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Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza 21 marzo 2016, n. 5551

Svolgimento del processo

Con atto di citazione del 23-10-1991 P.A. e P.P. convenivano dinanzi al Tribunale di Bologna M.I.M. , per sentirla condannare alla demolizione di un corpo di fabbrica edificato dal padre della convenuta negli anni 1972-1973 in aderenza al fabbricato condominiale sito in frazione (OMISSIS) , in violazione degli artt. 1120 e 1102 c.c..
Nel costituirsi, la convenuta contestava la fondatezza della domanda e chiedeva in via riconvenzionale la condanna degli attori alla rimozione delle canne fumarie, nonché la divisione del giardino comune, chiedendo che questo rimanesse in comune con gli altri comproprietari Mo.Fe. e Ca. .
Interveniva Mo.Fe. , aderendo alla domanda di divisione del giardino, mentre rimaneva contumace Mo.Ca. , la cui quota in corso di causa veniva acquistata dal fratello Fe. .
La causa, interrotta a seguito della morte di Mo.Fe. , veniva riassunta nei confronti degli eredi, che non si costituivano.
Con sentenza in data 25-9-2003 il Tribunale adito, nel rilevare che l’opera posta in essere dal padre della convenuta, anche se illegittima, era stata tollerata per oltre 19 anni, rigettava la domanda attrice di rimessione in pristino; accoglieva, invece, la domanda di risarcimento danni, da liquidare in separata sede; rigettava la domanda riconvenzionale di divisione del giardino, perché non divisibile, mentre accoglieva quella relativa alle canne fumarie.
Avverso la predetta decisione proponevano appello principale gli attori e appello incidentale M.C. , coerede di Mo.Fe. , e M.I.M. .
M.F. e M.R. , altri eredi di .Mo.Fe. , rimanevano contumaci.
Con sentenza in data 18-6-2009 la Corte di Appello di Bologna rigettava il gravame principale; in parziale accoglimento dell’appello incidentale, rigettava la domanda attrice e condannava P.A. e P.P. alla rimozione delle canne fumarie che si inserivano nelle canne fumarie di M.I.M. ; compensava interamente tra le parti le spese di doppio grado.
Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso P.A. e P.P. , sulla base di undici motivi.
M.I.M. ha resistito con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale, affidato a due motivi.
I ricorrenti principali hanno resistito al ricorso incidentale con controricorso.
Gli altri intimati M.F. , R. e C. non hanno svolto attività difensive.
In prossimità dell’udienza del 13-5-2015 i ricorrenti principali hanno depositato una memoria ex art. 378 c.p.c..
Con ordinanza in data 30-5-2015 il Collegio ha assegnato ai ricorrenti principali termine per la rinotifica del ricorso a M.C. .
I ricorrenti hanno provveduto nei termini a tale rinotifica e, in prossimità della nuova udienza, hanno depositato altra memoria, con costituzione di nuovo difensore.

Motivi della decisione

1) Con il primo motivo i ricorrenti principali deducono, ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza impugnata per omessa pronuncia su uno specifico motivo di appello, avente ad oggetto la mancanza di consenso scritto da parte della dante causa e degli attuali ricorrenti, nonché degli altri comunisti, per la costruzione del manufatto realizzato da M.I.M. o dal suo dante causa, in appoggio al muro perimetrale della costruzione condominiale e con colonne sulla corte comune, in violazione degli artt. 1102 e 1120 c.c., nonché della normativa sulle distanze.
Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano, in via subordinata, l’omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo, per avere la Corte di Appello omesso la valutazione dello specifico motivo di appello avente ad oggetto l’assenza di prova scritta del consenso da parte della dante causa e degli attuali ricorrenti alla costruzione del manufatto realizzato da M.I.M. o dal suo dante causa, in appoggio al muro perimetrale della costruzione condominiale e con colonne sulla corte comune, in violazione degli artt. 1102 e 1120 c.c., nonché della normativa sulle distanze.
Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione degli artt. 1102 e 1122 c.c., per avere la Corte di Appello ritenuto che un nuovo corpo di fabbrica, in appoggio al muro perimetrale dell’edificio condominiale e con pilastri che occupano la corte comune e la corrispondente colonna d’aria, non integri un’opera vietata ai sensi delle citate norme codicistiche.
