Suprema Corte di Cassazione
sezione tributaria
sentenza 24 marzo 2016, n. 5840
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BIELLI Stefano – Presidente
Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere
Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere
Dott. PERRINO Angelina Maria – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sui ricorsi riuniti iscritti ai numeri 9595 e 10937 del ruolo generale dell’anno 2010, rispettivamente proposti da:
s.p.a. Ing. (OMISSIS) & C. in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso, giusta procura speciale a margine del ricorso, dagli avvocati Uckmar Victor e d’Ayala Valva Francesco, elettivamente domiciliatosi presso lo studio del secondo, in Roma, alla via dei Parioli, n. 43
– ricorrente –
contro
Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore;
– intimata –
e da:
Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso gli uffici della quale in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, domicilia;
– ricorrente incidentale –
contro
s.p.a. Ing. (OMISSIS) & C. in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso, giusta procura speciale a margine del controricorso, dagli avvocati Victor Uckmar e Francesco d’Ayala Valva, elettivamente domiciliatosi presso lo studio del secondo, in Roma, alla via dei Parioli, n. 43;
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, sezione 29, depositata in data 25 febbraio 2009, n. 29;
udita la relazione sulla causa svolta alla pubblica udienza in data 21 dicembre 2015 dal consigliere Angelina-Maria Perrino;
udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale Dott. SORRENTINO Federico, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e l’accoglimento di quello incidentale.
FATTO
In esito a processo verbale di constatazione consegnato al liquidatore della societa’, l’Agenzia delle entrate ha notificato alla contribuente due avvisi di accertamento, di cui conserva interesse il secondo, quello concernente l’anno d’imposta 1998, col quale l’ufficio ha attratto a tassazione, sub specie di sopravvenienza attiva ai fini irpeg ed irap, l’importo conseguito dalla contribuente, qualificato nella sentenza impugnata di risarcimento danni, riconosciuto dal Ministero dei lavori pubblici con Decreto Ministeriale 27 febbraio 1998, n. 375 ed oggetto dell’ordinanza del 12 novembre 1998 del Tribunale di Roma.
Secondo l’Agenzia, la somma va tassata nel 1998 perche’ soltanto allora se n’e’ acquisita la certezza e la determinazione; scorretta ne e’ stata l’appostazione tra le rimanenze d’esercizio, la configurabilita’ delle quali postula l’esistenza di un’opera ultrannuale, in corso di esecuzione alla chiusura dell’esercizio; la’ dove nel 1998 e’ stato quantificato l’importo dovuto alla societa’ in relazione all’attivita’ svolta fino al 30 giugno 1990 in relazione all’appalto commesso dalla CASMEZ al Consorzio Lavori Pubblici, di cui la contribuente e’ consociata.
La societa’ ha impugnato l’avviso, ottenendone l’annullamento dalla Commissione tributaria provinciale, mentre quella regionale ha accolto sia l’appello principale dell’Agenzia, sia quello incidentale della contribuente, concernente le questioni, non delibate in primo grado, relative al recupero di interessi attivi non contabilizzati scaturenti da un rapporto intercorso con la Marino Lavori s.r.l. e l’indetraibilita’ dell’iva riguardante alcune fatture.
In particolare, il giudice d’appello ha reputato adeguatamente motivato l’avviso di accertamento, che richiama il processo verbale di constatazione consegnato al liquidatore, ha fatto leva, quanto alla sottoscrizione dell’avviso ad opera del capo area controllo, sulla delega a questo rilasciata dal dirigente dell’ufficio ed ha escluso che la somma in questione possa essere qualificata come rimanenza, in quanto nel 1998 con l’ordinanza del Tribunale di Roma ne e’ stato determinato l’importo. Ha, peraltro, considerato, quanto all’irap, che il risarcimento cosi’ ottenuto non rientra nel valore della produzione.
Avverso questa sentenza propongono distinti ricorsi per ottenerne la cassazione dapprima la societa’, che affida il proprio a nove motivi, e poi l’Agenzia, che articola il suo in due motivi, al quale la contribuente replica con controricorso, la’ dove l’ufficio non spiega difese a fronte del ricorso principale.
DIRITTO
1.- I due ricorsi vanno preliminarmente riuniti, a norma dell’articolo 335 c.p.c., in quanto hanno ad oggetto la medesima sentenza.
