Il diniego di sanatoria di opere edili realizzate in zone vincolate è da ritenersi sufficientemente motivato con l’indicazione delle ragioni assunte a fondamento della valutazione d’incompatibilità dell’intervento con le esigenze di tutela paesistica affidate al relativo vincolo. Pertanto, anche una motivazione scarna e sintetica va considerata soddisfacente, ove riveli gli estremi logici dell’incompatibilità
Consiglio di Stato
sezione IV
sentenza 23 maggio 2016, n. 2115
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso n. 4090/2009 RG, proposto da Fl. Za. e, per riassunzione a seguito del decesso di questi, dai suoi eredi Lu. e Gi. Za., rappresentati e difesi dagli avvocati Fr. Za. e Ma. Et. Ve., con domicilio eletto in Roma, via (…),
contro
la Provincia di Venezia, il Comune di Venezia e la Commissione consultiva provinciale per i beni ambientali, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, non costituiti in giudizio;
nei confronti di
Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio,
per la riforma
della sentenza del TAR veneto, sez. II, n. 683 del 18 marzo 2009.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore all’udienza pubblica del 28 aprile 2016 il Cons. Silvestro Maria Russo e udito, per la parte appellante, l’avv. Ve.;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1. – Il sig. Fl. Za., ora deceduto, era proprietario d’un edificio ad uso abitativo sito a quel tempo nel territorio comunale di Venezia e ora nel neoistituito Comune di (omissis), nonché d’un annesso rustico adibito a magazzino e ricovero attrezzi, a suo dire abusivamente realizzato nel 1973 e per il quale il 29 marzo 1986 chiese il condono edilizio ex l. 28 febbraio 1985 n. 47.
2. – Con nota prot. n. 18592 del 14 novembre 1992, notificato il successivo giorno 13, l’Assessore alla edilizia privata del Comune di Venezia comunicò al sig. Za. che detta istanza di condono era stata «… respinta per il magazzino… a seguito del Decreto della Provincia… in data 23/09/91…», colà allegato. Quest’ultimo si espresse rendendo sul punto un parere «… negativo all’annesso agricolo in quanto, per tipologia costruttiva e uso dei materiali, è in contrasto con le caratteristiche edilizia tipiche delle zone rurali…».
Con ordinanza n. 94 del 6 dicembre 1994, notificata il giorno successivo, il Comune di Venezia intimò al sig. Za. la demolizione dell’annesso agricolo.
3. – Avverso tali atti insorse allora il sig. Za. avanti al TAR Veneto con il ricorso n. 608/95 RG, deducendo: I) – l’intervenuto silenzio-assenso ex art. 35, XII c. della l. 47/1985, a causa dell’inutile decorso del termine là previsto, tanto più che l’annesso rustico fu costruito in area priva di vincoli paesaggistici; II) – la mancata indicazione delle ragioni del diniego; III) – la soggezione dell’annesso rustico, qual pertinenza dell’abitazione principale, alla sanzione pecuniaria e non a quella demolitoria; IV) – la mancata acquisizione del parere vincolante della Commissione per la salvaguardia di Venezia; V) – le omesse ostensione e messa disposizione del verbale CEC del 1° dicembre 1994, su cui si basò l’ordinanza di demolizione; VI) – l’omesso contraddittorio su tale provvedimento; VII) – la competenza del Sindaco all’emanazione dell’ordinanza.
L’adito TAR, con sentenza n. 683 del 18 marzo 2009, dichiarò irricevibile per tardività il ricorso contro il decreto provinciale e, comunque, ne reputò infondate le doglianze.
4. – Dal che il presente appello, con cui è stata lamentata l’erroneità della sentenza per:
A) – la sussistenza dei presupposti per l’errore scusabile, in quanto né nel decreto provinciale, né nella nota comunale di trasmissione furono indicati i termini e l’Autorità cui ricorrere;
B) – l’omessa pronuncia sui vizi propri dell’ordine di demolizione;
C) – il fraintendimento delle doglianze respinte.
Nessuna delle parti intimate s’è costituita nel presente giudizio.
Alla pubblica udienza del 28 aprile 2016, su conforme richiesta del patrono degli appellanti, il ricorso in epigrafe è assunto in decisione dal Collegio.
