di altro dipendente al fine di procurargli un danno in ambito lavorativo o di escluderlo dal contesto lavorativo; atti, comportamenti o molestie, anche di carattere sessuale, di particolare gravità lesivi della dignità della persona).
6. L’art. 55 quater del D. Lgs 165/2001, non poteva essere assunto come riferimento per la valutazione della proporzionalità della sanzione, in quanto inapplicabile “ratione temporis”.
7. L’E. , pur tenuto al rispetto dell’orario di servizio fissato in 36 ore settimanali, a fronte di poco più di 18 ore di lavoro irregolarmente attestate, aveva prestato circa trecento ore di lavoro in più non retribuito.
8. La discrasia tra l’orario di lavoro risultante dalla timbratura e quello di effettivo ingresso, limitato a pochi minuti, costituiva sintomo di una condotta improntata a leggerezza e non ad intenti elusivi dei sistemi di controllo delle presenze. La prova aveva evidenziato che il lavoratore, nella qualità di titolare di una posizione organizzativa, aveva conseguito valutazioni positive per il raggiungimento degli obiettivi assegnati, che era frequentemente in ufficio in orari ulteriori rispetto all’orario di servizio e che i fatti contestati non avevano avuto alcuna negativa incidenza sui suoi doveri.
9. La recidiva, non sussistente per l’assenza di pregresse sanzioni, non era stata oggetto di contestazione in sede disciplinare.
10. La peculiarità e la delicatezza delle questioni dedotte in giudizio costituivano ragione della disposta compensazione delle spese dei due gradi del giudizio.
11. Avverso detta sentenza il Comune di Stresa ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, illustrati da successiva memoria.
12. E.M. ha resistito con controricorso ed ha, a sua volta, proposto ricorso incidentale, affidato ad un unico motivo.

Motivi della decisione

13. Il ricorso Principale.
14. Con il primo motivo il Comune censura la sentenza per violazione degli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c., lamentando che la Corte territoriale avrebbe operato, al fine di attenuare la gravità della condotta dell’E. , una imprecisata ed erronea compensazione tra le ore lavorate oltre l’orario di lavoro di 36 ore settimanali e quelle irregolarmente registrate.
15. Deduce che la prestazione di ore di lavoro eccedenti l’orario normale di lavoro avrebbe potuto rilevare se le ore in eccesso fossero state prestate nei giorni coincidenti con le false timbrature; che la compensazione sarebbe erronea ove intesa dal punto di vista monetario, perché l’E. aveva fruito della retribuzione di posizione e di risultato.
16. Non vi era alcun elemento probatorio idoneo a ricondurre l’elemento psicologico a mera leggerezza piuttosto che ad una vera e propria volontà elusiva, questa desumibile dalla reiterazione dei comportamenti e dai rapporti della P.G., dai quali emergeva che la discrasia tra gli orari di timbratura e quelli di presenza era superiore a quella ritenuta provata nella sentenza impugnata.
17. Con il secondo motivo il Comune denuncia, ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 5 c.p.c., omesso esame circa l’elemento psicologico della condotta dell’E. .
18. Deduce l’irrilevanza della disposizione di servizio del 22.3.2007, riguardando questa non le false timbrature ma l’omissione delle timbrature e sostiene che l’episodio del 21.4.2005 incideva, al più, sul numero comunque consistente, dei comportamenti illeciti registrati; che la compensazione operata dalla Corte territoriale tra il numero di ore di lavoro prestato e quello falsamente attestato non avrebbe alcuna rilevanza sull’elemento soggettivo ma solo sul fatto materiale; che la prova sull’elemento oggettivo e su quello soggettivo non poteva essere tratta dalla motivazione del decreto di archiviazione, perché privo di rilevanza nel giudizio civile. Sostiene che vi sarebbe incoerenza tra le acquisizioni probatorie ed il giudizio valutativo formulato dalla Corte territoriale.
