Suprema Corte di Cassazione
sezione I
sentenza 14 aprile 2016, n. 7386
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FORTE Fabrizio – rel. Presidente
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere
Dott. FERRO Massimo – Consigliere
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 17879/2010 proposto da
(OMISSIS) S.R.L., IN LIQUIDAZIONE (C.F. (OMISSIS)), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avv. (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO DELLA (OMISSIS) S.R.L., IN LIQUIDAZIONE (C.F. (OMISSIS)), in persona del curatore pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti (OMISSIS) ed (OMISSIS), elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in (OMISSIS);
– controricorrente –
e contro
PROCURA GENERALE PRESSO LA CORTE D’APPELLO DI ANCONA, in persona del procuratore generale pro tempore;
– intimata –
avverso la sentenza n. 305/2010 della Corte d’appello di Ancona, depositata il giorno 7 maggio 2010;
Sentita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del giorno 2 marzo 2016 dal presidente relatore dott. Fabrizio Forte;
uditi l’avv. (OMISSIS) per il controricorrente;
udito il P.M. in persona del sostituto procuratore generale dott. SALVATO Luigi, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
(OMISSIS) s.r.l., in liquidazione, impugna per cassazione la sentenza della Corte d’appello di Ancona depositata il 7 maggio 2010, che nel contraddittorio con la curatela fallimentare e la locale Procura Generale, respinse l’appello avverso la sentenza di inammissibilita’ dell’opposizione al suo fallimento, dichiarato dal Tribunale di Ancona il 4 dicembre 2006, in quanto promossa dopo l’entrata in vigore della L. Fall., articolo 18, nel testo riformato dal Decreto Legislativo 9 gennaio 2006, n. 5.
Ritenne la Corte d’appello che correttamente il Tribunale avesse dichiarato inammissibile l’opposizione, in quanto secondo l’orientamento preferibile, accolto anche dal Giudice di legittimita’, per effetto della disciplina transitoria contenuta nel Decreto Legislativo n. 5 del 2006, articolo 150, avverso le sentenze di fallimento pronunciate dopo il 16 luglio 2006 non era piu’ consentita l’opposizione innanzi al medesimo tribunale, restando ammissibile solo il gravame direttamente innanzi alla corte d’appello.
Il ricorso e’ affidato a tre motivi.
Il fallimento della (OMISSIS) s.r.l., in liquidazione, resiste con controricorso.
La ricorrente e il fallimento controricorrente hanno depositato memorie ex articolo 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’articolo 99 c.p.c., atteso che l’individuazione del mezzo di impugnazione esperibile avverso un provvedimento giurisdizionale va effettuata sulla base della qualificazione operata dal giudice e, nella vicenda in esame, la sentenza dichiarativa di fallimento, in motivazione, aveva espressamente ritenuto applicabile la disciplina precedente alla riforma delle procedure concorsuali introdotta dal Decreto Legislativo 9 gennaio 2006, n. 5.
Con il secondo motivo la ricorrente assume la violazione dell’articolo 112 c.p.c., nonche’ vizio di motivazione, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per avere la corte d’appello omesso radicalmente di adottare una pronuncia sui denunciati vizi di nullita’ della sentenza dichiarativa di fallimento, fermandosi alla sola dichiarazione di inammissibilita’ dell’opposizione.
Con il terzo motivo la ricorrente censura la violazione dell’articolo 184 bis c.p.c., avendo il giudice di secondo grado ritenuto di non concedere alla societa’ appellante, l’invocata rimessione in termini per proporre appello avverso alla sentenza di fallimento, tenuto conto della scusabilita’ dell’errore in cui era incorsa.
Il primo motivo e’ infondato.
Com’e’ noto, in tema di impugnativa avverso la sentenza dichiarativa di fallimento depositata in data successiva all’entrata in vigore del d.lgs. n. 5 del 2006 (cioe’ dopo il 16 luglio 2006), ma su ricorso depositato anteriormente, trova applicazione la nuova disciplina della L. Fall., articolo 18, con conseguente necessita’ di proposizione dell’appello alla corte d’appello e non piu’ dell’opposizione allo stesso tribunale, in quanto la disposizione sulla disciplina transitoria di cui all’articolo 150, del predetto Decreto Legislativo – norma eccezionale rispetto al principio generale della irretroattivita’ della nuova disciplina ex articolo 11 preleggi, e dunque da interpretarsi restrittivamente – circoscrive la residua portata delle norme precedenti alla sola definizione dei ricorsi (anche se proposti prima del 16 luglio 2006) con cui era instaurata la fase prefallimentare; ne consegue che, aprendosi con la sentenza dichiarativa di fallimento una nuova fase del processo concorsuale, il provvedimento deve rispettare nella forma e nel contenuto il novellato disposto della L. Fall., articolo 16, e parimenti la sua impugnazione, introducendo un giudizio nuovo rispetto alla fase prefallimentare ormai definita, va proposta nella forma e secondo la disciplina riformata, costituendo la sentenza di fallimento il discrimen tra due differenti regimi normativi (Cass. 25 settembre 2014, n. 20289; Cass. 28 ottobre 2010, n. 22111; Cass. 24 settembre 2009 n. 20551; Cass. 20 marzo 2008, n. 7471).
E’ vero, peraltro, che per orientamento consolidato di questa Corte, l’impugnazione di un provvedimento giurisdizionale deve essere proposta nelle forme ed entro i termini previsti dalla legge, rispetto alla domanda cosi’ come qualificata dal giudice, anche nell’ipotesi in cui l’impugnante intenda allegare l’erroneita’ di tale qualificazione (Cass. 13 gennaio 2009, n. 475; Cass. 30 agosto 2007, n. 18313).