2.- Infondato e’ il primo motivo del ricorso principale, proposto ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, col quale la societa’ si duole della violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, articolo 7 e del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 42, la’ dove la Commissione tributaria regionale ha reputato adeguatamente motivato l’avviso di accertamento, benche’ esso allegasse soltanto uno stralcio del processo verbale di constatazione richiamato, il quale, peraltro, conduceva a soluzioni opposte rispetto a quelle dell’atto impositivo.
Dispone il Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 42, intitolato all’avviso di accertamento, che “se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto ne’ ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama, salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale”. Dunque, il ricevimento dell’atto richiamato da parte del contribuente fissa una presunzione legale assoluta di conoscenza di esso, che esclude l’obbligo di allegazione.
2.1.- La regola non e’ incrinata dalla L. n. 212 del 2000, articolo 7, il quale, nel prevedere che debba essere allegato all’atto dell’amministrazione finanziaria ogni documento richiamato nella motivazione di esso, non intende certo riferirsi ad atti di cui il contribuente abbia gia’ integrale e legale conoscenza per effetto di precedente notificazione; un’interpretazione puramente formalistica si porrebbe in contrasto con il criterio ermeneutico che impone di dare alle norme procedurali una lettura che, nell’interesse generale, faccia bensi’ salva la funzione di garanzia loro propria, limitando al massimo le cause d’invalidita’ o d’inammissibilita’ chiaramente irragionevoli (in termini, fra varie, Cass. 14 gennaio 2015, n. 407).
Di qui l’infondatezza del motivo, poiche’ e’ accertato in fatto e non revocato in dubbio col ricorso, che il processo verbale di constatazione richiamato per relationem dall’avviso fosse stato consegnato al liquidatore della societa’; la’ dove l’affermata distonia dell’avviso rispetto al contenuto del verbale si pone sul piano, logicamente e cronologicamente successivo, quindi estraneo al perimetro del motivo, della fondatezza dell’atto impositivo.
3.- Inammissibile e’ la censura frammentata nel secondo e nel terzo motivo del ricorso principale, con i quali, rispettivamente, la societa’ lamenta:
– ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165, articolo 17, comma 1-bis, la’ dove la Commissione tributaria regionale ha affermato la validita’ della delega rilasciata ad un capo area per tutti gli accertamenti superiori ad un certo importo e non contenente, in modo scritto e motivato, le specifiche e comprovate ragioni di servizio che abbiano reso necessaria la delega, nonche’ l’indicazione di un periodo di tempo determinato di essa (secondo motivo);
– ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa motivazione in ordine al fatto controverso della sussistenza delle conclamate esigenze funzionali del servizio che hanno determinato il rilascio della delega (terzo motivo).
Nel ricorso, difatti, neanche nella parte narrativa, e’ trascritto il contenuto della delega, di guisa che la censura pecca di carenza di autosufficienza.
4.- Infondata e’ la censura spezzata nel quarto, nel quinto e nel settimo motivo del ricorso principale, con i quali, rispettivamente, la societa’ lamenta:
– ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2041 c.c. e del Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, articolo 55, comma 3, lettera b), secondo la numerazione antecedente al Decreto Legislativo n. 244 del 2003, la’ dove il giudice d’appello ha ricompreso tra gli indennizzi a titolo di risarcimento anche i compensi liquidati da un Tribunale ad una societa’ nella forma di compensi per l’esercizio di una normale attivita’ d’impresa, seppur svolta oltre i limiti temporali fissati da un contratto d’appalto, sul presupposto e nei limiti dell’arricchimento senza causa della controparte (quarto motivo);
– ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione dell’articolo 55, comma 3, lettera a), nonche’ della combinazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, articolo 59 e articolo 53, lettera e) ed f), nel testo antecedente alla rinumerazione del 2003, la’ dove la Commissione tributaria regionale ha annoverato tra le sopravvenienze attive, anziche’ fra le rimanenze, l’indennizzo riconosciuto a titolo di arricchimento senza causa in relazione alla prosecuzione nella prestazione di servizi oggetto dell’attivita’ d’impresa anche oltre la scadenza contrattuale (quinto motivo);
– ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa motivazione in ordine agli elementi di obiettiva determinabilita’ delle poste contabili iscritte negli anni antecedenti al 1998, segnatamente alle liquidazioni operate dal Tribunale di S.Maria Capua Vetere nonche’ la determinazione della Commissione Failla, nominata dal Ministero dei Lavori pubblici, in base al Decreto Legge n. 491 del 1996, con il compito di accertare l’esatto ammontare delle somme spettanti alla Marino s.p.a. per la gestione extracontrattuale dell’impianto (settimo motivo).