19. Con il terzo motivo il Comune denuncia, ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c., violazione dell’art. 1363 c.c. relativamente agli artt. 23 del CCNL del 1995 per le Regioni e le Autonomie Locali e 25 commi 1, 3, 4, 5, 6, 7, 8 e 9 del CCNL 2004 per le Regioni e le Autonomie Locali.
20. Sostiene che dalla corretta interpretazione delle norme richiamate in rubrica discenderebbe la riferibilità degli addebiti contestati alle fattispecie disciplinari punite dalla contrattazione collettiva con la sanzione espulsiva; che l’elemento intenzionale, che aveva ispirato la condotta contestata, ne consentiva la qualificazione ai sensi del comma 7 lett. i) dell’art. 25 del CCNL del 1995; che la condotta addebitata avrebbe dovuto farsi rientrare nell’ambito della previsione generica contenuta nel c. 9 dello stesso art. 25 del CCNL del 1995 e del 2004, secondo cui le mancanze non espressamente previste nei commi da 4 ad 8 sono comunque sanzionate secondo i criteri di cui al comma 1, con riferimento, quanto alla individuazione dei fatti sanzionabili, agli obblighi dei lavoratori di cui all’art. 23, e,quanto al tipo ed alla misura delle sanzioni, ai principi desumibili dai commi precedenti.
21. Lamenta che la Corte territoriale non avrebbe operato una lettura sistematica delle disposizioni del codice disciplinare, avendo sottovalutato l’elemento della fraudolenza della condotta addebitata e avendo omesso di considerare la disposizione di cui all’art. 55 quater del D.Lgs 165/2001 e che non avrebbe tenuto conto degli elementi di cui al comma 9 dell’art. 25 del CCNL.
22. Afferma che, comunque, la condotta sarebbe riconducibile a quella prevista dal comma 6 dell’art. 3 del CCNL del 2008, che, pur non applicabile “ratione temporis”, costituirebbe una scala di valori trasfusa nel codice disciplinare e che la plurima reiterazione degli addebiti relativi alla timbratura consentirebbe l’applicazione della lett. a) del comma 7 dell’art. 25 del CCNL del 2004, che prevede la sanzione del licenziamento nei casi di recidiva plurima.
23. Con il quarto motivo il Comune denuncia, ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c., violazione dell’art. 1363 cc., relativamente agli artt. 23 del CCNL 1995 e 25 commi 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, e 9 del CCNL del 2004, in relazione all’art. 3 della legge n. 604 del 1966 rispetto all’art. 25 c. 7 lett. i).
24. Sostiene che la condotta addebitata sarebbe, comunque, riconducibile all’art. 3 della legge 604/1966 e all’art. 2119 c.c., che la fonte convenzionale in materia di infrazioni e sanzioni, ex art. 55 D.Lgs. 165/2001 applicabile “ratione temporis”, non sarebbe esclusiva e che il divieto di condotte integranti gli estremi della giusta causa e del giustificato motivo risiederebbe nella legge.
25. Il ricorso incidentale.
26. Con l’unico motivo l’E. denuncia violazione del principio di soccombenza, sul rilievo che la sentenza sarebbe insufficientemente motivata nella parte in cui la compensazione delle spese dei due gradi del giudizio è stata giustificata solo con riferimento alla particolarità e delicatezza delle questioni trattate.
27. Esame dei motivi del ricorso principale.
28. I primi due motivi, da scrutinarsi congiuntamente, per essere correlati alle argomentazioni spese dalla Corte territoriale in merito al numero delle ore che complessivamente risultavano come lavorate per effetto delle irregolari timbrature e quelle prestate dall’E. oltre l’orario minimo di servizio, sono infondati.