Tuttavia, come gia’ osservato da questa Corte in fattispecie del tutto analoga a quella odierna (Cass. 18 giugno 2015, n 12649), i principi sovraindicati non appaiono correttamente invocati, in quanto qui non si pone alcuna questione di qualificazione giuridica della controversia ovvero del provvedimento emanato dal giudice, essendo indiscusso che si trattasse di una sentenza dichiarativa di fallimento L. Fall., ex articolo 16.
In relazione ad una siffatta pronuncia, allora, il problema che si e’ posto riguardava soltanto il mezzo di impugnazione utilizzabile, tenendo conto della novella della L. Fall., articolo 18, e della relativa disciplina transitoria introdotte dal Decreto Legislativo n. 5 del 2006; dunque, la parte si e’ trovata senz’altro in condizione di scegliere, alla luce del cennato dettato normativo, se proporre avverso alla detta sentenza il nuovo appello, ovvero ricorrere ad un mezzo di gravame (l’opposizione innanzi al medesimo tribunale) previsto da una disposizione ormai abrogata.
Il secondo motivo e’ infondato.
Correttamente la corte d’appello ha ritenuto che la dichiarazione di inammissibilita’ dell’opposizione trattandosi di pronuncia in rito litis ingressus impediens, che impedisce cioe’ l’esame nel merito delle domande dell’attore -, non consentiva di vagliare i dedotti profili di nullita’ della sentenza dichiarativa di fallimento, potendosi soggiungere che nessuno dei denunciati vizi della pronuncia poteva farsi rientrare nell’ipotesi residuale dell’articolo 161 c.p.c., comma 2, l’unica che, com’e’ noto, non impone il ricorso agli ordinari mezzi di impugnazione per fare valere i casi di nullita’ delle pronunce del giudice.
Il terzo motivo e’ infondato.
La Corte d’appello ha ritenuto che l’istanza di rimessione in termini ex articolo 184 bis c.p.c., nella formulazione anteriore alla sua abrogazione disposta dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, articolo 46, operante nella specie ratione temporis, non potesse trovare esame nel giudizio, alla luce dell’orientamento – allora consolidato – che riteneva detto mezzo utilizzabile soltanto nella fase istruttoria, restando applicabile a tutte le decadenze verificatesi entro la prima udienza di trattazione e, comunque, all’interno del giudizio di primo grado, senza estendersi alla fase di proposizione delle impugnazioni(da ultimo, Cass. 7 febbraio 2008, n. 2946).
Com’e’ noto, tuttavia, secondo il piu’ recente orientamento di questa Corte, l’istituto della rimessione in termini di cui all’articolo 184 bis c.p.c. – oggi sostituito dalla regola, di contenuto piu’ generale, prevista dal novellato articolo 153 c.p.c., comma 2 -, dovendo essere letto alla luce dei principi costituzionali di effettivita’ del contraddittorio e delle garanzie difensive, trova applicazione non solo nel caso di decadenza dai poteri processuali di parte interni al giudizio di primo grado, ma anche nel caso di decadenza dall’impugnazione per incolpevole decorso del termine (Cass. 15 aprile 2014, n. 8715; Cass. 14 giugno 2012, n. 9792; Cass. 2 marzo 2012, n. 3277; Cass. 29 ottobre 2010, n. 22245; Cass. 29 luglio 2010, n. 17704; Cass. 17 giugno 2010, 14627).
La sentenza impugnata, dunque, sul punto merita certamente di essere sottoposta a revisione critica e, tuttavia, il motivo in esame va egualmente respinto, potendo la Corte, ai sensi dell’articolo 384 c.p.c., individuare comunque le corrette ragioni di rigetto dell’istanza di rimessione in termini.
Invero, l’orientamento granitico di questa Corte, reputa l’errore di diritto sulle norme processuali inescusabile, in quanto non integrante un fatto impeditivo della tempestiva proposizione della impugnazione, estraneo alla volonta’ della parte (da ultimo, Cass. 22 aprile 2015, n. 8151).
Neppure e’ consentito invocare il principio secondo cui, alla luce della norma costituzionale del giusto processo, la parte che abbia proposto ricorso facendo affidamento su una consolidata giurisprudenza di legittimita’, successivamente travolta da un mutamento di orientamento interpretativo, incorre in un errore scusabile ed ha diritto ad essere rimessa in termini ex articolo 184 bis c.p.c., poiche’ siffatto insegnamento non si applica nel caso in cui la giurisprudenza abbia fornito l’interpretazione di una nuova norma entrata in vigore anteriormente al deposito del ricorso, senza in alcun modo innovare una sua posizione pregressa (cfr. Cass. 5 febbraio 2011, n. 2799).
E nella vicenda all’esame del Collegio e’ incontroverso che il Decreto Legislativo n. 5 del 2006, articolo 150, come visto supra, e’ stato costantemente interpretato dalla giurisprudenza della S.C. nel senso di ritenere che tutte le sentenze di fallimento pronunciate dopo il 16 luglio 2006 fossero soggette all’appello innanzi alla corte e non alla vecchia opposizione innanzi al medesimo tribunale che aveva pronunciato la sentenza.
In conclusione, stante la non scusabilita’ dell’errore di diritto in cui e’ incorsa la fallita e in difetto di un cd. overruling sulla cennata disciplina processuale transitoria, va escluso il diritto della fallita ad essere rimessa in termini, ex articolo 184 bis c.p.c., per impugnare la sentenza di fallimento innanzi alla corte d’appello.
Le spese seguono la soccombenza, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore del controricorrente, liquidate in Euro 7.200,00, in essi compresi Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.
Leave a Reply