Con il quarto motivo i ricorrenti si dolgono dell’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto controverso e decisivo, rappresentato dalla portata invasiva del manufatto di cui si discute, con riguardo: a) all’alterazione della destinazione materiale e funzionale della porzione di muro condominiale su cui la contestata appendice è in appoggio e alla trasformazione delle finestre in porte d’accesso al nuovo manufatto; b) ai problemi che il peso di detto manufatto produce sulla staticità del fabbricato; c) all’occupazione, da parte del suddetto manufatto, della corrispondente porzione della corte comune e della sovrastante colonna d’aria, con conseguente sottrazione e compromissione del pari diritto d’uso da parte degli altri comproprietari.
Con il quinto motivo viene denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 1120 c.c., in relazione all’affermazione secondo cui l’appendice per cui è causa, pur avendo determinato un “turbamento dell’euritmia del fabbricato, non comporta una rilevante alterazione del decoro architettonico dello stesso, compromesso già da altri interventi”.
Il sesto motivo deduce l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, in ordine all’affermazione secondo cui l’opera non altera “il decoro architettonico del fabbricato, in considerazione delle condizioni in cui lo stesso si trovava e delle modifiche che erano già state apportate”.
Con il settimo motivo i ricorrenti lamentano l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. Sostengono che, contrariamente a quanto affermato dal giudice del gravame, gli attori sin dall’atto di citazione avevano lamentato la violazione delle distanze del contestato manufatto rispetto al fabbricato condominiale, e che anche in sede di conclusioni finali (rese all’udienza del 26-5-2005) la difesa di parte attrice ha insistito sulla domanda relativa alla violazione delle distanze.
Con l’ottavo motivo i ricorrenti si dolgono dell’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine all’accoglimento della domanda riconvenzionale di rimozione delle canne fumarie, avendo la Corte di Appello acriticamente aderito alle argomentazioni svolte dalla controparte, in assenza di riscontri probatori. Deducono che M.I.M. non ha dimostrato di essere proprietaria esclusiva del condotto fumario di cui si discute in base ad un titolo idoneo a superare la presunzione di comunione di cui all’art. 1117 c.c., ovvero di essere titolare esclusiva del diritto di servitù del medesimo condotto fumario per destinazione di padre di famiglia ai sensi dell’art. 1062 c.c. Sostengono che, al contrario, dalle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio e dalle deposizioni dei testi Pu.Pa. e Mu.Ro. emerge, conformemente a quanto sostenuto dalla difesa dei P. , l’esistenza dei condotti fumari sin dal momento della costruzione del fabbricato, a servizio dell’intero corpo di fabbrica.
Con il nono motivo viene dedotta la violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la Corte di Appello accolto il motivo di gravame di controparte relativo alla condanna generica al risarcimento dei danni pronunciata in primo grado a carico della convenuta in base ad un petitum e ad una causa petendi diversi rispetto a quelli posti a fondamento della censure. Il giudice del gravame, infatti, ha affermato che “alcuna domanda di condanna generica era stata avanzata dagli allora appellanti, sì che la decisione in questione appariva ultra penta”; laddove la difesa della M. , pur riconoscendo che “nelle conclusioni dell’atto di citazione è contenuta la domanda di risarcimento del danno da liquidarsi in separato giudizio”, aveva affermato che “la domanda di condanna generica non può essere limitata all’an senza il consenso del convenuto che si è opposto”.
Con il decimo motivo, proposto in via subordinata rispetto al nono, i ricorrenti denunciano l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, per avere la Corte di Appello ritenuto che non fosse stata avanzata domanda di condanna generica, mentre tale domanda era stata formulata dagli attori nell’atto di citazione (“condannare parte convenuta al risarcimento dei danni, anche ex art. 1122 c.c., da liquidarsi in separato giudizio”). Fanno presente che, nel caso in cui la domanda di condanna generica al risarcimento sia stata, sin dall’origine, limitata all’an, il mancato consenso di controparte non è sufficiente a interdire al giudice di pronunciarsi entro tale limite.
Con l’undicesimo e ultimo motivo i ricorrenti principali denunciano l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, in relazione al rigetto della domanda, proposta in via subordinata dagli attori, volta alla declaratoria dell’acquisizione per accessione della proprietà pro-quota e pro-indiviso anche da parte degli appellanti, ai sensi dell’art. 936 c.p.c., della costruzione eseguita da M.I. . Deducono che il giudice del gravame, nel motivare il rigetto di tale domanda sul rilievo che l’art. 936 c.p.c. vale nei confronti dei terzi, e non dei comproprietari, qual era M. Vito al momento della costruzione, ha omesso di valutare l’atto di sanatoria presentato da M.I.M. (v. doc. n. 2, 3, 4), in cui quest’ultima dichiarava di aver eseguito lei stessa la costruzione per cui è causa. E, poiché al tempo della costruzione del contestato manufatto (anni 1972-1973) la convenuta non era ancora comproprietaria de fabbricato di cui si discute, nella specie risulta applicabile il disposto dell’art. 936 c.p.c..