5. – L’appello è manifestamente infondato e va rigettato, per le ragioni di cui appresso.
È corretta la statuizione del TAR che dichiarò irricevibile per tardività l’impugnazione attorea del parere provinciale, atteso il suo chiaro ed inequivocabile tenore letterale da cui emerge l’immediata lesività e, soprattutto, la preclusione al condono edilizio dell’annesso agricolo.
Ciò posto, non v’è alcuna ragione per accordare l’invocato errore scusabile e non certo a causa del fatto che gli atti gravati in primo grado non recassero i termini e l’Autorità cui ricorrere.
Soccorrono i principi da lungo tempo, e costantemente, affermati da questo Consiglio in Adunanza plenaria fin dal 2001 e, quindi, ben prima dell’emanazione della sentenza appellata e del ricorso in epigrafe. In particolare, la mancanza, nella comunicazione del provvedimento, delle indicazioni poste dall’art. 3, c. 4 della l. 7 agosto 1990 n. 241 (sul termine per l’impugnazione e l’Autorità cui ricorrere) non giustifica di per sé la concessione del beneficio della rimessione in termini per errore scusabile (così Cons. St., ad. plen., 14 febbraio 2001 n. 1; ma cfr. pure Cons. St., V, n. 5243/2009, n. 5772/2012 e n. 671/2015). Inoltre, il predetto beneficio ha carattere eccezionale, poiché si risolve in una deroga al principio fondamentale di perentorietà dei termini processuali, sicché la norma che l’ha oggidì codificato (art. 37 c.p.a.) è di stretta interpretazione (cfr. Cons. St., ad. plen., 2 dicembre 2010 n. 3). Tanto perché la gestione molto generosa di tal beneficio finirebbe per inficiare il principio, di pari dignità rispetto all’esigenza di assicurare l’effettività della tutela giurisdizionale, della parità delle parti sull’osservanza dei termini processuali perentori (cfr. Cons. St., ad. plen., 10 dicembre 2014 n. 33).
Al più si potrebbe riconoscere il beneficio dell’errore scusabile soltanto in esito ad un rigoroso accertamento dei presupposti che lo legittimano, ai sensi del citato art. 37 e, quindi, solo a fronte o di incertezze normative oggettive, oppure in presenza di gravi impedimenti di fatto non imputabili alla parte che tal errore invoca. Tali incertezze non si riscontrano nel caso in esame. Entrambi gli atti impugnati recarono una duplice statuizione sul condono edilizio, una favorevole sì ma con specifico riguardo all’abitazione principale dell’appellante e l’altra, parimenti chiara e non controvertibile, negativa sull’annesso agricolo a quest’ultima. Dal che la totale assenza d’ogni ambiguità, che avrebbe potuto giustificare la tardività dell’impugnazione a guisa d’errore scusabile.
6. – Né, trattandosi d’un parere paesaggistico promanante dall’ente (allora, la Provincia di Venezia) preposto alla tutela del relativo vincolo, avrebbe mai il Comune potuto discostarsi da tal avviso. È ben noto, infatti, che il parere negativo espresso dall’Autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico ha valore dirimente, impedendo il rilascio del provvedimento di condono dell’abuso edilizio (cfr., per tutti, Cons. St., V, 31 ottobre 2012 n. 5553; id., VI, 11 settembre 2013 n. 4992).
Ed è noto pure (cfr. Cons. St., ad. plen., 22 luglio 1999 n. 20) che l’art. 32 della l. 47/1985 n. 47, nel prevedere la necessità del parere di detta Autorità ai fini del rilascio delle concessioni in sanatoria, non reca alcuna deroga ai principi generali. Sicché esso va interpretato nel senso che l’obbligo di pronuncia di tal Autorità sussiste in relazione all’esistenza del vincolo al momento in cui dev’esser valutata la domanda di condono, a prescindere, dunque, dall’epoca in cui il predetto vincolo sia stato introdotto. La ragione è evidente: ciò che rileva è la data di valutazione della domanda di sanatoria e non quella di costruzione dell’immobile, essendo irrilevante che il vincolo paesaggistico intervenga, o no, dopo la commissione dell’abuso o dell’istanza di condono. Infatti, tal valutazione corrisponde all’esigenza di vagliare l’attuale compatibilità dei manufatti realizzati abusivamente con il vincolo de quo (cfr. Cons. St., VI, 9 ottobre 2014 n. 5025), per cui non si poté mai formare, grazie a quest’ultimo, alcun silenzio-assenso ex art. 35 della l. 47/1985 sull’istanza attorea di condono.