Emerge dalla sentenza impugnata che la somma della quale si discute corrisponde ad un indennizzo riconosciuto “entro il limite dell’arricchimento derivato alla P.A.” dal Tribunale di Roma, in relazione all’attivita’ svolta dalla societa’ a partire dalla scadenza di un contratto di appalto stipulato dal consorzio al quale essa faceva capo, oltre agli interessi compensativi ed alla rivalutazione monetaria, da cui e’ stato detratto, a titolo di acconto, un importo riconosciuto con Decreto Ministeriale Lavori Pubblici 27 febbraio 1998, n. 375, in seno ad una trattativa volta a raggiungere una transazione, poi fallita, del giudizio intrapreso dal consorzio e dalla consociata contribuente nei confronti del Ministero per ottenere le somme spettanti in relazione al periodo dal 21 aprile 1988 al 30 giugno 1990.
Il titolo della somma e’, allora, univocamente l’ordinanza del Tribunale di Roma, che, anche per espresso riconoscimento della stessa societa’, copre giustappunto questo periodo.
Diversa conformazione giuridica ha rivestito l’attivita’ svolta dalla societa’ successivamente, in quanto scaturente dalla nomina giudiziale di sequestrataria e custode delle opere e diverso e disomogeneo, conseguentemente, e’ il titolo dei relativi compensi.
Di qui l’irrilevanza dei fatti dei quali la contribuente lamenta l’obliterazione col motivo che fa leva sul vizio di motivazione, relativi a tale diverso segmento di attivita’.
4.1.- Cosi’ ricostruiti i fatti rilevanti, e’ senz’altro errata la qualificazione della somma come risarcimento operata dalla Commissione tributaria regionale.
Cio’ in quanto la domanda di indennizzo per arricchimento senza causa e quella di risarcimento danni da responsabilita’ civile sono diverse per causa petendi e petitum: si consideri, quanto alla prima, che la causa dello spostamento patrimoniale non e’ antigiuridica, sibbene lecita e che l’indennizzo va calcolato fissando i valori, con riferimento al mercato, da un lato dell’arricchimento, che puo’ consistere anche in un risparmio di spesa, e dall’altro del depauperamento patrimoniale, che non dovra’ ricomprendere anche il mancato guadagno o lucro cessante (Cass., sez. un., 10 settembre 2009, n. 19448).
Indubitabilmente, dunque, la somma riconosciuta entro il limite dell’arricchimento non ha natura risarcitoria.
Ma tanto non conduce alla correttezza della sua appostazione tra le rimanenze.
4.2.- La rimanenza postula difatti che i relativi lavori non siano ultimati e che i corrispettivi residui e, comunque, definitivi, non si possano intendere giuridicamente conseguiti (Cass. 1 giugno 2007, n. 12885). Quel che rileva a formare il reddito di esercizio, nel caso di “opere, forniture e servizi di durata ultrannuale”, e’ la variazione delle “rimanenze finali delle opere, forniture e servizi pattuiti come oggetto unitario e con tempo di esecuzione ultrannuale, rispetto alle esistenze iniziali…”, “…sulla base dei corrispettivi pattuiti” (Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, articolo 60, comma 1 e comma 2, primo alinea, nel testo vigente all’epoca dei fatti), con la progressiva riduzione delle rimanenze all’aumentare dei corrispettivi, fino all’annullamento totale.
Il che postula l’esistenza di un contratto e la progressiva esecuzione di esso (Cass. 12 maggio 2008, n. 11748).
Il riconoscimento della somma, per conseguenza, riferendosi all’arricchimento – ed al depauperamento- scaturenti da un’attivita’ di per se’ ormai conclusa da anni, e comunque successiva alla scadenza contrattuale, non riesce a rispondere alla fisionomia di rimanenza, non potendosi ipotizzare neanche un’esistenza iniziale rispetto al segmento di attivita’ in questione, svolto senza copertura contrattuale, con riferimento all’attivita’ precedente, scaturente da contratto. Si consideri, anzi, che, secondo la prospettazione di parte, l’esistenza iniziale sarebbe data dai servizi di custodia, i quali, sul piano cronologico, si collocano in una fase successiva al segmento di attivita’ del quale si discute.