2) Con il primo motivo i ricorrenti incidentali lamentano l’omessa o insufficiente motivazione in ordine alla ritenuta non divisibilità dell’area di terreno comune.
Con il secondo motivo, condizionato all’accoglimento dei motivi di ricorso principale concernenti la statuizione di inammissibilità della domanda di condanna generica, i ricorrenti incidentali denunciano l’omessa o insufficiente motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui ha riformato la sentenza di primo grado dichiarando l’inammissibilità della domanda di condanna generica, senza rilevare anche l’infondatezza nel merito di tale domanda per difetto di prova.
3) Il primo motivo di ricorso principale è inammissibile, concludendosi con la formulazione di tre quesiti di diritto non rispondenti ai requisiti richiesti dall’art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis al ricorso in esame.
Si osserva, al riguardo, che il motivo di ricorso per cassazione, soggetto al d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, deve in ogni caso concludersi con la formulazione di un quesito di diritto idoneo, cioè
tale da integrare il punto di congiunzione tra l’enunciazione del principio giuridico generale richiamato e la soluzione del caso specifico, anche quando un “error in procedendo” sia dedotto in rapporto alla affermata violazione dell’art. 112 c.p.c., non essendovi spazio, in base al testo dell’art. 366-bis c.p.c., per ipotizzare una distinzione tra i motivi d’impugnazione associati a vizi di attività a seconda che comportino, o no, la soluzione di questioni interpretative di norme processuali (Cass. 8-5-2013 n. 10758; Cass. 21-2-2011 n. 4146).
Nella specie, i quesiti posti (con i primi due si chiede se sia necessario il consenso scritto rispettivamente dei condomini e dei comunisti per le innovazioni ex art. 1120 c.c. “che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino” e per le modifiche apportate ex art. 1102 c.c. alla cosa comune da parte del partecipante alla comunione, “che ne alterino la destinazione o impediscano agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto”; con il terzo si domanda se gli atti compiuti con l’altrui tolleranza possano servire di fondamento alla legittimazione dell’opera costruita da un condomino su porzioni comuni del fabbricato e su corte comune in violazione degli artt. 1102 e 1120 c.c.), involgono questioni di diritto sostanziale e non appaiono, pertanto, pertinenti rispetto al vizio processuale di omessa pronuncia denunciato con il motivo in esame.
4) Anche il secondo motivo è inammissibile.
E invero, premesso che la sentenza impugnata non contiene alcuna statuizione in ordine al motivo di appello con cui si deduceva l’assenza di consenso scritto da parte della dante causa degli appellanti per la costruzione del manufatto realizzato in appoggio al muro perimetrale della costruzione condominiale, si osserva che l’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello integra un difetto di attività del giudice di secondo grado, che deve essere fatto valere dal ricorrente non con la denuncia della violazione di una norma di diritto sostanziale ex art. 360 n. 3 c.p.c. o del vizio di motivazione ex art. 360 n. 5 c.p.c. – giacché siffatte censure presuppongono che il giudice del merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta in modo giuridicamente non corretto ovvero senza giustificare (o non giustificando adeguatamente) la decisione al riguardo resa-, bensì attraverso la specifica deduzione del relativo “error in procedendo” e della violazione dell’art. 112 c.p.c. (Cass. 27-10-2014 n. 22759; Cass. 15-5-2013 n. 11801; Cass. 27-1-2006 n. 1755).
È vero che le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. Sez. Un. 24-7-2013 n. 17931) hanno affermato che nel giudizio per cassazione – che ha ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 comma 1 c.p.c. – il ricorso deve essere articolato in specifici motivi immediatamente ed inequivocabilmente riconducibili ad una delle cinque ragioni di impugnazione previste dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Nondimeno, nella menzionata sentenza è stato precisato che, nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia da parte della impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni formulate, non è necessario che faccia espressa menzione della ricorrenza dell’ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (con riferimento all’art. 112 c.p.c.), purché nel motivo si faccia inequivocabilmente riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione; e che, invece, il motivo va dichiarato inammissibile allorquando, in ordine alla suddetta doglianza, il ricorrente sostenga che la motivazione sia stata omessa o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge.