È appenda da soggiungere che il diniego di sanatoria di opere edili realizzate in zone vincolate è da ritenersi sufficientemente motivato con l’indicazione delle ragioni assunte a fondamento della valutazione d’incompatibilità dell’intervento con le esigenze di tutela paesistica affidate al relativo vincolo. Pertanto, anche una motivazione scarna e sintetica va considerata soddisfacente, ove riveli gli estremi logici dell’incompatibilità (arg. ex Cons. St., IV, 17 luglio 2013 n. 3878).
7. – In ordine poi all’applicazione, o meno, della sanzione pecuniaria, anziché di quella demolitoria, il TAR ha rettamente inteso il senso della doglianza, escludendo in radice la possibilità d’irrogare la sola sanzione pecuniaria. Infatti, questa al più sarebbe stata applicabile per opere edilizie soggette sì al regime autorizzativo, ma purché ricadenti su aree non soggette al vincolo, nel qual caso l’unica sanzione non sarebbe potuta esser che quella demolitoria. Tanto indipendentemente dalla tipologia di sanzioni all’uopo sancite dall’art. 94 della l. reg. Ven. 27 giugno 1985 n. 61, utilizzabile soltanto per meri abusi su opere pertinenziali non ricadenti in aree vincolate. Non è chi non veda come tal esclusione radicale esentò il Comune dal dar contezza della possibilità d’una sanzione alternativa, al più solo quest’ultima e non l’altra potendo implicare una congrua motivazione al riguardo.
Pretestuosa è la censura dell’omessa consultazione, ai sensi dell’art. 6 della l. 16 aprile 1973 n. 171, della Commissione per la salvaguardia di Venezia, giacché, trattandosi della tutela paesaggistica specifica, solo l’Autorità preposta al relativo vincolo ebbe titolo per pronunciarsi sulla compatibilità del manufatto abusivo in questione.
Non a diversa conclusione si deve pervenire con riguardo alla “violazione” del termine ex art. 91, u.c. della l.r. 61/1985, giacché l’inutile decorso di esso non determina l’estinzione della funzione sanzionatoria colà prevista, né implica adempimenti di partecipazione procedimentale ex artt. 7 e ss. della l. 241/1990, stante in generale la doverosità di tal funzione e nella specie, a causa della consolidazione del parere paesaggistico negativo, l’impossibilità d’ingenerare nel dante causa degli appellanti affidamenti incolpevoli.
Infine, non sussiste l’incompetenza del dirigente, in quanto, trattandosi dell’emanazione di un atto sanzionatorio a carattere vincolato, vige la regola della generale devoluzione delle competenze ai sensi degli artt. 4 e 51, c. 3 della l. 8 giugno 1990 n. 142 (nel testo vigente ratione temporis nel 1994).
8. – In definitiva, l’appello deve essere respinto, ma nulla si dispone sulle spese di giudizio, perché le parti intimate non si sono costituite.
La presente decisione rileva, infine, anche agli effetti di cui all’art. 2, c. 2-quinquies, lett. a) e d) della l. 24 marzo 2001 n. 89, in quanto il gravame s’appalesa manifestamente infondato (cfr. ex plurimis Cons. St., V, 30 dicembre 2015 n. 5869).
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sez. IV), definitivamente pronunciando sull’appello (ricorso n. 4090/2009 RG in epigrafe), lo respinge.
Nulla per le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 28 aprile 2016, con l’intervento dei sigg. Magistrati:
Vito Poli – Presidente
Raffaele Greco – Consigliere
Silvestro Maria Russo – Consigliere, Estensore
Oberdan Forlenza – Consigliere
Giuseppe Castiglia – Consigliere
Depositata in Segreteria il 23 maggio 2016.
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