Ne’ si puo’ inquadrare l’indennizzo come maggiorazione di prezzo, rilevante a norma del comma 2 dell’articolo 60: il legislatore, al riguardo, conferisce rilevanza, ai fini del riconoscimento della attendibilita’ dei requisiti di certezza e determinabilita’ della variazione oggetto della pretesa, pur sempre al vincolo giuridico sinallagmatico precostituito dal contratto, che giustifica un’aspettativa giuridica qualificata al pagamento dei compensi pattuiti in dipendenza della maggiore attivita’ svolta. Diverso e’ il caso da quello, che ricorre invece nella fattispecie, dell’assenza del vincolo obbligatorio, in cui e’ ravvisabile, al momento dell’esecuzione delle opere o dei servizi, soltanto una mera speranza di reddito (in termini, Cass. 30 novembre 2011, n. 25499).
Il riconoscimento giudiziale della somma a titolo d’indennizzo risponde quindi alla fisionomia di sopravvenienza attiva, a norma del Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, articolo 55, comma 1, nel testo vigente all’epoca dei fatti, la quale e’ rappresentata dalla nuova ricchezza che si manifesta in favore del patrimonio dell’impresa in relazione al venir meno di qualsiasi passivita’: e si legge in sentenza, al riguardo, che gli importi in questione sono “…conseguiti a fronte di spese, perdite o oneri detratti o di passivita’ iscritte in bilancio in precedenti esercizi”.
5.- Col sesto motivo di ricorso, proposto ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la societa’ si duole della violazione e falsa applicazione dell’articolo 75 del t.u.i.r., nel testo applicabile all’epoca dei fatti, la’ dove il giudice d’appello ha escluso la sussistenza dei requisiti di certezza o, almeno, di obiettiva determinabilita’ di una posta attiva, ai fini della sua imputazione per competenza ai corrispondenti periodi d’imposta. Al riguardo, la contribuente fa leva sul fatto che la somma per una prima parte e’ stata individuata, sotto forma di determinazione del compenso del custode sequestratario, dal Tribunale di S.Maria Capua Vetere e, per una seconda parte, e’ stata fissata da una Commissione tecnica di nomina ministeriale: contesta quindi che l’intera posta si debba imputare nel successivo esercizio, nel corso del quale l’ordinanza del Tribunale di Roma l’ha determinata nella sua globalita’.
La censura non risponde pienamente ai fatti di causa, in quanto, come si e’ visto, l’ordinanza del Tribunale di Roma non e’ andata a determinare nella sua globalita’ tutto il dovuto, ma ha provveduto solo ed esclusivamente a prevedere la misura dell’indennizzo del segmento di attivita’ svolta dopo la scadenza del contratto e prima della nomina della societa’ come sequestrataria e custode; nomina, dalla quale e’ successivamente scaturita l’autonoma e distinta liquidazione del Tribunale di S.Maria Capua Vetere, che la stessa societa’ qualifica come “compensi di custodia”.
5.1.- Anche in questi limiti di fatto, ossia avendo riguardo alla sola somma liquidata dal Tribunale di Roma per il periodo antecedente alla nomina della contribuente come custode, la censura e’ infondata.
Dispone il secondo nucleo normativo del Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, articolo 75, comma 1, nel testo vigente all’epoca dei fatti, che “…i ricavi, le spese e gli altri componenti di cui nell’esercizio di competenza non sia ancora certa l’esistenza o determinabile in modo obiettivo l’ammontare concorrono a formarlo -il reddito- nell’esercizio in cui si verificano tali condizioni”.
In relazione al segmento di attivita’ considerato, la certezza e la determinabilita’ dell’indennizzo risalgono all’ordinanza del Tribunale di Roma, che ha assorbito la determinazione della Commissione dinanzi richiamata. Cio’ in quanto il baricentro dell’azione ex articolo 2041 c.c. sta nella valutazione in fatto dell’arricchimento e quindi, in definitiva, nell’apprezzamento del giudice: poiche’ il riconoscimento dell’utilita’ da parte della pubblica amministrazione non e’ requisito dell’azione d’indebito arricchimento, l’attore deve provare -e il giudice accertare- il fatto oggettivo dell’arricchimento, la’ dove l’amministrazione puo’ eccepire e dimostrare che l’arricchimento non fu voluto o non fu consapevole (Cass., sez.un., 26 maggio 2015, n. 10798).
Il che evidenzia l’ineludibilita’ della pronuncia giudiziale, per poter reputare certo ed obiettivamente determinato l’indennizzo.
Va quindi affermato il seguente principio di diritto:
“Posto che la certezza e la determinabilita’ dell’indennizzo per ingiustificato arricchimento scaturiscono dall’accertamento giudiziale dell’arricchimento, la somma riconosciuta a tale titolo, qualificabile come sopravvenienza attiva qualora determini il venir meno di qualsivoglia passivita’, va imputata per competenza, ai fini dell’irpeg, all’esercizio nel corso del quale e’ stato emesso il provvedimento giudiziale”.