Nella specie, i ricorrenti si sono limitati a lamentare la carenza di motivazione sul motivo di gravame da essi proposto; tant’è che l’illustrazione del motivo si conclude non già con la formulazione di un quesito di diritto (necessario in caso di denuncia di un vizio in procedendo ex art. 360 n. 4 c.p.c.), bensì con l’affermazione riassuntiva (corrispondente al “momento di sintesi” richiesto dal citato art. 366 bis c.p.c. in caso di denuncia di vizi ex art. 360 n. 5 c.p.c.) secondo cui “l’eccepito vizio di omessa motivazione non consente di individuare le ragioni per le quali il giudice di merito ritenga che l’innovazione de qua non necessiti del consenso scritto…..”.
5) Il terzo e quarto motivo, che per ragioni di connessione possono essere trattati congiuntamente, sono fondati.
Come si legge a pag. 6 della sentenza impugnata, la costruzione di cui gli attori hanno chiesto l’abbattimento è costituita da “un’appendice posteriore di tipo pensile” posta sul lato est del fabbricato. Tale costruzione appoggia sul suolo (cortile comune) verso est, mediante tre pilastri della sezione 35 x 35 cm., mentre dall’altro lato appoggia totalmente sul muro perimetrale posteriore del fabbricato condominiale. Le dimensioni esterne della costruzione in appendice sono di m. 5,40 x 3,34 in proiezione orizzontale e di m. 5,53 in altezza (primo e secondo piano), oltre la falda. A tale costruzione si accede dalla contigua porzione di fabbricato di proprietà della convenuta, mediante ampliamento delle originarie finestre.
Siffatta descrizione rende evidente che si è in presenza di un vero e proprio corpo di fabbrica aggettante sul cortile comune, realizzato mediante incorporazione di una parte della colonna d’aria sovrastante la relativa area, con conseguente alterazione della normale destinazione del cortile, che è principalmente quella di fornire aria e luce agli immobili circostanti.
La Corte di Appello, pur dando atto che il manufatto in esame poggia su tre pilastri che “occupano stabilmente e definitivamente parte della corte comune”, ha disatteso, in considerazione delle “dimensioni assolutamente minime e marginali del suolo su cui sono installati i tre pilastri”, il motivo di gravame principale con cui si sosteneva che l’opera alterava la destinazione della cosa comune, rendendola inservibile all’uso degli altri condomini.
Tali conclusioni si basano su un’incompleta valutazione della fattispecie, non tenendo conto dello spazio aereo sovrastante il cortile comune stabilmente occupato dal manufatto in questione, e si pongono in contrasto con i principi affermati in materia dalla giurisprudenza.
Deve, infatti, rammentarsi che negli edifici in condominio, poiché la funzione dei cortili comuni è quella di fornire aria e luce alle unità abitative che vi prospettano, lo spazio aereo ad essi sovrastante non può essere occupato dai singoli condomini con costruzioni proprie in aggetto, non essendo consentito a terzi, anche se comproprietari insieme ad altri, ai sensi dell’art. 840 comma terzo c.c., l’utilizzazione ancorché parziale a proprio vantaggio della colonna d’aria sovrastante ad area comune, quando la destinazione naturale di questa ne risulti compromessa (Cass. 27-1-1993 n. 966).
La costruzione di manufatti nel cortile comune di un fabbricato condominiale, pertanto, è consentita al singolo condomino solo se non alteri la normale destinazione di quel bene, non anche quando si traduca in corpi di fabbrica aggettanti, con incorporazione di una parte della colonna d’aria sovrastante ed utilizzazione della stessa a fini esclusivi (Cass. 16-2-2005 n. 3098; nello stesso senso Cass. 134-1991 n. 3942).
S’impone, pertanto, la cassazione della sentenza impugnata nella parte de qua, con conseguente assorbimento degli ulteriori profili di illegittimità dell’opera dedotti con gli stessi motivi, nonché del quinto, sesto, settimo e undicesimo motivo.
6) L’ottavo motivo, attraverso la formale denuncia di vizi di motivazione, si risolve nella sostanziale richiesta di una valutazione delle emergenze processuali diversa rispetto a quella compiuta dalla Corte di Appello, la quale, con apprezzamento in fatto non sindacabile in questa sede, ha accertato che la proprietà della canna fumaria in capo alla parte appellata emergeva “dalla documentazione prodotta e dagli altri elementi specificamente richiamati dalla sentenza appellata” (v. pag. 13 della sentenza impugnata), ed ha escluso la stessa canna fumaria abbia costituito oggetto di usucapione (v. pag. 15).