29. La Corte territoriale, infatti, non ha operato alcuna compensazione tra le diciotto ore che sarebbero state impropriamente registrate e le ore prestate in più rispetto al normale orario di servizio ma ha solo fatto riferimento all’orario di lavoro in concreto osservato, ai fini della formulazione del giudizio di proporzionalità tra infrazione contestata e sanzione. Giudizio di proporzionalità fondato anche sull’assenza di precedenti disciplinari e sull’avvenuto raggiungimento degli obiettivi conseguiti anche nel periodo oggetto della contestazione disciplinare.
30. Il terzo motivo, al di là della titolazione della rubrica, che richiama l’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. e denuncia la violazione delle regole di ermeneutica negoziale, reputa non corretta la sussunzione del fatto nell’archetipo negoziale collettivo secondo prospettazioni che sono estranee al perimetro del vizio denunziabile ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c..
31. Va in proposito ribadito che, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del giudice del merito, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e di contratto o accordo collettivo nazionale, e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è estranea all’esatta interpretazione della norma di legge (o di contratto o di accordo collettivo nazionale) e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione.
32. Va precisato che il vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, e dei contratti e degli accordi collettivi nazionali di lavoro, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., ricorre o non ricorre a prescindere dalla motivazione (che può concernere soltanto una questione di fatto e mai di diritto) posta dal giudice a fondamento della decisione (id est: del processo di sussunzione), per l’esclusivo rilievo che, in relazione al fatto accertato, la norma, della cui esatta interpretazione non si controverte (in caso positivo vertendosi in controversia sulla lettura” della norma stessa), non sia stata applicata quando doveva esserlo, ovvero che lo sia stata quando non si doveva applicarla, ovvero che sia stata “male” applicata, e cioè applicata a fattispecie non esattamente comprensibile nella norma (Cass. 7568/2016, 4505/2016, 26307/2014, 22348/2007).
33. A quanto osservato consegue che il processo di sussunzione, nell’ambito del sindacato sulla violazione o falsa applicazione di una norma di diritto e dei contratti e degli accordi collettivi nazionali di lavoro, presuppone la mediazione di una ricostruzione del fatto incontestata, al contrario del sindacato ai sensi dell’art. 360, primo comma n. 5 c.p.c. (oggetto della recente riformulazione interpretata quale riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, Cass. SSUU 8053/2014), 65(4 che postula un fatto ancora oggetto di certificazione tra le parti.
34. Nella fattispecie in esame si pretende che ricorra l’ipotesi dell’erronea applicazione della norma del contratto collettivo nazionale di lavoro perché il motivo, nei te. in cui è prospettato nella parte argomentativa, non pone problemi di interpretazione delle clausole negoziali pattizie, ma di erronea applicazione ovvero di mancata loro applicazione a fattispecie che invece ne avrebbe imposto l’applicazione.
35. Tanto precisato, il motivo, che, per un verso contesta la ricostruzione della condotta posta a base del licenziamento, e, per altro verso, il giudizio valoriale della sua gravità, non scalfisce la decisione impugnata, restando estraneo alla sua tenuta, in quanto la valutazione delle risultanze di causa, è ammissibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione, nei limiti sopra individuati (cfr. punto 33 di questa sentenza) che nel motivo in esame non viene denunciato.
36. Esso, pertanto, va rigettato.
37. Il quarto motivo è infondato.
38. Con riguardo alle tipizzazioni degli illeciti disciplinari contenute nei contratti collettivi, questa Corte ha ripetutamente affermato che in tema di licenziamento dette previsioni non possono essere disattese dal giudice, perché rappresentano le valutazioni che le parti sociali hanno fatto in ordine alla valutazione della gravità di determinati comportamenti rispondenti, in linea di principio, a canoni di normalità (Cass. 2906/2005) e che il datore di lavoro non può irrogare la sanzione risolutiva quando questa costituisca una sanzione più grave di quella prevista dal contratto collettivo, in relazione ad una determinata infrazione (Cass. 6165/2016, 2692/2015, 19053/2005,16260/2004).