6.- Fondato e’, invece, l’ottavo motivo del ricorso principale, che spiega efficacia assorbente del nono, col quale, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la societa’ si duole della contraddittorieta’ della motivazione della sentenza impugnata in ordine alla sussistenza di una doppia imposizione consistente nell’avere gia’ in gran parte imputato e tassato, nei periodi di imposta pregressi, gli stessi proventi che l’ufficio ha recuperato integralmente a tassazione nel periodo d’imposta 1998.
Il giudice d’appello riconosce difatti che “la ditta contribuente ha invece provveduto negli esercizi pregressi a stimare i futuri possibili risarcimenti, includendoli contabilmente tra le rimanenze dei detti esercizi alla stregua di ricavi determinati in base a contratti gia’ stipulati con i committenti”.
Statuizione, questa, che inevitabilmente stride con la successiva affermazione che fa leva sull’asserita mancanza di prova della doppia imposizione della sopravvenienza registrata nel 1998, perche’ “non prevedibile nell’an e nel quantum negli esercizi pregressi”.
La sentenza va in conseguenza cassata per quest’aspetto, con rinvio ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Campania per la verifica della sussistenza di una doppia imposizione relativamente alla somma in questione.
7.- Fondato e’ poi il primo motivo del ricorso incidentale, col quale l’Agenzia delle entrate lamenta, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione della L. n. 446 del 1997, articoli 5 e 11, nonche’ dell’articolo 2425 c.c., comma 1, lettera A, e falsa applicazione della lettera E del medesimo articolo nonche’ l’omessa motivazione sulla questione, deducendo che malamente il giudice d’appello ha ritenuto estranee all’imponibile irap le somme riconosciute dall’ordinanza del Tribunale di Roma.
La base imponibile dell’irap, ai sensi del Decreto Legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, articoli 4 e 5, e’ costituita dal valore della produzione netta, determinata con riguardo alla somma delle voci in essa classificabili in base all’articolo 2425 c.c., comma 1, lettera a), che al n. 5) annovera “altri ricavi e proventi”; e tra gli “altri ricavi e proventi” segnatamente tra i proventi, va incluso anche l’indennizzo del quale si discute.
8.- Fondato e’ altresi’ il secondo motivo del ricorso incidentale, col quale l’Agenzia si duole, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, della violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 8-bis, comma 1, lettera a) e articolo 19, la’ dove il giudice d’appello ha riconosciuto la detrazione dell’iva versata indebitamente dal cessionario, in relazione ad operazione sottratta all’applicazione dell’imposta quale cessione all’esportazione, non avendo alcun rilievo a tal fine che il cedente l’avesse prudenzialmente versata benche’ senza titolo, non sorgendo, in tal caso, obbligo alcuno del cessionario verso il cedente, ne’ del fisco verso il cessionario.
Si legge nella narrativa della sentenza che il diritto di detrazione e’ stato esercitato in relazione ad otto fatture per prestazioni escluse dall’imposta.
Va dunque applicato il principio in base al quale un soggetto passivo non puo’ far valere, a norma dell’articolo 168 della direttiva 2006/112 (nonche’ della norma equivalente prevista dalla sesta direttiva) o della disposizione nazionale che corrisponde a quest’ultimo, il diritto di detrazione dell’imposta sul valore aggiunto assolta a monte se, in ragione di un’esenzione prevista dal diritto nazionale, le prestazioni di servizi o le cessioni dei beni in considerazione non sono assoggettati all’imposta sul valore aggiunto (Corte giust. 28 novembre 2013, causa C-319/12, Minister Finansow c. MDDP sp. z o.o. Akademia Biznesu, sp. komandytowa; risponde ad analogo principio, con riguardo ad un’ipotesi di erroneo addebito dell’iva, Cass. 5 settembre 2014, n. 18764).
9.- In definitiva, vanno accolti l’ottavo motivo del ricorso principale, in esso assorbito il nono, nonche’ i due motivi del ricorso incidentale, e va cassata la sentenza impugnata, con rinvio, anche per la regolazione delle spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Campania.
P.Q.M.
La Corte:
dispone la riunione dei ricorsi; dichiara inammissibili il secondo ed il terzo motivo del ricorso principale, ne rigetta il primo, il quarto, il quinto, il sesto ed il settimo motivo, ne accoglie l’ottavo motivo, assorbito il nono; accoglie il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Campania.
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