Per costante giurisprudenza di questa Corte, peraltro, i vizi di motivazione denunciabili in cassazione non possono consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, perché spetta solo a quel giudice individuare le fonti del proprio convincimento e a tale fine valutare le prove, controllarne la attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova (tra le tante v. Cass. 14-10-2010 n. 21224; Cass. 5-32007 n. 5066; Cass. 21-4-2006 n. 9368; Cass. 20-4-2006 n. 9234; Cass. 16-2-2006 n. 3436; Cass. 20-10- 2005 n. 20322). L’onere di adeguatezza della motivazione, inoltre, non comporta che il giudice del merito debba occuparsi di tutte le allegazioni delle parti, né che egli debba prendere in esame, al fine di confutarle o condividerle, tutte le argomentazioni da queste svolte. È, infatti, sufficiente che il giudice esponga, anche in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, dovendo ritenersi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo seguito (tra le tante v. Cass. 2-122014 n. 25509; Cass. 20-11-2009 n. 24542; Cass. 12-1-2006 n. 407; Cass. 2-8- 2001 n. 10569).
7) Il nono motivo è inammissibile per la inadeguatezza dei due quesiti di diritto posti. Il primo quesito (attinente alla violazione dell’art. 112 c.p.c.), infatti, è formulato in termini generici, non contenendo sufficienti riferimenti alla fattispecie concreta; mentre il secondo appare del tutto inconferente rispetto alla violazione (vizio di omessa pronuncia) denunciata.
8) Il decimo motivo appare, invece, meritevole di accoglimento.
La Corte di Appello ha riformato la sentenza di primo grado, nella parte in cui aveva pronunciato nei confronti dei convenuti la condanna generica al risarcimento dei danni, ritenendo che una siffatta domanda non era stata proposta in primo grado.
Tale affermazione è stata contrastata dai ricorrenti principali, i quali hanno trascritto le conclusioni dell’atto di citazione (reiterate in sede di precisazione delle conclusioni), con cui si chiedeva “condannare parte convenuta al risarcimento dei danni, anche ex art. 1122 c.c., da liquidarsi in separato giudizio”. La lettura dell’atto introduttivo del giudizio conferma la veridicità dell’assunto dei ricorrenti, che peraltro trova conferma a pag. 22 dello stesso controricorso, in cui si dà atto che la domanda di condanna generica era stata effettivamente formulata da parte attrice.
Deve aggiungersi che, trattandosi di domanda di condanna generica proposta sin dall’inizio dall’attrice, non occorreva il consenso della controparte. Con riguardo alle azioni di risarcimento del danno (sia in materia contrattuale che extracontrattuale), infatti, è ammissibile la domanda dell’attore originariamente rivolta unicamente a una condanna generica, senza che sia necessario il consenso (espresso o tacito) del convenuto, costituendo essa espressione del principio di autonoma disponibilità delle forme di tutela offerte dall’ordinamento ed essendo configurabile un interesse giuridicamente rilevante dell’attore a forme di tutela cautelare o speciale (quali l’iscrizione d’ipoteca giudiziale ex art. 2818 c.c. o l’azione risarcitoria in materia di concorrenza sleale di cui all’art. 2600 c.c.) (Cass. Sez. Un. 23-11-1995 n. 12103).
9) Il primo motivo di ricorso incidentale è infondato.
La Corte di Appello ha dato sufficiente contro delle ragioni della ritenuta indivisibilità del giardino comune, richiamando il disposto dell’art. 1119 c.c., a mente del quale “le parti comuni dell’edificio non sono soggette a divisione, a meno che la divisione possa farsi senza rendere più incomodo l’uso della cosa a ciascun condomino”, e spiegando che, nella specie, la divisione del giardino comune non rispetterebbe una simile prescrizione.
La decisione impugnata, pertanto, risulta sorretta, sul punto, da una motivazione immune da vizi logici e rispettosa del dettato normativo.
10) Anche il secondo motivo di ricorso incidentale (da esaminare in considerazione dell’accoglimento del decimo motivo di ricorso principale, al quale era condizionato) è privo di fondamento, essendo evidente che il rilievo della inammissibilità della domanda di condanna generica precludeva al giudice di appello il suo esame di merito.
11) In definitiva, devono essere accolti il terzo, quarto e decimo motivo di ricorso principale; il quinto, sesto, settimo e undicesimo motivo dello stesso ricorso rimangono assorbiti, mentre vanno rigettati gli altri motivi di ricorso principale e il ricorso incidentale.
La sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Bologna, la quale procederà a nuovo esame, attenendosi ai principi di diritto innanzi enunciati. Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo, quarto e decimo motivo di ricorso principale; dichiara assorbiti il quinto, sesto, settimo e undicesimo; rigetta gli altri motivi di ricorso principale e il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia anche per le spese ad altra Sezione della Corte di Appello di Bologna.

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