39. La statuizione impugnata si sottrae alle censure formulate perché, in conformità con i principi di diritto sopra richiamati, la Corte territoriale ha tratto il giudizio di sproporzione della sanzione risolutiva rispetto ai fatti contestati, nei termini risultati accertati, in considerazione delle tipizzazioni degli illeciti disciplinari, e delle correlate sanzioni, contenute nel CCNL del 22.1.2004.
40. In particolare, ha rilevato (cfr. punti 4 e 5 di questa sentenza) che l’art. 25 c. 7 lett. i), richiamato nella stessa lettera di licenziamento, consentiva il ricorso alla sanzione espulsiva in ipotesi di comportamenti diversi e più gravi di quello addebitato all’E. e che, ai sensi del comma 6 dello stesso art. 25, la condotta compendiatasi nella timbratura irregolare risultava punita con sanzione conservativa, al pari di comportamenti ben più deplorevoli di quelli posti a base del licenziamento.
41. Ha correttamente escluso “ratione temporis” l’applicabilità alla fattispecie dedotta in giudizio dell’art. 59 quater del D.Lgs. 165/2001 introdotto dall’art. 69 c. 1 del D.Lgs 150/2009.
42. Il ricorso incidentale.
43. Il motivo è, per un verso, infondato e, per altro, inammissibile.
44. L’infondatezza attiene alla censura di violazione di legge e discende dal fatto che, trattandosi di giudizio instaurato nel marzo 2009 (cfr. pag. 2 del ricorso), non si applica il testo dell’art. 92 c.p.c., come modificato a decorrere dal 4 luglio 2009 dalla L. n. 69 del 2009, art. 45, comma 11, per i procedimenti instaurati successivamente all’entrata in vigore della legge (cfr. art. 58 stessa legge), in ragione del quale per la compensazione si richiedono soccombenza reciproca o altre gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicati nella motivazione.
45. Nei giudizi instaurati dopo l’entrata in vigore dell’art. 2 c. 1 lett. a) della legge n. 263 del 2005, come modificato dall’art. 39-quater c. 4 del D.L. n. 273 del 2005, convertito con modificazioni nella legge n. 51 del 2006, e prima del 4 luglio 2009, come quello in esame, il giudice può, invece, procedere alla compensazione parziale o totale tra le parti in mancanza di soccombenza reciproca solo se ricorrono giusti motivi, esplicitamente indicati nella motivazione, atteso il tenore dell’art. 92 c.p.c., comma 2, come modificato dall’art. 2, comma 1, lett. a), della legge citata (cfr. Cass. 11130/2015; Ord. 2033/2014).
46. Siffatto obbligo motivazionale è stato assolto nel caso specifico, avendo la Corte di appello esplicitato le ragioni che l’hanno indotta ad avvalersi della facoltà di compensare le spese processuali.
47. L’inammissibilità si riferisce alla censura motivazionale e discende dal rilievo che la censura risulta formulata secondo gli schemi del “vecchio” art. 360 c. 1 n. 5 c.p.c..
48. L’attuale testo (come novellato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b convertito con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012), applicabile ai ricorsi avverso le sentenze pubblicate, come quella all’esame, successivamente al 11 settembre 2012 (art. 54, comma 3 del medesimo decreto) prevede un vizio specifico, quale l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, da indicarsi specificamente dal ricorrente, riducendo, per il resto, il sindacato sulla motivazione al minimo costituzionale. Di talché, l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante ed attiene all’esistenza della motivazione in sé, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di “sufficienza”, nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (Cass. SSUU n. 8053/2014).
49. In conclusione, il ricorso principale e quello incidentale vanno rigettati.
50. Le spese del giudizio vanno compensate in misura integrale, avuto riguardo alla reciproca soccombenza.
51. Deve darsi atto, ai sensi dell’art. 13 c. 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis dello stesso art. 13.

P.Q.M.

La Corte.
Rigetta il ricorso principale.
Rigetta il ricorso incidentale.
Dichiara compensate le spese del giudizio.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e di quello incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

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